Nuova Venezia – Mose, primo si’ all’arresto di Galan
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
11
lug
2014
Mose, primo sì all’arresto di Galan
Dopo la Giunta martedì decide l’aula. «Non sono sorpreso. È un voto politico»
Galan, arresto più vicino
Inchiesta Mose, voto schiacciante alla Giunta di Montecitorio: 16 a favore e 3 contro
La Russa: non c’è il “fumus persecutionis” Il caso del leghista veronese Bragantini: dice sì alla relazione poi abbandona la seduta
PADOVA Inchiesta Mose, arriva un primo verdetto chiaro: con 16 voti a favore e solo 3 contrari la Giunta delle autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati ha dato il via libera alla richiesta d’arresto nei confronti dell’onorevole Giancarlo Galan, (Fi). «L’esito non era per nulla scontato ed è maturato dopo un’attenta analisi dei documenti processuali da cui emerge che non esiste il fumus persecutionis da parte della magistratura», ha commentato il presidente Ignazio La Russa che si è astenuto, come la prassi vuole. Il deputato milanese, cresciuto in An con Fini, poi nel Pdl e oggi in Fratelli d’Italia, ha giocato un ruolo di arbitro super partes: dopo aver concesso una proroga ai 21 «commissari» per leggere le 16 mila pagine d’accusa e le tre memorie difensive depositate da Galan, ieri alle 13,20 è passato alle dichiarazioni di voto e le hachiuse alle 15,22. A favore della richiesta d’arresto hanno votato Pd, M5S, lista per l’Italia, Sel e Scelta civica mentre i tre no sono di Chiarelli (Fi),Leone (Ncd) e Di Lello (Psi). Matteo Bragantini, unico rappresentante della Lega Nord, deputato veronese, haannunciato il suo sì alla relazione di Mariano Rabino, ma al momento di alzare la manonon c’era e quindi risulta assente. Martedì 15 luglio sarà l’Aula di Montecitorio a decidere il destino del deputato di Forza Italia, dopo tre ore di dibattito eun voto che si annuncia segreto: all’orizzonte non si profila nessun rinvio perché la strada tracciata sembra la stessa seguita con Francantonio Genovese, il deputato Pd arrestato un paio di mesi fa e subito messo agli arresti domiciliari dopo aver reso un ampio interrogatorio ai magistrati sulla gestione dei fondi comunitari. Secco il commento di Mariano Rabino, commissario-relatore, di Scelta civica-lista Monti: «Ho dato il mio parere favorevole alla richiesta d’arresto di Galan, perché i cittadini sono tutti uguali di fronte alla legge, i parlamentari non si possono difendere con lo scudo dell’immunità che è stata ampiamente dimezzata. L’inchiesta della procura di Venezia non ha guardato in faccia nessuno: assessori regionali, politici, manager, dirigenti pubblici, generali della Guardia di finanza sono finiti in cella. Siamo di fronte a 35 richieste di arresto, una delle quali riguarda anche un deputato e non si vede perché egli debba godere di un privilegio. Io sono convinto che vada completamente abolita l’immunità parlamentare e ci vuole pure una rivisitazione della carcerazione preventiva. Ma in fatto di giustizia, la penso come il procuratore Carlo Nordio: la prescrizione si combatte con i processi rapidi e il parlamento non può porre ostacoli, ma deve favorire il cammino della giustizia. Questo è il nostro compito. La richiesta del gip Scaramuzza è arrivata il 4 giugno alla Camera dei deputati e il nostro compito era valutare l’esistenza del fumus persecutionis : dopo aver letto gli atti mi pare che l’inchiesta della magistratura di Venezia sia solida, fondata su pilastri che reggono molto bene. Così la pensano 16 commissari su 21. Auguro all’onorevole Galan di difendersi nel processo con la stessa grinta e tenacia che ha manifestato in queste settimane. Capisco il suo stato d’animo, la rabbia e l’amarezza: ieri abbiamo chiuso il primo tempo della partita, il secondo