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Aperto un fascicolo per danno erariale, nel mirino le sovrafatturazioni per i fondi neri

I giudici contabili partiranno dalle somme distratte, sulla base delle cifre della Procura

Si procederà nei confronti del Cvn Il contenzioso verso i politici potrà iniziare solo dopo la condanna

VENEZIA Lo Stato proverà a riprendersi una parte del denaro pubblico rubato nello scandalo Mose. La Corte dei Conti ha aperto un fascicolo per danno erariale, oggetto: le sovrafatturazioni con le quali il Consorzio Venezia Nuova (concessionario unico dello Stato per le opere di salvaguardia) ha realizzato un fondo nero grazie alle false fatture emesse da imprese compiacenti. Servissero a pagare tangenti oa evadere l’Iva, la Corte non se ne cura: quel che interessa ai giudici contabili è che si tratta in ogni caso di false spese messe ovviamente in conto allo Stato, per lavori mai effettuati. Per ora non ci sono indagati, ma il sistema era coordinato dal Consorzio Venezia Nuova, come ha ammesso nei suoi interrogatori l’ex presidente Giovanni Mazzacurati. La Corte potrà partire dai 23 milioni di euro accertati dalla Procura. Erano pignoli al Consorzio, anche nel contabilizzare il «nero». Così i finanzieri, nella perquisizione del luglio 2013, trovano un file «Fatturato Cimpr30r » che – scrive il giudice Scaramuzza nella sua ordinanza – «dimostra in modo in equivoco la totalità dei compensi corrisposti al Cvnper le prestazioni asseritamente rese (ma in realtà fittizie) dal 2005 al 2011 alle singole società »: 23 milioni e 47 mila euro, a Condotte, Coveco (che teneva i contatti con le imprese minori), Coop San Martino,Mantovani, Cidonio. «Retrocessioni» che alimentavano il fondo nero e che – ha testimoniato Piergiorgio Baita – sono cessate nel 2011, in seguito alla prima visita della Finanza. Baita ne ha spiegato anche il meccanismo per primo: «Le ditte fatturavano lavori mai effettuati, il Cvn pagava, le imprese “retrocedevano” il 60% e poi vi era la destinazione delle somme retrocesse al destinatario finale (politici, amministratori, partiti)». «Ho chiesto alla Guardia di finanza un prospetto su questo punto specifico», spiega il procuratore Carmine Scarano (nella foto), «perché la sovrafatturazione già pagata dallo Stato per opere mai eseguite è un danno erariale accertato, qualsiasi sia stata la destinazione di quei fondi. Per un eventuale danno d’immagine provocato da politici e amministratori, rappresentanti delle istituzioni, potremo intervenire solo dopo le condanne definitive. Il finanziamento illecito non è, invece, un campo di nostra competenza: per legge». Fal fondo nero – secondo l’accusa- il Cvn attingeva per pagare le tangenti contestate all’ex presidente e ex ministro Galan (come lo «stipendio» da 1 milione l’anno), i 200-250 mila euro l’anno contestati all’ex assessore regionale Renato Chisso, i 400 mila per l’ex magistrato alle Acque Cuccioletta o gli altrettanti contestati alla collega Maria Giovanna Piva o i 300 mila l’anno attribuiti (sempre secondo la Procura) al magistrato della stessa Corte dei Conti (Servizio centrale di controllo) Vittorio Giuseppone. E via accusando. In questi anni, sul tavolo del procuratore Scarano sono arrivate numerosi esposti del Wwf, Italia nostra, comitati, anonimi aventi per oggetto il Mose: ma – spiega – «Si trattava di segnalazioni per reati ambientali: anche la competenza su questo genere di reati ci è stata tolta per legge molti anni fa, riservandola alla giustizia penale ». Per il momento, dunque, il fascicolo – affidato al procuratore Giancarlo Di Maio – ha sul “banco degli indagati” il Cvn e potrà allargarsi ai politici accusati di corruzione solo dopo la condanna. Il sindaco Orsoni – semmai si acclarasse che ha ricevuto finanziamenti illeciti – resterà comunque fuori. «Tuttavia», conclude il procuratore Scarano, «la corruzione è un problema etico generale in italia, di sensibilità comune, si deve ripartire dalle scuole: perché per quante leggi cambi, se non cambi gli italiani, non si sconfiggerà».

