Gazzettino – La “cricca” delle bonifiche
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30
ott
2014
LA RETE – Un sistema in grado di condizionare le bonifiche, da Grado e Marano a Porto Marghera. Al vertice il direttore generale del ministero dell’Ambiente: 26 gli indagati.
L’INCHIESTA – Partite da Udine, le indagini sono state poi portate avanti dalla Procura di Roma. Coinvolti il Consorzio Venezia Nuova e due ex assessori friulani.
PORDENONE – Dieci indagati al Cellina Meduna
Consorzio bonifica, appalti sotto la lente della Procura
IL CASO Indagini tra Roma e Udine. Sotto inchiesta Mazzacurati, due ex assessori friulani, il vertice dell’Ambiente
Da Grado a Porto Marghera, le mani su un business miliardario: 26 indagati, coinvolti ministero e Cvn
IL PROBLEMA «Con la fine del Mose, il Consorzio doveva trovare qualcosa da fare»
L’INTERROGATORIO Il manager da imputato a “gola profonda”
Baita: «Tangenti? Non è escluso Mascazzini veniva accontentato»
VENEZIA – L’inchiesta romana è nata dall’inchiesta udinese. E su questo secondo fascicolo, aperto più di due anni fa dal pm Viviana Del Tedesco, avevano messo gli occhi anche gli uomini del Consorzio Venezia Nuova, che avrebbero voluto saperne di più, soprattutto dopo che l’ingegnere Giovanni Mazzacurati era stato indagato nel 2012. Adesso si capisce perchè il sistema del CVN era interessato a carpire notizie su quell’inchiesta scottante, al punto da pagare lautamente alcuni personaggi che si erano spacciati per un magistrato degli uffici giudiziari di Udine, lo “zio Otto”. Infatti i Pm di Venezia hanno contestato il millantato credito ad alcuni faccendieri finiti in carcere.
L’inchiesta friulana sulla bonifica di Grado e Marano rischiava di saldarsi con quella aperta a Venezia per il Mose, scoprendo una convergenza di interessi. Adesso si capisce perché. Ne ha parlato Piergiorgio Baita in un interrogatorio dello scorso giugno con i Pm di Roma. «Il Consorzio Venezia Nuova ha un problema, che col Mose finisce. Quindi ha bisogno di qualcosaltro per continuare… il problema è: chi lo esportava? Cioè, di chi era il copyright del modello Marghera? Mascazzini era convinto che fosse un suo copyright e che quindi potesse organizzare, scegliere i soggetti. Thetis era convinto della stessa cosa ma a Porto Marghera c’era un concessionario individuato che poteva operare senza gara… la gara hanno provato a evitarla in tutti i modi, non sono riusciti in nessun Sin».
È il sistema delle transazioni ambientali, lavori di risanamento per centinaia di milioni di euro. Mazzacurati ha pagato Mascazzini per i soldi delle bonifiche che il Consorzio riceveva? «No, non ha corrisposto somme improprie, ha sempre corrisposto alle indicazioni di affidamento di incarichi probabilmente al dottor Mascazzini… sostanzialmente le attività tecniche allo Studio Altieri, le attività di sicurezza alla società Hmr e il monitoraggio delle attività lagunari all’Icram… Io tante volte parlo di Consorzio e Thetis perchè c’è un’assoluta identità di comportamenti». Perchè si accettavano i diktat di Mascazzini? «Uno che ha portato al Consorzio un miliardo di lavori aggiuntivi potenziali credo che qualche debito di riconoscenza ce l’abbia senza esercitare ulteriori pressioni».
Al Pm che insisteva su possibili tangenti, Baita ha risposto: «Io non ne sono a conoscenza. Non posso escluderlo… dico che sicuramente Mascazzini veniva accontentato nelle sue indicazioni». (G.P)
VENEZIA «Così i fondi andavano al Consorzio»
Il pm lo chiama il “sistema Venezia” ed è una delle parti più esplosive dell’inchiesta romana.
Perché si collega direttamente al Consorzio Venezia Nuova di Giovanni Mazzacurati (con una decisiva testimonianza di Piergiorgio Baita) e perchè mette il dito su un colossale giro di denaro, oltre 500 milioni di euro pagate da aziende per le “transazioni ambientali” in laguna. Il sospetto parla di una vera e propria concussione, un metodo per far pagare soldi ai privati, soldi poi finiti al ministero e di lì al Consorzio, minacciando ispezioni e denunce.
La “transazione ambientale” è un accordo economico con il ministero che vede il proprietario di un terreno liberato dall’onere delle bonifiche su aree inquinate. Secondo l’inchiesta romana, molti privati vennero costretti ad aderire ai pagamenti a seguito delle minacce subite da Gianfranco Mascazzini, che altrimenti avrebbe sguinzagliato i suoi ispettori e avviato azioni legali, vincolando quei terreni per anni, anche perché non avrebbe mai approvato i piani di risanamento (meno costosi) che avrebbero presentato. In questo capitolo spunta anche l’avvocato dello Stato Gianpaolo Schiesaro, nominato consulente dal Ministero, che è riuscito a far incamerare centinaia di milioni di euro.
