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SCANDALO MOSE: IL GIP DECIDE SU CHISSO

Spaziante, sì della Procura. Patteggerà quattro anni

MILANO La Procura di Milano ha dato parere favorevole alla richiesta dell’ex generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante, arrestato lo scorso giugno per corruzione e imputato nel filone d’indagine milanese sul caso Mose, di patteggiare una pena di 4 anni di reclusione. Lo scorso 2 ottobre, infatti, Spaziante ha depositato in Procura un’istanza di patteggiamento e nei giorni scorsi i pm Luigi Orsi e Roberto Pellicano, coordinati dal procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, hanno dato l’ok alla richiesta dell’ex generale delle Fiamme Gialle, che si trova in carcere a Santa Maria Capua Vetere. Ora sull’istanza dovrà esprimersi il gip in un’udienza ancora da fissare. Il giudice dovrà decidere se ratificare o meno il patteggiamento di Spaziante e anche quello a 2 anni e 6 mesi concordato con i pm, a fine settembre, dall’ex ad di Palladio Finanziaria Roberto Meneguzzo. Nessuna proposta, invece, è arrivata da Marco Milanese, l’ex «braccio destro» di Giulio Tremonti, il quale invece, ritenendosi estraneo ai fatti contestati, ha deciso di affrontare il dibattimento che si aprirà davanti alla quarta sezione penale del Tribunale di Milano il prossimo 4 novembre. Al centro di questa tranche di indagine, trasmessa per competenza territoriale da Venezia a Milano, ci sono due episodi di corruzione. Nel primo, secondo l’accusa, Milanese sarebbe stato il destinatario di una mazzetta da 500mila euro che il Consorzio Venezia Nuova, allora presieduto da Giovanni Mazzacurati, gli avrebbe fatto avere attraverso Meneguzzo. Lo scopo della dazione era di far sì che nelle decisioni del Cipe entrasse la voce «Mose» per avere nuovi stanziamenti pubblici. Il secondo episodio contestato ha al centro un’altra presunta tangente da 500 mila euro, contro una promessa di 2,5 milioni, che sarebbe stata versata sempre da Mazzacurati e sempre tramite Meneguzzo, per corrompere Spaziante in merito a verifiche fiscali. Quanto a Renato Chisso, l’ex assessore regionale in carcere dal 4 giugno scorso, i difensori attendono per oggi la decisione del Gip sulla scarcerazione: il giudice ha esaminato la perizia del collegio composto da un medico legale, un cardiologo e un perito forense, che hanno visitato nei giorni scorsi Chisso nel carcere di Pisa. Il loro parere è determinante nella decisione del giudice Roberta Marchiori, chiamata ad esprimersi rispetto alla richiesta di scarcerazione per motivi di salute. Il termine di carcerazione preventiva per l’ex assessore, altrimenti, scadrà solo ai primi di dicembre. Sull’inchiesta si scatena anche la polemica politica: la democratica Alessandra Moretti, sempre più vicina alla decisione di correre come governatore, pizzica il governatore Zaia che gongola per i sondaggi che lo danno in netto vantaggio: «Centro destra in Veneto avanti di dieci punti? Certamente sulle inchieste!» recita in un tweet.

 

L’accordo accusa-difesa su Galan ha aperto la via alla trattativa sull’ex assessore “tentato” anche l’ex braccio destro di Mazzacurati, ancora agli arresti domiciliari

L’onda dei patteggiamenti: dopo Chisso, in pista Sutto

VENEZIA – Sono arrivate ieri sul tavolo del giudice veneziano Roberta Marchiori le conclusioni cui sono giunti i suoi tre periti, un medico legale, un cardiologo e uno psichiatra forense, sul conto dell’ex assessore regionale Renato Chisso e, di conseguenza, la sua decisione sulla richiesta del difensore, l’avvocato Antonio Forza, sarà presa e resa nota nei prossimi giorni. Non è escluso, comunque, che la trattativa avviata venerdì tra il difensore dell’esponente di Forza Italia e il procuratore aggiunto Carlo Nordio per trovare l’accordo sulla pena da patteggiare possa concludersi prima che il giudice decida se il carcere è compatibile o meno con le condizioni di salute di Chisso. La conseguenza, quindi, sarebbe, come è accaduto per Giancarlo Galan, che anche lui potrebbe velocemente uscire dal carcere di Pisa e tornare nella sua casa di Mestre o essere ricoverato in un ospedale, comunque agli arresti domiciliari. L’accordo raggiunto tra i pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini da una parte e gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini per conto di Galan (due anni e 10 mesi e due milioni e 600 mila euro) potrebbe dare il via anche ad altri patteggiamenti oltre a quello di Chisso. C’è un altro indagato che potrebbe cercare l’accordo con l’accusa, è il braccio destro di Giovanni Mazzacurati al Consorzio Venezia Nuova, Federico Sutto, che si trova agli arresti domiciliari. Grande amico di Chisso e come lui per anni nel partito socialista di Gianni De Michelis – è stato anche sindaco di Zero Branco – prima di passare al movimento fondato da Silvio Berlusconi, è accusato di aver consegnato a destra e a manca numerose bustarelle per conto dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, ma nel suo interrogatorio – stando ai pubblici ministeri – avrebbe riferito soltanto una parte di ciò che sa e che ha combinato, evitando soprattutto di parlare di Chisso. L’accordo su Galan, che esclude qualsiasi ammissione di colpa come hanno più volte sottolineato i suoi difensori, potrebbe a questo punto aprire la strada anche al patteggiamento di Sutto. Se così fosse, i pubblici ministeri veneziani non avrebbero più nessuno per cui chiedere il rito immediato, ma dovrebbero limitarsi a depositare le carte dell’inchiesta per quella decina di indagati, tra cui l’ex sindaco Giorgio Orsoni e l’ex europarlamentare Lia Sartori, prima della richiesta di rinvio a giudizio.

Giorgio Cecchetti

 

La Corte dei Conti pronta a chiedere i danni erariali

C’ è anche la Corte dei Conti pronta a battere cassa da Giancarlo Galan, chiamato a staccare un assegno da 2,6 milioni di euro (che portrebbero diventare quasi 4 con le aliquote fiscali evase). L’ex ministro della Cultura rischia di dover risarcire anche il danno erariale procurato alla cosa pubblica: quello più rilevante riguarda i danni all’immagine della Regione e della città di Venezia, finite entrambe nella polvere con l’inchiesta sul Mose. I grandi sponsor non vogliono più affiancare il loro nome ai grandi simboli culturali, in primis La Fenice: l’orchestra del gran teatro si trova a corto di risorse anche perché le «maison» internazionali hanno dirottato altrove le risorsem dopo l’ennesimo scandalo in laguna. Il procuratore regionale della Corte dei Conti, Carmine Scarano, aveva già avviato la procedura per i danni erariali qualche mese fa e a fine settembre, al termine dell’udienza che ha approvato il bilancio della Regione, è tornato sulla vicenda: la Corte dei conti ha avviato la procedura per calcolare il danno all’immagine: che sia «immenso» non c’è dubbio, ora si tratta di quantificarlo.

 

«Pellegrinaggio» dei curiosi a villa Rodella

Villa Rodella alla pari di un’attrazione turistica. Il fenomeno si era già manifestato nelle settimane dell’arresto, ma da giovedì – giorno del rientro a casa dell’ex governatore – salta notevolmente agli occhi: non si contano le automobili che passano per via Dietromonte per curiosare dentro la proprietà di Giancarlo Galan, ai domiciliari nella sua villa Rodella di Cinto Euganeo. La tenuta sui Colli dell’ex Doge è diventata quasi meta di «pellegrinaggio»: le auto attraversano la via, che dal centro di Lozzo Atestino taglia per Cinto Euganeo e Rivadolmo, rallentano in prossimità del primo cancello della villa, si fermano davanti al corpo centrale del rustico e provano a buttare l’occhio nella speranza di vedere l’ex ministro. Che, perlomeno negli orari di piena luce, non si rivela e non esce in giardino, quasi sicuramente proprio per evitare gli sguardi dei curiosi. Mai, lungo questa strada secondaria, si era vista così tanta gente passare. Pare invece interrotta la processione di ciclisti infuriati, che davanti alle telecamere di giornalisti e tv sia giovedì che venerdì, tra una pedalata e l’altra, avevano gridato pesanti invettive all’ex governatore veneto.

(n.c.)