Roberta De Rossi

 

DATI E CIFRE

23 milioni di euro di tangenti pagate al sistema politico e ai funzionari secondo la Procura di Venezia

24 gli arrestati tra cui il sindaco di Venezia, l’ex governatore Galan e l’ex assessore regionale Renato Chisso

40 milioni di euro il patrimonio sequestrato agli indagati

 

Commissione d’indagine del Consiglio di Stato

«Il Presidente del Consiglio di Stato, Giorgio Giovannini, in relazione alla notizia di presunte illiceità avvenute presso il Consiglio di Stato relativamente ad alcuni procedimenti giurisdizionali», in particolare l’inchiesta Mose, «ha nominato una Commissione di indagine amministrativa, al fine di verificare l’esistenza di eventuali elementi di criticità», così recita una nota . La questione che Giovannini vuole approfondire riguarda alcune notizie , in base alle quali, sarebbero state «comprate» delle sentenze. Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Giancarlo Galan, e Piergiorgio Baita, primo socio del Cvn, hanno dichiarato che una sentenza costava tra gli 80 mila e i 120 mila euro e nei loro interrogatori spunterebbe tra gli altri anche il nome del presidente del Tar del Veneto, Bruno Amoroso. La Commissione nominata da Giovannini è presieduta da Riccardo Virgilio ed è composta da Giuseppe Severini e da Oberdan Forlenza.

 

Sempre le stesse imprese in tutti i project del Veneto

Dal Passante agli ospedali ci sono Mantovani, Fincosit, Astaldi e Maltauro

Alle cooperative rosse destinato sempre un terzo del valore dell’opera

VENEZIA Una carta stradale del Veneto dai colori rosso, verde, arancio, viola e azzurro. Sta tutto in questa mappa, che Renato Chisso porta sempre con sè, il sistema dei project del Veneto. Dal sistema delle tangenziali venete (Si.Ta.Ve) che comprendeva il traforo delle Torricelle a Verona, l’adeguamento della tangenziale di Vicenza al completamento del Grande Raccordo di Padova alla Nuova Romea Commerciale; dalla Nogara Mare alla Strada regionale 10 Padana inferiore fino alla Nuova Valsugana e all’Intervalliva del Comelico. Poi, naturalmente, gli ospedali: la cui pagina giudiziaria è ancora tutta la scrivere. Non solo Mose, nelle carte della clamorosa inchiesta che sta decapitando il Veneto della politica. Ma anche ospedali, strade, porti e tangenziali. La parolina magica era «project financing », i progetti di finanza che tanta parte hanno avuto – nel bene e nel male – nel Veneto degli ultimi quindici anni. Il pubblico non ha i soldi? Li mette il privato. In realtà, in cambio di generose concessioni pluriennali dal rendimento a doppia cifra. Nelle carte dell’inchiesta veneziana i protagonisti sono l’ex governatore Giancarlo Galan, presidente del Veneto dal 1995 al 2010; l’ex assessore regionale Renato Chisso, a fianco di Galan tra il 2000 e il 2000; il manager Piergiorgio Baita, fino al 2013 presidente ed amministratore delegato della Impresa Mantovani, l’inventore della via veneta al project; l’ex segretaria di Galan Claudia Minutillo e presidente di Adria Infrastrutture, sodale di Chisso in molte occasioni. Al centro del sistema, certamente, la Impresa Mantovani e la sua Adria Infrastrutture: Piergiorgio Baita, l’inventore dei project, e Claudia Minutillo, presidente della controllata. Ma nel patto era prevista sempre la presenza delle cooperative rosse: un terzo dell’affare era loro assicurato. L’ostacolo era rappresentato dai tempi biblici di approvazione dei progetti. Nonostante una legge regionale, la numero 15 del 2002 (approvata in pieno agosto) agevolasse le procedure, gli imprenditori erano preoccupati della lentezza dell’apparato politico e burocratico. Per questo avevano deciso, sin dalla fine degli Anni Novanta, di mettere «a libro paga» politici e funzionari. Secondo la ricostruzione della Procura di Venezia, fino a quando c’era Galan in Regione le procedure erano regolari e, con il mastino Renato Chisso, procedevano senza intoppi. Con l’arrivo di Luca Zaia in Regione i tempi si sono allungati e Chisso non riusciva più a garantire le procedure secondo i tempi. Per questo si è reso necessario «fidelizzare» dei funzionari regionali con competenze precise: Giovanni Artico e Giuseppe Fasiol, arrestati con il blitz del 4 giugno scorso. L’uno sulle opere a mare, l’altro sulle infrastrutture stradali avevano raccolto l’eredità di Silvano Vernizzi, il «padre del Passante». Il più classico dei project è stato il Passante di Mestre, un investimento di 1,265 miliardi di euro in cambio della gestione fino al 2032. Lo realizza un cartello di imprese che va da Impregilo a Fincosit, da Fip industriale a Cooperativa muratori e cementisti, da Mantovani a Consorzio cooperative costruttori, Consorzio Veneto Cooperative, Serenissima costruzioni. Così l’ospedale di Mestre: 258 milioni di euro per una concessione di 29 anni Veneta Sanitaria Finanza di Progetto spa (Astaldi 31%, Mantovani 20%, Aerimpianti 14%, Gemmo 14%, Cofatech 7%, APS 7%, Mattioli5%, Studio Altieri 2%). Ma i project servono anche per il nuovo terminal traghetti di Fusina realizzato dalla Venice Ro-Port Mos (Mantovani, Tetis, Nuova Fusina ingegneria, Adria infrastrutture) per un valore di 230 milioni e 40 anni di concessione. Per la Nogara mare project da 1,9 milardi (cordata di Autostrada Bs Pd, Società delle Autostrade Serenissima Spa, Astaldi Concessioni Srl, Astaldi Spa, Mantovani Spa, Itinera Spa, Technital Spa e S.I.N.A. Spa.). Per la Padana inferiore coinvolti Maltauro, Nuova Co.ed. mar. di Chioggia e Vittadello di Limena, che avranno la gestione per 38 anni. Le autostrade del mare, affidata a Adria Infrastrutture in un project da 210 milioni.

