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La nostra è la prima regione italiana per fatturato del mercato illegale dei rifiuti speciali. LegAmbiente: «Livello di omertà di tipo mafioso»

MESTRE – Il succo è: facciamo tutti gli scongiuri. Perché se la Procura di Venezia dimostrerà in tribunale i suoi sospetti vorrà dire che negli ultimi 15 anni in Veneto la gestione dei rifiuti, e in particolare dei rifiuti industriali, è stata affidata a una cricca di poche persone che ha governato tutto per il proprio interesse economico: dalla commissione per la valutazione impatto ambientale (Via) a quella tecnica ambiente, fino ai controllori “indipendenti”, cioè quegli organismi che certificano che tutto vada bene.

Il risultato è che il Veneto è la seconda regione italiana per produzione di rifiuti speciali industriali, ne produce 14 milioni di tonnellate all’anno, ed è la prima in Italia per fatturato del mercato illegale dei rifiuti speciali: 149 milioni di euro ogni anno.

In pratica quindi il Veneto è la regione che ingrassa di più i criminali che avvelenano acqua, terra e aria con rifiuti illegali.

Il rapporto di LegAmbiente Veneto e dell’Osservatorio ambiente e legalità di Venezia fa accapponare la pelle. Più della Campania, in campo ambientale la nostra terra è stata abbandonata alla totale assenza di regole e controlli dall’unico ente che avrebbe dovuto sovrintendere: la Regione. Infatti mentre nelle altri regioni italiane vengono accertati più reati (Campania 953 nel 2013, Puglia 469, Calabria 452), nel Veneto, nonostante qui gli ecocriminali facciano più affari, i reati accertati nel 2013 sono stati solo 271.

«Noi siamo esportatori di rifiuti ed esportatori di ecocriminalità», spiega Gianni Belloni, esperto dell’Osservatorio ambiente e legalità, «stiamo assistendo all’aumento dei pestaggi, incendi e intimidazioni nell’ambiente del riciclo e, purtroppo, anche nei confronti degli investigatori impegnati a tenere a freno i criminali».

«I più comuni trucchi», continua Belloni, «sono tre: i rifiuti pericolosi vengono smaltiti mescolandoli a terra, talvolta venendo poi rivenduti come fertilizzanti, con un impatto devastante sugli alimenti. Oppure i rifiuti pericolosi entrano negli stabilimenti per la loro inertizzazione e ne escono tali e quali ma con un’altra bolla e un’altra classificazione molto meno pericolosa. Infine spesso si trasportano materiali molto complessi e pericolosi che sono trattati solo per l’1 per cento di molte tonnellate. Poi tutto viene sepolto sotto strade e fondazioni, il cosiddetto “materiale di sovvallo”, anche se è tutto smaltimento illegale di rifiuti pericolosi».

Amara l’analisi di Gigi Lazzaro, presidente di LegAmbiente Veneto: «Ricordo che finora nessuno ha ancora pagato per i disastri ambientali che ha fatto a fine di lucro. Questo perché nel nostro codice manca ancora il reato di “disastro ambientale” di cui si parla da anni ma che nessuno ha ancora visto. Senza questo articolo penale si continuerà a non poter perseguire chi ci avvelena. L’assurdo è che se domani si scoprisse un’industria o uno smaltitore che avvelena il suolo, ai cittadini resterebbero i veleni, agli enti pubblici resterebbero i costi della bonifica e agli avvelenatori i soldi che si sono intascati. Nessuno ad ora può essere chiamato a ripagare. E questo senza che le Regioni e il Veneto in particolare abbiano mai alzato la voce».

«Oramai nel Veneto in tema di ecocriminalità, cioè di avvelenamento dell’ambiente in cui viviamo», conclude amaro Lazzaro, «c’è un livello di omertà che non ha nulla di differente da quelli che chiamiamo mafiosi».

Ugo Dinello

 

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