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Malversazione e peculato in Regione. Tre arresti, indagati Chisso e Conta

Cricca dei rifiuti, nuovo scandalo

Il direttore del settore Ambiente, si sarebbe intascato milioni di euro. Nei guai anche Chisso, Conta (Ncd) e numerosi imprenditori e sindaci

Rifiuti: arresti in Regione. Caccia ai soldi in Svizzera

VENEZIA – In Veneto, nell’éra Galan, ha proliferato il malaffare: hanno rubato i politici, ma pure i dirigenti della Regione e dall’affare non si sono tirati indietro nemmeno tanti imprenditori presi a modello del Veneto che produce. L’operazione “Buondì”, che ieri ha portato all’arresto dell’ex dirigente della Regione Fabio Fior, 57 anni, di Padova, lo testimonia. Il dirigente dalla fine degli anni Novanta ad oggi è stato il padrone amministrativo del ciclo dei rifiuti in Veneto. Ha pensato e fatto emanare una legge a suo uso e consumo, quindi approvava in commissione i progetti degli impianti che poi collaudava. E per finire aziende da lui controllate avevano il compito di verificare e monitorare il funzionamento degli stessi impianti. Tutto questo ha reso a lui e alla sua cricca milioni di euro. L’operazione del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Mestre si è chiusa ieri e ha inglobato anche una gran parte di un’altra inchiesta dei carabinieri del Noe di Treviso. Ai politici, come Renato Chisso e Giancarlo Conta, è andata bene. Sono solo indagati per abuso d’ufficio, secondo i magistrati non si sarebbero accorti di nulla. L’operazione coordinata dai pm Giorgio Gava e Sergio Dini, rispettivamente di Venezia e Padova, ha visto l’esecuzione di tre ordinanze cautelari nei confronti di Fabio Fior, dirigente della Regione Veneto (ai domiciliari), Sebastiano Strano, 51 anni, di Battaglia Terme, imprenditore e Maria Dei Svaldi, 47 anni, di Mogliano Veneto, imprenditrice (entrambi con obblighi di dimora). Dalle indagini iniziate dal 2006 emerge la figura di Fabio Fior, che concentrava su di sé molteplici incarichi nella procedura per il rilascio delle autorizzazioni di intervento per realizzare impianti di trattamento rifiuti: era membro della commissione Via (Valutazione Impatto Ambientale) e vice presidente della Commissione Tecnica Regionale all’Ambiente. Fior, conoscendo l’iter delle varie pratiche, riusciva a farsi nominare collaudatore delle opere, in alcuni casi dichiarando falsamente di non avere incompatibilità con l’incarico e, in altri casi, omettendo del tutto di richiedere l’autorizzazione all’incarico. Nelle indagini sono finite anche le modalità di nomina delle società che per legge dovevano fungere da terzi controllori indipendenti: le società sarebbero riconducibili a Fior attraverso una fiduciaria svizzera, gestita dal commercialista Gionata Sergio Molteni con sede a Mestre. La fiduciaria possedeva le quote di altre società coinvolte nel giro dei controllori e riconducibili ai soci del dirigente, cioè Maria Dei Svaldi e Sebastiano Strano. Le società potevano contare su modalità agevolate di assegnazione dei contratti di controllo, grazie alle “pressioni” di Fior alla Regione. Poi gli indagati portavano i soldi guadagnati illegalmente, in Svizzera. Per ora le Fiamme Gialle hanno recuperato quasi due milioni di euro a fronte degli svariati milioni di cui si sarebbe appropriato. I reati contestati sono: peculato, malversazione a danno dello Stato, abuso d’ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico. Anche quest’indagine ha evidenziato il coinvolgimento di personaggi già protagonisti dell’indagine sul Mose. Le società di Fior hanno ricevuto in affidamento diretto l’esecuzione dei lavori di telerilevamento delle discariche abusive presenti sul territorio di otto comuni del Garda, lavori finanziati con fondi regionali dell’Assessorato all’Ambiente (retto all’epoca da Giancarlo Conta prima e Renato Chisso poi) e assegnati al Magistrato alle Acque di Venezia per l’individuazione del soggetto esecutore. Il Magistrato alle Acque (ufficio retto all’epoca da Maria Giovanna Piva e, successivamente, da Patrizio Cuccioletta, entrambi indagati per abuso d’ufficio) ha affidato l’incarico direttamente al Consorzio Venezia Nuova (Mose), aggirando la normativa sugli appalti. Attraverso la complicità di un funzionario responsabile del Servizio Informativo del Consorzio Venezia Nuova, Roberto Rosselli (indagato per abuso d’ufficio), i lavori di telerilevamento per complessivi 2,5 milioni di euro sono stati assegnati alla società Marte srl riconducibile a Fior.