Daniele Ferrazza

 

Galan presto dai pm, legali in Procura. Ma l’accusa è «tangenti per 10 milioni»

VENEZIA. Si dice pronto a rilasciare dichiarazioni spontanee davanti ai giudici Giancarlo Galan, e ha mosso i suoi legali. L’appuntamento forse giovedì. Da parlamentare, è deputato di Forza Italia, la legge non prevede che possa essere interrogato dalla Procura veneziana sull’inchiesta Mose. C’è una richiesta di arresto per corruzione per una decina di milioni «non chiari», ricevuti da Giovanni Mazzacurati e soci che andrà all’esame mercoledì della Commissione parlamentare per le autorizzazioni. Ma oggi i suoi difensori, gli avvocati Niccolò Ghedini e Antonio Franchini, sono stati ricevuti dal Procuratore Luigi Delpino.A lui hanno chiesto la possibilità che la Procura di fatto lo ascolti «in silenzio». L’incontro tra i legali e Delpino è stato blindato, tanto che le porte della Procura sono state chiuse e il passaggio era possibile solo con il pass. Secondo la Procura, tesi accolta dal Gip Alberto Scaramuzza, il Consorzio Venezia Nuova guidato dal «gran burattinaio» (Mazzacurati) a Galan «corrispondeva denaro allo scopo di influire sulle decisioni inerenti il rilascio dei nulla osta da parte delle Competenti commissioni regionali Via e Salvaguardia» nonchè per «accelerare gli iter di approvazione degli atti di competenza regionale necessari all’esecuzioni dell’opera Mose». In una decina d’anni Galan, si legge negli atti, ha ricevuto «uno stipendio annuo di un milione di euro», inoltre 900mila euro «nel periodo tra il 2007 e il 2008» per il via libera in Salvaguardia, e ulteriori 900mila euro «nel periodo tra il 2006e il 2007» per il parere favorevole della commissione Via del 4novembre 2002 e del 28 gennaio 2005. Galan, secondo l’accusa, si avvaleva di un prestanome, il commercialista Paolo Venuti, anch’egli indagato. Il «Doge» si sarebbe fatto anche ristrutturare, tra il 2007 e il 2008, il corpo centrale della sua villa a Cinto Euganeo e, nel 2011, della barchessa dell’abitazione per un milione. I Pm nella loro relazione al Gip per l’applicazione delle misure cautelari hanno fatto i «conti in tasca» a Galan sottolineando che la famiglia dell’ex governatore (lui e la moglie) nel periodo 2000-2011 ha avuto entrate per quasi 1,5 milioni di euro con uscite per oltre 2,5 milioni, «manifestando una sproporzione di euro 1.281.552,64». Oltre a numerose partecipazioni societari e al mistero della scia di gas verso l’Indonesia, beni di Galan e della moglie sono poi custoditi in cassette di sicurezza della Banca Popolare di Vicenza. Per spiegare il ruolo di gestore del patrimonio Galan da parte di Venuti, i pm indicano una intercettazione ambientale eseguita a bordo dell’auto dello stesso Venuti. In un passo dice «resta il fatto che montagne di banconote sono sparite», e in un altro rileva: «Giancarlo è molto spaventato, quindi stavo tirando giù dati delle dichiarazioni vecchie che noi abbiamo fatto…».

