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IL TRIBUNALE DEL RIESAME

«Su conti esteri le mazzette di Chisso, così fanno tutti»

VENEZIA «Irrilevanti». Così il Tribunale del Riesame bolla le analisi patrimoniali presentate dall’avvocato Forza per dimostrare che l’ex assessore Renato Chisso non poteva aver incassato mazzette milionarie dal Consorzio Venezia Nuova, non avendo beni, vivendo nella vecchia casa del padre, guidando sempre la stessa vecchia auto, mentre ad esempio la sua accusatrice Claudia Minutillo si era comprata una villa da 17 stanze. Per il Riesame «l’assessore Chisso si era messo a completa disposizione degli interessi dei privati» e i soldi ricevuti in cambio secondo l’accusa possono essere tranquillamente in qualche banca oltreconfine: «L’indagato ha operato in un contesto in cui portare i soldi all’estero sembra costituire la regola, non l’eccezione, come confermano i casi di Baita, Buson, Cuccioletta e Voltazza, via via accertati ed è certo assai improbabile che un assessore regionale tenga i soldi frutto di corruzione in un conto corrente, a nome proprio o a quello dei suoi familiari, presso una banca nel territorio della Repubblica ». Contro Chisso – sottolinea il Riesame – non solo le accuse di Mazzacurati di aver “stipendiato” l’assessore con 200-250 mila euro l’anno sin dagli Novanta, ma alcuni pagamenti diretti dei quali si sono autoaccusati altri protagonisti dell’inchiesta e per questo «credibili». Come i 250 mila euro consegnato da Baita al laguna Palace e i 150 mila portati dal segretario di mazzacurati, Sutto, a Palazzo Balbi nel febbraio 2013, sotto gli occhi dei finanzieri. O quando Minutillo ha raccontato agli investigatori che Chisso riceveva regolarmente fondi neri «ma che si era anche lamentato che Mazzacurati gli corrispondeva somme di danaro solo alle feste comandate». Chisso che – ricorda l’imprenditore Mirco Voltazza – temeva che il suo segretario Enzo Casarin «incaricato delle riscossioni “per suo conto”, facesse il furbo e che in qualche occasione avesse tenuto per sé parte dei soldi concordati ». Un’ordinanza che suona anche come una“pietra tombale” nei confronti di un futuro, eventuale ricorso di Giancarlo Galan contro l’ordinanza che lo vorrebbe in carcere. Scrivono i giudici: «All’epoca Galan era il governatore del Veneto e Chisso era comunque a lui subordinato», «il destinatario finale dei 900 mila euro relativi alla delibera Mose era sicuramente Galan (…) nessuna confusione, solo una procedura macchinosa, visti gli intermediari implicati». (r.d.r.)

 

La Corte dei Conti al Cvn «Basta lavori senza gara»

Il Consorzio insiste nel sostenere che il sistema del concessionario unico è legittimo

In realtà la bocciatura arrivò già nel 2009: «Violato il principio della concorrenza»

La lettera al governo in cui si chiede di completare il Mose confutata da una relazione dei magistrati

«Difficile trovare un gestore “altro” dallo stesso concessionario»