In totale le transazioni a Venezia furono 43, per un totale di 535 milioni di euro. In apparenza un sistema virtuoso, secondo il Pm romano solo un mezzo per far incamerare denaro, poi girato al CVN, senza che i terreni venissero per davvero risanati, ove ve ne fosse la necessità.
A scoperchiare per primo il pentolone è stato come testimone, l’allora sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. L’8 maggio scorso è stato interrogato dagli inquirenti. Orsoni ha spiegato di aver dato ordine di non effettuare transazioni per i terreni comunali, ritenendo che «tali proposte potessero costituire un abuso… una pura dazione di denaro che affluiva alle casse del Ministero dell’Ambiente fatta eccezione per la quota destinata al marginamento della laguna».
Molti proprietari di terreni invece pagarono. La società Intermodale versò 4 milioni di euro nel dicembre 2005, Fincantieri 6 milioni nel 2008, Vega Parco Scientifico 2 milioni 492 mila nel 2010. San Marco Petroli 3 milioni gennaio 2011. Queste le cifre nel capo d’accusa. Il Pm romano è lapidario: «L’affare transazioni ambientali ha rappresentato una fonte di primaria importanza per consolidare il potere di Mascazzini che, come riferito da una serie di imprenditori veneziani, attraverso minacce di controlli di polizia e da parte di enti ministeriali (Ispra e Apat), nonchè di denunce varie all’autorità giudiziaria, induceva le società inserite in area Sin a versare cospicue somme di denaro…». Queste somme «venivano poi girate attraverso il Magistrato alle Acque di Venezia al Consorzio Venezia Nuova e da questo alle società Thetis e Studio Altieri, individuate e imposte da Mascazzini, quali commesse per attività progettuali, e all’Icram, per alimentare e sostenere i soggetti inseriti in tale struttura».
I controlli del Ministero? «Uno strumento di pressione». Gli attori? Alcuni funzionari ministeriali «la cui “mission” era quella di individuare ad ogni costo “i punti deboli” delle società interessate affinché li si potesse utilizzare per indurle a non opporre resistenza alle richieste del Ministero».
Qualche esempio. Mascazzini, al telefono con l’avvocato Schiesaro, che raffigura la trattativa con Montefibre: «Ci devono dare i soldi fino all’ultimo centesimo, se no stanno ad aspettare e non venderanno mai, mai, non incasseranno mai i 500 milioni che devono insaccare… aspetteranno 16 mesi… tu dici Mascazzini vuole tutti i soldi, l’uno sull’altro». Schiesaro replica: «Ma io non posso dire una cosa del genere». Mascazzini: «Io non cambio una virgola, non voglio un centesimo di meno, non firmerò mai, mai!». Schiesaro: «L’ho capito, ma io devo trovare un modo intelligente per non firmare».
Secondo il Pm è un vero e proprio sistema. Mascazzini si consiglia anche con l’ingegnere Guido Zanovello dello Studio Altieri. E il Pm annota: «Mascazzini dice che ha un problema di motivare la richiesta che fa ai privati… Bisogna ragionare e inventare qualcosa per non permettere ai privati di rifiutarsi di transare. Dal momento che la Fincantieri non sembra disposta a transare, la cifra richiesta dal Ministero si aggira sui 20 milioni di euro, ecco che partono le ispezioni».
Un collaboratore di Mascazzini cerca «la trippa» per possibili contestazioni. E il direttore generale: «Vedi, vale 20 milioni questa cosetta qui della trippa… quello è il gustoso, bravissimi, forza ragazzi… valete 20 milioni». Mascazzini esemplifica: «Se uno transa con noi e ci presenta il progetto di bonifica, poi può andare in Comune contemporaneamente, noi glielo approviamo direttamente, può andare in Comune con il decreto e si fa dare la concessione edilizia».
Secondo il Pm interessano i soldi, non l’inquinamento: «A nessuno degli interlocutori importa accertare se i terreni sono inquinati, né tantomeno bonificare. Anzi, l’importante è fare le transazioni prima che si scopra se il danno ambientale c’è davvero». Mascazzini dice al telefono a Zanovello: «Ti faccio fare da Schiesaro la carta con tutti i lotti per i quali si fa questo mestiere… i lotto bianchi… quelli che non hanno ancora pagatoooo!!». Zanovello: «Perchè questo signore poichè vuole costruire è nella condizione di transare». Mascazzini: «Alla perfezione… come vedi apriamo un meccanismo forse nuovo… arcaico… non di cartolarizzazione sofisticata, qualcuno trasferisce il debito». Zanovello: «…diciamo uno scambio in natura…». Mascazzini: «… è la cartolarizzazione degli etruschi».
Conclude il Pm riferito a Mascazzini e ai suoi ispettori: «Agiscono con la spregiudicatezza di consumati malfatttori, concentrando la loro attività su un solo bersaglio: prendere quanti più soldi possibile dalle transazioni».