 

Cercarono di rubare le prove ai pm

Colombelli aveva registrato i colloqui, Baita: «Masei scemo?». Finanzieri e magistrati in gommone per evitare le spie

VENEZIA Con i retroscena dell’inchiesta Mose si potrebbe scrivere un romanzo di quelli che spingono a divorare un capoverso dietro l’altro, per vedere cosa succede. Si è già capito che la realtà supera la fantasia, in un mondo capovolto, in cui le guardie fanno anche la parte dei ladri. Non tutte per fortuna, ma quanto basta per costringere gli inquirenti a darsi alla macchia per difendersi dalle incursioni degli indagati. I magistrati del pool veneziano che concordano con i colleghi competenti per territorio la rogatoria per William Ambrogio Colombelli, residente a San Marino e titolare della Bmc Broker (la “cartiera” che fabbricava fatture false per la Mantovani), vanno a discutere i particolari in un motoscafo della Guarda di Finanza in giro per la laguna. Non c’era altro modo per sfuggire alla pressione che li circondava: tutti scatenati per cercare di capire cosa stava combinava la procura di Venezia. Il giro di boa era appena avvenuto. La sera del 14 maggio 2012 i finanzieri ascoltano Piergiorgio Baita parlare con Colombelli. È l’intercettazione chiave: Colombelli sta dicendo a Baita di aver registrato tutte le loro conversazioni. Dalla parte dell’interlocutore si sente un silenzio di venti secondi, poi Baita fa: «Ma sei scemo? Non diciamo niente al telefono e tu registri tutto?». Viene decisa immediatamente la perquisizione. Colombelli ha registrato tutto sul cellulare, ma ha utilizzato Whats-App e(su consiglio della figlia, pensa un po’) e per entrare nel programma ci vuole un perito molto attrezzato. Non solo, dev’essere di totale fiducia, perché la posta in palio è decisiva. I finanzieri vanno a cercarlo fuori regione, tra un ex militare del genio guastatori. Ma gli inquisiti, consci dell’importanza delle registrazioni, passano al contrattacco. Qualcuno (uomini dei servizi?) tenta l’irruzione notturna per far sparire le prove. Ma una microspia mette in allarme i finanzieri, di volataunodi loro chiede aiuto a un amico commissariato di polizia. Arriva sul posto una volante, poi i carabinieri e guardie giurate. L’irruzione fallisce. Ai telefoni intercettati dalla Guardia di Finanza, le voci dicono: «Qui dev’esserci stata una rapina, ci sono carabinieri e polizia dappertutto. Dobbiamo rinviare ». C’è il tempo per i nostri – dite se non sembra un film – per duplicare il materiale e metterlo in posti più sicuri. Colombelli era un appassionato d’armi, quando lo arrestano in casa gli trovano una santabarbara. I carabinieri di Olginate gliele ritirano tutte: era armato fino ai denti. E non era uno sprovveduto: mettergli una cimice nell’auto era sempre un problema, perché anche quando la parcheggiava non la perdeva mai di vista e ogni due per tre faceva fare una bonifica. Per comunicare con sicurezza arrivava da Lecco in auto, sempre di grossa cilindrata, il tempo di prendere un caffè con l’interlocutore e ripartire. Un uomo dalla vita dispendiosa, capace di bruciare anche centomila euro in una sera: donne, alberghi, lusso eccessivo, tutto sopra le righe. Sarebbe stato addirittura lui a far incontrare per la prima volta Ghedini con Berlusconi. L’inchiesta ha avuto anche veri colpi di fortuna. La consegna della mazzetta filmata in una pizzeria di Marghera da parte dell’imprenditore veneziano Nicola Falconi a Pio Savioli, è da fotofinish ma nasce dal caso. La procura aveva uomini appostati per un altro servizio, quando si presenta uno degli indagati con la valigetta. Avvisata, questa dà l’ordine: «Filmate tutto»

Renzo Mazzaro

 

in ballo una mazzetta da 500 mila euro. «milanese? l’ho conosciuto solo dopo»

Mazzacurati: «Incontrai Tremonti al ministero»