MESTRE Nella lettera inviata al premier Matteo Renzi per chiedere di non sospendere i lavori delMose e di non abbandonare il progetto delle dighe mobili, il Consorzio Venezia Nuova sottolinea come l’affidamento dell’intervento al Consorzio stesso sia legittimo anche senza gara d’appalto. In realtà la Corte dei Conti, in una relazione del 2009 sostiene il contrario. Scrive il Cvn: «Il rapporto concessorio tra il Consorzio e il ministero delle Infrastrutture- Magistrato alle Acque di Venezia è legittimo ». È la replica a quanti (sempre più numerosi) ne chiedono l’abbandono in favore di un sistema concorrenziale di gare d’appalto. «Lo dicono le leggi, l’Unione Europea, la Corte dei Conti, il Consiglio di Stato, l’Avvocatura dello Stato e il Tar del Veneto». Ma non è così. Quantomeno la Corte dei Conti non avalla questa tesi. Anzi. Nel paragrafo 3, della relazione “La legislazione per la tutela e la salvaguardia della laguna e della città di Venezia e le sue criticità”, a pagina 14, sulla legge 798/1994 (legge speciale per Venezia e sue modifiche che consentirono l’affidamento dei lavori al consorzio unico), si legge: «Tale disposizione risultò, sin dalla sua emanazione, in contrasto, oltre che con i principi generali che il Trattato comunitario detta in materia di concorrenza, anche conla direttiva Cee in materia di procedure e aggiudicazione di appalti di lavori pubblici del 1971, allora vigente. Peraltro, il legislatore sancì la possibilità e non l’obbligo del ricorso a tale forma di affidamento ». La Corte dei Conti è poi esplicita nelle conclusioni della relazione. Si legge a pagina 48: «L’obbligo derivante dalle direttive comunitarie del rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, che si realizza attraverso l’affidamento dei contratti con gare pubbliche, non risulta ancora osservato per una delle opere più significative in corso di realizzazione dallo Stato italiano (il Mose, ndr), pur in presenza: di disposizioni legislative nazionali sopravvenute volte al superamento dell’affidamento a trattativa privata della concessione de qua; di un lungo contenzioso con la Commissione europea, risoltosi nel 2002 con un compromesso, che ha aperto al mercato, seppure parzialmente, le attività di realizzazione della salvaguardia della laguna e che ha scongiurato il deferimento alla Corte di giustizia da parte della Commissione stessa; dell’esortazione della Corte dei Conti all’affidamento degli interventi secondo le procedure concorsuali – il che deve andare a valere su tutti gli interventi ancora da progettare (siamonel 2009 ndr), con particolare riferimento a quelli collegati alla realizzazione del Mose -; della clausola della convenzione generale, che prevede la possibilità del recesso unilaterale dell’amministrazione; dell’obbligo, comunque, di disapplicare disposizioni legislative nazionali in contrasto con la normativa comunitaria da parte delle amministrazioni». La Corte dei Conti, inoltre, osserva come questo “monopolio” non sia destinato a terminare con la conclusione dei lavori. Si legge ancora nelle conclusioni: «Né la conclusione dei lavori, prevista per il 2012 (nel 2009 la data era ancora questa, i lavori in realtà termineranno nel 2016 ndr), sembra destinata a sciogliere l’anomalia delle attribuzioni di funzioni in capo al concessionario senza procedure di evidenza pubblica, dal momento che, recentemente, sono state affidate allo stesso la gestione e la manutenzione dell’opera. È facile prevedere, stante la situazione di monopolio protrattasi per oltre un ventennio, che sarà difficile, in avvenire, trovare un gestore “altro” dallo stesso concessionario ». Insomma la Corte dei Conti, non è di certo convinta che l’affidamento al consorzio unico sia legittimo.

Carlo Mion

 