Giuseppe Pietrobelli
La “cricca” delle bonifiche da Grado a Marghera
Inchiesta su un business miliardario: finanziamenti per interventi mai effettuati
Ventisei indagati, tra i quali vertici del ministero ed ex assessori. Coinvolto il Cvn
La “cricca” delle bonifiche stava al Ministero, secondo i Pm, dell’Ambiente. Per anni ha agito drenando denaro pubblico. Ha inventato bonifiche – a partire da quella della laguna di Grado e Marano – per orchestrare i finanziamenti. Ha gestito una rete clientelare di assunzioni e affari nel territorio, a cominciare dalla laguna di Venezia. Ha costruito un sistema di potere che da Roma si diramava in tutta Italia, in particolare nei 57 Siti di interesse nazionale. Ha lucrato sulle “transazioni ambientali” a Porto Marghera (500 milioni di euro), con vessazioni ministeriali nei confronti di imprenditori, tali da configurare una vera e propria concussione. Ha costruito un meccanismo che era collegato in Veneto al Consorzio Venezia Nuova (i soldi delle transazioni tornavano al CVN) e al suo ex presidente Giovanni Mazzacurati, nel resto del paese a Sogesid, società costituita dal Ministero.
Due anni dopo, l’inchiesta avviata a Udine dal pm Viviana Del Tedesco, riemerge a Roma sotto forma di un corposissimo invito a rendere interrogatorio notificato ieri ad almeno 26 persone. Tutte indagate, a diverso titolo, per una serie di reati che la dicono lunga su quale sia lo spreco di risorse da parte dei ministeri, sotto la regìa delle direzioni generali. È un pozzo senza fondo l’indagine coordinata dal sostituto Alberto Galanti e condotta da carabinieri e Guardia di finanza. All’inizio dell’anno il procuratore Pignatone aveva chiesto gli atti dell’inchiesta friulana, meritevole di aver scoperto l’asserito bluff della bonifica della laguna di Grado e Marano. Dopo aver acquisito alcuni rapporti di polizia giudiziaria e interrogato decine di testimoni, ora i risultati sono condensati in un atto di un centinaio di pagine. È il romanzo delle bonifiche, delle clientele politiche e dei trucchi messi in atto da strutture tecniche ministeriali.
GLI INDAGATI – Il deus ex machina viene individuato in Gianfranco Mascazzini, direttore generale del Ministero fino al 2009, poi consulente Sogesid e presidente del Comitato tecnico-scientifico della Bonifica friulana. Ci sono poi i vertici di Sogesid, società operativa del Ministero, il presidente Vincenzo Assenza, l’amministratore delegato Fausto Melli e il commissario Franco Pasquino. Troviamo anche i tre commissari della bonifica a Marano (dal 2002 al 2012), gli ex assessori regionali friulani Paolo Ciani e Gianfranco Moretton, nonchè il professore Gianni Menchini. Sono indagati anche dirigenti e ricercatori di Icram (ora Ispra) che si occupava di ricerca scientifica applicata al mare. Un capitolo importante è occupato dai vertici del Consorzio Venezia Nuova e Thetis, ovvero Giovanni Mazzacurati e Maria Teresa Brotto (già indagati per lo scandalo Mose), nonchè il dirigente di Thetis Andrea Barbanti. Nel capitolo veneziano è coinvolto anche Giampaolo Schiesaro, avvocato dello Stato e consulente del Ministero per le transazioni ambientali. Tra gli imprenditori spicca il padovano Guido Zanovello, dello Studio Altieri di Thiene.
LA “RETE” – I reati vanno dall’associazione per delinquere (in parte prescritta) alla truffa, dalla tentata corruzione all’abuso d’ufficio e alla concussione. Il reato associativo si riferisce a un presunto accordo (coinvolti tra gli altri Mascazzini e Mazzacurati) per creare da una parte la bonifica “fantasma” di Grado e Marano, basata su dati scientifici (inquinamento da mercurio industriale) mai verificati, dall’altra per fare pressioni su imprenditori di Porto Marghera, così da ottenere “transazioni ambientali” per milioni di euro, altrimenti le aree non sarebbero state svincolate. La truffa riguarda, invece, il denaro che per undici anni ha finanziato la struttura del commissario delegato all’emergenza di Grado e Marano.
UN FIUME DI DENARO – L’accusa sostiene che la bonifica friulana era in gran parte inventata, perché l’inquinamento riguardava solo l’area industriale Caffaro, ma il Sin era stato esteso a 4mila ettari di terra e 1600 ettari di laguna. Non fu bonificato nulla, ma ci si limitò a studi e dragaggio dei canali, con spese esorbitanti. In questo modo all’epoca di Ciani vengono addebitati 25 milioni di euro (in cinque anni), a quella di Moretton 26 milioni (in due), a quello di Menchini 29 milioni di euro (nel 2009). Nella rete dei sospetti anche funzionari che hanno beneficiato di stipendi e tecnici che avrebbero avvalorato un’emergenza ambientale che non c’era.
PROGETTO FARAONICO – Il Sin friulano era una gallina dalle uova d’oro. Secondo il Pm, Mascazzini d’accordo con Menchini avrebbe tentato di imporre un piano di risanamento della laguna da 230 milioni di euro, assolutamente ingiustificato e insostenibile, anche a detta del Tar. Ma si trovò a sbarrargli la strada il commissario giudiziale della Caffaro, l’avvocato veneziano Marco Cappelletto, che non si piegò alle pressioni ministeriali, preoccupato com’era di salvaguardare l’occupazione e il futuro dell’azienda di Torviscosa. Per questo un’ipotesi di tentata corruzione a carico di Mascazzini. Secondo il Pm quel progetto serviva solo a finanziare il lavoro di Sogesid (la società ricevette 2 milioni 200 mila euro) e di due società venete di progettazione, Thetis del Consorzio Venezia Nuova e Studio Altieri di Thiene (pagate con un milione 297 mila euro).