Carlo Mion

 

SE IL POTERE VA A RUFFIANI E SPRECONI

Non è l’ondata che tutti si aspettavano, ma una costola del sistema che ha governato – e che in larga parte governa – la cosiddetta Seconda Repubblica nel Veneto. Gli arresti che hanno sconvolto nuovamente gli uffici della Regione aggiungono sconforto alla rabbia che pervade la maggioranza dei cittadini. Il dirigente arrestato, da tempo trasferito ad altro ufficio, ha governato per 15 anni il sistema dei rifiuti: dalla commissione tecnica all’inceneritore di Ca’ del Bue a Verona. Nel suo curriculum vanta la partecipazione alla task force per l’emergenza rifiuti a Napoli e una consulenza con il ministero dell’Ambiente dell’Albania. Dopo questa nuova inchiesta giudiziaria, dalla quale affiora un diffuso sistema di barattieri, ruffiani e corruttori, la politica cercherà di circoscrivere l’episodio a una responsabilità individuale. Non è così e lo sappiamo tutti. La Regione del Veneto, dove lavorano centinaia di ottimi dipendenti pubblici, ha dimostrato negli ultimi dieci anni di appartenere più di quanto non voglia far apparire il suo presidente all’Italia ruffiana e sprecona. Negli ultimi anni sono stati arrestati il capo della Direzione per la Geologia e il Ciclo delle Acque, per lunghi anni «dominus» del sistema di governo delle attività di cave; poi il dirigente dell’Ufficio Bilancio per l’inchiesta sulla riscossione dei bolli auto; quattro mesi fa, insieme al dirigente della Legge speciale di Venezia e del Commissario per la riforma dei trasporti, sono finiti in carcere un assessore regionale della giunta Zaia e l’ex governatore Giancarlo Galan. Per non parlare delle inchieste giudiziarie che hanno azzerato i vertici o azzoppato la struttura dell’Agenzia per l’ambiente, dell’Ater di Venezia e dell’Istituto delle Ville Venete. E cosa dire dei manager della sanità regionale che costituivano società di consulenza privata nel campo della sanità, tuttora al loro posto. Pochi mesi dopo il suo insediamento, il governatore Luca Zaia scrisse due curiose lettere ai dipendenti: la prima «raccomandando vivamente» ai pubblici dipendenti di non incontrare «al di fuori delle sedi istituzionali» professionisti, consulenti o cittadini che avessero pratiche aperte con gli uffici regionali; la seconda invitando a stoppare sul nascere ogni interlocutore che si presentasse loro con un «mi manda il presidente». Evidentemente, qualcosa aveva intuito. Ma continuare a scrivere alla magistratura «per valutare se esistono ipotesi di reato» ogni qualvolta sente puzzo di bruciato non basta, è mancanza di coraggio. Un leader si assume la responsabilità, nel bene e nel male: e poiché gran parte dei protagonisti delle inchieste giudiziarie sono un’eredità del passato, Luca Zaia farebbe bene – anziché inseguire il sogno di un improbabile e comunque inconcludente referendum sull’indipendenza del Veneto – a dare un segnale di forte discontinuità con ciò è stata la Regione del Veneto. Sarebbe un messaggio rassicurante non solo per i molti dipendenti pubblici onesti, ma soprattutto per i cittadini del Veneto. Che senza scelte radicali hanno tutto il diritto di guardarsi attorno e vedere se c’è, altrove, un’offerta politica diversa. Le prossime elezioni regionali sono alle porte e la disperazione del centrodestra, che guarda a Zaia come il salvatore della patria, è sotto gli occhi di tutti. La campagna elettorale, piaccia oppure no, si svolgerà durante le udienze e i processi dei principali indagati dello scandalo Mose. E in campagna elettorale saranno in molti ad attribuire alla giunta Zaia una sostanziale «continuità» con il sistema precedente: nelle infrastrutture, nel sistema dei project financing, nelle scelte amministrative, persino nelle imprese prevalenti. Quel che sta succedendo nel Veneto è l’azzeramento di un sistema di potere durato vent’anni, cresciuto e prosperato anche sotto il naso delle Procure e degli investigatori e denunciato solo da pochi, isolati, rompiscatole. Adesso c’è bisogno che anche quel che resta della politica faccia pulizia: a destra come a sinistra, non immune da colpe. Zaia può essere il primo presidente di un nuovo Veneto o l’ultimo del vecchio e consociativo sistema. Agisca in profondità e mostri con i fatti la volontà di cacciare i corrotti e premiare gli onesti: non si può? Neanche la separazione del Veneto dall’Italia si può fare.

