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Tribuna di Treviso – Frane, l’emergenza infinita

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

7

feb

2014

maltempo»le frane

I geologi: non si fermano. Ma anche l’acqua fa ancora paura

Sulle colline d’argilla cedono boschi e vigneti

Viaggio tra i rilievi con i geologi Antonio Della Libera e Gino Lucchetta «Fondamentale chiudere le fessure sui terreni. Dobbiamo prevenire»

di ANTONIO DELLA LIBERA e GINO LUCCHETTA – geologi (testo raccolto da Andrea De Polo)

Rocce frammentate, sedute su un letto di argilla: è la combinazione peggiore, per la stabilità di ogni terreno. È, purtroppo, la combinazione più frequente sulle colline di Vittoriese e Quartier del Piave, che mai come in questi giorni stanno mostrando tutta la loro fragilità. Sono decine di smottamenti più o meno gravi riscontrati nelle ultime ore. A Cozzuolo sono scesi 100 mila metri cubi di montagna. Per ora. Rocce, alberi e terra sono ancora in movimento, e i rischi non vanno sottovalutati: i monitoraggi continuano. Ma la Val de Mar è una zona critica da molto tempo, è zona da monitorare sempre. Si vede a occhio nudo: le colline che le fanno da cornice portano tutte i segni di frane più o meno antiche. Un asse critico, che con le piogge ha aumentato la sua instabilità. Le frane non ci devono sorprendere: come le malattie, nascono prima che si manifestino. Due le ragioni principali: le perturbazioni si sono intensificate negli ultimi anni. Ma c’è anche l’abbandono del territorio da parte dell’uomo, che una volta interveniva ai primi segni di movimento del terreno. Dopo Cozzuolo, preoccupa il fronte di Formeniga: quello è un fenomeno vasto e profondo, che coinvolge il versante sotto la chiesa e il campanile. È una predisposizione geologica: in alto si trova il conglomerato, cioè le rocce fratturate, che lascia filtrare l’acqua. Questa raggiunge una base di argilla, che con le forti piogge si fluidifica, generando instabilità. A Fregona, invece, è crollato un vecchio terrapieno, così come a Sarmede: famiglie evacuate, auto distrutte, la minaccia di nuove piogge, da oggi. Ma non è solo colpa del maltempo degli ultimi giorni. Dobbiamo prevenire. Ognuno deve fare la sua parte, pubblico e privato. Servono piani di intervento, con la collaborazione dei geologi. Alla base, però, dev’esserci una grande cultura del territorio, verso la quale il pubblico dovrebbe indirizzare maggiori risorse. Da venerdì non c’è un attimo di pace. Non è sufficiente andare su tutte le frane del Quartier del Piave, ogni giorno se ne aggiungono di nuove. Ieri è toccato alla strada del Madean, a Valdobbiadene: un fronte importante, largo 150 metri e profondo almeno dieci, che ha coinvolto un bosco di castagni. Lì il terreno è di argilla rossa, si imbeve di acqua e diventa una spugna fluida, che scivola a valle trascinando con sé anche i castagni centenari. Gli alberi sono rimasti dritti perché la superficie di movimento è più profonda rispetto alle loro radici ancorate nel terreno. Vanno subito chiuse le fessure, perché non entri altra acqua. L’argilla “imbevuta” è la responsabile anche della frana di Refrontolo, in via Patrioti: la particolarità, in questo caso, è che la frana si è mossa su una pendenza abbastanza dolce, di 8-9 gradi. Inusuale, ma c’era già qualche infiltrazione, e l’argilla è diventata come sapone. Diverse le frane vicine al Molinetto della Croda, sempre a Refrontolo: lì il torrente Lierza ha scavato il versante della collina. Era successa la stessa cosa nel 1996 e nel 1997. Il fiume erode il piede della collina, e le rocce scivolano. In questo caso è “normale”, e non ci sono molte cure a disposizione. Preoccupa, per le prossime ore, un fronte franoso a Colfosco: in via San Daniele, ci sono blocchi di roccia di diversi metri cubi, che possono fare parecchia strada. I pericoli non sono affatto scongiurati. Sulle base delle previsioni del fine settimana, ci aspettiamo 80 millimetri di pioggia, ma diluiti nel tempo. In ogni caso, sarà fondamentale chiudere le fessure sui terreni. E compiere monitoraggi continui per controllare ogni smottamento.