VENEZIA – L’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti incontrò personalmente, al ministero in via XX Settembre a Roma, il presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, considerato dalla procura di Venezia il dominus delle tangenti in Laguna: un incontro al quale non partecipò Marco Milanese, che Mazzacurati vide solo «dopo che il colloquio con Tremonti era andato bene dal punto di vista formale». A parlare dell’incontro è lo stesso presidente del Cvn, in diversi interrogatori che i magistrati riportano nella richiesta d’arresto e dimostra, secondo l’accusa, quando dentro al potere fosse riuscito ad arrivare il sistema messo in piedi per corrompere politici e funzionari pubblici. L’ex ministro non è indagato, mentre nei confronti di Milanese i magistrati hanno revocato la richiesta d’arresto una ventina di giorni prima che scattasse il blitz in Laguna. Una mossa che non esclude ulteriori sviluppi. Nel memoriale del 25 luglio dell’anno scorso, Mazzacurati spiega che la sua preoccupazione era quella di capire con Roma le tempistiche dei finanziamenti per il Mose e che di questo parlò più volte a Roberto Meneguzzo, Ad di Palladio Finanziaria. Quest’ultimo assicurò di poterlo mettere in contatto con «i vertici del ministero dell’Economia »: e infatti, racconta Mazzacurati, «da qui insorgeva un contatto con il ministro Tremonti che forniva ampie assicurazioni in ordine alla circostanza che il sistema Mose costituiva un’opera infrastrutturale strategica e di importanza prioritaria per il governo». Meneguzzo, sempre stando alle parole di Mazzacurati, lo mise poi in contatto con Milanese il quale «rappresentava che avrebbe assicurato che i finanziamenti di volta in volta richiesti sarebbero stati concessi con positivo parere del ministero dell’Economia solo se gli fosse stata assicurata la disponibilità di una somma di 500mila euro».

 

Destra & sinistra: il colore dei soldi

Le prove del sistema spartitorio e trasversale che alimentava Forza Italia e Pd

I politici nel libro paga e quelli «amici» Corruzione e fondi neri ma anche finanziamenti elettorali leciti e registrati

Valdegamberi accusa: i vertici romani dei partiti coinvolti sapevano tutto si scusino e si dimettano

VENEZIA Anticipando, a modo loro, la politica di larghe intese, i predatori del Mose hanno dispensato fiumi di denaro a destra e a sinistra. Attingendo a piene dal tesoro sporco (25 milioni di euro in fondi neri, secondo il generale Bruno Buratti della Guardia di Finanza) racimolato attraverso le triangolazioni con società estere in Svizzera e a San Marino. Nell’ordinanza del giudice Alberto Scaramuzza e negli atti istruttori, figurano esponenti politici di diverso colore: alcuni sono imputati di corruzione per aver intascato tangenti; altri devono rispondere di finanziamenti illeciti; altri ancora sono citati in veste di beneficiari di contributi elettorali del Consorzio Venezia Nuova regolarmente denunciati al fisco, e perciò non figurano tra gli indagati. Tutti negano di aver commesso atti illeciti. Le accuse più gravi riguardano l’ex ministro e governatore Giancarlo Galan di Forza Italia e i suoi amici di partito Lia Sartori (eurodeputata uscente) e Renato Chisso, già assessore veneto a Infrastrutture e mobilità; di provenienza forzista è anche Marco Mario Milanese, già parlamentare e consigliere di Giulio Tremonti. Sul versante di sinistra troviamo invece il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, il consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese (migrato nel gruppo misto di palazzo Ferro-Fini) e il manager democrat Lino Brentan ex presidente dell’A4. Vi sono poi figure estranee all’inchiesta penale, che compaiono negli atti perché l’inesauribile bancomat della Mantovani e delle imprese amiche ha contribuito a finanziare le loro campagne tra il 2009 e il 2013: sono i parlamentari veneziani del Pd Davide Zoggia, Delia Murer e Andrea Martella, nonché il capogruppo all’assemblea regionale Lucio Tiozzo, lesti a precisare di averle puntualmente registrate nel rendiconto delle spese elettorali. Circostanza che non li ha esentati dalle critiche del M5S, convinto che ricevere denaro da un soggetto potente e chiacchierato costituisca un gesto censurabile sul piano dell’etica politica. A volte, poi, l’ecumenismo della cupola veneziana sfiorava il paradosso, con Pio Savioli, dirigente «rosso» del Consorzio, che sollecita, con successo, alla cooperativa San Martino di Chioggia una «donazione» di 150 mila euro destinata ai “rivali” del Pdl. Un passo indietro. Nel luglio di un anno fa, all’indomani degli arresti di Piergiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati, il neopresidente del Consorzio Venezia Nuova, Mauro Fabris, accolse l’invito del governatore Luca Zaia («Renda noti i destinatari dei contributi a garanzia della trasparenza ») diffondendo un elenco (relativo all’arco temporale 2000-2008) con le seguenti elargizioni: 3098 euro al Comitato elettorale Democratici di sinistra; 10 mila al Comitato elettorale Forza Italia; 20 mila euro al Comitato elettorale Altero Matteoli, all’epoca esponente di Alleanza nazionale e poi al timone di un ministro importante per il Mose, quello dei Lavori pubblici; 20 mila euro un altro esponente toscano di An, Vincenzo Minici; infine, 5 mila euro al Comitato elettorale Radicali Italiani. Totale? 58 mila e 98 euro, regolarmente contabilizzati a bilancio. Pochi spiccioli, francamente ridicoli a fronte del vortice milionario di mazzette erogato dalla cupola. Ad agevolare tanta disponibilità di risorse – sostengono gli investigatori – è stato il regime di concessionario unico ministeriale accordato al CVN, esentato perciò dall’obbligo di bandire le gare d’appalto. Circostanza abbinata all’evidente carenza di controlli amministrativi. Decisioni governative, negligenze istituzionali: è il nuovo fronte di un’inchiesta senza precedenti, il cui esito è al momento imprevedibile. A profetizzarlo, in qualche modo, ci prova Stefano Valdegamberi, consigliere di Futuro Popolare in Regione: «Tutti i partiti nazionali sapevano della corruzione in atto, in quanto tutti ricevevano soldi per pagare le campagne elettorali. Vedere certi leader romani che si atteggiano ad anime candide fa davvero specie visto che hanno approvato una legge specifica per il Mose che sembra fatta apposta per creare fondi neri. I vertici dei partiti coinvolti da questo scandalo si dimettano chiedendo scusa agli italiani, perché finora li hanno presi in giro».