si gioca martedì alla Camera. Nelle vesti di relatore chiederò all’aula di votare il sì all’arresto» conclude Rabino. A difendere l’ex ministro della Cultura e governatore del Veneto per 15 anni si sono trovati in tre: Gianfranco Chiarelli (Fi), Antonio Leone (Ncd) e Marco Di Lello (Psi) che ha giocato l’ultima carta e ha chiesto alla Giunta di rinviare gli atti alla magistratura di Venezia alla luce della novella legislativa entrata in vigore lo scorso 26 giugno. Si tratta del dl 92-2014 che con la riforma dell’articolo 275 del cpp voluta dal ministro Orlando esclude l’arresto in caso di previsione di condanne fino a 3 anni. Leone e Chiarelli hanno sostenuto che tra sconti e benefici Galan, che ora rischia 5 anni, potrebbe scendere sotto quella fatidica soglia. Immediata la replica di Sofia Amoddio, (Pd): il dl 92 non era stato varato al momento della richiesta d’arresto del deputato di Forza Italia e non è retroattivo. In ogni caso è compito esclusivo del giudice «valutare se applicare la misura della custodia cautelare in carcere » nel caso in cui «all’esito del giudizio la pena detentiva da eseguire non sarà superiore ai tre anni». Nessuna interferenza con la magistratura, ha detto l’onorevole Amoddio, che ha balenato un ’ ipotesi più dura: «La continuazione dei reati e l’entità della somma presuntivamente percepita possono far ritenere che la pena possa essere superiore ai tre anni». Una frase che ha fatto infuriare Leone (Ndc): «Altro che Pd garantista, oggi si scrive un’altra pagina vergognosa del Parlamento, la fotocopia dell’arresto di Genovese».
Albino Salmaso
la parabola
L’ex portaborse di Biondi diventato doge di Venezia
VENEZIA Si fa presto a dire dalle stelle alle stalle. Dal parlamento alla galera. L’angoscia del momento ha fatto venire una tromboflebite a Giancarlo Galan, costringendolo a un ricovero in ospedale. La settimana scorsa si è procurato una frattura al perone. Le disgrazie non arrivano mai sole. L’ex presidente fatica a capacitarsi di quello che gli sta succedendo. Bisogna capirlo: come si fa a smontare in due e due quattro dal senso di onnipotenza maturato in vent’anni? «Adesso parlo io», ha fatto sapere alla nazione la settimana scorsa. Un brivido di indifferenza ha percorso la penisola: la sua parola contro quella di Giovanni Mazzacurati, di Piergiorgio Baita, di Claudia Minutillo. Bella autodifesa, con gente che ha già patteggiato e altri che stanno cercando di farlo. E con una montagna di riscontri in mano ai magistrati. È vero che la responsabilità penale è certa solo dopo il terzo grado, se non arriva prima la prescrizione. La vicenda umana merita rispetto, aggiungiamo pure, ma sul giudizio politico non ci si può confondere. Per 15 anni la spesa pubblica in Veneto è stata in mano a un ristretto gruppo di persone, che l’ha gestita a piacimento, in modo insindacabile. Giancarlo Galan si è trovato al vertice del gruppetto di liberali e socialisti emersi da Tangentopoli come classe dirigente del Veneto. Pensare che negli anni ’80 aveva detto addio alla politica, mollando il ministro liberale Alfredo Biondi, di cui era assistente parlamentare, per seguire Marcello Dell’Utri a Publitalia. Braccia strappate alla Fininvest, quando Berlusconi decide di «scendere in campo» con il partito leggero costruito con uomini delle sue aziende. Giancarlo si ritrova eletto alla Camera nel 1994, poi subito candidato a presidente del Veneto nel 1995. Vince di misura contro il centrosinistra che sbaglia candidato (puntava su Ettore Bentsik) e la Lega marciava da sola. La prima legislatura è difficile, ma ci sono già tutti i nomi dei protagonisti: Lia Sartori, con la quale si cementa una collaborazione che farà parlare di matriarcato, Fabio Gava, Renato Chisso, Enrico Marchi che prende