Tribuna di Treviso – Asfalto con rifiuti tossici. Terza corsia, 5 indagati.
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13
apr
2013
La Mestrinaro acquistava il materiale contaminato e lo rivendeva senza trattarlo ai clienti. Sequestrati un deposito e un capannone
VENEZIA – Gli imprenditori Lino e Sandro Mario Mestrinaro non hanno inventato nulla, ma nella loro azienda di Zero Branco – secondo le accuse che gli muovono i pubblici ministeri veneziani Roberto Terzo e Giorgio Gava, sulla base di due anni di indagini dei carabinieri del Noe – hanno impiegato un vecchio, reiterato, lucrosissimo maneggio: invece di trattare (a caro prezzo, 45 euro a tonnellata) i rifiuti inquinati che le aziende edili gli conferivano per renderli inerti, li miscelavano tali e quali a calce e cemento, per poi venderli a 39 euro a tonnellata a questo o quel cantiere edile, dove finivano a far da base (inquinata) a questa o quell’opera. Il tutto moltiplicato per decine di migliaia di tonnellate e centinaia di migliaia di euro, così, illecitamente guadagnati. Grandi quantità di Rilcem – così l’impresa vendeva sul mercato il suo misto cementato per sottofondi stradali – per grandi cantieri: 4145 tonnellate di Rilcem contaminato sono state utilizzate per realizzare il parcheggio dell’aeroporto Marco Polo di Venezia; 34.157 tonnellate sono finite nel tratto della sofferta (per gli automobilisti) nuova terza corsia dell’A4 all’altezza del casello di Roncade di Treviso, nel cantiere gestito da “La Quado scarl”. Qui sono stati trovati quantitativi di arsenico, cobalto, nichel, cromo, Cod, rame fino a cento volte i limiti tollerati dalla legge. L’attività della “Mestrinaro Spa” è stata interrotta dal sequestro preventivo di 12 mila metri quadrati dell’impianto, con capanni e attrezzature e 4 mila metri cubi di rifiuti. Un provvedimento firmato dal giudice per le indagini preliminari Antonio Liguori, per il quale le prove raccolte da carabinieri e Procura nel corso dell’indagine – soprannominata “Appalto scontato” – dimostrano che «la Mestrinaro Spa non solo non ha recuperato e/o trasformato in inerti i rifiuti trattati, ma ha immesso nell’ambiente ingenti quantità di rifiuti, cagionando contaminazione degli ambiti di destinazione». «Tra il 2010 e il 2012», osserva il comandante dei Noe, Donato Manca, «la società ha ricevuto presso la propria impresa decine di migliaia di tonnellate di rifiuti, con distinte e reiterate operazione, con attività continuative organizzate, ha gestito questi rifiuti al fine di trarre un ingente e ingiusto profitto». Da qui l’accusa di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, prevista dall’articolo 260 del decreto legge 152/2006. «Un’operazione molto importante su un’attività pericolosa di riciclaggio di rifiuti», ha chiosato il procuratore Luigi Delpino. «Rifiuti, il reato del futuro», ha sottolineato il procuratore aggiunto Carlo Mastelloni, «che cammina assieme alla criminalità organizzata: servirebbero più forze in campo per contrastarlo, invece il Noe può contare solo su 8 uomini per le province di Venezia, Padova e Rovigo». Al momento risultano indagati – anche se in posizioni più marginali – anche due imprenditori i cui rifiuti erano arrivati all’impianto Mestrinaro: il veneziano Maurizio Girolami dell’Intesa 3 (che aveva conferito all’impianto di recupero Superbeton Spa di Ponte della Priula, che però non poteva gestirli) e Loris Guidolin (di Castelfranco) dell’Adriatica Strade costruzioni generali, oltre a Italo Battistella, operaio specializzato della stessa Mestrinaro. Al centro delle indagini restano Lino e Sandro Mario Mestrinaro che – scrive il gip Liguori – «omisero deliberatamente e volontariamente (dolosamente) di eseguire le operazioni tecniche necessarie a trasformare i rifiuti, anche contaminati in materie secondarie», limitandosi «a realizzare illecitamente» «economicissime prassi di mescolatura caotica e arbitraria di rifiuti della più svariata provenienza, inidonee a trasformare rifiuti contaminati in inerti». «Confidiamo di dimostrare che l’attività è a norma», dice