 

Si stacca una selva di castagni centenari

Fronte franoso di 150 metri sulla via che porta al Posa Puner: se si muove trascina a valle la strada

VALDOBBIADENE – Frane, emergenza senza fine. L’ultima in ordine del tempo è stata segnalata a Valdobbiadene. Per ora sono solo alcuni segni sull’asfalto, con le nuove piogge rischia di diventare uno smottamento importante. Siamo sulla strada del Madean, che porta al Posa Puner: si è “staccato” da terra un bosco di castagni centenari, un fronte franoso di 150 metri con una profondità di dieci. Così profondo che gli alberi sono rimasti dritti: la frana è sotto le radici. Se si stacca, trascina a valle l’intera strada; alcune abitazioni rischiano di restare isolate. Si muove ancora anche via Patrioti, a Refrontolo: le case non sono a rischio, ma un bombolone del gas è collocato al limite della frana. Per sicurezza, ieri è stato consigliato ai proprietari di disattivare l’utenza. Al confine tra Refrontolo e San Pietro di Feletto, operai intervenuti in via Mire, dove ieri l’asfalto si è “seduto” in corrispondenza di un tornante. A San Pietro, per lunedì pomeriggio il sindaco Loris Dalto ha organizzato un sopralluogo su tutte le frane del Comune, per tranquillizzare la popolazione: le case non sarebbero a rischio. A Colfosco, monitorata via San Daniele (la strada che porta al colle della Tombola): fessurazioni nel terreno non lasciano ben sperare, diversi metri cubi di roccia sono pronti a muoversi, per fortuna le case non sarebbero interessate dal cedimento del terreno. Nel Vittoriese, decine di smottamenti: 12 solo in Comune di Vittorio Veneto. A Cozzuolo, dove una famiglia è stata evacuata e un’altra rimane isolata, il problema riguarda anche via San Mor, da dove la frana è partita: la strada ora siede sul ciglio del precipizio. La situazione più grave (dopo Cozzuolo) è a Formeniga, dove la chiesa è isolata: bloccate entrambe le vie di accesso. In via Somera, a rischio la tubatura del gas collocata sotto la carreggiata. Impraticabile anche via Formeniga, dove l’asfalto della strada si è aperto in più punti: le voragini sembrano quelle di un violento sisma. Attenzione particolare in queste ore per le frane di Sarmede (evacuata un’abitazione) e Fregona (automobili sepolte dal fango a Osigo).

(a.d.p.)

 

Valanga sulla casa Salvata una famiglia con marito disabile

I vigili del fuoco scavano un varco nella terra per liberarli

Pietro Mattiuz trasportato in barella: «È un vero incubo»