Daniele Ferrazza

 

Un anno fa Fior, chiacchieratissimo, fu sospeso per 6 mesi e allontanato dai cantieri

Il manager vigilato speciale al Balbi

VENEZIA – Un “vigilato speciale” a Palazzo Balbi, Fabio Fior. Per anni, in qualità di dirigente generale del dipartimento Tutela Ambiente – un ruolo chiave – ha fornito consulenze a pagamento sui medesimi progetti che era poi chiamato a valutare in veste istituzionale, agendo (secondo i giudici) come un «socio d’impresa occulto» sul versante degli appalti pubblici. Un conflitto d’interessi plateale e illegale, maturato in piena stagione galaniana, al punto che un anno fa – su segnalazione della Guardia di Finanza – la Regione avvia un procedimento disciplinare nei suoi confronti. L’addebito? «Aver svolto in oltre un quindicennio e in fasi diverse attività libero professionale a favore di società senza le opportune autorizzazioni da parte dell’Ente o di aver, in altri casi, esibito autorizzazioni irregolari». Questa la convinzione maturata dalla commissione ad hoc costituita dal governatore Luca Zaia per fare chiarezza sulla vicenda e composta, tra gli altri, dal segretario generale Tiziano Baggio e dall’Avvocato dello Stato Ezio Zanon. L’indagine interna si conclude con la sospensione per sei mesi dal servizio, senza stipendio, a partire dal primo ottobre 2013, dell’alto funzionario. Fior ricorre contro il provvedimento ma il giudice del lavoro respinge la sua istanza; nel maggio scorso, concluso il semestre punitivo, è reintegrato nell’organico con mansioni diverse: allontanato dai cantieri, è dirottato al Progetto integrato Fusina. Zaia e il suo staff, tuttavia, sono consapevoli della gravità dei fatti e, vista l’impossibilità di troncare il rapporto professionale con il manager, si rivolgono alla Corte dei Conti. Ai magistrati della sezione giurisdizionale, precisa una nota, viene così trasmessa «la documentazione per il recupero delle somme indebitamente percepite dal dirigente nell’attività sopra illustrata», ottenendo la restituzione di oltre 2 milioni. Non basta. La sensazione è quella di una cupola che da un decennio manovra appalti e affari, operando indisturbata nella presunzione di impunità. Una delibera d’urgenza prova a fare pulizia, ridefinendo i criteri di affidamento degli incarichi, ora limitati nel numero annuale, e stabilendo che l’ammontare complessivo dei compensi da attività extraufficio non può superare il 25% dello stipendio percepito dai dirigenti, ora sottoposti al controllo incrociato tra le dichiarazioni d’imposta modello 770 e le autorizzazioni rilasciate dall’amministrazione. Molti reagiscono rabbiosamente in un crescendo di proteste e lettere anonime al curaro. Ma il dado è ormai tratto.

Filippo Tosatto

 