l’avvocato Fabio Pinelli. Valeria Caltana, amministratore delegato dell’impresa si dice «serena per la legittimità della nostra attività». L’indagine è nata nel 2010 da un controllo Arpav in un cantiere edile di Marghera. «I rifiuti provenienti da alcuni cantieri di Mestre e Marghera», prosegue il comandante Manca, «o tramite le ditte Superbeton e Adriatica Strade erano costituiti da terre, rocce da scavo, scorie derivanti da processi di combustione, contenenti contaminanti che venivano sottoposti ad una vagliatura sommaria, insufficiente a filtrare le impurità, ottenendo una grossolana mescola, talora additivi, ottenendo materiali che per le caratteristiche chimiche non avrebbero potuto essere avviati presso cantieri e insediamenti del territorio, come rampe autostradali e parcheggi. Inoltre, Mestrinaro ha spacciato e trasportato come “Rilcem” mescole che contenevano sostanze inquinanti come vanadio, cobalto, nichel, cromo, immettendo nell’ambienti rifiuti con attitudini inquinanti». Ascoltati dal gip nel corso d’indagine i fratelli Mestrinaro hanno chiarito, tramite i loro tecnici, che esistono due linee diverse di produzione del Rilcem: l’impianto Ime tratta materiali di rifiuto (in attesa di un’autorizzazione della Regione, che l’aveva concessa in parte, salvo poi il Tar annullarla per contrasti urbanistici, ndr) e una linea che tratta materie prime secondarie, dove finivano terre e rocce di scavo e scorie che all’atto della loro presa in carico fossero ritenuti dall’impresa compatibili con i valori-soglia di legge. Linea bocciata dal gip come «non giuridicamente compatibile».
Roberta De Rossi
Conferimento e bonifica. Dov’è l’affare
VENEZIA – Ma quanto vale questo «illecito esercizio»? Un calcolo esemplificativo lo fa lo stesso gip Liguori nel suo provvedimento cautelare: Adriatica Strade (una delle società che conferisce rifiuti a Mestrinaro) ha portato a Zero Branco 10.718 tonnellate di rifiuti, pagando 29 euro a tonnellata, per 310 mila euro. Mestrinaro ha venduto Rilcem a Save Engineering a 10 euro a tonnellata e a Engineering 2K a 28 al metro cubo, con messa in opera. Risultato: «Si stima che in capo a Mestrinaro derivino introiti dell’ordine di 39 euro a tonnellata (da dedurre costi di trasporto, messa in opera e trattamento illecitamente eseguito)», ma «è comunque evidente dalle pratiche descritte ingenti profitti derivino ove si consideri che lo smaltimento rifiuti presso una discarica di rifiuti non pericolosi costa 45 euro a tonnellata». (r.d.r.)
Autovie: analizzato ogni lotto Chisso: ora voglio spiegazioni
L’ampliamento dell’intera tratta di 95 chilometri costerà 2,3 miliardi di euro
L’eventuale bonifica dalle sostanze bloccherebbe la realizzazione dell’opera
MESTRE – Stupore. Questa la prima reazione ad Autovie Venete, alla notizia dell’indagine della Procura della Repubblica veneziana su alcune ditte accusate di aver lucrato su rifiuti tossici che, anzichè essere trattati, venivano trasformati in materiali inerti, utilizzati, secondo l’indagine, anche per realizzare i fondi stradali della terza corsia dell’autostrada A4 Venezia-Trieste. «Non ne so assolutamente nulla, voglio capire come stanno le cose. Certo che ci aspettiamo delle spiegazioni», è l’unico commento, al momento, dell’assessore regionale alle Infrastrutture, il veneziano Renato Chisso, che sui cantieri della terza corsia da Mestre verso Trieste ha puntato molto assieme alla Regione Friuli Venezia Giulia. Alla società autostradale che gestisce il tratto, lo stupore lascia il posto ad un comunicato di poche righe. La società, braccio operativo del commissario per l’emergenza in A4 e impegnata nella realizzazione della terza corsia, «relativamente al materiale utilizzato nei lavori del primo lotto Quarto d’Altino-San Donà di Piave, precisa che tutti quelli fatti entrare in cantiere, compresi quindi quelli forniti dalla ditta Mestrinaro, provengono da impianti autorizzati e periodicamente sottoposti a controlli e analisi». La nota di Autovie Venete prosegue: «I quantitativi di materiale, tecnicamente definiti “lotti” (un