VITTORIO VENETO – Una montagna scivolata a valle, e appoggiata sulla casa. In via Val de Mar, a Cozzuolo, sono venuti giù 100 mila metri cubi di fango, terra, roccia. La casa della famiglia Mattiuz è rimasta in piedi, ma è troppo pericoloso restare all’interno: il fronte franoso è in continuo movimento. Ieri i vigili del fuoco hanno provveduto a evacuare l’intera famiglia: mamma Danila, papà Pietro e la figlia Monia. Se le due donne saranno ospitate nell’abitazione dei cugini, poco distante, il papà, con problemi di deambulazione, per i prossimi giorni dormirà a casa dell’altra figlia, che abita a valle. Ieri, durante tutta la giornata, i vigili del fuoco hanno lavorato per oltre due ore per ricavare un varco nella frana, e permettere agli abitanti di uscire dal cortile di casa, “tappato” da quintali di terra, fango, rocce e alberi. Armati di motoseghe e accette, sono riusciti a mettere in salvo i residenti, prima di trasportare su una lettiga il padre verso l’auto della figlia, parcheggiata dove la strada si interrompe per la frana. «Ha sempre vissuto qui, ora non se ne vorrebbe andare», ha spiegato la figlia Monia. «Noi andremo a vivere dai nostri cugini», e chissà quando potranno rientrare nella loro abitazione. Sul posto anche il sindaco di Vittorio, Toni Da Re, la Forestale e diverse squadre dei vigili del fuoco: in molti, sostengono di non aver mai visto una cosa del genere. La montagna sta ancora “camminando”: togliere i quintali di materiale scivolati fino alla casa significherebbe peggiorare la situazione, togliendo un sostegno al fronte franoso. I residenti di via Val de Mar non si erano accorti di nulla: «Solo qualche crepa nel terreno, lunedì» racconta la signora Danila, ancora provata dagli eventi. Poi, una mattina, la strada d’accesso non c’è più, crollata sotto il peso degli alberi scivolati a valle. E la terra è arrivata a coprire le finestre al piano terra. Danila guarda alla montagna, lassù in cima, che l’ha costretta ad abbandonare la casa in cui ha sempre vissuto, e ricorda: «Da quasi un mese a questa parte, il nostro cane veniva a chiamarci di notte. Si lamentava, pensavamo avesse fame. Uscivamo, e lui correva verso la montagna. Voleva che andassimo con lui: aveva sentito qualcosa». Sono circa le 15.30 quando il suo compagno di una vita lascia la loro casa. Spaventato, dopo qualche resistenza iniziale viene convinto a salire sulla barella, dove viene imbragato dai vigili del fuoco che, non senza qualche difficoltà, lo portano via. Per chissà quanto. Se ne vanno anche i forestali, i vigili del fuoco, i volontari intervenuti sul luogo, molti provati dalla dura giornata a tu per tu con lo smottamento. Monia guarda la collina di rocce e terra che si è formata vicino a casa, e che sembra lì da sempre: «In realtà, fino a ieri, questo era un prato».

Andrea De Polo

 

MALTEMPO»le responsabilità

Pra’ dei Gai, il bacino “urgente” da 40 anni

Burocrazia, dossier, annunci. Così l’opera sul Livenza aspetta da decenni

Le guerre con il Friuli, il balletto delle cifre, i fondi parziali: una storia italiana