la rincorsa per la Save, Irene Gemmo, Gian Michele Gambato, Vittorio Altieri. Naturalmente Piergiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati. E pochi altri, da Luigi Rossi Luciani a Bepi Stefanel, persone con le quali non sai mai se l’amicizia viene prima degli affari o viceversa. Quando serve tagliare i rapporti, Giancarlo non ci pensa due volte: vedi la vicenda di Paolo Sinigaglia con la Save e Alpieagles. Galan porta in politica un linguaggio nuovo e accattivante, un modo sprezzante di porsi all’attenzione del pubblico, la rissosità con gli avversari ma sempre con l’occhio a favore di telecamera. È rapido, capisce le situazioni al volo, è simpatico ma anche umorale, lascia volentieri il lavoro agli altri ma negli snodi che gli interessano lo trovi sempre. Gli snodi sono quelli delle grandi opere. E gli interessi volano dopo il 2000. Una montagna di denaro pubblico si abbatte sul Veneto: solo dal 2006 al 2009 si stima che il mercato delle opere pubbliche regionali valga 2,5 miliardi. Senza contare il Mose che ne pompa 4,5 a partire dal 2003. Senza il Passante, che doveva costare 650 milioni di euro e invece arriva a 1.260 milioni. Senza le Ferrovie che sull’Alta Velocità in Veneto spendono 2 miliardi. Si comincia a parlare di un partito degli affari, che controlla gli appalti pubblici e li indirizza verso i soliti noti. Accuse circostanziate, interviste che a leggerle oggi sono inquietanti. Esempio: «I sassi della ex Jugoslavia pagati il doppio del costo? ». Chi lo chiedeva era il padovano Frigo, consigliere regionale della Margherita, 12 agosto 2006. E i sassi sono stati davvero pagati il doppio. Fino a che punto arrivava il consociativismo? Delle critiche Giancarlo Galan non si è mai preoccupato. Gli davano fastidio, questo sì. Ma dimenticava tutto andando a pesca. E poi anche a caccia, ultima passione esercitata nella valle di Drago jesolo dell’amico Stefanel. Con Berlusconi il sodalizio, non è mai venuto meno, neanche dopo il siluramento a beneficio di Luca Zaia. Ma chi non vorrebbe essere silurato, passando da presidente di regione a ministro? Alla rielezione del 2005 il nostro giornale gli chiese: dove si vede tra dieci anni? «Farò l’imprenditore » rispose lui. «Mi è sempre piaciuto. Aprirò un B&B sui Colli Euganei». Aveva già adocchiato Villa Rodella. Oggi Galan non ha più voglia di fare il guascone. Le battute non gli vengono bene, gli arrivano frasi livide, del tipo «vorrei solo mezz’ora di impunità per chiudermi in una stanza con la Minutillo». Frase che fa accapponare la pelle, non tanto per quello che lui potrebbe fare alla Minutillo,ma per il disprezzo che dimostra verso il diritto. Galan si è laureato in giurisprudenza, è stato votato dai veneti in tre legislature regionali e in tre tornate nazionali, siede in Parlamento dal quale non intende dimettersi. Sta ai vertici di una società regolata dalle leggi. E vuole mezz’ora di impunità per vedersela con l’ex segretaria? Ma per piacere.
Renzo Mazzaro
Martedì pomeriggio il voto della Camera
ROMA. L’ufficio di presidenza della Camera dei deputati conferma che martedì 15 luglio alle ore 17 ci sarà la discussione sulla richiesta di arresto dell’onorevole Giancarlo Galan, presentata dal gip Scaramuzza del tribunale di Venezia. Gli atti saranno trasmessi dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere alla Camera e i 620 deputati ne potranno prendere visione fin da oggi. Certo, leggere 16 mila pagine in 5 giorni è impresa impossibile. Proprio per questo il capogruppo Renato Brunetta aveva chiesto a nome di Forza Italia di far slittare il voto su Galan ad agosto,mal’ufficio di presidenza ha imposto il voto con i tempi contingentati per martedì prossimo. Relatore in aula sarà Mariano Rabino, per Fi parlerà Chiarelli.