Filippo Tosatto

 

Nei verbali di Baita spuntano Lunardi e Gianni Letta

VENEZIA Di Gianni Letta, che in Procura precisano non è indagato, ma che nei prossimi giorni chiameranno a rispondere ad alcune domande come persona informata sui fatti, parla a lungo Piegiorgio Baita. Ecco alcuni stralci degli interrogatori . «Sì, il riferimento politico del Consorzio è sempre stato Gianni Letta, che ha fatto una sorta di direttore del traffico, dava a Mazzacurati le indicazioni da chi andare. Il rapporto con Gianni Letta l’ha sempre curato con grande gelosia Mazzacurati assieme all’ing. Mazzi. DOMANDA– Sono mai state versate somme di denaro direttamente a Gianni Letta? RISPOSTA– Dunque, io non ho conoscenza di versamenti di somme di denaro, ma in ambito consortile è sempre circolata la voce tra soci che l’incarico di progettista unico a Technital, società del Gruppo Mazzi, ha un importo che non solo non è inferiore alla tariffa professionale, ma in gran parte chiede ulteriori esborsi da parte dei soci, quindi un incarico assolutamente fuori mercato, servisse a questo scopo. DOMANDA– Sì, un conto è che lei l’abbia pensato, un conto è che glielo abbiano detto. Lei non ha mai messo alle strette Mazzacurati dicendo: “Ma perché ci dobbiamo continuare a rivolgerci a Technital a queste tariffe che sono fuori mercato”? RISPOSTA– Ho detto spesso. E proprio la reticenza di Mazzacurati mi hanno consigliato di non insistere. Tenga presente il rapporto che ho con Mazzacurati. ..Poi devo dire che dal dottor Letta abbiamo avuto altre richieste, ma non di versamenti diretti di soldi. DOMANDA– Richieste di che tipo? RISPOSTA– Abbiamo avuto due richieste che ricordo, perché è stato chiesto a me di farvi fronte: la prima modesta, di dare un subappalto a una certa impresa di Roma, piccola, un certo Cerasi, Cerami, che gli abbiamo dato a Treporti in perdita per noi. E, il secondo, la richiesta di farci carico dell’esborso.. mi pare fosse 500 mila euro, che era la somma che la Corte dei Conti aveva chiesto all’ex Ministro Lunardi per una questione riguardante l’Anas. Credo che il Ministro Lunardi avesse avuto una condanna dalla Corte dei Conti. Praticamente noi abbiamo dato a Lunardi 500 mila euro.