ASSUNZIONI E POTERE – La rete costruita da Mascazzini sarebbe stata molto sofisticata, sia quando dirigeva una sezione del ministero, sia quando andò in pensione. Otteneva – secondo il Pm – assunzioni di personale, rispondendo anche a sollecitazioni politiche. Incamerava soldi per Sogesid, vero braccio operativo delle bonifiche, che poi subappaltava (ad Altieri e Thetis). «Sogesid è un vero e proprio “carrozzone”, in cui vengono assunti i soggetti graditi a Mascazzini, che a sua volta si fa interprete anche dei superiori voleri di alcuni politici di riferimento».
TRANSAZIONI & CONCUSSIONI – Un capitolo inedito ed esplosivo è quello delle transazioni ambientali a Porto Marghera sottoscritte alcuni anni fa. Secondo l’accusa, con la complicità del Consorzio Venezia Nuova, Mascazzini costringeva (minacciando denunce, ispezioni, azioni legali) «numerosi imprenditori i cui immobili insistevano all’interno del sito di interesse nazionale di Porto Marghera, ad aderire alle transazioni (la cui stipula è una libera scelta del proprietario dell’area da bonificare) per effetto della stipula delle quali venivano versate ingenti somme al Ministero dell’ambiente che a sua volta le riversava al Consorzio Venezia Nuova per alimentare la struttura». Per effetto degli accordi lautamente pagati, «l’obbligo di bonifica si trasferiva sul Ministero dell’ambiente che sistematicamente non vi provvedeva, così determinando un perdurare del danno ambientale ivi esistente». Alle aziende venivano prospettati inquinamenti che in realtà non erano accertati. Così pagavano, anche per poter avere la libertà di valorizzare i terreni.
LE ACCUSE – Associazione per delinquere abuso d’ufficio e concussione
LA RETE – Pressioni sulle imprese per incassare milioni di euro
A ROMA – Al centro del sistema di potere il direttore generale dell’Ambiente
Coinvolto anche l’avvocato dello Stato Schiesaro
L’EX SINDACO – Orsoni si oppose alle richieste di Roma: «Quelle proposte erano un abuso»
IL DIRETTORE «Vale 20 milioni questa cosetta qui della “trippa”, quello è il gustoso…»
LE CARTE – La ricostruzione del pm «Minacce per costringere le aziende a pagare»
LE PRESSIONI «Ci devono dare fino all’ultimo centesimo, o non venderanno mai»
Al centro le “transazioni ambientali” per Marghera e le pretese del ministero per bonificare aree inquinate
«Così si consolidava il potere di Mascazzini»
«Con il sistema Venezia milioni girati al Consorzio»
PREOCCUPATO «Tutto ciò comporterà un ritardo nei lavori e nella conclusione dell’opera»
IL PRESIDENTE «Avevamo messo in conto questa possibilità. Faremo ciò che chiede il Governo»
IL FUTURO – Fabris: «Non so cosa potrà accadere»
E adesso che succede? Mauro Fabris, presidente del Consorzio Venezia Nuova ammette: «Non ne ho la più pallida idea – dice – Di certo seguiremo quello che ci dirà il Governo. Di più non possiamo fare. Attendiamo». Una matassa non da poco, comunque, soprattutto per tutte le questioni amministrative, procedurali e burocratiche legate all’atto messo a segno dall’Autorità nazionale anticorruzione. Una situazione che si va sviluppando di ora in ora, anche nell’attesa dei passi che dovrà, o potrà compiere il prefetto di Roma di fronte alla richiesta dell’Anac. «Al momento non ho risposte da dare – avverte ancora Fabris – Esiste il nodo dei finanziamenti e su questi vedremo quello che accadrà. Dobbiamo conoscere i tempi dell’iter stabilito dal commissariamento e allo stesso tempo capire in quale direzione si pone l’Autorità anticorruzione». Insomma, prima di tutto c’è da digerire la “scoppola” giunta da Roma. Poi si vedrà. «Vogliamo solo che si faccia presto, che non si perda tempo prezioso per la conclusione delle opere alle bocche di porto».
L’INCHIESTA – Parlano le vittime della “cricca”
Bonifiche, le imprese: «Costrette a pagare»
Ora gli imprenditori parlano e accusano la “cricca” delle bonifiche di Porto Marghera: «Costretti a pagare altrimenti ci saremmo trovati di fronte ad un muro invalicabile di burocrazia». Tra gli accusatori eccellenti dei funzionari dell’Ambiente ci sono Vega e Fincantieri. Le richieste, secondo le testimonianze, sarebbero state di due milioni e mezzo e sei milioni. L’ex sindaco Giorgio Orsoni aveva vietato al Comune le transazioni imposte dal Ministero, ritenendole un abuso.