Nordio: non esultiamo ma è la dimostrazione che l’inchiesta è solida
Il procuratore aggiunto: «Su Galan nessun accanimento»
Mazzacurati: rogatoria negli Usa. Interrogato Cuccioletta
VENEZIA «La decisione della giunta per le autorizzazioni a procedere costituisce un’ulteriore conferma della solidità di un’inchiesta condotta senza pregiudizi e senza accanimenti. Non vi è mai esultanza, davanti alla prospettazione del carcere: soltanto la serena affermazione che la legge è uguale per tutti». Così, il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio – a nome della Procura – ha commentato il “sì” della Giunta della Camera alla richiesta di arresto avanzata dai magistrati per il deputato pdl e ex presidente della Regione Veneto, accusato di essere stato a libro paga del Consorzio Venezia Nuova. Non c’è fumus persecutionis nei confronti di Galan – ha decretato la giunta – perché tutti gli indagati principali dell’inchiesta sono stati arrestati. Dopo le numerose convalide dei provvedimenti cautelari da parte del Tribunale del Riesame, la Procura di Venezia segna ora un altro punto. Rogatoria Usa per Mazzacurati. Sarà interrogato negli Stati Uniti, per rogatoria, Giovanni Mazzacurati, l’anziano ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, accusato di aver inventato e gestito per vent’anni il meccanismo delle sovrafatturazioni, fondi neri, tangenti e prebende per decine di milioni di euro pubblici, attorno al Mose. Il Tribunale dei ministri ne aveva ordinato l’audizione, ieri, nell’ambito del procedimento al termine del quale i tre giudici dovranno decidere se autorizzare la Procura di Venezia a indagare sull’ex ministro dell’Ambiente e Infrastrutture Altero Matteoli per corruzione. Tra gli accusatori – insieme a Piergiorgio Baita – lo stesso Mazzacurati: ieri, il suo avvocato Muscari Tomaioli ha presentato ai giudici un’istanza, per chiedere che l’anziano ex imprenditore sia ascoltato per rogatoria, non potendo tornare dagli Usa per motivi di salute (è da mesi nella villa della moglie a La Jolla, in California: villa che per anni era stata “affittata” per 100 mila euro al Consorzio come sede di rappresentanza oltre oceano). Ieri mattina è stato anche ascoltato l’ex magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta – che ha ammesso di essere stato per anni a libro paga del Consorzio Venezia Nuova (400 mila euro l’anno, gli contesta la Procura) per fare i provvedimenti che il Consorzio voleva e, spesso, stilava – che ai giudici del Tribunale dei ministri ha confermato che a chiedergli di tornare a Venezia come Magistrato era stato lo stesso Matteoli, su sollecito dell’imprenditore Erasmo Cinque. Tra i suoi “incarichi” anche quello di nominare i collaudatori del Mose: «Facevo una turnazione», ha in sostanza detto ieri Cuccioletta, «ma Mazzacurati mi chiese di soprassedere». Stando alle accuse, l’ex ministro ora senatore di Forza Italia, aveva fatto pressioni perché la società dell’imprenditore romano, la «Socostramo», venisse inserita nell’appalto per la bonifica di Porto Marghera, che aveva vinto anche la «Mantovani ». Cinque è sospettato di essere il collettore delle tangenti per Matteoli, che ha con forza respinto ogni addebito.
Roberta De Rossi
NESSUNO PRENDE LE DIFESE DELL’EX DOGE
Muro di silenzio dei forzisti veneti
Pipitone (Idv): doveroso il sì parlamentare, l’immunità non è impunità
Da Zaia a Ruffato raffica di no comment sul fronte istituzionale
L’ex portavoce Miracco «Indagine seria, spero ne esca a testa alta»
VENEZIA – Un muro di silenzio. Nel giorno più nero, non si levano voci in difesa di Giancarlo Galan. C’è una corsa a prendere le distanze dal potente caduto in disgrazia, accelerata forse dalla convinzione che le prove a suo carico siano tutt’altro che fantasiose. Muti come pesci i forzisti veneti. Vano anche chiedere commenti al governatore leghista Luca Zaia – più volte bersaglio degli attacchi galaniani ma deciso ad astenersi da ogni replica – così come cadono nel vuoto gli interrogativi rivolti al capogruppo di Forza Italia in Regione, Leonardo Padrin, e al presidente del Consiglio regionale Clodovaldo Ruffato, del Ncd. Evita di parlare anche Franco Miracco, il critico d’arte che fu a lungo il portavoce del presidente berlusconiano («Quello che avevo da dire l’ho già detto»), confermando così quanto affermato in precedenza: «L’indagine della Procura appare seria, mi auguro che, nonostante questo, Galan e Orsoni, che sono stati ai vertici istituzionali della Regione e di Venezia possano difendersi