lotto corrisponde grosso modo a 3 mila metri cubi), nel momento in cui arrivano in cantiere, sono preceduti dai risultati delle analisi. Fino ad ora nessuna analisi ha rilevato anomalie». Alla società autostradale dei risultati dell’indagine della Procura veneziana e del Noe, il nucleo ambientale dei carabinieri, che ha evidenziato, leggendo le carte, si è detto nella conferenza stampa di ieri mattina, in particolare nel cantiere del casello, a Musestre di Roncade, in territorio trevigiano, la presenza di valori di sostanze inquinanti anche di cento volte sopra i limiti. Se si chiede lumi sulla necessità di bonifiche dei manti stradali, la risposta per ora resta sospesa. «Vedremo, bisogna capire anzitutto», ci viene risposto. Insomma, si attendono comunicazioni dalla magistratura. E il medesimo stupore e la necessità di capirci qualcosa lo si ritrova anche nel commento dell’assessore Chisso. Ma c’è chi da subito vuole vederci chiaro. Simonetta Rubinato, sindaco di Roncade, ha scritto ad Autovie Venete: «Dopo aver appreso dai media dell’indagine avviata dalla Procura della Repubblica di Venezia», spiega la Rubinato, «abbiamo contattato il responsabile di Autovie, l’ingegner Razzini, per chiedere che venga fatta chiarezza quanto prima in merito ai materiali utilizzati nel cantiere della terza corsia, che per 9 chilometri riguarda anche il nostro territorio comunale, e sull’adeguatezza delle procedure amministrative interne di controllo della qualità». I cantieri della terza corsia dell’A4 interessano attualmente il tratto Villesse-Gonars che sarà ultimato entro quest’anno e il tratto tra Quarto d’Altino e San Donà di Piave, i cui lavori termineranno entro il 2015. Qui la capofila dell’appalto è la Impregilo. Le ditte che forniscono i materiali per i due lotti sono diverse tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. L’investimento complessivo è di 2 miliardi e 300 milioni di euro per 95 chilometri di autostrada. Una curiosità: l’impresa Mestrinaro è nota anche a Mestre: ha eseguito le demolizioni dell’ex ospedale di Mestre, l’Umberto I, oggi un cantiere fermo da anni, il “buco nero” cittadino.
Mitia Chiarin
Quattro imprenditori e un operaio
Ecco chi sono le cinque persone al centro delle indagini di Noe e Procura
ZERO BRANCO – A Zero Branco, i Mestrinaro sono una vera e propria istituzione. L’attività in zona Bertoneria, nella frazione di Sant’Alberto, è stata avviata nel 1915. Attiva prima in agricoltura, per poi passare negli anni all’edilizia, allo scavo e movimento terra, l’azienda si è specializzata tra l’altro nella stabilizzazione del terreno e nell’estrazione e la lavorazione di inerti. Per trattare alcune tipologie di rifiuti pericolosi è stato già realizzato un impianto per cui si attende il via libera della Regione e che è stato oggetto negli anni di ricorsi e battaglie legali con i residenti e il Comune. I fratelli Lino e Sandro Mario Mestrinaro, rispettivamente di 59 e 53 anni, indagati dalla Procura veneziana, rappresentano la terza generazione nell’attività imprenditoriale. Lino Mestrinaro era già stato coinvolto in procedimenti per reati in materia ambientale.
Nell’inchiesta della magistratura veneziana è coinvolto anche Italo Battistella, operaio specializzato della Mestrinaro che, secondo la magistratura, potrebbe aver avuto un ruolo, seppur non di primo piano, nella vicenda. Nell’elenco degli indagati figura l’imprenditore castellano Loris Guidolin, cinquantenne titolare della “Adriatica Strade Costruzioni Generali”, con sede in via Circonvallazione Est, a Castelfranco Veneto. L’azienda è stata fondata nel 1984 proprio da Guidolin, che oggi ne è al timone, ed è specializzata nelle costruzioni edili e nei cantieri stradali. L’azienda di Loris Guidolin lavora spesso in subappalto. È molto conosciuta nella Castellana, dove tra l’altro ha realizzato varie opere per la pubblica amministrazione, tra cui la rotonda di Villarazzo. Nel ciclone di “Appalto scontato” è finito anche l’imprenditore veneziano Maurizio Girolami, titolare della “Intesa 3”, azienda con sede a Marghera.