BONIFICHE D’ORO – I risvolti veneziani delle indagini partite dalla laguna di Marano
Nei verbali le accuse ai rappresentanti del Ministero dell’Ambiente «Minacciavano di bloccarci le concessioni edilizie se ci opponevamo»
Le imprese di Marghera «Costrette a pagare in cambio dei permessi»
Gli imprenditori presi per il collo. Se non accettavano le transazioni ambientali a Porto Marghera proposte dal Ministero dell’Ambiente, si sarebbero trovati di fronte a un muro invalicabile di burocrazia. E non avrebbero mai potuto svincolare i terreni, anche se non c’era la prova di inquinamento. Ecco i verbali che accusano.
IL VEGA – Giuseppe Rizzi, amministratore delegato di Vega Parco Scientifico, ha spiegato che sulle aree “Ex Ceneri” e “Ex Agip”, erano state fatte le bonifiche, approvate dalla Provincia di Venezia. C’era solo qualche valore eccedente. Era in corso la trattativa per vendere il comparto Vega2. Ma una condizione essenziale era la liberatoria da oneri e vincoli ambientali. «L’inquinamento era presunto e tutto da dimostrare – ha detto Rizzi – l’orientamento era di resistere alla richiesta di 8 milioni di euro del Ministero». Poi l’incontro con Mascazzini e Schiesaro, avvocato dello Stato. «La richiesta fu quantificata in circa 2 milioni 200 mila euro. L’atttegiamento del dott. Mascazzini era piuttosto aggressivo e fondato sulla minaccia di annullare e contestare gli esiti delle certificazioni in nostro possesso che attestavano l’avvenuta bonifica. (…) Ci faceva presente che tutte le concessioni edilizie non sarebbero mai state concesse in caso di mancata adesione alla proposta transattiva, un atteggiamento chiaramente concussorio. Noi ci trovavamo in una posizione di debolezza in quanto avevamo la spada di Damocle dell’avvenuta vendita di parte dell’area». Saputo il prezzo che era in ballo, Mascazzini aveva poi aumentato la richiesta a 3 milioni e mezzo. Quando cedettero, pagando quasi 2 milioni e mezzo, il progetto di risanamento fu subito approvato. Rizzi ha spiegato: «Non abbiamo mai avuto la libertà di poter scegliere la strada da noi ritenuta più idonea. Ci è stato detto chiaramente che mai e poi mai ci sarebbero state rilasdciate le concessioni edilizie e Mascazzini si è spinto a minacciare di inviare controlli da parte dei carabinieri del Noe e denunce penali». I lavori successivi di bonifica? «I marginamenti, non del tutto completati, furono eseguiti dal Consorzio Venezia Nuova anche se materilamente sono stati realizzati dal Gruppo Mantovani, presieduto dal dott. Baita».
FINCANTIERI – Anche la Fincantieri fu vessata. Così sostiene l’ex responsabile dell’ufficio legale, Paolo Luigi Maschio. Fu firmato un accordo di programma pari a 6 milioni di euro. Eppure l’analisi delle acque di falda non aveva evidenziato criticità. La società, infatti, non voleva aderire ad alcuna transazione. Maschio ha messo a verbale: «Il dott. Mascazzini, con il suo tono aggressivo, contestò, senza una ragione valida l’esito dlele analisi, affermando che comunque noi inquinavamo ugualmente. La richiesta iniziale fu di 12-13 milioni di euro a titolo transattivo. Era evidente che la somma appariva esosa. Il dott. Mascazzini, adirato, ci minacciava di denunce penali per non so quali violazioni. Minacciava di procedere lui stesso a dlele caratterizzazioni che avrebbero dimostrato la nostra colpevolezza». Ma perchè tanta insistenza? «La nostra impressione è che Mascazzini attraverso tali transazioni volesse raccogliere soldi per poi essere lui stesso il “dominus” influenzando la scelta del Magistrato alle Acque edel suo concessionario, il Consorzio Venezi Nuova che aveva l’esclusiva di progettazione e lavori. Il tutto secondo il noto meccanismo veneziano di cui il Mascazzini era parte integrante». Ci fu anche un incontro all’Avvocatura dello Stato di Venezia: «Era presente anche l’avv. Schiesaro. Rifiutammo per l’ennesima volta di transare per la somma richiesta e di firmare l’accordo di programma. Le minacce ci sono state reiterate e la riunione si è conclusa. Alle minacce sono seguiti i fatti. Abbiamo subito dei controlli finalizzati proprio a campionare le nostre acque di scolo». Tra i collaboratori di Mascazzini c’erano anche alcuni ex ufficiali dei carabinieri del Noe. Conclusione: «Alla fine abbiamo dovuto sottometterci».
SAN MARCO PETROLI – Pierpaolo Perale è amministratore delegato della San Marco Petroli. «Fin da subito mi si è cercato di imporre una transazione ambientale fondata su una presunta responsabilità ambientale che la società. Tale impoisizione era accompagnata da palesi minacce di denunce per non ben precisati motivi, nonchè di controlli». Pagarono 3 milioni di euro. «È stato chiaro subito che la transazione era la sola strada… le conferenze di servizi si concludevano inesorabilmente con rinvii e prescrizioni nuove da parte del dott. Mascazzini. Quando minacciato si è avverato: abbiamo avuto un controllo da parte di alcuni funzionari ministeriali, uno si era qualificato quale ufficiale o ex ufficiale del Noe. L’atteggiamento vessatorio del Ministero era palese. Anche quel controllo ne era la dimostrazione».