 

L’ex segretaria dell’allora governatore dal 1995 al 2000: «Ecco come gli imprenditori pagavano»

«L’omo grando» e le bustarelle

VENEZIA – Per cinque anni, dal 1995 al 2000, è stata al fianco di Giancarlo Galan a Palazzo Balbi, era a capo della sua segreteria e ne ha viste tante, poi l’hanno isolata e trasferita perché aveva lanciato l’allarme, riferendo allo stesso presidente della giunta regionale che alcuni imprenditori raccontavano di aver pagato tangenti a lui e ai suoi uomini, e perché si era rifiutata di ricevere e consegnare una busta che conteneva denaro. Ha fatto causa di lavoro alla Regione per demansionamento e ha scritto un libro nel 2008, «L’omo grando», in cui denunciava la corruzione. Fanny Lardjane, allora tra l’altro impegnata in politica (era presidente del Consiglio di quartiere del Lido per Forza Italia), ha cambiato lavoro e città e accetta di rispondere alle domande. Ha più risentito Galan prima o dopo il suo arresto? «Prima del suo arresto no, non ne volevo nemmeno sentire parlare. Poi gli ho scritto la prima lettera e lui mi ha risposto dal carcere. Se lei già sa probabilmente dagli inquirenti che ci siamo scritti non posso negare, comunque i contenuti delle lettere riguardano soltanto lui e me». Che pensa di quegli imprenditori che hanno negato di aver finanziato le sue campagne elettorali dopo che lui aveva rivelato i loro nomi? «Sono rimasta disgustata, so di certo di alcuni di loro, perché proprio loro me lo hanno riferito in confidenza, che hanno pagato. Uno ad esempio, un imprenditore trevigiano si era lamentato con me perché doveva consegnare 400 milioni di lire all’anno. C’era qualcun altro che chiedeva di inserire in Regione questo o quello, tra l’altro è accaduto anche con un giornalista». E con Chisso è rimasta in contatto? «All’epoca era un amico e l’ultima volta che ci siamo sentiti è stato poco dopo l’arresto di Claudia Minutillo e della notizia che stava parlando. Lui era molto preoccupato in quei giorni ed evidentemente ne aveva le sue ragioni. Io da subito gli avevo consigliato di dimettersi da assessore non tanto perché sapessi che aveva intascato tangenti, questo non posso proprio dirlo, ma per la sua responsabilità politica nell’intera vicenda. Lui, però, non mi ha ascoltato». Hanno mai cercato di avvicinarla, di contattarla, dopo che era stata trasferita e isolata? «Nel giugno 2000 mi hanno messo in condizioni di non lavorare più in Regione, non avevo più un ufficio, una scrivania e nel dicembre dello stesso anno, mi ricordo, un imprenditore di Chioggia mi ha dato appuntamento all’hotel Sofitel e mi ha spiegato che gli avevano detto di offrirmi 500 milioni di lire, allora c’erano ancora quelle, perché io tacessi, io l’ho anche raccontato ad un magistrato che mi ha sentito e lui ha interrogato quell’imprenditore, che naturalmente ha negato». Ma che pensa dell’inchiesta della Procura veneziana? «Finalmente, era ora. Comunque Galan non deve diventare il capro espiatorio perché se un politico ruba e incassa tangenti non riesce a farlo senza il sostegno e l’omertà dell’apparato amministrativo. Comunque, credo che questo sistema continuerà anche dopo l’inchiesta su Galan e il Mose di Venezia».

Giorgio Cecchetti

 

IL FASCICOLO DEL TRIBUNALE DEI MINISTRI

Fanta-progetto milionario nelle carte contro Matteoli

VENEZIA «Thetis, su incarico del Consorzio (Venezia Nuova) paga questi 7 milioni e mezzo, pensando che poi i lavori sarebbero scaturiti dopo questo progetto. Progetto che, essendo carta colorata, non si è mai tradotto in lavori». Così Piergiorgio Baita, ex presidente Mantovani: riservano sempre nuove sorprese sui mille rivoli del sistema Tangenti Mose le migliaia di pagine di interrogatori dell’inchiesta. L’ultima perla – milioni per un progetto di “carta colorata” – si legge nelle 200 pagine che il Tribunale dei Ministri e la Procura di Venezia hanno inviato in Parlamento, per chiedere l’autorizzazione indagare sull’ex ministro Altero Matteoli – che respinge con forza ogni addebito – accusato di aver intascato tangenti dal Consorzio Venezia Nuova in cambio di fondi e di aver fatto pressioni per far lavorare alcune imprese, che in realtà hanno solo fatto cassa. Come quella del suo sodale di An Erasmo Cinque (48 milioni nella partita bonifiche Porto Marghera per la sua azienda, senza di fatto alcun cantiere è l’accusa) e la Teseco. Tra bisticci e ripicche. Racconta Baita: «Poi Matteoli non è più ministro dell’Ambiente, ma delle lnfrastrutture e deve aver litigato con Erasmo Cinque, perché presenta un altro signore, un certo Gualtiero Masini (….) che si propone di fare un progetto – che a proposito di cartiere (fabbriche di fatture false, ndr) è veramente un capolavoro! – di impianto di lavaggio terra a Marghera: un progetto, un fascicolo colorato, incarico che dà a Thetis, del valore di circa 8 milioni di euro». Che Thetis – società con soci Actv e poi nomi dell’inchiesta: Adria infrastrutture, Condotte, Mantovani, Mazzacurati, Coveco, Cvn – paga. Ma non se ne fa nulla. Conferma anche l’ex ad, poi assessore comunale, Antonio Paruzzolo: «Nel maggio 2002, Mazzacurati mi riferì che era stato deliberato l’avvio di un progetto di bonifica di terre inquinate nel quale Thetis avrebbe avuto un ruolo importante. Thetis fu invitata da Mazzacurati a mettersi in contatto con Gualtiero Masini della Teseco per elaborare il programma relativo a tale progetto (… omissis…) Il 2 luglio del 2002 mi arrivò una telefonata di Mazzacurati: mi riferì che l’intero progetto era già stato concordato con le istituzioni preposte, tra cui Magistrato alle Acque e ministero dell’Ambiente e doveva assolutamente procedere nei modi in cui era stato stabilito, cosa che io assolutamente non condividevo. In pratica, mi impose di non far eseguire il progetto alla Thetis ma di passarlo in toto alla Teseco (…). Percepii che Mazzacurati era in forte difficoltà e non avrebbe potuto agire diversamente in quanto fu l ‘unica circostanza in cui mi “impose” qualcosa contro la mia volontà. Accettai forse anche perché emotivamente provato dal un lutto». Storia di 7 milioni di “carta colorata”.

Roberta De Rossi

 

De Menech e la Moretti contro il governatore della Lega: «È stato il vice di Galan dal 2005 al 2008»

Il Pd: crolla il centrodestra di Zaia

VENEZIA «Stiamo assistendo al crollo del sistema di potere del centrodestra. Mi pare difficile che Zaia possa chiamarsi fuori, almeno politicamente ha delle responsabilità». Lo sostiene il segretario veneto del Pd, Roger De Menech, che torna a infuocare la polemica, dopo la clamorosa decisione dell’onorevole Giancarlo Galan (Forza Italia) di scendere a patti con la giustizia. Zaia ha sempre affermato che la Lega è l’unico partito estraneo completamente all’inchiesta e ma il Pd va all’attacco. «L’ex presidente della giunta regionale Galan che patteggia 2 anni e 10 mesi e deve restituire oltre 2,6 milioni di euro allo Stato, un assessore in carcere, un consigliere di maggioranza indagato, diversi tra i massimi dirigenti regionali indagati per reati gravissimi, i responsabili delle imprese che hanno vinto tutti i grandi appalti regionali in carcere, agli arresti domiciliari o indagati. Se questo è il lascito della giunta Zaia è meglio voltare pagina velocemente. Da 20 anni il centrodestra è a capo della Regione» aggiunge Roger De Menech, «ma Zaia finge di essere all’oscuro di quanto è accaduto. Eppure è stato il vice di Galan dal 2005 al 2008, Zaia ha nominato l’assessore Chisso nel 2010 e ha lavorato al suo fianco ogni giorno per oltre quattro anni. Non intendo dare giudizi, quelli spettano ai giudici. Però dico che ci sono responsabilità politiche a cui il presidente di una delle più importanti regioni italiane non può e non deve sottrarsi» continua il deputato e segretaruio regionale del Pd. «Perché da qualsiasi parte la si guardi, questa vicenda fa acqua: o Zaia ha perpetrato il sistema di potere costruito da Galan, oppure non è stato capace di cogliere i segnali deboli che pure arrivavano. Le indagini su molti uffici regionali si susseguono infatti da anni e sono state segnate da arresti eccellenti. Cosa è stato fatto per prevenire corruzione, malversazione, peculato e abuso di ufficio, i principali reati contestati agli indagati? A leggere le cronache giudiziarie sembra davvero molto poco e di questo i cittadini veneti chiedono e chiederanno conto», conclude De Menech. Nei giorni scorsi per commentare l’ultima inchiesta su politica e malaffare in Veneto che ha coinvolto anche Fabio Fior, un funzionario della Regione, e i due ex assessori Chisso e Conta, aveva preso posizione con un tweet anche l’eurodeputata Pd Alessandra Moretti: «Valanga di inchieste alla Regione Veneto. Zaia risponda: non vede, non sente, non parla. Ma lo sa di essere Governatore?» scrive nel suo teewt la Moretti, della segreteria del Pd, indicata come la candidata più autorevole nella sfida del 2015 al governatore della Lega.