MOTTA DI LIVENZA «Dopo quasi quarant’anni è stata decisa la strada da percorrere, le proposte ci sono e i progetti sono concreti. Ora dobbiamo affrontare i grandi problemi idrogeologici, perché non ha più senso lavorare per l’ordinaria amministrazione». Così parlò, non Zarathustra, ma Antoni Rusconi, segretario generale dell’autorità di bacino Alto Adriatico. Anno del Signore 2004, a Motta di Livenza. In un convegno che annunciava per il 2005 il cantiere del bacino di laminazione di Pra’ dei Gai. Undici anni dopo. Undici anni dopo, siamo ancora lì. O quasi. L’assessore regionale all’ambiente Maurizio Conte annuncia in questi giorni – dopo la nuova alluvione, ma ora si susseguono ogni 2-3 anni, non più ogni decennio – che il project financing del progetto è approdato in commissione Via, a Venezia, che c’è una buona copertura finanziaria (22 milioni su 30). E che dunque siamo, o saremmo, in dirittura d’arrivo per vedere il grande bacino di laminazione. Passa il tempo, e quella splendida area naturalistica ai confini tra Veneto e Friuli è ancora lì. Miracolosamente intatta, in un Veneto divorato dalla febbre dei capannoni. E’ diventata un’oasi di paesaggio veneto incontaminato, al punto che l’Unione Europea ha voluto proteggerla con l’etichetta Sic, il livello di massima protezione ambientale. La sola certezza, adesso, è che il progetto del bacino al Pra’ avanza. A a fatica, ma avanza. Piano piano, lemme lemme. Un dossier di 43 anni fa. Niente, però, in confronto agli anni. Sono diventati oltre 50 dall’alluvione più tristemente nota; e ne sono trascorsi 43 dal fatidico dossier De Marchi, che nei primi anni ’70 fece luce sulle cause della disastrosa alluvione del 1966. Mezzo secolo. Era un mondo in bianco e nero, nel frattempo si è colorato e globalizzato. Già allora la relazione De Marchi individuava nei Pra’ dei Gai l’area cruciale per risolvere i probelmi idrogeologici del Livenza. Lo sfogo naturale in caso di piene. Mezzo secolo. Chi era ragazzo allora è diventato nonno, gran parte degli alluvionati non ci sono più. Una storia italiana. Mezzo secolo. Una storia italiana, che attraversa anche il secondo millennio, l’hi tech, il mondo 2.0. La battuta, se si vuole ridere, è facile: ne è passata di acqua…. al Pra’, invaso sistematicamente ogni volta che dal cielo cadeva acqua a catinelle per giorni e giorni. Ben più dei 26 milioni di metri cubi d’acqua che il bacino garantisce come cisterna naturale, e che adesso si vuole trasformare in bacino artificiale. Se non si vuole piangere, si dovrà ammettere che questa è una storia italiana. Più precisamente, tutta veneta e nordestina, visto che c’è di mezzo anche il Friuli. E dove Roma, la capitale, il palazzo, c’entrano per una volta ben poco. Ordinaria burocrazia. Un’ordinaria vicenda di burocrazia. Di Regione e Comuni, di Province e comunità. Se non ci fossero di mezzo l’assetto corretto di un bacino come quello del Livenza e la sicurezza di centinaia di migliaia di abitanti, in un territorio nel frattempo diventato anche grande distretto industriale del mobile. Storia di uno stillicidio: di comuni l’un contro l’altro armati, di timori di chi sta a valle contro chi sta a monte. Di ambientalisti e comitati, preoccupati di tutelare un’area con pochi eguali in tutto il Nordest. E di esperti, ingeneri e tecnici che paventano danni a flora e fauna, e allo stesso terreno, per il deposito di limi. Spulciare gli archivi è avvilente. Governatori e assessori, Galan e Zaia, Stival e Conte solo per fare qualche nome hanno annunciato puntualmente l’opera «a breve», hanno «reperito i fondi». Ma siamo ancora qui, alla commissione Via. Il balletto delle