più che bene e che ne escano a testa alta». Così, a spezzare un silenzio diventato assordante è Antonino Pipitone (nella foto), capogruppo regionale dell’Idv: «I deputati della Giunta che hanno approvato la richiesta d’arresto, hanno fatto il loro dovere. Occorre rispettare il lavoro dei magistrati e l’immunità parlamentare serve a proteggere dai reati d’opinione, non a garantire l’impunità. Accanimento? Verdetto politico? Non direi proprio, Galan, al pari degli altri cittadini, avrà modo di far valere le sue ragioni nelle sedi competenti, e d’altronde mi pare che negli ultimi tempi l’indirizzo del Parlamento vada esattamente in questa direzione: verificare l’esistenza di un fumus persecutionis ed in caso negativo consentire alla giustizia di fare il suo corso». Pipitone, poi, solleva un’altra questione riguardante lo scandalo del Mose, quella dei compensi erogati contemporaneamente ai consiglieri arrestati (Renato Chisso di FI e Giampietro Marchese del Pd) che, nonostante la sospensione dalla carica, percepiscono tuttora l’80% dell’indennità lorda mensile, ed ai loro sostituti sui banchi dell’assemblea veneta, Francesco Piccolo e Alessio Alessandrini. «In questo caso la legge Severino ha creato un corto circuito normativo », attacca Pipitone «con il risultato che i contribuenti veneti oggi pagano 62 consiglieri e non 60. Rimaniamo allibiti da questo intreccio di norme statali e regionali che, alla fine, fa pagare ai cittadini una follia legislativa ». Oggi, a Padova, gran consulto dell’Idv sugli intrecci tra politica ed affari nella tangentopoli veneta con il segretario nazionale del partito Ignazio Messina.
Filippo Tosatto
«Brentan, nessuna prova della tangente»
Il Tribunale della libertà: però il manager fece pressioni su Baita perché non ricorresse contro Sacaim
VENEZIA I giudici del Tribunale della Libertà alleggeriscono la posizione dell’ex amministratore delegato di Autostrade Venezia-Padova, Lino Brentan, accusato dalla Procura di aver pilotato l’appalto per le opere di mitigazione della Terza corsia (base d’asta,18 milioni) escludendo le offerte più vantaggiose e facendosi pagare una tangente per riammettere gli esclusi come subappaltatori. Per il Riesame, è provato che l’ex amministratore di Autostrade Venezia-Padova abbia fatto pressioni su Piergiorgio Baita (presidente di Mantovani) e Mauro Scaramuzza (Fip Industriale) perché non impugnassero al Tar l’assegnazione dei lavori alla Sacaim, ricambiandoli con l’ottenimento delle opere in subappalto. Non c’è invece prova che abbia incassato la tangente da 65 mila euro che secondo la Procura avrebbe preteso dallo stesso Scaramuzza. Così il Tribunale del Riesame motiva la sua decisione di liberare Brentan dagli arresti domiciliari, obbligandolo solo a risiedere nel comune di Campolongo. Per i giudici, le offerte di Mantovani e Fip (meno 41,17%) erano assolutamente al di sotto della soglia di anomalia: del tutto «legittima e regolare», dunque, la decisione di escluderle. Come pure l’offerta della Ati Consorzio Stabile Consta (-35,83%), anch’essa incongrua, assegnando i lavori a Sacaim (-31%). Per il Riesame è invece certo che Brentan sia intervenuto per evitare ricorsi al Tar. Racconta l’ingegner Angelo Matassi, della commissione tecnica: «Chiesi (a Brentan) se i lavori fatti in subappalto dalle imprese escluse nella medesima gara potevano essere un problema; lui mi ammonì seccamente dicendomi di stare tranquillo e che la cosa andava bene così». Ma ci sono 2,5 milioni e mezzo che non tornano: svaniti. Baita ai pm aveva raccontato: «Brentan (…) mi ha spiegato che poi avremmo comunque fatto il lavoro in subappalto per Sacaim allo stesso prezzo a cui avevamo vinto e potevamo astenerci dal fare ricorso». La differenza? «2 milioni e mezzo», risponde Baita, secondo il quale i soldi sarebbero «rimasti nelle mani di Sacaim perché tecnicamente incassava dalla Padova-Venezia». Brentan «fu chiaro» – racconta Scaramuzza – «disse: “Non rompete le scatole, tanto se fai ricorso al Tar non concluderai niente… e roviniamo un rapporto: guarda se ti conviene”». I giudici ritengono invece non vi sia riscontro all’accusa mossa a Brentan di aver incassato – in una sorta di catena delle mazzette – 65 mila euro da Scaramuzza dei 200 mila che quest’ultimo avrebbe preteso da Nievo e Ido Benetazzo per sub-subappaltare loro le opere. Soldi che Scaramuzza ha detto di tenere nascosti in «una cassetta, antro, buco nel mobile ricavato dal muro del bagno, da cui io carico e pesco a seconda delle necessità».