Dalla Gea alla Green Project, decisivi i ruoli degli ex sindaci Fiocco e Giorio

Un affare da 5 milioni con l’aumento delle tariffe per lo smaltimento

La discarica dei veleni e la foresta mai piantata

SANT’URBANO – Doveva essere la «foresta del Veneto», è diventata una palude di fanghiglia giudiziaria. Nel pantano, in primis, ci sono finiti Dionisio Fiocco e Lucio Giorio, ex sindaci di Sant’Urbano e Piacenza d’Adige di area Pdl e Udc, accusati di peculato e abuso d’ufficio dalla Procura di Venezia. Fiocco e Giorgio, avrebbero serie responsabilità nel tracollo del progetto di forestazione della discarica di Sant’Urbano, iniziativa che avrebbe fatto finire illecitamente nelle casse della Green Project srl – società creata ad hoc e riconducibile a Fabio Fior – almeno 5 milioni di euro. FORESTA VENETA. Nel 2003 la giunta regionale ha previsto l’impiego di piantagioni forestali per l’assorbimento del biossido di carbonio nell’area. Tra gli interventi, quello di Sant’Urbano, che ospita la discarica tattica regionale di Balduina. Per finanziare la forestazione, la commissione tecnica regionale ambientale (Ctra) presieduta da Fior aveva stabilito di aumentare di 4 euro a tonnellata la tariffa per il conferimento dei rifiuti in discarica. Questa somma, sempre su autorizzazione di Fior, doveva essere versata dalla Gea srl – gestore della discarica – alla società Green Project. Questa realtà, vicina a Fior, aveva ottenuto l’appalto di forestazione senza alcuna gara o selezione pubblica. Il progetto aveva ottenuto anche l’appoggio della società Solaris (partecipata dai Comuni di Sant’Urbano e Piacenza d’Adige, da qui il coinvolgimento dei due ex sindaci), che si era impegnata ad individuare terreni di privati in cui destinare le piante. PROGETTO FASULLO. «Peccato che, nonostante i soldi incassati, la Green Project abbia piantato ben pochi alberi» commenta Augusto Sbicego, dal 2012 sindaco di Sant’Urbano «L’intervento più evidente è quello che si può vedere a sud della piscina, ma non siamo certamente di fronte ad una foresta». Secondo la Procura, gli alberi effettivamente piantati non sarebbero stati più di 2.280, per una spesa di 63.566,32 euro. «Green Project ha ricevuto somme ben più importanti» aggiunge ancora Sbicego, che a settembre 2012 è stato convocato dalla Regione per affrontare la questione.«La Regione ci ha chiesto di reintroitare i soldi delle tariffe, mai spesi per la forestazione comunale. Eravamo appena stati eletti e non sapevamo dove mettere le mani, anche perché i nostri dipendenti comunali ci spiegavano che ogni pratica di quel progetto passava per le mani dell’ex sindaco Dionisio Fiocco. Per questo, usciti dalla Regione, siamo andati a denunciare tutto alla Guardia di finanza di Venezia». Secondo i conti del Comune, Green Project aveva introitato prima del 2012 4 milioni di euro: «2 milioni di euro sono stati restituiti, altri 900 mila sono stati versati direttamente dalla Gea alla Regione e i rimanenti 1,7 milioni sono oggetto di ingiunzione al Comune: noi non sappiamo dove siano finiti e Green Project sostiene di averli spesi nel progetto di forestazione». MAXI RISARCIMENTO. Il Comune di Sant’Urbano è la principale vittima di questa vicenda: «Ci ritroviamo con una discarica che non ha la giusta compensazione ambientale, con tanti alberi promessi ma pochissimi piantati; con 1,7 milioni di euro da recuperare e, beffa su beffa, con una clamorosa richiesta di risarcimento da parte della Green Project», conclude allibito Sbicego. La società ora in liquidazione avrebbe accusato il Comune – reo di aver presentato l’esposto nel settembre 2012 – di essere la principale causa del tracollo: da qui la maxi richiesta di risarcimento di 520 milioni di euro. Cifra, questa, da bancarotta comunale. Ma l’inchiesta farà giustizia su tutto.

Nicola Cesaro

 

A sant’urbano infuria la polemica «Sono sereno, tutto in regola»

SANT’URBANO «Sono allibito: ho sempre agito nella massima trasparenza e nel pieno interesse del Comune». Dionisio Fiocco, dal 2002 sindaco per un decennio di Sant’Urbano, conferma massima trasparenza in ogni suo legame con il progetto di riforestazione della Green Project: «Abbiamo accettato un progetto a costo zero per il Comune che garantiva una compensazione ambientale di notevole importanza. L’adesione all’iniziativa è passata attraverso il consiglio comunale ed è stata vagliata dalle commissioni regionali». Fiocco ricorda come la stessa Regione abbia “sponsorizzato” questo progetto in fiere e convegni, persino in Cina ed in Austria. Continua l’ex sindaco: «Mi accusano di aver gestito personalmente la questione? Seguivo direttamente molte cose, non ci vedo nulla di male. In Comune sono depositati dal 2003 i documenti: è tutto in regola» . (n.c.)