L’INTERVENTO

Sistema Mose, meglio fare tutte le verifiche

Ingegneri Vincenzo Di Tella, Gaetano Sebastiani, Paolo Vielmo

Anzitutto ringraziamo la “Nuova Venezia” per aver citato la vicenda giudiziaria (maggio 2007),un vero e proprio attacco definito dai nostri avvocati “intimidatorio” che, come si sa, si è concluso con la nostra piena assoluzione. Ci accusava di“campagna diffamatoria, livelli molto gravi di accanimento mediatico, ostinata crociata contro il sistema Mose, il Consorzio e i suoi tecnici, nonché contro tutti gli organi pubblici che hanno studiato e approvato il progetto”. Ci accusava di“una grave e ingiusta diffamazione a suo danno, di una violazione dei suoi diritti alla personalità, all’integrità professionale, alla reputazione economica e all’integrità patrimoniale”. L’atto di accusa si concludeva chiedendo al Tribunale la nostra condannaa risarcire tutti i danni prodotti. Chiedeva inoltre la pubblicazione, a cura dell’Attore e a spese dei Convenuti, cioè nostre, dell’emananda sentenza – per due volte – a caratteri doppi del normale, e con i nomi delle parti in grassetto, sui quotidiani locali, nazionali e su alcuni periodici. Il documento dell’accusa si concludeva tentando di quantificare il danno subito. “…Il risarcimento del danno da riconoscere… al Consorzio, dovrebbe secondo noi essere liquidato in un importo molto rilevante,che tenga adeguatamente conto: dell’importanza e della visibilità anche internazionale del sistema Mose e delle aziende consorziate; delle cifre in gioco nel progetto;come ordine di grandezza del risarcimento ci limitiamo a ricordare come sia frequente nei casi accertati di diffamazione la richiesta delle centinaia di migliaia o anche milioni di euro, a fronte di una sola pubblicazione diffamatoria:mentre qui ci troviamo di fronte a una capillare e insistita campagna diffamatoria che si è sviluppata con più di 60 lettere ai giornali, articoli e interventi pubblicati sulla stampa e in Internet. Il“danno” quindi non viene quantificato,mane viene indicato l’ordine di grandezza in milioni di euro. Ricordiamole conclusioni della sentenza del Tribunale di Venezia (novembre 2011): “Se questo è il contenuto fondamentale delle numerose lettere ai giornali, non sembra che sia stata raggiunta la soglia minima della diffamazione: più semplicemente si registra la presenza dell’opinione dissenziente. Ciò che più conta, tuttavia, ai fini di causa, è la totale assenza di affermazioni gratuite: questo è un punto essenziale, perché se vi è critica giustificata dall’ argomentazione, non vi è spazio per l’offesa alla reputazione altrui”. “Per questi motivi, il Tribunale di Venezia così provvede: 1) rigetta la domanda proposta dall’attore perché infondata; 2)condanna il Consorzio a rifondere le spese di lite…”. Leggiamo sulla“Nuova Venezia” diuna nota del CVN diretta al capo del governo, nella quale si tenta ancora di scindere le responsabilità sui possibili fatti corruttivi relativi alla gestione delle risorse economiche assegnate al progetto, che sono al vaglio della Magistratura che farà il suo corso, dalla validità tecnica del progetto stesso, che viene ancora presentato come“sano” e “orgoglio della tecnologia e dell’ imprenditoria italiana”. Noi pensiamo che così non sia. Nella nota del CVN si fa riferimento a… “Cinquant’anni di confronti aspri, dibattiti pubblici, sperimentazioni, progetti e controprogetti”, ma questa dialettica non c’è mai stata al di fuori della struttura stessa delCVN,del Magistrato Alle Acque, dei Comitati tecnici di Magistratura e gruppi di Esperti incaricati dallo stesso MAV di “risolvere” tutte le critiche al progetto Mose e “valutare” le alternative a questo proposte. A noi risulta invece che quando al Comune di Venezia ci fu la presentazione dei progetti alternativi il CVN e il MAV,invitati dal sindaco,non erano presenti e quando su invito del sindaco fui presente al tavolo tecnico del Ministero in cui si doveva discutere dell’alternativa basata sulla Paratoia a Gravità, in previsione del Comitatone del 2006, non ci fu data neppure la possibilità di parlare e di confutare le obiezioni risibili, senza fondamento tecnico specifico e in alcuni casi contraddittorie fatte al nostro progetto che, vorrei ricordare dall’analisi di Principia risulta perfettamente funzionante mentre per il Mose non è stato possibile condurre le simulazioni dinamiche richieste dal Comune di Venezia dovuta alla presenza di fenomeni di instabilità dinamica. La presenza di tale fenomeno fisico, in certe condizioni gravose di moto ondoso,può portare alla perdita di efficacia della barriera e al limite al collasso strutturale di una o più paratoie. Anche tralasciando le 12 criticità strutturali presenti nel Mosee individuate dalla commissione comunale di Venezia nel 2006 a cui non è mai stata data risposta, riteniamo che sia oggi estremamente rischioso proseguire nel progetto Mose, senza aver chiarito questo fondamentale problema della dinamica delle paratoie, e ci permettiamo di suggerire al presidente del Consiglio di promuovere una verifica da parte di esperti tecnici qualificati sui suoi aspetti giudicati critici e noti già da molti anni. Auspichiamo che le decisioni sul progetto Mose non siano condizionate dalla grandissima quantità delle risorse già spese e chiediamo di verificare che esso abbia avuto tutte le verifiche necessarie, a comprovarne la funzionalità e la sicurezza, prima di proseguire conle opere e che questa verifica sia finalmente resa pubblica e posta nella disponibilità di tutti i cittadini che ne avessero interesse, come d’uso in tutti i paesi democratici.