Giorgio Cecchetti

 

Fondi neri anche per salvare il Marcianum

Mazzacurati agli imprenditori chiedeva quote per «entrare in paradiso»: imbarazzo al Patriarcato

‘‘Per ora nessuna contestazione penale,mala Procura presto potrebbe passare all’azione

VENEZIA L’attuale patriarca Francesco Moraglia, lo scorso dicembre, si era affrettato a nominare il nuovo presidente dello Studium Generale Marcianum: le dimissioni di Giovanni Mazzacurati, a lungo alla presidenza dell’istituto, erano d’obbligo dopo l’arresto e al suo posto è arrivato dalla Fiat il top manager Gabriele Galateri. A volere fortemente l’ingegnere Mazzacurati su qu ella poltrona era stato l’attuale arcivescovo di Milano Angelo Scola, all’epoca primate della diocesi di Venezia. Grazie all’inchiesta della Procura adesso è chiaro il ruolo svolto dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova: è grazie alla sua insistenza con le numerose imprese associate al colosso imprenditoriale che dirigeva che il Marcianum è sopravvissuto. Negli anni, infatti, nelle casse dello Studium sono entrati alcuni milioni di euro previa telefonate di Mazzacurati, in parte intercettate: l’anziano ingegnere chiamava questo e quell’industriale e spiegava loro che era necessario versare una quota «per entrare in paradiso». Certo è che se questi ultimi si sono conquistati il paradiso nel futuro, per il presente, almeno stando agli accertamenti della Guardia di Finanza, si sono complicati la vita. Quei versamenti, come del resto i soldi per le mazzette a politici e tecnici pubblici, arrivavano dai fondi neri che le varie imprese costituivano tramite false fatturazioni o sovrafatturazioni. Insomma, anche la beneficenza veniva elargita compiendo un reato. Per ora, nessuna contestazione è stata mossa ma non è escluso che nelle prossime settimane la Procura assuma qualche iniziativa. Comprensibile l’imbarazzo in Patriarcato, che proprio ieri, replicando ad un articolo pubblicato dal «Fatto Quotidiano », ha diramato la nota che segue: «In riferimento all’ intervista rilasciata dal Presidente del Consorzio Venezia Nuova Mauro Fabris si precisa che nelle due occasioni d’incontro avute sinora dal Patriarca di Venezia con il Presidente del Consorzio, il 5 novembre e il 14 dicembre scorsi, monsignor Francesco Moraglia ha ascoltato sempre con attenzione la situazione che gli veniva rappresentata, non ha mai espresso alcun tipo di “arrabbiatura” circa eventuali tagli di contributi da destinare alla Fondazione Generale Marcianum o altre realtà ecclesiali, né ha mai incaricato nessuno di manifestare al Presidente o ad altri alcun suo disappunto in merito ». In serata, il Patriarca ha invitato la città e la Chiesa ad un«esame di coscienza».

 

la proposta «Date la villa dell’ex governatore ai senzatetto»

Affondo choc di Boldrin al premio Pavesi. Rossi: «Bisogna cambiare in nome dei giovani»

CAMPOLONGO «È ora di cambiare, le giovani generazioni siano educate al rispetto delle regole, al rifiuto della raccomandazione anticamera della cultura della tangente. Mai come in questo momento c’è bisogno della cultura della legalità per battere il malaffare e la corruzione che colpiscono il nostro territorio». È intervenuto in questo modo Vittorio Rossi presidente della Corte D’Appello di Venezia presenziando l’altra sera a Campolongo Maggiore alle premiazioni del Premio letterario nazionale «Cristina Pavesi» dedicato alla studentessa trevigiana, vittima innocente della Mala del Brenta. E sempre da Campolongo arriva da Oriana Boldrin ideatrice ed organizzatrice del premio, e docente a Padova, una proposta choc: «Confischiamo tutti i beni ai corrotti» dice la Boldrin «come si fa con i beni dei mafiosi che qui a Campolongo sono gestiti dal Comune ( il riferimento è alla villa dell’ex boss Felice Maniero affidata all’associazione Affari Puliti ndr). Se Galan fosse condannato la sua villa deve diventare ricovero per i senzatetto, come esempio alle generazioni future. Questi corrotti , hanno rubato soprattutto dalle tasche degli operai e dei pensionati, dei giovani disoccupati. Che provassero a vivere con 1000 euro al mese». La Boldrin chiede interventi urgenti: «Si facciano leggi in tempi rapidissimi, che evitino a questi personaggi se condannati, di occuparsi della cosa pubblica. Non vorremmo che questi personaggi ce li ritroviamo di nuovo tra 20 anni ad essere riarrestati per gli stessi reati come purtroppo è successo con il caso Expo a Milano».

