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Gazzettino – Treviso. Tremila in piazza per Paolini.

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

2

ott

2013

IL RITORNO DEGLI ESILIATI

IL SINDACO «Una serata ricca di magia»

L’EVENTO – L’artista e il musicista Brunello di nuovo in città dopo 15 anni

L’ACCOGLIENZA – Sul palco “Scusate il ritardo”

in tremila nel cuore di Treviso

COL SINDACO – Giovanni Manildo è salito sul palco per rendere omaggio ai due artisti ritornati ad esibirsi in città dopo un esilio durato quattordici anni.

«Mi sembra di essere Lavitola che torna dalla latitanza». Marco Paolini parla davanti a una piazza dei Signori piena: quasi tremila persone. Poche parole bastano per riprendere un discorso interrotto quattordici anni fa e mai più ripreso, se non in incontri semi clandestini, fuori dai grandi cartelloni.

«Scusate il ritardo» inizia così. Tra gli applausi. Con il sindaco Giovanni Manildo sul palco, stretto nella fascia tricolore e quasi commosso tra Paolini e Mario Brunello: «È una serata magica, questa voglia di stare assieme è bellissima».

Poi i protagonisti tornano loro, i grandi assenti. Li introduce Mirco Artuso, attore e regista trevigiano: «Quando siete andati via qui c’era una palude dove le pantegane dai denti a sciabola aggredivano le pantegane dorate».

Rompe il ghiaccio Brunello strappando note e meraviglie. E la piazza si scalda. Paolini arriva dopo: la prende larga, ma inizia subito a parlare di teatro e tutti capiscono dove andrà a parare. E infatti, a metà serata, attacca: «Arriva il 13 aprile 1999, giorno in cui il teatro chiude e io sono contro». Ammette che bisognava rimetterlo a posto, ma condanna l’idea che un Teatro possa essere regalato al miglior offerente.

Ruvido il ricordo di Giancarlo Gentilini: «Chiudeva il teatro e un sindaco, che non c’era mai venuto, se ne vantava». Racconta dell’orchestra che s’incatena in piazza San Marco, della paura e della rabbia per la cultura che si muore. Ripercorre quel sabato in cui conosce Brunello, musicista licenziato, e propone agli orchestrali di protestare in piazza, di mettersi in mutande: «Qualcuno è tornato a casa a cambiarsele».

La gente segue attenta e lui racconta che quel pomeriggio, mentre si calavano i pantaloni senza smettere di suonare, nessuno si è messo a ridere: «L’orchestra diceva “non solo noi siamo in mutande, senza questo lo siete anche voi”. Da quel giorno noi due – dice indicando Brunello – siamo stati messi al bando. Fino al 10 giugno di quest’anno. Grazie Treviso». Lo spettacolo finisce con le musiche di Brunello e Paolini che esibisce la maglietta rossa della Tarvisium, la squadra del cuore mai dimenticata.

La serata dalle emozioni forti si conclude dietro il palco, dove Paolini chiude con il passato: «Gentilini? Non avevo conticini da regolare. Però se a dieci ragazzi questa serata cambia la vita, perché gli dà una prospettiva, io questa possibilità non me la devo perdere e me la gioco tutte le volte che vado in scena. Non essermela potuta giocare a Treviso in tutti questi anni è una cosa che non posso perdonare, non per l’abuso di autorità, ma per il mancato incontro con delle persone che forse avrei potuto sfidare o aiutare».

 

Tra la folla anche Benetton: «La piazza sembra immensa»

Riecco Paolini: «Non sono qui per regolare conti»

la fine dell’esilioc’è anche Luciano Benetton

Treviso non è così facile agli abbracci. Un pò bastian contraria, ama più l’aspro nelle cose, guarda sempre dove può cacciare la risata agra. Ma ieri sera nessun occhio sghembo in una piazza inondata da tremila anime, fiori quanto basta e qualche ombrello (perchè non si sa mai). Tutti cacciati dentro la piazza dei Signori, ad ascoltare le mille storie di un povero attore, la fatica immensa – con molte ammende – di farsi largo nella vita e la gioia di tornare.

Insieme a Lorenzo, 13 anni, e Veronica, 11, c’è anche Luciano Benetton. «Una serata davvero divertente, stupito dal pubblico – spiega – la piazza sembra immensa. E generosi loro: è tutto gratis».

Marco Paolini sale sul palco alle 20.30. Del resto il ritardo è durato quattordici anni, e non è il caso di aggiungerne altro. Come Cirano, non brandisce altro che i suoi argomenti. E, tra le mani, un mazzetto di Topinambur, i fiori preferiti da Andrea Zanzotto.

Dietro Mario Brunello gli fa il soundtrack in viva voce: parte con un melisma, canta quasi come un muezzin e poi dal suo juke-box di legno trae Verdi con l’amico Walter Vestidello. «Vecio parlar, fondo come un bazar. Un beso Treviso». Esordisce così Paolini. E la sua lingua dice una città che non sta ferma: un misto di citazioni zanzottiane e colori, multiple come i suoi abitanti, emigrati foresti autoctoni oriundi.

Non presente, non citato direttamente, ma nominato come «il sindaco che non andava a teatro vantandosene» c’è anche lui, il Gentilini delle molte cose buone e del grande danno. Quello della chiusura del Teatro «regalato a chi lo poteva aggiustare». Ma non ci sono invettive livorose, Paolini non cede a facile retorica (come invece fa Mirko Artuso nel non memorabile prologo sui mona). Racconta solo la storia di uno che la cultura la ha amata, con buone idee e mille esiti incerti (fantozziano ed esilarante l’epocale arrivo di Carmelo Bene) fino a quel 13 aprile 1999 in cui, insieme a Brunello, orchestrali della Scala, Fenice e Arena, decise di sfoggiare l’intimo in piazza dei Signori per dire «no, non potete mandare un’orchestra e un coro a casa».

Il sindaco Manildo ripete come un mantra «Bellissimo». Divertito e sinceramente emozionato Gianfranco Gagliardi, presidente di Teatri Spa mentre Luciano Franchin sintetizza «Nessuna acredine verso il passato. Siamo qui a gettare una base solida per il futuro». Oggi ci sarà il tempo per dire cosa abbia davvero funzionato, di contare i presenti e gli assenti, di pensare concretamente ad un futuro di Paolini in città. Ieri intanto una piazza, una volta tanto presente in spirito, ha preso vita e capito che la cultura non è bene alienabile, perchè è passione, e vita.

 

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