SOCIETÀ INTERMODALE – Il quarto caso è quello della società Intermodale Marghera. L’amministratore delegato Marco Salmini ha raccontato che tutto iniziò da una citazione per danni. Poi pagarono 4 milioni di euro. «Avevamo presentato un progetto, ma non era ancora stato portato alla conferenza dei servizi. L’accordo transattivo era facoltativo, ma la spada di Damocle dell’ipoteca ci ha spinto all’accordo. Il nostro timore era quello di svalorizzare l’area. La transazione ci liberava da ogni responsabilità presente e futura con riferimento alle acque di falda». Il Ministero bonificò dopo il pagamento? «Ad oggi, a parte i marginamenti, anche quelli parziali, nessun intervento di messa in sicurezza è stato effettuato».
Giuseppe Pietrobelli
L’ACCUSA «Agivano con la spregiudicatezza di consumati malfattori»
IL “NO” DELL’EX SINDACO – Il Comune si rifiutò di stipulare le transazioni imposte dal Ministero
VELENI CON IL CONSORZIO – Dagli atti un’ulteriore conferma dei rapporti con l’ex presidente
Orsoni, il grande accusatore
L’avvocato Grasso: «Anche in questo caso Giorgio si era messo di traverso a Mazzacurati»
Quelle transazioni ambientali imposte dal Ministero, all’allora sindaco di Venezia Giorgio Orsoni erano sembrate un «abuso», tanto da vietarne la stipula da parte del Comune. Considerazioni che Orsoni, convocato in Procura a Udine, come testimone, aveva messo a verbale l’8 maggio scorso, meno di un mese prima di essere arrestato nell’inchiesta veneziana sul sistema Mose. Insomma, l’ex sindaco che a Venezia dovrà difendersi dall’imputazione di finanziamento illecito, chiamato in causa da Giovanni Mazzacurati, in questa nuova inchiesta si ritrova tra i testimoni dell’accusa per una vicenda che coinvolge anche l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova. Una circostanza che farà discutere. E il primo commento arriva dal difensore di Orsoni, l’avvocato Daniele Grasso: «Orsoni, anche in questo caso, si era messo di traverso a Mazzacurati. Quando è stato interrogato dopo l’arresto, aveva detto di non essersi meravigliato delle accuse che gli muoveva Mazzacurati, perché lo conosceva come un tipo vendicativo. Alludeva a fatti come questo. L’allora sindaco aveva osteggiato in modo determinato questi meccanismi deviati di gestione dei Siti di interesse nazionale, forte anche delle sua esperienza professionale. E sono convinto che più si andrà avanti, più emergeranno nuove chiavi di lettura di tutta questa vicenda».
Agli inquirenti udinesi Orsoni aveva riferito di una sorta di imposizione da parte del Ministero, attraverso Mascazzini. «Posso dire che a fronte di questi accordi transattivi non vi erano obblighi di bonifica che il Ministero pretendesse – aveva fatto mettere a verbale l’allora sindaco -, anzi le proposte del Ministero avevano proprio la funzione di superare tutti gli ostacoli che il Ministero avrebbe potuto porre per la bonifica e che derivavano dal vincolo del Sin, gli unici obblighi che venivano recepiti erano quelli del marginamento…». Orsoni aveva aggiunto anche ulteriori dettagli, a conferma di questo meccanismo di sblocco delle concessioni edilizie nelle aree Sin, solo dopo il versamento del denaro, indipendentemente dalle bonifiche. «Il Ministero aveva preventivamente acquisito dal Comune tutte le richieste di concessioni edilizie relative alle aree appartenenti al Sin – aveva proseguito Orsoni -. In questo modo il Ministero aveva la possibilità di sapere chi aveva l’interesse di ottenerle. In questo modo raggiungeva i destinatari con delle proposte…». L’ex sindaco aveva poi riferito di aver vietato la stipula di transazioni di questo tipo fin dall’inizio del suo mandato. Ciononostante Vega, società controllata dal Comune, l’aveva siglata lo stesso, proprio perché il terreno in questione era oggetto di un preliminare di compravendita che non si sarebbe potuto perfezionare se non fosse stata stipulata la transazione. Agli inquirenti l’allora sindaco aveva ribadito di aver vietato lo stipula di queste transazione proprio in considerazioni che «tali proposte potessero costituire un abuso… una pura dazione di denaro che affluiva alle casse del Ministero dell’ambiente, fatta eccezione per la quota destinata al marginamento della laguna».
(r. br.)