Alessandro Abbadir

 

Orsoni dal pm gioca la sua carta

Interrogato da Ancilotto. I suoi avvocati chiedono la scarcerazione

Il sindaco Giorgio Orsoni interrogato ieri dal pm Ancilotto. Ha parlato per tre ore, durante le quali ha giocato la sua carta per uscire dall’inchiesta Mose. Gli avvocati chiederanno ora la sua scarcerazione.

Orsoni in Procura per tornare libero

Ieri mattina il sindaco sentito per tre ore dal pm Ancilotto. Cuccioletta ammette di aver ricevuto dei soldi come «regalo»

L’ex presidente del Magistrato alle Acque non ha respinto le accuse di corruzione, ma davanti al giudice ha spiegato che per lui il denaro avuto da Mazzacurati era un regalo Per l’alto dirigente pubblico un «dono» anche i 500 mila euro che il presidente del Consorzio Venezia Nuova gli aveva fatto arrivare in un conto di una banca svizzera intestato alla moglie

VENEZIA Il primo a presentarsi negli uffici della Procura nell’ambito dell’inchiesta sul Mose è stato il sindaco di Venezia. Ieri mattina, Giorgio Orsoni è arrivato alla Cittadella della Giustizia di Piazzale Roma alle 9 ed è stato sentito per tre ore, presumibilmente dal pubblico ministero Stefano Ancilotto: ha giocato la sua carta, quella per uscire da questa inchiesta che lo ha accomunato, lui che deve rispondere di finanziamento illecito alla sua campagna elettorale del 2010, a chi addirittura percepiva un vero e proprio stipendio annuo per favorire i progetti del Consorzio Venezia Nuova, per omettere i controlli e si trova coinvolto per corruzione o concussione. Ha giocato l’asso al quale hanno fatto riferimento i difensori del sindaco, gli avvocati Daniele Grasso e Mariagrazia Romeo, al termine dell’interrogatorio di garanzia davanti al giudice che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare. Nessuna indiscrezione sul contenuto dell’interrogatorio, ma non è escluso che nelle prossime ore gli avvocati del sindaco chiedano la sua scarcerazione (è agli arresti domiciliari) proprio sulla base dell’interrogatorio di ieri. Orsoni deve rispondere di aver utilizzato per la sua campagna elettorale 110 mila euro, che il suo mandatario elettorale (il commercialista Valentino Bonechi) ha regolarmente registrato, ma che provenivano da fondi che le imprese del Consorzio Venezia Nuova avevano messo assieme grazie ad operazioni di false fatturazioni. Inoltre, avrebbe ricevuto più di 400 mila euro dalle mani di Giovanni Mazzacurati, che ha raccontato di averli consegnati in quattro occasioni diverse. Anche a loro, come agli altri difensori, se la risposta del magistrato sarà negativa, non resterà che affidarsi al Tribunale del riesame, puntando tra l’altro sul fatto che il reato contestato è molto meno grave di quelli di cui sono accusati gli altri indagati. Anche Patrizio Cuccioletta, l’ex presidente del Magistrato alle acque, ha risposto alle domande del giudice di Roma, che lo ha interrogato grazie alla delega del collega di Venezia alla presenza del suo difensore, l’avvocato romano Ciro Pellegrino. È l’unico che non ha respinto sdegnosamente le accuse di essere un corrotto, ha ammesso di aver ricevuto favori da questo o da quel manager, ma incredibilmente ha spiegato che si trattava o, almeno così lui li ha presi, di regali. Anche i 500 mila euro che Mazzacurati gli aveva fatto arrivare in un conto corrente di una banca svizzera, conto intestato alla moglie. E, stando alle accuse, a fornire i dati del conto ai vertici del Consorzio Venezia nuova ci aveva pensato Maria Teresa Brotto, vice direttore tecnico, e Federico Sutto responsabile della segreteria e a loro volta arrestati per aver pagato tangenti ad amministratori e tecnici pubblici. Cuccioletta, tra l’altro, deve rispondere anche di aver intascato un vero e proprio stipendio annualeda 400 mila euro.

Giorgio Cecchetti

 

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