cifre. È imbarazzante. Nel 2003 si parlava di 35 milioni: poi diventati in poco tempo 42; adesso siami scesi a 30. Ma ancora a ottobre 2013, solo mesi fa, il governatore Zaia parlava di «25 milioni disponibili su 39 di costo». Attenzione: il piano delle opere pubbliche (luglio 2012), ne stanziava 55. E pochi mesi prima, l’allora assessore Daniele Stival diceva che ne sarebbero serviti solo 27, di cui 20 da fondi nazionali e altri 7 recuperati (con gran vanto) dalla giunta. Adesso siamo a 22 su 30, parola dell’assessore Conte, che in questi giorni ha dovuto fare il punto sugli 11 bacini di laminazione attesi dal Veneto sin dall’alluvione del 2010 e ancora praticamente incompiuti, eccezion fatta per quello di Caldogno. Il governatore si arrabbia: «Sono l’unico ad aver messo in moto i progetti, dopo decenni di stallo». Ma dopo 4 anni deve rifare i conti con l’alluvione, più o meno nelle stesse zone del 2010. E può essere l’attentuante questo clima impazzito che trasforma il Nordest in un’altra regione indiana? La fase chiave. Sullo stallo dei Gai, però, una fase chiave c’è. Fra 2006 e 2007 la Provincia di Pordenone e 5 comuni (Brugnera, Pasiano e Prata, poi Sacile e Pordenone) si oppongono fermamente al progetto. Braccio di ferro interminabile: vertici e veti incrociati, mediazioni, contesa portata sul tavolo dei governatori Galan e Tondo, Zaia e ancora Tondo. Invano: il campanile è più forte delle stesse affinità politiche. I fiumi sono qualcosa di pre-politico, memoria e cromosomi, materiale immateriale, questione ancestrale, identità che mettono in crisi persino la territoriale Lega. Il Veneto tira dritto. Alla fine il Veneto deciderà di tirare dritto. Ma solo nel 2012, dopo che un lustro è passato praticamente invano, a dispetto di chi si è speso per uno straccio di intesa. L’ex direttore del Genio Civile di Treviso, Adriano Camuffo, parlava da profeta nel 2008, andando in pensione: «Sono coinvolte due Regioni, con proprie leggi e regolamenti, si sovrappongono competenze a complicare le cose. Nonostante i protocolli d’intesa ad hoc, i tempi si allungano, sono imbarazzanti, non rispondono all’esigenza di rapidità». Doveva semplificare tutto il passaggio delle competenze dal Magistrato alle Acque alla Regione, ma non sono stati snelliti gli iter per l’approvazione delle opere. Sarà la volta buona? Attenzione alle elezioni: prima delle urne le promesse corrono, salvo poi rallentare dopo gli scrutini e rianimarsi ad ogni appuntamento alle urne. Il timore è che alla fine, comunque vada, anche il grande bacino potrebbe non essere il Totem che protegge da tutti i mali, ma solo un palliativo. Bello, ma non risolutivo. Ne è certo Luigi D’Alpaos, uno dei massimi esperti di idraulica d’Italia, che collaborò con De Marchi per il fatidico dossier post-alluvione. «Pra’ dei Gai è un progetto che assomiglia a una storiella», dice lapidario, «è come se un uomo che non ha da vestire si comprasse una farfallina per lo smoking. E’ un’opera complementare, se a monte non si fa nulla non servirà». E allora torniamo su in Friuli, nel comune di Raba, alla traversa di Colle e alla diga di Ravedis, agli argini friulani, a un accordo interregionale… Buon che nel frattemnpo, specie dopo l’alluvione del 2010, a valle del Pra’, Regione e comuni e Genio Civile, hanno rafforzato gli argini, potenziato le difese, migliorato i regimi della Livenzetta. Il clima si sarà anche tropicalizzato, ma stavolta Motta si è salvata, come parte di Meduna. Lungo il fiume e sull’acqua, intanto, ennesima conta dei danni. Perché tutto scorre, diceva il filosofo. L’acqua, che ha il difetto di allargare quando è troppa, ma anche le carte.