GLI INDAGATI VENEZIANI – Con Mazzacurati, Baita, Brotto e Barbanti è uno dei big finiti nell’inchiesta
«Schiesaro, il consigliere della cricca»
Per la Procura l’Avvocato dello Stato aveva un ruolo di «mente giuridica»
Un paio di ritorni. E due nuovi ingressi. I “veneziani” coinvolti in questa nuova inchiesta che scoperchia l’affare bonifiche, sono quattro: da un lato, Giovanni Mazzacurati e Maria Teresa Brotto, chiamati in causa rispettivamente come ex presidente del Consorzio Venezia Nuova e di Thetis, il primo, ex amministratore delegato di Thetis, la seconda; dall’altro, Andrea Barbanti, che di Thetis è stato responsabile della divisione ingegneria dell’ambiente, e Giampaolo Schiesaro, già avvocato dello Stato a Venezia. E il nome che più sorprende, forse, è proprio quest’ultimo, conosciutissimo in città per aver essere stato tra le parti civile nel processo per le morti al Petrolchimico. A fianco dell’allora pubblico ministero Felice Casson, si era battuto per ottenere maxi risarcimenti.
Il coinvolgimento di Mazzacurati in questa vicenda non è una novità. Il “padre” del Consorzio Venezia Nuova – arrestato nel 2013, che con le sue successive confessioni ha contribuito all’inchiesta veneziana sul sistema Mose – stavolta è accusato, con il direttore generale del Ministero dell’ambiente Mascazzini & compagni, di associazione a delinquere finalizzata al falso e alla truffa ai danni dello stato per le vicende legate alle lagune di Grado e Marano, ma anche alla concussione per le pressioni fatte a vari imprenditori di Marghera perché sottoscrivessero le cosiddette transazioni ambientali. Nella prima vicenda, legata al Sito di interesse nazionale friulano, é coinvolta anche l’ingner Brotto. L’ex ad di Thetis, arrestata a giugno per lo scandalo Mose, solo due settimane aveva patteggiato 2 anni e 600mila euro per uscire di scena da quell’inchiesta. Ma ora si apre questo nuovo fronte giudiziario. Secondo gli inquirenti udinesi e romani, Mascazzini e il suo gruppo aveva messo in piedi un sistema volto a «ingigantire le emergenze ambientali» per tenere in piedi l’apparato e dare lavoro ai gruppi amici. Con questo sistema anche Thetis aveva lavorato, insieme ad altre società, alla bonifica dell’area ex Caffaro, mentre attraverso il Magistrato alle acque aveva partecipato alla realizzazione delle casse di colmata di Lignano Sabbiadoro. Stesso fine anche dietro alle transazioni ambientali imposte dal Ministero alle società di Porto Marghera per incassare soldi che poi venivano riversati al Consorzio Venezia Nuova. In questo caso l’accusa è di concussione e, oltre a Mazzacurati, sono coinvolti Barbanti, attuale socio amministratore della società InTea srl di Venezia, e Schiesaro. Nella ricostruzione dei magistrati, il «regista incontrastato dell’operazione» resta Mascazzini, ma anche Schiesaro ha un ruolo importante, di «mente giuridica», che emerge dalle intercettazioni in cui immagina vari sistemi per costringere le aziende a pagare. Barbanti, invece, è uno degli «addetti a trovare assolutamente qualche appiglio per poter sostenere che, pur essendo estranee all’inquinamento, le aziende da costringere a transare erano sporche». E tutti «agiscono con la spregiudicatezza di consumati malfattori – scrive la Procura – concentrando la loro attività su un solo bersaglio: prendere quanti più soldi possibile dalle transazioni».
L’ACCUSA «Le procedure si prestavano ad interpretazioni e arbitri»
IL MINISTERO «Voleva “estendere” l’area dei siti inquinati»
Quattro anni di inchieste contro la corruzione
Quattro anni all’insegna della lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione. La Procura di Venezia ha iniziato nel 2011, con gli arresti chiesti e ottenuti dal pm Stefano Ancilotto per le tangenti pagate a due funzionari della Provincia di Venezia da parte di numerosi imprenditori impegnati in lavori su scuole e uffici. Un anno più tardi, è il gip Antonio Liguori, sempre su richiesta del pm Ancilotot, ad imporre i domiciliari per corruzione all’ex amministratore della Venezia-Padova, Lino Brentan, in relazione a presunte “mazzette” pretese da varie aziende per poter entrare nel giro degli appalti autostradali. Il primo vero colpo grosso viene messo a segno dagli investigatori il 28 febbraio del 2013: il pm Ancilotto, chiede e ottiene l’arresto di Piergiorgio Baita, l’amministratore delegato della Mantovani spa, una delle principali imprese di costruzioni italiane e di altre persone, tra cui Claudia Minutillo, ex segretaria del presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan: per tutti l’accusa è di false fatture milionarie. È la chiave di volta per arrivare a scoprire il “sistema Mose”, basato sulla creazione di fondi neri milionari per corrompere politici, amministratori e controllori. Nel luglio del 2013, su richiesta del pm Paola Tonini, finisce ai domiciliari l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, che subito inizia a collaborare, così come avevano fatto già Baita e Minutillo. Si arriva così ai 34 arresti del 4 giugno del 2014, con il coinvolgimento di Giancarlo Galan e dell’ex assessore alle Infrastrutture, Renato Chisso che, lo scorso 16 ottobre, hanno patteggiato la pena per corruzione, assieme ad altri 18 imputati.