Roberta De Rossi
i giudici del riesame
«Su Artico indizi insufficienti»
La scarcerazione del dirigente regionale: nessuna violazione di legge
TREVISO Sono racchiuse in diciotto pagine le motivazioni che hanno portato i giudici del Riesamea stracciare l’ordinanza di custodia cautelare che aveva portato dietro le sbarre Giovanni Artico (nella foto), ex sindaco di Cessalto e ora funzionario della Regione. Ventitré giorni trascorsi nel carcere di Ravenna dopo lo scoppio del caso Mose, con l’accusa di corruzione. Le stesse intercettazioni che avevano fatto scattare le manette ai polsi di Artico hanno convinto i giudici del Riesame ad annullare tutto: «Quadro indiziario insufficiente », ma anche nessuna violazione della legge. Secondo i giudici, nel comportamento di Artico non sarebbero ravvisabili nemmeno violazioni deontologiche. Il Riesame, esaminando le prove, ha stabilito che «non emerge alcun atteggiamento diretto a vanificare la funzione demandatagli ». Secondo i giudici, Artico sarebbe estraneo al meccanismo corruttivo che viene contestato dai pm della Procura di Venezia. A portarlo in carcere erano proprio state le intercettazioni telefoniche: conversazioni tra l’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo, l’ex numero uno della Mantovani Piergiorgio Baita, l’ex assessore alla mobilità della Regione Veneto Renato Chisso e l’addetta stampa del Consorzio Venezia Nuova Flavia Faccioli. Proprio Chisso avrebbe confidato a Minutillo che Artico era l’uomo da contattare per accelerare i “favori” alla Mantovani. Ad alleggerire la posizione di Giovanni Artico è stato Piergiorgio Baita: in merito all’assunzione della figlia dell’ ex primo cittadino di Cessalto alla Nordest Media (di cui Claudia Minutillo era legale rappresentante) ha affermato come non ci sia stato nessun accordo corruttivo. I giudici nell’ordinanza sottolineano infatti che, anche se la figlia di Artico è stata effettivamente assunta dalla Nordest Media, non sono stati compiuti «atti contrari ai doveri d’ufficio». Lo stesso ex sindaco, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, aveva respinto ogni accusa, escludendo qualsiasi accordo contrario alla legge. Fabiana Pesci
FIUME DI SOLDI SU CUI FARE CHIAREZZA
di FRANCESCO JORI
Questione di punti di vista, anche nel senso letterale del termine. Non vi è chi non veda un intento persecutorio nell’indagine condotta contro di me, sostiene Giancarlo Galan. All’opposto, non vi è chi non veda perché gli avrebbe dovuto essere concesso ciò che è stato negato a tanti altri, parlamentari compresi: alla manciata di pagine delle memorie difensive sue e di altri imputati che si proclamano estranei al Nilo di tangenti originato dal Mose, la magistratura ne contrappone160 mila frutto di oltre quattro anni di indagini, riscontri incrociati, intercettazioni, confessioni plurime. E in ogni caso, c’è un punto centrale da sottolineare: con il suo voto a schiacciante maggioranza (16 contro 3), ieri la giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera non ha stabilito che Galan sia colpevole; ha semplicemente dato via libera a una richiesta di arresto. Comunque un semplice parere, visto che la decisione spetta all’aula: cosa che avverrà alle 5 del pomeriggio di martedì. Non saranno le fatidiche “cincos de la tarde”, né ci sarà nessuna arena su cui inscenare un sanguinoso duello. Se pure dovesse varcare le soglie del carcere, l’esperienza dell’ex governatore del Veneto sarebbe molto diversa da quella dei 14 mila detenuti italiani in attesa di primo giudizio. Anche perché ad attenderlo non ci sarebbe una cella magari sovraffollata come quasi tutte, ma verosimilmente l’infermeria: le disgrazie, si sa, non vengono mai sole; tant’è che all’ex governatore del Veneto è accaduto di fratturarsi tibia e perone potando non una poderosa quercia ma una semplice rosa, così da trovarsi con la gamba ingessata. Il che potrebbe anche schiudergli le porte degli arresti domiciliari, nell’ormai