Andrea Passerini

 

I prigionieri delle falde «Troppe licenze edilizie»

Le duecento famiglie marenesi che sono ancora sott’acqua accusano il Comune

Per ogni casa l’emergenza costa mille euro a settimana e giorni di lavoro perso

MARENO – Perizie superficiali dei tecnici, difetti di costruzione e scarsa impermeabilizzazione degli edifici, facilità nel concedere i permessi e scarsa manutenzione dei fossati da parte del Comune: per le famiglie che da giovedì fanno i conti con l’acqua all’interno delle abitazioni, il problema dell’innalzamento delle falde sta tutto qui, tra incuria e lavori fatti senza le dovute precauzioni dove si sapeva cosa c’era poco sotto le fondamenta. E a far crescere la rabbia è il conto che i cittadini dovranno pagare solo per togliere l’acqua che ha invaso muri e pavimenti, senza parlare dei restauri. C’è chi in meno di una settimana ha già speso più di mille euro per liberare scantinati e garage allagati. C’è chi per farlo ha dovuto rimane a casa dal lavoro e chi spende circa 13 euro l’ora di gasolio per far funzionare il trattore. Qualche condominio è arrivato addirittura a pagare 2 mila euro al giorno i camion cisterna per portare via l’acqua che usciva persino dalle pareti. E così le vittime del maltempo puntano il dito contro i costruttori ma anche contro il Comune. «Abbiamo le risorgive in casa», racconta Silvia mentre guarda l’acqua della sua casa invadere entrambe le careggiate di via padre D’Aviano, «Sicuramente ci sono state delle superficialità da parte degli ingegneri che hanno fatto le perizie e del Comune che doveva verificare. Ora ci ritroviamo a pagare un mutuo per una casa in cui dovremmo spendere tra i 20 e i 30 mila euro per sistemarla». Solo per far andare la pompa e il gruppo elettrogeno la donna ha già speso 800 euro in meno di una settimana. «Sono dovuto rimanere a casa dal lavoro e ho dormito 8 ore in 4 giorni», racconta Roberto che ha già messo mano al portafogli per un totale di 900 euro. Per lui quello che è successo non è solo imputabile al maltempo: «Se l’ingegnere dice che l’acqua non c’è e poi ci esce anche dai muri, qualcosa di sbagliato c’è e qualcuno ne ha la responsabilità». In via Papa Luciani il conto per qualcuno è stato molto più che salato: «L’autobotte ci è costata circa 90 euro l’ora», racconta uno dei residenti. Qualcuno qui ha speso 2 mila euro in un giorno. La vicina via Calmessa è parzialmente chiusa al traffico per lasciar sfogare i tubi che giungono dai sotterranei: «Per me l’acqua arriva dall’Oasi Campagnola e finchè non si abbassa il livello lì noi continueremo ad avere l’acqua in casa». Sul piede di guerra anche l’ex assessore comunale di Mareno Antonio Tovenati: «Il sindaco deve chiedere lo stato di calamità naturale, a casa mia la pompa a gasolio che estrae l’acqua costa 10 euro l’ora ed è in funzione di giorno e di notte, 24 ore su 24», protesta Tovenati, «Stiamo organizzando un’unità di crisi tra i residenti». La zona del centro di Mareno in cui vive, nei dintorni di via Canova, via Sile, via Biffis, è una delle più colpite. Dal suo garage si estraggono 2 mila litri d’acqua l’ora. Il conto fatto da Tovenati fa impressione: 10 euro l’ora sono 240 euro al giorno e non si sa per quanto le pompe dovranno ancora dovranno rimanere in funzione. Per qualcuno il Comune non avrebbe solo la responsabilità di non aver verificato i permessi con un po’ più di scrupolosità ma anche quella di non aver pulito adeguatamente i fossati che ora a stento ricevono l’acqua versata dentro dalle pompe. «Sono 8 anni che vado in municipio a chiedere che puliscano il fossato ma non è stato fatto e ora si è creato un tappo», spiega Piergiovanni Biffis, residente in via Canova. Lui il problema dell’acqua in casa non ce l’ha ma teme che si presenti: «Ci scaricano l’acqua delle altre lottizzazioni», dice. «Ha sbagliato tutto il Comune a lasciar costruire qui», protesta Carlo Cattelan dall’altro lato della strada, «Sapevano quale era la situazione e invece hanno permesso di fare gli scantinati senza poi controllare bene». Qualunque sia la causa, alcune strade del paese si sono trasformate in rigagnoli d’acqua che raccontano l’odissea di 200 famiglie.

Renza Zanin

 

«Un’ondata che sale da sotto come l’ansia»

Pompe in funzione da una settimana, 24 ore su 24, condomini organizzati in turni di assistenza