(r.r.)

 

Gazzettino – Mose, la Procura punta sulle confische

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12

ott

2014

VENEZIA La strategia dei magistrati che conducono l’inchiesta più scottante degli ultimi vent’anni

Mose, la Procura punta sulle confische

Più che le pene detentive, ai Pm interessano i 12 milioni che gli indagati sborseranno

È la confisca dei patrimoni personali, ancor più del carcere, la sanzione che preoccupa chi finisce sotto inchiesta. Accade nelle inchieste per droga, così come in quella per corruzione o reati fiscali. Gli inquirenti se ne stanno rendendo conto ogni giorno di più e, di conseguenza, l’azione di costrasto agli illeciti si concentra in maniera crescente – grazie ai nuovi strumenti normativi a disposizione – sul fronte economico-finanziario con risultati apprezzabili, come dimostrano i 12 milioni di euro che saranno complessivamente confiscati a tutti gli indagati che hanno chiesto di patteggiare nell’inchiesta sul “sistema Mose”.
Contro l’ex presidente della Regione, Giancarlo Galan e gli altri co-indagati, i pm Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini hanno applicato la disciplina del sequestro (e confisca) per equivalente, che prevede di poter sottrarre somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente ai cosiddetti prezzo, prodotto e profitto del reato, con l’obiettivo di impedire che l’impiego economico dei beni di provenienza delittuosa possa consentire al colpevole di garantirsi il vantaggio che era oggetto specifico del disegno criminoso. Il sequestro per equivalente può essere applicato, tra gli altri, per reati di corruzione, usura, truffa aggravata, ma anche nel caso di reati tributari. E perfino nei confronti delle società a patto che i beni siano direttamente riconducibili al profitto del reato.
L’altro strumento normativi utilizzato sempre più di frequente è quello delle misure di prevenzione (anche patrimoniali) che, grazie al decreto 159 del 2011, possono essere applicate anche al di fuori delle indagini di mafia. In sostanza i magistrati possono chiedere e ottenere il sequestro, e la successiva confisca, dei beni il cui valore risulti sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta dalla persona sotto inchiesta, oppure quando, «sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego».
La sola Procura di Venezia nel 2014 ha attivato ben 24 procedure di questo tipo, alcune delle quali si sono già concluse con provvedimenti di confisca, come nel caso dei titolari di una società finita sotto accusa per traffico di rifiuti. Il magistrato delegato ad occuparsi delle misure di prevenzione in laguna è il sostituto procuratore Walter Ignazitto, che ha acquisito una grande esperienza sul campo a Messina, in Sicilia, dove si è occupato a lungo di procedimenti di mafia.
I provvedimenti di prevenzione patrimoniale possono essere assunti a prescindere dall’esistenza di una condanna penale: il tribunale può disporre «la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza… nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego», recita la norma. È sufficiente dimostrare che il valore di quei beni è sproprozionato al proprio reddito: non è difficile capire perché i criminali iniziano a preoccuparsi.

 

GALAN IN GALERA, NON IN VILLA

E’ uno scandalo che Galan e compagni se la cavino con patteggiamenti che li terranno al sicuro nelle loro ville a godere di ciò che hanno rubato al Popolo italiano. Meriterebbero pene da bande organizzate quali erano. Minimo 12 anni di galera e sequestro di tutti i beni.

Alberto Zennaro – Rovigo

 

TANGENTI ITALIA FONDATA SULLA CORRUZIONE

Come possiamo combattere e contrastare la mafia, la camorra, la n’drangheta, la sacra corona unita e altre cosche e comitati d’affari sporchi quando quasi tutto il sistema politico è corrotto e praticante la tangente e la cooptazione? Gli ultimi fatti successi in Veneto ne sono la prova lampante. Partono tutti puri e incendiari a parole e finiscono pompieri corrotti, e qualcuno pure in galera. Nel sud quando uno chiede qualcosa alle cosche di solito viene esaudito. Qui al nord uno chiede qualcosa alle istituzioni la risposta in tempi di crisi è nulla o insufficiente, e talvolta accompagnata da indifferenza e silenzio. Quanti suicidi ancora? E poi i politici dicono che siamo qualunquisti e si arrabbiano se non andiamo a votare! Certamente se va avanti così il senso dello stato di noi Italiani va a farsi friggere. Come mai invece in molte altre Nazioni straniere e in America è alto il senso della Patria? Bisogna cominciare con due mandati e poi uno deve lasciare il posto ad altri. La politica se fatta bene logora. Tutti utili ma nessuno indispensabile. Basta gerontocrazia. Basta le solite facce dei “professionisti pret-a-porter” della politica, che passando da uno schieramento all’altro straparlano e scaldano lo scranno e si fanno solo i loro cavolacci. Istituiamo la pagella per i politici, se i voti e i risultati non sono buoni o insufficienti, via a casa. Quando rubano inficiano anche quello di buono che hanno fatto, vedi Passante ed altre opere. Alla fine la gente si ricorda di loro per la loro scandalosa condotta e non per le cose belle che hanno fatto. E nessuno ha mai nostalgia quando se ne vanno. Speriamo cambi, alcuni segnali di novità ci sono.

Jeff Carosella – Dolo (Ve)

 

 

Nuova Venezia – Galan blindato in villa, insulti dai passanti

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11

ott

2014

Lungo incontro tra il procuratore Nordio e l’avvocato dell’ex assessore regionale

Galan: la multa da 2,6 milioni destinata a sfiorare i 4 milioni perché sarà tassata

Ora anche Chisso cede e tratta con la Procura

IL LEGALE FRANCHINI «Ha bisogno di cure urgenti e non poteva restare in carcere Dopo l’udienza del 16 richiesta di affidamento ai servizi sociali»