 

Maria Dei Svaldi:«Fabio ha una barca di 18 metri e se questi parlano…» Sequestrati 469 mila euro sul conto corrente

«Ho paura, Fior andrà a finire in galera»

PADOVA «Devi ringraziare Dio se ce la caviamo, Fabio ha una barca di 18 metri, se questi parlano e lo sputtanano va a finire in galera». È preoccupata Maria Dei Svaldi, mentre a fine luglio 2013 parla con la mamma. Non sa che nella sua auto c’è una microspia che intercetta le telefonate: l’architetta veneziana, da ieri agli arresti con l’obbligo di dimora come l’imprenditore Sebastiano Strano, sapeva benissimo che Fabio Fior rischiava le manette. Lei pensava di uscirne indenne, invece è finita nella lista dei 20 indagati della nuova clamorosa inchiesta che ha messo a soqquadro il settore ambiente della Regione: a palazzo Balbi appena hanno capito gli intrallazzi di Fior lo hanno trasferito a Fusina. Ma era troppo tardi. L’ordinanza. Il gip Roberta Marchiori apre un filone nuovo, legato al business della ricomposizione ambientale delle aree utilizzate come discariche. E diventa un ciclone per i sindaci e gli ex assessori regionali all’Ambiente Renato Chisso e Giancarlo Conta, che dovranno rendere conto delle delibere con cui hanno approvato i progetti. Chisso, dal 4 giugno in carcere per lo scandalo delle tangenti del Mose, si trova ora nei guai anche per l’accordo di programma fra Regione, Magistrato alle acque e consorzio Venezia Nuova per il servizio di monitoraggio ambientale con il telerilevamento: una spesa da 1 milione e rotti di euro. I sequestri. Come per il Mose, sono partiti i sequestri preventivi dei conti correnti di quattro società: Eos Group, Green project, Eco Environment, Stc 2000 e di tutti i beni intestati a Fabio Fior sul cui conto corrente sono depositati 469.962,40 euro. L’impero Eos e il ruolo di Fior. Con il suo ruolo di dirigente in Regione, Fior ha fatto affidare a Zem Italia, Sicea, Nec ed Eos incarichi per il monitoraggio del trattamento dei rifiuti, la Eos Group, scrive il gip Roberta Marchiori nella sua ordinanza, «controlla» la metà degli impianti della provincia di Verona, tutti gli impianti del Rodigino, il 65% delle discariche del Veneziano e il 40% di quelle del Trevigiano». Un «dominio» che dura fino a quando Fabio Fior viene trasferito al settore Energia e allora iniziano le preoccupazioni, come emerge sempre da una telefonata di Maria Dei Saldi con un certo Federico: è stata cancellata la figura del terzo controllore e «gli amici che prima avevamo in Regione adesso non ci sono più. Fior ci dà una mano, Giuliano ci dà una mano», ma il vento è cambiato. I legami con il Mose. A chi poteva essere affidato se non al Consorzio Venezia Nuova il telerilevamento ambientale? Nessun dubbio quando nel 2003 Renato Chisso decide di affidare l’incarico al gruppo di imprese e professionisti del Mose: con due delibere si stanziano prima 509 mila euro e poi altri 581 mila per realizzare progettazioni sperimentali per la salvaguardia ambientale di Venezia e della laguna. Come non bastassero i 5 miliardi di euro stanziati dal Governo con il Cipe, a palazzo Balbi si trova il modo di dare un’altra manciata di soldi a Mazzacurati e a Baita, allora entrambi in cabina di regia. Il telerilevamento si allarga fino al lago di Garda ma ciò che contesta la magistratura è l’assenza di una gara per l’assegnazione del progetto su una somma così rilevante per poi scoprire che i protagionisti della vicenda sono Fabio Fior, allora uomo di fiducia di Chisso, e Roberto Rosselli, dirigente del Cvn. Nell’ordinanza ci cita l’interrogatorio di Piergiorgio Baita del 5 novembre 2013: «Il Cvn quando non opera in concessione e si avvale di terzi deve fare delle gare» e quindi con queste procedure si «è procurato un rilevante vantaggio patrimoniale al Cvn, alla Zem, alla Sicea, alla Stc 2000 e alla Eos e poi alla Nord est controlli». Reato contestato a Chisso? Abuso in atti d’ufficio. Stia sereno: questa volta non rischia il carcere.