MARENO DI PIAVE «Non ne possiamo più», è una mamma che tiene per mano il figlioletto a esprimere un sentimento comune a decine di famiglie. Quindici le vie solo a Mareno, almeno una trentina le abitazioni e palazzine, dove continuano gli allagamenti, per l’acqua di falda che non accenna a scendere. Da giorni, da quasi una settimana – sabato sono entrate in funzione le prime pompe – da garage, taverne, piani interrati vengono estratti milioni di litri d’acqua. Ininterrottamente, 24 ore su 24, sono in funzione circa 120 pompe, secondo una stima del nucleo locale di Protezione civile. Un mare sotterraneo, quando scenderà è impossibile prevederlo. «Almeno un mese» dice qualche esperto, ma una situazione simile così estesa non aveva precedenti ed è impossibile prevedere la durata. «L’ondata» da sottoterra era arrivata nella notte tra domenica e lunedì. C’è chi è stato svegliato nel cuore dal campanello di casa. «Deve essere successo qualcosa», è stato il pensiero che si è concretizzato in un’ansia quotidiana. I garage sono diventati un lago, fino a mezzo metro d’altezza. Gli allagamenti hanno preso di sprovvista decine di residenti, che non avevano mai visto un goccia in casa. «Una situazione mai vista» sostiene un anziano. Le pompe alimentate da generatori e trattori fanno solo scendere il livello, ma se spente tutto si riallaga in pochi minuti. Ogni gruppo di condomini ha cercato di organizzarsi e in paese si è creata una catena di solidarietà, con l’aiuto di amici, parenti e volontari. C’è chi ha fornito le pompe per poter sputare fuori l’acqua, i tubi per farla salire sui tombini in strada, gli agricoltori hanno messo a disposizione i loro trattori. Tra gli abitanti ci si organizza in turni, giorno e notte, per caricare di carburante pompe e gruppi elettrogeni, per osservare che l’acqua non fuoriesca dai pozzetti e vada nuovamente ad allagare locali e scantinati, per andare a rifornirsi di gasolio. Tutto a proprie spese. «Dove sono le istituzioni» si chiede un pensionato, che è andato ad aiutare i familiari sott’acqua da giorni. Ieri si è rivisto qualche raggio di sole, ma l’incubo è rappresentato dalle prossime precipitazioni. «Vogliamo solo tornare alla normalità» dice una giovane. Lei si è trasferita nel Trevigiano da pochi mesi, è originaria di Venezia. Lì sono abituati all’acqua alta. Ma la falda che si alza è peggio. Rischia di durare per settimane, in alcuni casi forse per mesi, come era accaduto in vicolo Sile a Mareno nel 2010. Mentre, sempre a Mareno, l’oasi di Campagnola è diventata meta di curiosi. «Dipende tutto da lì» è la voce che circola in paese. E si pensa alle soluzioni per evitare rischi in futuro. Ma per adesso si pensa all’emergenza, perchè dove la falda rimane alta, l’emergenza continua.

Diego Bortolotto

 

la denuncia

«Sciacalli tra le case, dopo i danni temiamo anche i furti»

Non bastano decine e decine di migliaia di danni alle abitazioni allagate dall’innalzamento delle falde a Mareno di Piave. Ora tra le famiglie colpite dal maltempo c’è l’incubo delle incursioni degli sciacalli all’interno dei garage, magari per rubare il gasolio che serve ad alimentare le pompe per estrare l’acqua. «Abbiamo visto stranieri aggirarsi tra le case questa mattina e temiamo di subire furti», hanno riferito ieri alcuni residenti del centro, «Qui ci sono continuamente curiosi che vengono a guardare come siamo presi. E’ vero che ci diamo il turno per sorvegliare le pompe ma temiamo che qualcuno possa approfittare della situazione». In un paese piccolo individuare volti mai visti prima o auto nuove non è certo difficile e la presenza degli stranieri ieri mattina non è passata inosservata. La paura è che alla solidarietà nell’emergenza, da parte di chi si è speso gratuitamente per aiutare gli altri, si accompagni il rovescio della medaglia da parte di malintenzionati senza scrupoli, pronti ad approfittare del disagio che le famiglie vivono ormai da una settimana. Potrebbe essere un pregiudizio, ma questo sentimento va anche capito: il paese vive un’emergenza mai provata prima che dura da più di una settimana, e il timore di perdere tutto in una sola volta è troppo grande.

(r.z.)

 

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