VENEZIA – Il commercialista padovano Paolo Venuti, almeno, qualcosa ha raccontato prima di raggiungere l’accordo con la Procura per patteggiare la pena (due anni e 4 mesi di reclusione e 70 mila euro di multa). Ha ammesso di aver fatto da prestanome all’ex ministro Giancarlo Galan per alcune operazioni finanziarie, quello che gli investigatori già sapevano grazie ad una microspia che aveva catturato una conversazione in auto tra il professionista e la moglie che parlavano dei conti a loro intestati ma in realtà di proprietà dell’esponente di Forza Italia e della moglie. Venuti, ai pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, ha aggiunto pure che a sollecitare queste operazioni di copertura a favore di Galan sarebbe stato Piergiorgio Baita, all’epoca presidente della «Mantovani». Galan, invece, non ha detto una parola, anzi i suoi difensori, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini continuano a ribadire che il loro cliente è innocente e che la scelta dell’accordo con la Procura per due anni e 10 mesi di reclusione e due milioni e 600 mila euro di multa (ma secondo fonti autorevoli l’importo è destinato ad avvicinarsi ai 4 milioni tenendo conto dell’imposizione fiscale) è dettata dalla ricerca di una sorta di «patteggiamento umanitario»: Galan ha numerose patologie e proprio per questo è finito nel carcere-ospedale milanese di Opera, anche la figlia minorenne ha bisogno di cure. Il suo nome è finito nella lista di coloro che hanno raggiunto l’accordo con i rappresentanti dell’accusa, sono 19 e i loro avvocati si presenteranno il 16 ottobre davanti al giudice veneziano Giuliana Galasso, che dovrà dire se le pene su cui c’è l’accordo siano congrue o meno. Galan, ma neppure gli altri indagati, saranno presenti. «Sicuramente chiederemo l’affidamento ai servizi sociali» ha dichiarato ieri l’avvocato Franchini. I due anni e 10 mesi, infatti, superano abbondantemente il limite per il quale scatta la sospensione condizionale della pena, ma nessuno, da tempo, finisce in carcere se ha una condanna sotto i tre anni da scontare, anche a causa del sovraffollamento. Per la prossima settimana, fino a giovedì, non è prevedibile nessun cambio della misura degli arresti domiciliari. «Valuteremo se aspettare la scadenza dei termini (il 21 ottobre) e presentare richiesta quando il provvedimento diventerà definitivo, o se impugnare subito in Cassazione. Lo decideremo più avanti» ha sostenuto il legale. E se il giudice dovesse rifiutare il patteggiamento? «In tal caso Galan», ha concluso Franchini, «sarà ben lieto di affrontare il processo». Ieri, intanto, il difensore di Renato Chisso è stato a lungo nell’ufficio del procuratore aggiunto Carlo Nordio. L’avvocato Antonio Forza, che punta sempre alla liberazione dell’ex assessore regionale per motivi di salute (la decisione spetta al giudice Roberta Marchiori che la farà conoscere entro il 13 ottobre), non ha rilasciato dichiarazioni come del resto il magistrato. È evidente che, dopo la decisione di Galan, anche Chisso e il suo legale pensano ad un cambio di strategia difensiva e avrebbero già avviato la trattativa con la Procura per cercare un accordo per una pena probabilmente di poco inferiore a quella di Galan per quanto riguarda la reclusione e molto più bassa, invece, per quanto riguarda la multa.

Giorgio Cecchetti

 

Ivano Nelson Salvarani, il pm che inquisì Bernini e De Michelis

«L’accordo accusa-difesa spegne il processo, non è giusto»

«Patteggiamenti troppo generosi. Io avrei detto no»

L’INTESA SULLA PENA – Al posto della Procura non darei il mio parere positivo, l’opinione pubblica ha diritto ad assistere al dibattimento

VENEZIA – È stato pretore e giudice del lavoro, pubblico ministero e presidente del Tribunale, procuratore capo e presidente di Corte d’Assise. Ivano Nelson Salvarani, il magistrato che nel 1992 inquisì il Doge democristiano Carlo Bernini e quello socialista Gianni De Michelis adesso è un elegante e lucido signore di 75 anni, che ha lasciato la magistratura in anticipo dopo che il Csm gli preferì – d’un solo voto – Luigi Delpino a capo della Procura di Venezia. Cosa pensa dell’inchiesta sul Mose di Venezia? «Penso, anche alla luce della mia esperienza passata, che non mi ha sorpreso per nulla. Sospettavo che le cose non fossero cambiate poi tanto, rispetto ai miei tempi. Sulla Regione si avvertiva da tempo una vox populi. Nel Mose la concessione unica e l’identità delle imprese faceva pensare a meccanismi di scarsa trasparenza» Il sistema Galan è durato quindici anni e solo ora viene svelato: non c’è stato un certo ritardo anche delle Procure? «Non credo, per istruire un processo ci vogliono buone prove e ottimi riscontri. Le indagini devono essere rigorose. Fino a quando la magistratura non ha avuto contezza di prove e riscontri si è mossa con doverosa cautela. Sono stati molto bravi soprattutto a ricostruire le tracce del denaro, a partire dal giro di fatture false tra imprese». All’epoca non c’erano gli strumenti investigativi odierni? «Le intercettazioni c’erano anche allora. La mia inchiesta si avvicinò al Consorzio Venezia Nuova, che aveva tuttavia una composizione diversa. Dell’epoca ricordo Mazzacurati ma c’era una più equilibrata ripartizione di quote tra le imprese. E anche allora c’erano anche le coop rosse». Ricorda Piergiorgio Baita? «C’era, c’era: lo ricordo abile, astuto e spregiudicato. Ottenni il suo rinvio a giudizio, anche all’epoca raccontò i meccanismi del Consorzio Venezia Nuova e del Consorzio Venezia Disinquinamento, elementi di un patto tra Dc e Psi». Dica la verità: qual è il suo stato d’animo? «Sconforto, non c’è dubbio. Ritrovare in parte gli stessi protagonisti, rivedere nei politici di oggi gli stessi atteggiamenti che ebbero all’epoca quelli di Dc e Psi non fa che salire lo sconforto. Ma allora tutti i processi si celebrarono: e i principali indagati furono condannati a pene superiori a 4 anni in primo grado. Solo in Appello scelsero il patteggiamento». Le difese sostengono che patteggiare non è un’ammissione di colpa. «Tecnicamente non è una condanna, difesa e accusa concordano una pena da scontare. Ma un imputato che patteggia non può essere considerato innocente. Vedere politici che prima gridano alla congiura e poi patteggiano fa sorridere, se non ci fosse da indignarsi». L’ondata di indignazione è legittima da parte dell’opinione pubblica? «Legittima e giustificata, assolutamente» Cosa pensa dello strumento del patteggiamento in primo grado? «Personalmente sarei sempre molto cauto nell’accettare il patteggiamento, se fossi il pm non darei il mio parere positivo. Soprattutto nel caso di figure che abbiano ricoperto ruoli pubblici di grande responsabilità. La finalità dell’accusa è soprattutto acquisire la verità, dentro a un giusto processo. Con il patteggiamento muore il processo, si occulta all’opinione pubblica il confronto tra accusa e difesa. Io penso che vada usato con grande, grandissima parsimonia». Mai tentato dalla politica? «Mi chiesero di fare il sindaco di Venezia, nel 1993. Ma dissi di no: non volevo che si pensasse neanche per un attimo che avevo condotto un’inchiesta sui politici per un tornaconto personale. Sono felice di aver rifiutato». Come se ne esce ? «Non lo so. Ci sono responsabilità molto grandi della politica, che non ha mai voluto fare i conti con l’illegalità che essa stessa ha espresso. I politici devono essere i garanti della legalità, non possono mai essere sfiorati nemmeno dal dubbio di una opacità».

Daniele Ferrazza

 

Nel primo giorno ai domiciliari il parlamentare è rimasto invisibile. La moglie Sandra ai giornalisti: non possiamo dire nulla

Galan blindato in villa, insulti dai passanti

CINTO EUGANEO – Primo giorno da recluso in casa per Giancarlo Galan, l’ex governatore del Veneto costretto agli arresti domiciliari da giovedì pomeriggio. La sontuosa Villa Rodella, nel cuore dei Colli Euganei, non è certo il carcere di Opera e dopo ottanta giorni di cella il balzo di qualità è notevole. Nel primo giorno passato tra le mura amiche, tuttavia, Galan ha evitato di mettere il naso fuori di casa – circostanza che peraltro gli è permessa visto che i domiciliari comprendono l’intera proprietà, giardino incluso – forse per evitare i flash dei fotografi o le domande a distanza dei giornalisti. «Non c’è nessuno, grazie»: all’ora di pranzo ha risposto così Sandra Persegato, la moglie dell’ex ministro, a chi ha suonato ad uno dei tre citofoni della villa. Il suo tono irritato della donna si è tuttavia placato qualche minuto dopo, quando ha deciso di uscire di casa per gentile, breve e chiara comunicazione: «Comprendiamo che questo è il vostro lavoro, ma non possiamo dire nulla. Arrivederci». Sandra indossa un vestitino a fiori a tinte scure e – per quel poco che si rivela al pubblico – pare avere il volto segnato dal pianto. Sarà impressione, ma è certo che il can-can degli ultimi tre mesi ha segnato l’intera la famiglia che vive assieme al parlamentare. Attorno a Villa Rodella, per il resto, c’è l’ordinaria tranquillità di un giovedì euganeo: i cani zompettano nel cortile e nei viali ricchi di rose – le stesse che, in una seduta di giardinaggio, sono costate l’infortunio al ginocchio all’ex Doge, lo scorso luglio – mentre dalla pertinenza dell’abitazione si sentono i cinguettii dei tanti uccellini ospitati nelle voliere della villa. All’esterno c’è anche un pappagallo, il più “attivo” degli animali di casa Galan, che con grande “disponibilità” si intrattiene con giornalisti e passanti. Dall’altra parte della strada, lungo la pista ciclopedonale che costeggia il Bisatto, continua inoltre il via vai di ciclisti, una categoria che si dimostra estremamente ostile verso l’ex governatore: i «Ladro! Ladro!» si sono sprecati anche ieri, e c’è anche chi si è avventurato in invettive ben più complesse, come il ciclista che si ferma e in un dialetto comprensibile anche ai non autoctoni, urla: «Maledetto! Ghe xe fameje che non gà la ciopa de pan in te la tola e ti te sì beato in casa». Tra i visitatori di Villa Rodella, costante la presenza dei carabinieri di Lozzo Atestino che, oltre a monitorare la situazione, sono entrati ed usciti a più riprese dall’abitazione dell’ex ministro.