Albino Salmaso

 

Le reazioni politiche

Conta si difende, Zaia plaude

Pd e M5S: «Regione corrotta»

VENEZIA – C’è chi si proclama innocente: «Sono assolutamente estraneo ai fatti, il mio operato come amministratore è sempre stato trasparente e rispettoso delle normative e delle procedure», fa sapere Giancarlo Conta, il capogruppo del Nuovo centrodestra indagato per abuso in atti d’ufficio «pertanto confido nell’operato della magistratura e diffido gli organi di informazione ad associare il mio nome e la mia persona a comportamenti non leciti», è la conclusione vagamente minacciosa dell’esponente alfaniano. E chi plaude a magistrati e Guardia di Finanza, come il governatore Luca Zaia, che spende parole garantiste – «I processi si celebrano nelle aule dei tribunali, ci auguriamo che le persone coinvolte nell’inchiesta riescano a chiarire la loro posizione nell’interesse loro e di tutti i veneti» – malcelando tuttavia la soddisfazione per il nuovo colpo inflitto al sistema ereditato da Giancarlo Galan, contro il quale ha avviato una personale battaglia di trasparenza. C’è l’opposizione, concorde nel definire il nuovo capitolo del malaffare la naturale conseguenza dell’illegalità che per anni ha spadroneggiato negli uffici direttivi della Regione, sollecitando perciò un cambio politico al timone del Veneto. «Ai cittadini che assistono sconcertati a questo susseguirsi d’indagini giudiziarie che vedono coinvolti amministratori e dirigenti della Regione, dico che la prossima primavera c’è l’occasione di voltare pagina. Dopo un ventennio di continuità del sistema di potere c’è la necessità di un cambio fisiologico, di una autentica rigenerazione», commenta Simonetta Rubinato, parlamentare del Pd e candidata alle primarie che designeranno lo sfidante di Zaia. «Questa classe politica ha dimostrato tutta la sua incapacità e in certi casi complicità a afronte di un’ illegalità diffusa, perciò va mandata a casa», rincara l’ex eurodeputato democratico Andrea Zanoni, che a Strasburgo si è battuto per una nuova legge in materia di conflitti d’interesse. «Finalmente è scoperchiato un sistema che il potere politico, con la complicità di tecnici, funzionari, manager e imprenditori, aveva finora difeso strenuamente dagli oppositori, spesso denigrando o minacciando con querele questi ultimi», afferma Gianfranco Bettin, il presidente dell’Osservatorio Ecomafie, che punta il dito contro Palazzo Balbi «spesso in combutta con cruciali livelli ministeriali romani». «Il castello sta crollando, portando alla luce tutto il marcio che nascondeva», chiude Mattia Fantinati, deputato del M5S, «questa nuova retata di politici e dirigenti scelti da quegli stessi politici, è la dimostrazione di come la Regione Veneto sia ormai un sistema collaudato di interessi personali che si concretizzano attraverso reati che portano il nome di concussione, peculato, abuso d’ufficio».

Filippo Tosatto

 

Il Tribunale dei ministri: Matteoli va processato perché ha favorito Erasmo Cinque che non ha eseguito alcuna opera