ben nota dimora sui Colli Euganei che non ricorda propriamente lo Spielberg. Ma non è questo il punto. Che Galan finisca o no in prigione, potrà appassionare al massimo gli sparuti e opposti manipoli di garantisti e giustizialisti. La questione centrale è stabilire chi abbia beneficiato dell’alluvione di soldi scatenata in Veneto dal Mose ma presumibilmente anche da altre opere pubbliche; e che, proprio come nel caso del Nilo, ha fertilizzato le terre non solo della politica ma pure della pubblica amministrazione, dell’impresa privata e di svariati professionisti, arrivando a lambire perfino i sagrati della Chiesa: esemplari in tal senso le decisioni annunciate l’altro ieri dal patriarca di Venezia. Nel caso specifico, si tratta di capire se e quali siano state le responsabilità di Galan: uno dei tanti indagati, anche se tra i più ingombranti visto il ruolo di dominus esercitato per quindici lunghi anni. In questo senso, la risposta di ieri della giunta e quella di martedì prossimo della Camera sono comunque marginali: a contare sarà la pronuncia finale della magistratura. Sulla quale purtroppo grava già, però, una venefica zona d’ombra: il lavacro della prescrizioneche rischia di mettere al riparo quasi tutti gli imputati, considerando che essa scatta dalla data in cui i reati sono stati commessi, anziché da quella in cui sono stati accertati. Proprio di questo tratta il punto 9 del pacchetto di riforma della giustizia annunciato nei giorni scorsi dal premier Renzi, che giustamente l’ha definita «una questione di civiltà ». Se e quando passerà, varrà comunque a futura memoria; oggi rappresenta per troppi un comodo salvagente. Certo, per il presente c’è sempre la possibilità di rinunciare alla prescrizione, per chi è convinto di essere innocente e vittima di un’ingiustizia. Ma c’è da credere che a quel provvidenziale gavitello si aggrapperanno a frotte. Finendo così per concorrere ad alimentare il massimo di inciviltà: colpa manifesta, nessun colpevole. Anzi, molti impuniti beneficiari.
decisione del gip entro il fine settimana
I pm milanesi: nuovo arresto di Meneguzzo La Procura di Milano rinnova la richiesta di arresto per Roberto Meneguzzo, amministratore della Palladio Finanziaria, accusato di essere il mediatore di contatto e tangenti tra il Consorzio Venezia Nuova e Marco Milanese, ex braccio destro dell’allora ministro delle Finanze Tremonti. Tangente da 500 mila euro per riaprire la partita dei fondi al Mose che languivano, che Giovanni Mazzacurati da detto di aver consegnato a Milanese, dentro una scatola di biscotti, nella sede della Palladio: questa parte dell’inchiesta è così passata a Milano. I magistrati veneziani avevano arrestato Meneguzzo il 4 giugno, concedendogli poi il 21 giugno i domiciliari, dopo un tentativo di suicidio. Sulla misura cautelare chiesta dai pm Pellicano e Orsi – che dovranno rinnovarla anche per Milanese – deciderà il gip De Marchi entro il fine settimana.
Expo, commissariato l’appalto Maltauro
«E ora piena operatività del cantiere»
Il presidente dell’autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, ha inviato ieri al prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, il provvedimento di richiesta di commissariamento della società Maltauro, relativamente alla gara di appalto delle cosiddette architetture di servizio di Expo 2015. Il provvedimento è stato pubblicato sul sito dell’autorità nazionale anticorruzione. La società Expo spa, in una nota, aggiungeva ieri pomeriggio che si era da poco concluso un incontro di lavoro «molto proficuo» tra il commissario unico di Expo, Giuseppe Sala, e il presidente dell’autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone. Nell’incontro «sono state definite le linee guida per l’azione nei prossimi mesi – si legge nella nota diffusa a seguito del vertice in modo tale da garantire da subito la piena operatività sul cantiere e in tutte le attività connesse all’esposizione universale».