Nicola Cesaro

 

La cricca delle discariche

Corte dei conti contesta a Fior un danno di 600 mila euro

VENEZIA – Seicentomila euro. Tanto il procuratore aggiunto della Corte dei Conti Giancarlo Di Maio contesta come danno erariale a Fabio Fior, il dirigente della Regione Veneto da martedì agli arresti domiciliari con l’accusa di peculato e falso, per essere stato al centro di un traffico milionario: referente del delicato settore Rifiuti della Regione, insieme ad imprenditori come Sebastiano Strano e Maria Dei Svaldi, si sarebbe appropriato di circa un milione di euro – secondo l’accusa mossa dal pm Giorgio Gava – controllando come dirigente pubblico fondi per progetti che poi come privato incassava attraverso società del settore come Sicea, Zem, Nec, Marte, Eco Environment, tramite prestanome. Da parte sua, la Corte dei Conti si era già mossa all’inizio dell’anno su un altro filone: quello delle consulenze private non autorizzate, ma lautamente pagate, che Fior per anni ha eseguito, talvolta senza la necessaria autorizzazione della Regione Veneto, anche per aziende dello stesso settore rifiuti di sua competenza come funzionario pubblico. Una decina i casi finiti nel fascicolo d’inchiesta della Corte dei Conti, con il procuratore aggiunto Di Maio che nei giorni scorsi ha inviato a Fior il cosiddetto “invito” a controdedurre: ovvero, la notifica delle accuse erariali mosse al dirigente regionale, perché nomini un avvocato e si difenda. Seicentomila euro è, appunto, l’ammontare delle parcelle contestate a Fior, per un’attività di consulenza poco limpida in violazione dell’articolo 53 comma 7 e 8, del decreto legge 165/2001, che impone al dipendente pubblico di avere l’autorizzazione del proprio ente di appartenenza per effettuare attività professionale privata. Permessi che talvolta otteneva, in altri caso no, per consulenze iniziate nel 1998 e concluse (nei pagamenti) sino ad anni recenti, sia per privati che per enti pubblici. Il perché è ovvio: non trovarsi in conflitto di interesse con i propri uffici pubblici. Fascicolo contabile nel quale ora confluiranno anche gli atti della nuova inchiesta penale, nella quale il pm Gava contesta anche consulenze non autorizzate: in caso di condanna penale , la Corte dei Conti potrebbe inoltre contestare al dirigente anche il danno all’immagine procurato all’ente.

Roberta De Rossi

 

I FUOCHI D’ARTIFICIO DI GALAN

Ha sempre prosperato sul «clamore mediatico», ora ne ha paura

I fuochi d’artificio dell’ex governatore

C’è da fare un salto sulla sedia a leggere quello che gli austeri avvocati Nicolò Ghedini e Antonio Franchini hanno scritto nell’istanza di patteggiamento presentata in procura per Giancarlo Galan. Si tratta di noti professionisti del foro, non di autori di canovacci per commedie venete. Dunque non è una barzelletta: Giancarlo Galan ha chiesto il patteggiamento perché non vuole il processo.E non vuole il processo perché «significherebbe affrontare un dibattimento estremamente lungo, complesso e accompagnato costantemente da eccezionale clamore mediatico». Da stropicciarsi gli occhi, bisogna rileggere: «Accompagnato costantemente da eccezionale clamore mediatico». Allora è proprio vero che il carcere cambia le persone. E non occorre neanche starci una vita, bastano 80 giorni in infermeria. Un politico che ha costruito tutta la sua carriera sul clamore mediatico, d’improvviso non vuole più saperne. Ne ha addirittura paura. Da non credere. Chi riconosce più il Galan che nell’anno Duemila terrorizzava l’Italia con la sua proposta di statuto per la Regione Veneto destinata a trattenere due terzi delle tasse a Venezia e a darne uno solo a Roma? È vero che non è mai stata approvata ma che bisogno c’era: bastava sfruttare il clamore mediatico. E che clamore: il ministro per gli affari regionali Agazio Loiero abboccava al primo colpo e sentiva arrivare dal Veneto «un tintinnio di spade come nella ex Jugoslavia»; Bruno Vespa lo invitava a Porta a Porta per farsi spiegare la rava e la fava della rivoluzione in arrivo; e lui in groppa al cavallo da corsa scippato alla Lega, erudiva il Paese cercando di tranquillizzare, ma non troppo, i benpensanti. Per non parlare del clamore mediatico portato a casa con il baruffone, tenuto in piedi per settimane, con l’allora presidente della Repubblica Scalfaro. O con l’ex presidente Ciampi, prima rispettato e poi irriso. «Se esiste un reato di vilipendio di ex presidente della Repubblica, io lo commetto», andava ripetendo allegramente nel 2007. Tutto perché Ciampi votava con il centrosinistra. Sparare sul bersaglio più alto, ma solo quando Berlusconi era all’opposizione e dimenticarsene subito dopo, è stato lo sport preferito di Giancarlo Galan per una vita. Creare il nemico, anche se non esisteva. Metterlo nel mirino, scatenare la rissa e camparci sopra. La tattica di Capo in Italia, trapiantata nel Veneto e riproposta tutti i santi giorni. Sempre i fuochi d’artificio, in cerca del clamore mediatico che gli regalasse campagne pubblicitarie gratis. Il ministro Bassanini si doveva vergognare. Se passava la candidatura di Torino per le Olimpiadi invernali avrebbe venduto le auto Fiat della Regione Veneto e comprato tutte Mercedes. «Panto il falegname» somministrava ai veneti una «prodaglia» per far perdere Berlusconi. Prodi dirigeva «il governicchio del droghiere» quando era contrario al Mose. Massimo Cacciari era «il sindaco menagramo» e gli ambientalisti «i professionisti della bugia politica» perché si mettevano di traverso all’approvazione del progetto definitivo in Commissione di Salvaguardia. Tutto rilanciato dalle agenzie, un martellamento spaccatimpani, una definizione bruciante al giorno, evitando tutte le volte di entrare nel merito. Sempre e solo clamore mediatico. Quanto sarebbe costato un ritorno pubblicitario del genere valutato con il prezzario di un inserzionista? Gli toccava vendere Villa Rodella prima del tempo. I veneti dopati da vent’anni di questo trattamento, assistono sconcertati alla metamorfosi: adesso basta con il clamore mediatico? Ma dài, non è possibile. Gatta ci cova. Prepariamoci.

Renzo Mazzaro

 