L’EX ASSESSORE «Ecco perchè non volevano la presenza del Comune»
Bettin: «Le truffe ambientali, la parte più infame del Mose»
«Le truffe sulle bonifiche dei siti inquinati sono la parte più infame dello scandalo Mose. Il troncone di inchiesta che parte dalla Laguna di Grado e Marano ma che incrocia anche quelli nostrani sul Mose e sulle bonifiche di Porto Marghera lo conferma». Gianfranco Bettin, assessore all’ambiente dell’ultima amministrazione comunale di Venezia, è uno dei nomi storici della lotta all’inquinamento e al malaffare a Porto Marghera. Cosa ci racconta questa nuova inchiesta che si sviluppa tra Roma, il ministero dell’Ambiente, il Friuli Venezia Giulia, e Venezia? «Ci racconta che, se le indagini dicono il vero, uno dei covi del sistema corrotto e vorace è a Roma, in alcuni Ministeri, in quello dell’Ambiente in particolare, e che le vie per fare affari illeciti sono a volte opposte. A Grado si dichiara una falsa emergenza ambientale o la si fa molto più grande di quello che è, per ottenere risorse e mantenere un apparato. A Marghera si lucra su una vera emergenza, come dimostra tra l’altro l’inchiesta che coinvolge l’ex ministro di Alleanza Nazionale e Pdl Altero Matteoli, dove ci si sarebbe addirittura appropriati delle risorse ottenute con le transazioni delle aziende per i guasti ambientali e per i danni alla salute. Il tutto grazie a meccanismi insieme kafkiani e autoritari.» Ad esempio? «Ad esempio, che le procedure per le bonifiche fossero così labirintiche e vischiose serviva ad assicurare il massimo arbitrio a politici e dirigenti, soprattutto romani. E che non volessero ai tavoli decisori le rappresentanze del Comune, dell’impresa e dei sindacati del territorio serviva a tenere lontani occhi indiscreti, oltre che i veri conoscitori della realtà ambientale e produttiva locale.» Ma qualche innovazione siete riusciti a introdurla in questi anni, no? «Si, ma solo parziale. Abbiamo semplificato le procedure, con un grande lavoro soprattutto del Comune e d’intesa con la Regione. Al contrario che a Grado, dove volevano ampliarlo, qui abbiamo ridotto il S.I.N. (Sito di Interesse Nazionale) alla parte più gravemente inquinata, tra l’altro restituendo aree preziose alla pesca. Ma ci siamo trovati davanti un muro quando abbiamo proposto di semplificare ancor più le procedure. E poi il punto vero in discussione era la partecipazione degli Enti locali. Noi volevamo che i procedimenti fossero incardinati a Venezia e non a Roma. L’ex sindaco Orsoni si è scontrato frontalmente proprio su questo punto. Ed ha contrastato duramente il Consorzio Venezia Nuova.» Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, ha avviato la procedura di commissariamento del Consorzio Venezia Nuova. «E’ sacrosanto! Tagliare la testa del drago che ha avvelenato e stretto nelle sue spire economia e politica tra Venezia e Roma è un passo necessario per far pulizia e cambiare davvero». (Il Gazzettino ha cercato anche l’avv. Giampaolo Schiesaro, che ha buttato giù il telefono, mentre il sen. Felice Casson, impegnato in Parlamento, non aveva ancora avuto il tempo di leggere i giornali.)
Maurizio Dianese
PORTO MARGHERA – Si discute in Senato l’autorizzazione a procedere
Tangenti per le bonifiche all’ex ministro Matteoli
La prima inchiesta ad arrivare a conclusione su presunti illeciti nelle attività di bonifica di Porto Marghera è quella che riguarda l’ex ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli, tra i fondatori di Alleanza nazionale, attuale senatore di Forza Italia. Alla fine di settembre il Tribunale dei ministri di Venezia ha terminato gli accertamenti chiedendo alla Procura di trasmettere gli atti al Senato al fine di ottenere l’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteoli e delle altre persone indagate assieme a lui per il reato di corruzione. Il Tribunale dei ministri si è convinto, infatti, che furono pagate mazzette in cambio dell’assegnazione dei lavori di bonifica di Porto Marghera: «É dimostrato un asservimento alle politiche del Consorzio Venezia Nuova del politico Altero Matteoli nella sua veste non solo di ministro dell’Ambiente, ma anche di ministro delle Infrattruture», su legge nel provvedimento conclusivo dei giudici veneziani, sulla base del quale la Giunta della autorizzazioni a procedere ha già incardinato il caso, lasciando dieci giorni di tempo agli indagati per depositare memorie difensive.
La vicenda è piuttosto complessa e ruota attorno ai 271 milioni di euro che, nel 2001, Montedison si impegnò a versare al ministero dell’Ambiente, a conclusione di una transazione, per contribuire alle bonifiche necessarie a Porto Marghera, dopo anni di inquinamento industriale. Matteoli affidò i lavori direttamente al Consorzio Venezia Nuova, senza passare per alcuna gara pubblica: in cambio di questo “regalo”, l’allora ministro avrebbe ricevuto da Mazzacurati e Baita somme di denaro (rispettivamente di 400mila e 150 mila euro), ma anche e soprattutto l’affidamento di opere alla società Socostramo, dell’amico imprenditore Erasmo Cinque. Con un investimento di soli 25mila euro (necessari per acquisire lo 0,006 del Cvn) la Socostramo avrebbe beneficiato di un utile complessivo, al lordo delle imposte, di 48 milioni di euro.