 

L’arresto di Galan in Aula già martedì

Voto alla Camera previsto il 15 luglio, oggi si esprime la Commissione dove prevale la maggioranza Pd-M5S: «Non c’è fumus persecutionis»

La conferenza dei capigruppo: a Montecitorio dibattito di tre ore, poi la parola passerà ai deputati

PADOVA Inchiesta Mose e caso Galan: si procede a passi spediti verso il voto in aula alla Camera, previsto per martedì 15 luglio. Ieri Pd e M5S hanno annunciato il loro sì alla richiesta d’arresto presentato dalla Procura di Venezia nei confronti del deputato di Forza Italia. Oggi ci sarà il voto a scrutinio palese con chiamata nominale della Giunta delle autorizzazioni a procedere, presieduta dall’onorevole Ignazio La Russa, e tra 5 giorni si pronuncerà l’assemblea di Montecitorio. I dieci consiglieri democratici e i tre grillini, hanno ribadito di non aver ravvisato il fumus persecutionis nelle 16 mila pagine inviate dai magistrati ai 21 «commissari» che per un mese hanno letto e riletto il capo di imputazione e le tre memorie difensive presentate da Giancarlo Galan. Si può quindi dare il via libera, come nel caso dell’onorevole Fracantonio Genovese. Decisamente contrari alla richiesta d’arresto invece Forza Italia e Ncd, come spiega Antonio Leone: «Il fumus è oggettivo. Galan ha chiesto di essere ascoltato dalla Procura di Venezia, ma gli hanno chiuso la porta in faccia. Le garanzie processuali non sono state rispettate, abbiamo ricevuto una nuova memoria difensiva in cui il deputato padovano fa riferimento all’architetto Zanaica che può documentare con precisione gli anni in cui la villa di Cinto Euganeo è stata restaurata: la memoria avvalora la tesi della prescrizione del reato o comunque di una pena inferiore ai due anni, in sintonia con i patteggiamenti della Minutillo e di Baita che sono stati addirittura inferiori. Perché far provare l’onta del carcere all’onorevole Giancarlo Galan? Io sono contrario, ma temo la maggioranza schiacciante di Pd e M5S»,spiega Leone. Ieri, dopo gli interventi di Sofia Amodio (Pd), Giulia Grillo (M5S) ha preso la parola Giovanni Chiarelli, Fi, relatore di minoranza, che dopo aver ribadito il suo no all’arresto, ha chiesto un ulteriore rinvio legato ai tempi di conversione del decreto legge 92-2014 e all’applicazione dell’articolo 275, co 2-bis del codice di procedure penale. Si tratta della norma, assai osteggiata dalla magistratura, che consente di non applicare la custodia cautelare o gli arresti domiciliari «qualora il giudice procedente ritenga che la pena detentiva da irrogare possa essere contenuta in un massimo di tre anni». La richiesta di Chiarelli rischia di cadere nel vuoto perché l’applicazione del decreto legge 92-2014 «non è materia della Camera, ma di esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria: la Giunta delle autorizzazioni deve pronunciarsi solo sul fumus persecutionis», ha spiegato in aula e poi scritto nel suo parere l’onorevole Mariano Rabino (Sc), relatore del caso. «Galan sostiene di aver ricevuto la notifica dell’avviso di garanzia un anno dopo l’avvio delle indagini e di non essere mai stato ascoltato dai magistrati veneziani: oggi il voto in Giunta chiuderà il primo tempo della partita», conclude Rabino. Il secondo tempo, quello vero, viene annunciato alle 16,43 con un flash dell’Ansa che mette fine a tutte le discussioni: «L’ aula della Camera voterà il 15 luglio alle ore 17 sulla richiesta di arresto nei confronti di Giancarlo Galan (Fi): lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. La votazione sarà preceduta da un dibattito di tre ore». L’ex ministro ha appreso la notizia nella sua villa di Cinto: qualche giorno fa mentre potava una rosa è caduto, si è rotto il perone e ha una gamba ingessata. Da lì non si può muovere. L’improvvisa accelerazione sui tempi viene confermata dal presidente Ignazio La Russa: «Abbiamo già ottenuto una proroga di 30 giorni per esprimere un parere sulla richiesta di arresto nei confronti di Galan, non possiamo chiederne due. Oggi saranno concessi 5 minuti a testa a chiunque voglia esprimere il suo parere nelle dichiarazioni di voto, perché credo che la scelta dovrebbe essere individuale e non legata al gruppo di appartenenza ».

Albino Salmaso

 

 

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