Con 25 mila euro guadagnò 48 milioni

VENEZIA – Un investimento di 25 mila euro che ha fruttato un utile di 48 milioni, «non eseguendo sostanzialmente alcun lavoro», «non avendo le potenzialità tecniche ed operative per eseguire i lavori» per la messa in sicurezza dei cantieri del Consorzio Venezia Nuova nelle opere di bonifica di Porto Marghera, finanziate dalle industrie con 600 milioni. È l’iperbolico colpo messo a segno dall’imprenditore romano Ernesto Cinque con la sua Socostramo, quando nel 2000 «per effetto di un’operazione societaria che non doveva essere particolarmente evidente agli altri soci entrava a far parte del Consorzio Venezia Nuova», «acquisendo la quota irrisoria dello 0,006583%», ma assicurandosi il diritto ad ottenere lavori «fuori quota» nelle opere assegnate del Consorzio. Un’operazione – se ne sono convinti anche i giudici del Tribunale dei ministri, accogliendo dopo quattro mesi di interrogatori, le tesi della Procura – patrocinata dall’ex ministro per l’Ambiente e le Infrastrutture Altero Matteoli, sodale di partito (An) e amico di Erasmo Cinque, al punto da imporne la presenza a Venezia all’ex presidente del Cvn Giovanni Mazzacurati, che l’accettò per non avere rogne sui finanziamenti al Consorzio (60 milioni, per le bonifiche) in quel dare-avere che intesse tutta l’inchiesta Tangenti Mose. È racchiuso in 193 pagine l’atto di accusa con il quale il Tribunale dei Ministri ha disposto di chiedere alla giunta per le autorizzazioni del Senato il via libera all’indagine per corruzione su l’ex ministro all’Ambiente Altero Matteoli. Perché Mazzacuati ha dichiarato in interrogatorio di aver consegnato 3-400 mila euro a Matteoli per le sue campagne elettorali: «Accuse surreali», la replica dell’ex ministro, che ha detto di essere il primo a volere l’indagine. «Fu Matteoli a dire di riprendere Socostramo quindi?», chiedono i giudici a Mazzacurati. «Sì, sì», risponde lui, «siamo andati colazione in un ristorante vicino a Palazzo Chigi, era la enoteca Capranica, c’era Cinque, Matteoli e io. E Matteoli mi disse che lui ci teneva molto che Cinque lavorasse. Il fatto è che Cinque non lavorava, quindi il problema era quello. Però dopo, quando ha introdotto Baita le robe sono andate a posto perché il lavoro lo faceva Baita e loro poi si mettevano d’accordo in altro modo». L’importante era che Cinque fosse della partita, per far piacere al ministro: è la tesi dell’accusa. Lo confermano Piergiorgio Baita (Mantovani), l’ex magistrato alle Acque in busta paga al Consorzio Patrizio Cuccioletta, l’ex direttore di Mantovani Buson, Pravatà (Consorzio), Claudia Minutillo (ex segretaria di Galan). Per i giudici «le indagini eseguite hanno dimostrato un asservimento alle politiche del Cvn da parte di Matteoli nella sua veste di ministro» e «forte del suo rapporto con Matteoli, l’imprenditore Erasmo Cinque decideva le sorti dei presidenti del Magistrato alle Acque di Venezia, prerogativa del ministro delle Infrastrutture». In più, per i giudici, Matteoli – per il tramite di Cinque – ha ricevuto danari di William Colombelli e Nicolò Buson, per alcune centinaia di migliaia di euro. «Erasmo Cinque le ha mai parlato del destinatario poi finale di queste somme?», chiedono i pm a Baita: «Certo…mi diceva che erano per Matteoli e per il partito di An ma abbiamo sempre avuto il dubbio che ci facesse la cresta».

Roberta De Rossi

 

I pm chiederanno processo immediato per Chisso e Galan

Sebastiano Strano, il braccio destro di Fior

La moglie: le colpe, vanno cercate altrove

SACCOLONGO. Ha accompagnato i finanzieri a prelevare dei documenti nella ditta e ha consegnato anche il computer che aveva in casa. Sebastiano Strano, 51 anni, nato a Battaglia, ma residente a Saccolongo con la famiglia, consulente ambientale, ha trascorso la mattinata a collaborare con le forze dell’ordine e nel pomeriggio ha incontrato il suo avvocato. Non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Dal 2008 Strano, stando alle indagini, sarebbe il presidente del cda della Eos Group, in cui è stata incorporata la Sicea, di cui era il legale rappresentante. È anche membro del cda della Green project, fondata nel 2005 insieme a Maria Dei Svaldi e Gennaro Visciano, coinvolti nell’inchiesta. Anche lui quindi è indagato per induzione indebita a dare o promettere utilità in concorso: gli si contesta di essere il braccio operativo di Fabio Fior, avendogli consentito di strumentalizzare le società a lui formalmente riferibili per le sue finalità illecite. Insieme a Fior e a Roberto Rosselli avrebbe realizzato un progetto di monitoraggio del territorio regionale con telerilevamento, affidando gli incarichi alle società Sicea e Eos di cui faceva parte. «Ci auguriamo si risolva tutto in fretta» dichiara la moglie di Strano «e che il provvedimento dell’obbligo di dimora sia una misura cautelare finalizzata esclusivamente all’acquisizione della documentazione societaria. Mio marito nella società ha ruoli marginali: se ci sono delle responsabilità, credo siano ad altri livelli».

cristina salvato

 

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