DANNO D’IMMAGINE E TASSE EVASE

Magistratura contabile ed Erario potrebbero rivalersi sull’ex governatore

Galan, anche Fisco e Corte dei Conti ora battono cassa

AI DOMICILIARI – Il patteggiamento apre la strada ad altri provvedimenti

Al maxi patteggiamento del 16 ottobre, con una ventina di persone coinvolte, l’ex presidente del veneto Giancarlo Galan non sarà presente. Lo ha ricordato ieri pomeriggio uno dei suoi difensori, l’avvocato Antonio Franchini, che nei giorni scorsi ha fissato con la Procura un accordo sui due anni e 10 mesi. E che ora attende il pronunciamento del gip Giuliana Galasso. Ma la decisione, anche nel contesto generale e visto il precedente dell’ex sindaco Giorgio Orsoni, non è affatto scontata.
Per l’ex ministro è in arrivo anche l’addio definitiva dal Parlamento alla luce di quello prevede la “legge Severino” per questi casi. Dall’incarico a Montecitorio Galan non si era dimesso, visto che in tutti questi mesi si era sempre detto estraneo alle accuse dei magistrati sull’inchiesta del Mose. In ogni caso l’eventuale affidamento ai servizi sociali, ipotizzato in queste ore dai difensori dell’ex presidente della Regione, appare molto lontano. Prima dovrebbe esserci il patteggiamento e poi la pena dovrebbe essere confermata dalla Cassazione. Solo a questo punto potrebbe essere presa in esame l’eventuale richiesta di servizi sociali. Ma, come è facile intuire, non si tratta di una prospettiva immediata.
Nel frattempo anche la posizione dell’ex assessore regionale Renato Chisso, si avvicina ad una svolta. Nei prossimi giorni è attesa la decisione finale del giudice Roberta Marchiori, chiamata a pronunciarsi sul lavoro svolto da una commissione di esperti. Non ci dovrebbero essere particolari sorprese visto che i periti nominati dal gip hanno già sostenuto che il carcere di Pisa è perfettamente attrezzato per affrontare eventuali emergenze cardiache e quindi Chisso può restare dietro le sbarre per altri mesi.
Intanto ieri mattina il difensore di Chisso, l’avvocato Antonio Forza, è tornato a ribadire che proseguirà sulla strada dell’incompatibilità del suo assistito, da tempo sofferente di problemi cardiaci, con il carcere. «Ci sono diversi casi – ha spiegato Forza uscendo dal Tribunale lagunare – che confermano questa nostra valutazione».
Per la Procura, che a questo punto propende per il giudizio immediato, restano circa due mesi per chiudere il caso. E l’eventuale processo si terrebbe con l’ex assessore ancora detenuto.
Ma in questa fase, dal punto di vista teorico, non è ancora esclusa la strada di un eventuale patteggiamento, se non altro per il fatto che tutti gli altri imputati che hanno optato per questa scelta alla fine sono rapidamente usciti dal carcere. Non va dimenticato, però, che giovedì, davanti ai magistrati che si sono recati a Pisa per interrogarlo, Renato Chisso si è avvalso della facoltà di non rispondere e questo potrebbe avere un suo peso.

Giampaolo Bonzio

 

L’INCHIESTA – L’ex assessore deve decidere: rito immediato o patteggiamento. Ma i tempi stringono

La difficile alternativa di Chisso

Con la giustizia ordinaria Giancarlo Galan è sceso a patti. Ora però l’ex governatore del Veneto è nel mirino della giustizia erariale: la Procura regionale della Corte dei Conti è pronta a chiedere all’ex Doge e agli altri amministratori un risarcimento molto particolare per i danni causati alla cosa pubblica. Il filone erariale era già emerso fin dalle prime battute dell’operazione che ha portato all’arresto di Galan: ora la cosa si fa più complicata. La Procura sta predisponendo un procedimento per chiedere alla “cricca” i danni d’immagine provocati alla pubblica amministrazione. Nel procedimento, oltre all’ex ministro, dovrebbe essere coinvolto anche Renato Chisso.
Il procuratore regionale della Corte dei Conti Carmine Scarano aveva già attivato la parte erariale del procedimento mesi fa, chiedendo alla guardia di finanza di fare luce sul meccanismo di «sovrafatturazione» per lavori mai fatti da parte delle ditte coinvolte nel gorgo veneziano di giugno. Il Consorzio Venezia Nuova pagava, poi la torta andava divisa con gli amministratori e i politici. A questo danno erariale si era ipotizzato – fin dal giorno degli arresti e ammissioni – di aggiungere l’enorme danno d’immagine causato alla cosa pubblica. Ma il corollario si sarebbe potuto applicare solo dopo le condanne definitive. Il patteggiamento di Galan darà il via alla richiesta della Corte dei Conti. E non è tutto: secondo alcune fonti l’ex presidente della Regione dovrà pagare anche un milione di tasse calcolate sui due milioni e 600 mila euro che dovrà rendere.

 

MOSE / 1 – I SOLITI DUE PESI E DUE MISURE

Certo che osservando la “classifica” riportata sul giornale sulle percentuali che dovranno pagare i “signori del Mose”, c’è di che rimanere allibiti. Se viene scoperta una piccola evasione fatta da normali cittadini, o piccoli imprenditori, arriva subito Equitalia, con percentuali ben diverse. Siamo ai soliti due pesi e due misure. Sono un pensionato da poco più di mille euro, e sono “demoralizzato”, vorrei usare un’altra parola che darebbe più l’idea del mio stato d’animo, ma cambierebbe poco. L’ing. Baita viaggia in Porsche, l’onorevole Galan si riposa nella sua villa con piscina. Sto ansiosamente aspettando la destinazione di Chisso, intanto la signora Minutillo fa un po’ di shopping. Mi scuso per lo sfogo, mi fermo qui perché sento che mi sta venendo un attacco di bile.

Fiorenzo Vazzoler

 

MOSE / 2 – I TEMPI DEI MAGISTRATI

Cerco di mettermi in sintonia con il lettore della lettera “Ma questa non è giustizia” condividendone i contenuti. Tempo fa ho elogiato i procuratori di Venezia con un “avanti tutta senza guardare in faccia a nessuno”: in tempi rapidi per un’indagine così complessa si sono ottenuti i risultati che stiamo vedendo. Questo è un bel segnale come percezione di giustizia “bipartisan”, stessa percezione non ho avuto con i procuratori di Milano: un politico scalpitava per apparire davanti ai giudici e dire la sua verità ma questo gli è stato negato perché il reato è andato in prescrizione, mi riferisco a Penati. La domanda che voglio fare da profano è: i procuratori possono “allungare i tempi” di certi procedimenti o per “qualcuno” è semplicemente un colpo di fortuna?

Giuseppe Ave – Torre Di Mosto (Ve)

 

MOSE / 3 – GALAN, NON BASTA QUELLA PENA

Giancarlo Galan è uscito dal carcere grazie al patteggiamento concordato con i giudici: lo consente la legge a tutti coloro che delinquono, ma alla fine per i politici ci sono tanti vantaggi. Semplicemente pagando una percentuale variabile sulla somma causa del reato e con un grande sconto della pena i politici mantengono i loro beni in Italia e all’estero. Personalmente non sono d’accordo perché il danno causato non solo allo Stato ma anche ai cittadini è ben più grave in quanto i costi tra tangenti, mazzette, corruzione eccetera ricadono in termini di tasse e quant’altro sulla collettività. Pertanto essi dovrebbero restituire quanto meno tutta la cifra “rubata” con gli interessi, oltre che essere respinti a vita da ogni incarico pubblico.

Antonia De Tomas – Pordenone

 

Nuova Venezia – Galan ora punta ai servizi sociali

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10

ott

2014

L’ex ministro già ai domiciliari. Dopo aver patteggiato chiederà l’affidamento

Galan ora punta ai servizi sociali

Dopo l’intesa con la Procura per patteggiare 2 anni e 10 mesi, ha lasciato Opera

I suoi avvocati: «Non reggeva più il carcere». Intanto Chisso non risponde al pm

Galan ai domiciliari in villa «Accettato l’inaccettabile»