Rubina Bon
Materiale pericoloso sotto il parcheggio P5 dell’aeroporto
Save Engeneering si dichiara all’oscuro di tutto Ora l’area dovrà essere chiusa per procedere con la bonifica
MESTRE – Parcheggio “P5”, rotatoria piccola di uscita dell’aeroporto Marco Polo di Tessera, anche qui inerte contaminato. E anche in questo caso campioni prelevati dai carabinieri del Noe, che confermano l’utilizzo del “Rilcem” della Mestrinaro di Treviso. Inerte sporco, contaminato e avvelenato da metalli pesanti che non doveva essere impiegato lì sotto. Invece, stando al calcolo dei carabinieri e della Procura di Venezia, per realizzare quel parcheggio, uno degli ultimi costruiti nell’aerostazione, ne sono state buttate oltre quattromila tonnellate. E anche lì sotto l’arsenico, il vanadio, il cobalto, il nichel e il cromo sono in percentuali elevate. Valori ben al di sopra di quelli previsti e concessi dalla legge in questi casi. Veleni che inevitabilmente finiscono nella falda acquifera e come tutti sanno in una zona dove la stessa falda è molto alta. E di conseguenza facile da essere raggiunta dalle sostanze inquinanti. Le oltre quattromila tonnellate di inerte avvelenato è stato venduto dalla “Mestrinaro” alla “Save Engineering Spa” incolpevole di quanto stava acquistando. Prima vittima, secondo gli inquirenti, di un sistema messo in piedi dalla ditta di Treviso per ingannare gli aquirenti e le leggi. E guadagnare più del dovuto. Ieri “Save Engineering Spa” si è detta all’oscuro di tutto. Sia del fatto di aver acquistato, involontariamente, i veleni, sia di eventuali prelievi eseguiti dagli inquirenti nel parcheggio “P5”. Del resto nessuna anomalia era emersa durante la realizzazione, alcuni anni fa, della stessa area di sosta. Ma le analisi dei carabinieri del Noe non lascerebbero scampo. Ci sono valori della presenza dei veleni anche del cento per cento superiori al limite massimo concesso dalla legge. “Save Engineering Spa” ha annunciato che nelle prossime ore saranno effettuate delle verifiche per capire quanto successo. Anche perché ora si prospetta la possibilità che il parcheggio, costato centinaia e centinaia di migliaia di euro, debba essere chiuso per consentire i lavori di bonifica. In sostanza dovrà essere ricostruito. Inoltre da capire se la falda è stata inquinata. Una falda molto legata alla laguna che si trova a nemmeno un chilometro dal parcheggio in questione. È facile ipotizzare che i veleni indicati dalle analisi degli inquirenti siano già in parte finiti in laguna. Come per “Autovie Venete” che stanno realizzando la terza corsia lungo l’A4, l’indagine dei carabinieri del Noe e della Procura di Venezia anche nel quartiere generale di Save ha creato stupore per quanto emerso durante questa prima fase dall’inchiesta. Anche perché non è chiaro cosa ora bisogna fare con questa bomba ecologica a quattro passi dal terzo aeroporto italiano.
Carlo Mion
LA REPLICA DELLA DITTA
«Aspettiamo le indagini con fiducia, siamo sereni»
ZERO BRANCO – È un terremoto quello che dalla Procura della Repubblica di Venezia si è abbattuto sulla Mestrinaro spa di Zero Branco. Gli indagati sono i fratelli Lino e Sandro Mario Mestrinaro, 59 e 53 anni, eredi della famiglia di imprenditori zerotini, e Italo Battistella, dipendente dell’ufficio ambiente della stessa ditta. Dopo il blitz dei carabinieri del Noe, il Nucleo operativo ecologico, scattato alle cinque della mattina di giovedì, ieri è stato un altro giorno difficilissimo per la Mestrinaro. «Confidiamo di dimostrare che l’attività è a norma», chiarisce l’avvocato Fabio Pinelli di Padova, che difende sia i fratelli Mestrinaro che Battistella. Il legale ha ricevuto l’incarico nella giornata di ieri. «L’ordinanza di sequestro è impegnativa, va attentamente studiata», aggiunge. Dal quartier generale della Mestrinaro in via Bertoneria a parlare è l’amministratore delegato del gruppo, Valeria Caltana, moglie di Lino Mestrinaro. «Prendiamo atto delle indagini. La Mestrinaro spa è totalmente serena rispetto all’operato», fa sapere l’amministratore delegato della società, «aspettiamo fiduciosi gli sviluppi delle indagini. La produttività non è assolutamente in discussione». Un messaggio, quello dell’ad Valeria Caltana, che vorrebbe allontanare gli spettri che in queste ore si stanno addensando sull’azienda. Il blitz alle 5. Lino e Sandro Mario Mestrinaro sono stati svegliati all’improvviso. Poco dopo un elicottero aveva perlustrato dall’alto l’area della Mestrinaro, mentre i dipendenti e i camion erano stati trattenuti in azienda. L’operazione che aveva richiesto il dispiegamento di una cinquantina di carabinieri del Nucleo operativo ecologico che hanno posto sotto sequestro un’area di 12 mila metri quadrati. Circa 5.900 tonnellate di rifiuti stoccati all’interno dei capannoni della Mestrinaro erano già stati posti sotto sequestro. Si tratterebbe, secondo quanto appreso dalla Procura, di rifiuti inquinati che la ditta “Intesa 3” di Marghera aveva conferito alla “Superbeton” di Ponte della Priula, che a sua volta aveva portato il materiale alla Mestrinaro. «È una partita di materiale che avevamo inviato alla Mestrinaro a suo tempo perché venisse trattata negli impianti della ditta. Quei rifiuti peraltro erano già stati sequestrati», chiarisce Roberto Grigolin, presidente della Superbeton, «quindi non siamo assolutamente coinvolti in questa vicenda giudiziaria». Rubina Bon
Ha smaltito le macerie dell’ex Umberto I
L’impresa trevigiana ha raccolto tra le polemiche i detriti del vecchio ospedale di Mestre
MESTRE – A Mestre la “Mestrinaro” è una ditta ben conosciuta. Infatti si è occupata dello smaltimento delle macerie dell’Umberto I dopo il suo abbattimento. Ha iniziato a lavorare in via Circonvallazione nell’aprile del 2009. Si è trattato di un cantiere che si è messo in moto molto lentamente. Un intervento curato dalla ditta Mestrinaro, incaricata dai privati che hanno acquisito l’area dall’Asl 12 Veneziana, di tutti i lavori legati all’abbattimento degli immobili dell’area da 220 mila metri cubi in cui doveva nascere entro il 2013 un nuovo pezzo di centro, con tre grattacieli con altezze tra i 115 e i 92 metri. Il 3 aprile l’impresa Mestrinaro ha cominciato ad operare all’interno dell’ex ospedale. La prima fase è stata quella del recupero dell’immondizia e del vecchio mobilio abbandonato nell’ex struttura ospedaliera con il trasporto all’Angelo a Zelarino. Materiale caricato sui camion di Veritas e che successivamente venne conferito per l’eliminazione. Quindi per vedere i primi camion uscire dall’area del cantiere ci sono volute alcune settimane. Solo successivamente presero il via le operazioni di demolizione vera e propria. L’area venne presidiata ancora per settimane da una guardia giurata. Il termine previsto per ultimare la demolizione era previsto tra il 31 dicembre e il febbraio 2010. Il lavoro terminò appunto nel 2010. Il piano coordinato con il Comune per ridurre al minimo l’impatto dei camion della demolizione e poi del successivo cantiere sulla viabilità dei Quattro Cantoni e di via Circonvallazione prevedeva che i camion in ingresso percorressero il sottopasso del Terraglio, i Quattro Cantoni, via Einaudi per poi entrare in piazzale Candiani, dal retro dell’ospedale. Per le uscite, i Tir utilizzavano il vecchio ingresso principale su via Circonvallazione, con direzione obbligata il sottopasso del Terraglio. L’impresa Mestrinaro si impegnò ad installare la segnaletica, tenere pulite le strade e monitorare i passaggi, prima su carta e poi con spire di controllo del traffico, per fornire alla Mobilità il quadro esatto ogni mese. Ma nonostante tutti questi accorgimenti la polvere causata dall’abbattimento e dalla movimentazione dei detriti fu la causa di numerose proteste da parte dei cittadini. E più di una volta dovettero intervenire le forze dell’ordine.