VENEZIA – Su parere favorevole della Procura della Repubblica di Venezia, ieri mattina, il giudice veneziano Giuliana Galasso ha firmato il provvedimento grazie al quale l’ex governatore del Veneto ed esponente di Forza Italia Giancarlo Galan, nelle prime ore del pomeriggio, è uscito dal carcere-ospedale milanese di Opera. È il frutto dell’accordo raggiunto tra l’accusa e la difesa per il patteggiamento a due anni e 10 mesi di reclusione, senza sospensione condizionale della pena, e al pagamento di una multa di due milioni e 600 mila euro. Sempre ieri, intanto, l’ex assessore regionale Renato Chisso non ha cambiato atteggiamento: per la prima volta davanti al pubblico ministero Stefano Ancilotto – fino ad ora aveva sostenuto solo l’interrogatorio del giudice subito dopo l’arresto – ha ribadito nel carcere di Pisa di non voler rispondere alle sue domande. Il difensore, l’avvocato Antonio Forza, l’aveva preannunciato due giorni fa, sostenendo che Chisso non sarebbe nelle condizioni di salute per sostenere un interrogatorio (entro il 13 ottobre deciderà se scarcerarlo o meno il giudice Roberta Marchiori). L’esponente mestrino di Forza Italia resta l’unico rinchiuso in una cella a quattro mesi dagli arresti del 4 giugno, mentre l’amico Federico Sutto, braccio destro di Giovanni Mazzacurati, resta l’unico agli arresti domiciliari e sono i due indagati per i quali, tra qualche giorno, i pubblici ministeri Ancillotto, Paola Tonini e Stefano Buccini potranno chiedere il rito immediato, per tutti gli altri che non hanno patteggiato, come l’ex sindaco Giorgio Orsoni e l’ex parlamentare europea Lia Sartori, depositeranno gli atti prima di chiedere rinvio a giudizio o citazione diretta, a seconda del reato contestato. «Giancarlo Galan ha accettato l’inaccettabile perché non ce la faceva più a rimanere imprigionato». Lo affermano in una nota gli avvocati Niccolò Ghedini e Antonio Franchini. I difensori dell’ex ministro scrivono, «in considerazione delle gravi condizioni generali del proprio cliente, ristretto nel carcere di Opera dal 22 Luglio ove ha subito un calo ponderale di ben 22 chili in due mesi, presentando altresì spunti depressivi sì da determinare la necessità di visita psichiatrica ed innanzi alla sicura prospettiva della richiesta di giudizio immediato che avrebbe provocato una ulteriore protrazione della custodia cautelare in carcere per ulteriori sei mesi per poter processare Galan come detenuto, ha intrattenuto rapporti con la Procura della Repubblica che circa 8 giorni orsono sono sfociati in un accordo tecnico». Accordo che fa discutere e non solo nei bar, anche nei corridoi del Tribunale dove ne parlano giudici e avvocati, schierandosi chi dalla parte dei pubblici ministeri che portano a casa ben 21 patteggiamenti (19 fissati per l’udienza veneziana del 16 ottobre con pene intorno ai due anni e multe salate tanto da portare alle casse dello Stato 12 milioni; 2 a Milano con la pena più alta di 4 anni per il generale della Finanza Emilio Spaziante), chi invece ne critica la scelta, sostenendo che si tratta di pene, anche per Galan, basse rispetto ai gravissimi fatto contestati. Se non accadrà nulla prima, dunque, saranno soltanto due i politici a presentarsi in aula per il processo pubblico, Orsoni per il centrosinistra e Sartori per il centrodestra. Intanto, il giudice Alberto Scaramuzza ha chiesto un controllo negli Usa sulle condizioni di salute del superteste Mazzacurati in seguito alle richieste che venga interrogato con l’incidente probatorio (anche i difensori degli indagati potranno formulare domande). È quindi probabile che accoglierà la richiesta avanzata da alcuni difensori e appoggiata dalla Procura e fissare l’interrogatorio per novembre.

Giorgio Cecchetti

 

Quel 22 luglio: fuori dall’ospedale dentro la prigione

Una giornata convulsa quella del 22 luglio, conclusa con l’arresto di Giancarlo Galan ed il suo trasferimento nel carcere milanese di Opera. In tarda mattinata l’assemblea di Montecitorio dice sì (395 voti favorevoli, 138 contrari, 2 astenuti) alla richiesta di custodia cautelare del magistrato di Venezia; nel primo pomeriggio il parlamentare di Forza Italia viene dimesso (nella foto) quasi a forza dall’ospedale di Este, dov’era ricoverato. Poche ore dopo, verso le 20, la polizia penitenziaria lo preleva dalla villa di Cinto: a bordo di un’ambulanza, Galan viene trasferito in carcere.

 

IDV E PD ATTACCANO ZAIA: «non basta essere onesti, occorre vigilare»

Sdegno sul web: pena troppo mite per il 94%. M5S: «Ci ha presi in giro»

VENEZIA – La scarcerazione ed il patteggiamento di Giancarlo Galan suscitano ampie reazioni sul web ed a prevalere è la protesta indignata per un epilogo ritenuto eccessivamente mite rispetto alla gravità dei fatti. Così, tra i partecipanti al sondaggio lanciato dal sito del nostro giornale (un migliaio di risposte, ieri sera) il 94% non ha dubbi nel sostenere che l’ex governatore del Veneto avrebbe meritato una pena più severa. Un concetto che in toni ben più aspri e spesso ingiuriosi, rimbalza largamente in rete. Tra i leader politici di primo piano prevale l’imbarazzo, dettato forse dalla consapevolezza che i tentacoli dello scandalo Mose hanno agito in più direzioni politiche. Ma c’è chi agita la questione, chiedendo una radicale discontinuità al timone del Veneto. «Galan, che per inciso non si è ancora dimesso dalla carica di parlamentare, ci ha preso in giro tutti con le dichiarazioni plateali di innocenza», attacca Mattia Fantinati, deputato del M5S «non entro nel merito delle decisioni del giudice ma questo accordo raggiunto con la Procura ha un tempismo sospetto e un retrogusto politico: quasi un tentativo di far dimenticare questa triste inchiesta che ha fatto saltare in aria il “Sistema Veneto” alla vigilia del voto regionale. Ma i cittadini non dimenticano, e il marcio scoperchiato, nei suoi vari e anche recenti epiloghi, condizionerà le riflessioni in cabina elettorale». «Le vere motivazioni di questa scelta le conosce solo il protagonista», fa eco il capogruppo dell’Idv Antonino Pipitone «comunque, con il patteggiamento, Galan ha fatto un favore a Zaia. Ha tolto di mezzo, dalla prossima campagna elettorale il clamore mediatico di un processo urticante. E tuttavia siamo convinti che i cittadini veneti e le imprese oneste, le più danneggiate dalla corruzione, non dimenticheranno il disgusto per questa vicenda e appoggeranno il cambiamento». A replicargli a muso duro è il consigliere regionale Giovanni Furlanetto (Prima il Veneto): «Pipitone farebbe meglio a pensare alla sua terra natale (la Sicilia ndr) prima di parlare del Veneto che rimane una regione virtuosa. L’onestà intellettuale impone di riconoscere che gli scandali di questi mesi sono il frutto di anni di indagini e investono una stagione precedente alla presidenza di Luca Zaia e che quest’ultimo ha scoperto e sanzionato le illegalità precedentemente tollerate». Di parere diverso, il deputato del Pd Federico Ginato: «C’è chi ogni giorno parla di indipendenza del Veneto dall’Italia, ma la vera indipendenza che dobbiamo augurarci è quella da un sistema malato che sta venendo drammaticamente a galla. Non basta esserne fuori, non basta l’onestà di Zaia. C’è anche la responsabilità di vigilare e controllare, di fare luce nei troppi centri di potere che si sono creati e nelle zone d’ombra, spesso tra l’altro segnalate anche da cittadini e comitati. Purtroppo chi avrebbe dovuto farlo non l’ha fatto».

Filippo Tosatto

 

Per annunciare il proprio arrivo a Cinto, due colpi di clacson del Suv su cui ha viaggiato da Milano

L’ex governatore accolto dalla piccola Margherita che grida con gioia: «Ecco papà, ecco papà!»

I ciclisti urlano: «Ladro, ladro» poi l’abbraccio con la figlioletta

CINTO EUGANEO – Tangenti, galera, accuse e polemiche si sono dissolte per qualche attimo, spazzate via da qualcosa che – sembrerà poesia – è molto più forte di tutto questo: la tenerezza di una bimba. L’urlo di gioia «Ecco papà! Ecco papà!», l’abbraccio in punta di piedi per raggiungere il collo del babbo, e poi la passeggiata tra le rose del giardino: sono bastati questi semplici e spontanei atteggiamenti di Margherita, la figlioletta di Giancarlo Galan, a sopire la tensione di un lungo pomeriggio passato a villa Rodella nel giorno del ritorno a casa del Doge. D’altro canto è soprattutto per lei che l’ex governatore – almeno da quanto lo stesso ha scritto nella propria istanza – ha deciso di cedere e di patteggiare. L’attesa. Dopo il can-can mediatico dello scorso 22 luglio, quando decine di giornalisti e curiosi si erano assiepati davanti alla residenza di Cinto Euganeo per assistere all’arresto di Galan – ieri villa Rodella ha fatto nuovamente da teatro all’assalto della stampa. I primi giornalisti sono arrivati intorno alle 10, sperando che non si ripetesse il canovaccio di fine luglio: allora l’ex governatore, dimesso a mezzogiorno dall’ospedale di Este, venne raggiunto dalle forze dell’ordine nel primo pomeriggio ma finì per lasciare la propria residenza solo a sera inoltrata. Ieri i tempi si sono accorciati ma l’attesa è stato comunque lunga: Galan ha abbandonato il carcere di Opera solamente intorno alle 14, ora in cui si è messo in viaggio verso i Colli Euganei. Non c’erano solo gli operatori dell’informazione ad attenderlo: più di qualche residente ha deciso di attraversare la via che costeggia la villa, mentre non si contavano i ciclisti di passaggio dall’altra parte della strada. «Ladro! Ladro!», è stata la frase più ricorrente, accompagnata anche da esternazioni ben più colorite come «Tajeo a tochetti» («Fatelo a pezzi») o fin troppo dirette come il «Copeo» («Uccidetelo») gridato senza tanti problemi da un anziano in sella ad una Graziella. A presidiare la zona, sin dalla mattina, ci hanno pensato invece i carabinieri della Compagnia di Abano Terme. L’arrivo. Con un blitz fulmineo Giancarlo Galan ha varcato la soglia di casa alle 16.55, anticipato dall’auto della moglie Sandra Persegato che si è nascosta il volto di fronte ai flash dei giornalisti. Il Doge era sul sedile anteriore di un suv bianco, condotto da Ferruccio, suo ex autista in Regione. Appena superato il cancello di casa, il Bmw di Galan si è lasciato andare a due colpi di clacson che hanno acceso il sorriso della figlioletta Margherita. «Ecco papà! Ecco papà!», è stata l’esclamazione di gioia della bimba, che durante il giorno più volte si è affacciata timidamente alla finestra in attesa del babbo e che appena la porta del suv si è aperta si è fiondata in un caloroso abbraccio verso il padre. L’ex ministro è quindi sceso, visibilmente dimagrito, e si è lanciato in un altrettanto intenso abbraccio verso la moglie Sandra. L’ultima attenzione è stata riservata ai cani labrador, anche loro evidentemente accesi dall’arrivo del padrone. Dopo uno scambio di parole con i carabinieri, Galan è entrato in casa con la famiglia e i pochi amici che lo aspettavano. Una nota quasi pittoresca: l’arrivo dell’ex governatore è stato accompagnato da un improvviso quanto inaspettato acquazzone, cominciato praticamente quando Galan è sceso dal suv e terminato dopo pochissimi minuti. La passeggiata. Galan poi è uscito in giardino accompagnato dalla figlia di 7 anni. Mano nella mano, i due hanno fatto una breve passeggiata tra le piante dell’ampio spiazzo verde di villa Rodella. Il Doge si è tuttavia presto accorto di essere osservato da alcuni giornalisti e, dopo essersi riparato dagli obiettivi con l’ombrello, è rientrato definitivamente in casa.

Nicola Cesaro

 

Gli avvocati Franchini e Ghedini: il carcere preventivo una barbarie che distrugge le persone ancora innocenti

L’ex governatore come Berlusconi «Ora i servizi sociali»

NEGA TUTTO PERÒ TRATTA LA RESA

Temeva di finire in esilio come Craxi, riparato ad Hammamet, ha messo sul piatto della bilancia della giustizia la sua villa di Cinto Euganeo e ha trattato la resa. E appena il gip Giuliana Galasso avrà dato il via libera alla richiesta di patteggiamento, chiederà di essere affidato ai servizi sociali per scontare la pena: Giancarlo Galan proprio come Silvio Berlusconi che, decaduto da senatore, è stato affidato all’Istituto Sacra famiglia di Cesano Boscone dove assiste i malati di Alzhaimer. Mai disperare. La prima regola di un leader è rialzarsi dalla polvere. Costretto dal pool «Mose Pulito» della Procura di Venezia ad alzare bandiera bianca, il deputato di Forza Italia non si arrende. Esce dal carcere milanese di Opera e quando varca il cancello di casa, nel primo pomeriggio, abbraccia l’adorata figlia, si commuove e cammina tre le rose di villa Rodella, dove sconterà gli arresti domiciliari. «Li abbiamo chiesti noi, quegli 80 giorni di detenzione sono stati pesantissimi. Giancarlo non ce la faceva più: ha perso 22 chili, è malato di diabete: il carcere preventivo è un’autentica barbarie». A parlare è l’avvocato Antonio Franchini, che con il collega senatore Niccolò Ghedini invierà una nota il cui significato è uno solo: Galan è innocente. Nega di aver ricevuto quella «dazione di un milione di euro all’anno da Mazzacurati, le cui reali condizioni di salute gettano una luce inquietante sulle dichiarazioni di 8 mesi or sono, particolarmente confuse e contraddittorie». Cos’ha convinto l’ex ministro della Cultura e Doge del Veneto a cambiare rotta, mentre l’unico irriducibile rimane Renato Chisso, cresciuto davvero nel Psi di Craxi, che al pool «Mose Pulito» non risponde mai? Una sola cosa: la terribile paura di altri sei mesi di galera, che sarebbero scattati se il deputato di FI avesse scelto il rito abbreviato o il processo ordinario. La galera in una cella vera, per puntare poi sull’assoluzione o la prescrizione finale in Cassazione, dopo che erano già stati cancellati tutti i reati fino al 22 luglio 2008. Meglio tornare liberi e pagare i conti con la giustizia: «Il patteggiamento fissato a 2 anni e 10 mesi e alla confisca di 2,6 milioni di euro sulla casa di Cinto Euganeo rispetto a un sequestro disposto per 4,84 milioni è il frutto della trattativa serrata che abbiamo condotto con la Procura: è il nostro mestiere», spiega Antonio Franchini. «Vogliamo ribadire che il carcere preventivo produce danni irreversibili sulle persone ancora in attesa di giudizio e auspichiamo che il legislatore intervenga per limitare in maniera drastica questo istituto la cui applicazione suscita riserve e critiche: un uomo sottoposto a processo non può serenamente decidere il proprio futuro in una condizione di soggezione che deriva dalla privazione della libertà personale» concludono gli avvocati Franchini e Ghedini. No alle manette, no al carcere, sì alla richiesta di affidamento ai servizi sociali appena conclusi gli arresti domiciliari, accordati dal Gip Galasso: la battaglia dei difensori di Galan viaggia parallela con quella di Forza Italia, che nel ventennio berlusconiano ha ingaggiato uno scontro frontale con la magistratura di Milano, fin dai tempi di Di Pietro. Il pool «Mose Pulito» di Venezia rifugge invece ogni forma di protagonismo: Delpino, Nordio, Ancillotto, Buccini e la Tonini sono i nuovi coraggiosi «eroi» civili di una stagione che non indigna più l’opinione pubblica perché la corruzione in Italia divora 60 miliardi l’anno di Pil ed è la prassi. Pochissime Procure riescono a stroncare i «mariuoli» e quella di Venezia ha scelto la strada più efficace: concedere il patteggiamento a chi confessa ed è pronto a restituire il bottino. Galan ha messo sul piatto 2,6 milioni di euro, mentre i pm gli hanno sequestrato un «tesoro» che vale 4,84 milioni, quasi il doppio. Se vorrà salvare villa Rodella dovrà fare cassa: vendere la barca, la tenuta sull’Appennino, le case al mare e poi versare l’assegno di 2,6 milioni al Tribunale. Piaccia o non piaccia questo prevede il codice e il procuratore Carlo Nordio ha ricordato di aver già incassato 12 milioni e scongiurato il rischio prescrizione. Perché, nell’Italia che annaspa con la riforma della giustizia e non trova l’intesa sul falso in bilancio e autoriciclaggio, il vero pericolo è questo: un colpo di spugna che cancelli tutto. Anni di inchieste, con i soldi della corruzione nascosti all’estero. Chi patteggia, invece, accetta e si piega di fronte al verdetto del tribunale.

Albino Salmaso

 

La capitolazione dopo le ammissioni del commercialista Venuti

A farlo capitolare, inducendolo a patteggiare la pena dopo aver proclamato per mesi la proprio innocenza, è stata la confessione di Paolo Venuti (nella foto), il commercialista padovano che secondo la procura di Venezia custodirebbe i segreti più segreti di Giancarlo Galan. Lunedì sera il professionista ha parlato lasciando così il carcere di Genova dopo quattro mesi di reclusione, con in tasca il via libera dei pm a un patteggiamento di due anni e una multa di 70 mila euro. Venuti, arrestato lo scorso 4 giugno con l’accusa era di aver fatto da prestanome all’ex governatore nella vicenda delle quote societarie di Adria Infrastrutture e Nordest Media ( e di aver curato i conti di Villa Rodella (pagata da Mantovani, per l’accusa) è stato sentito la scorsa settimana in carcere per circa 4 ore. E qui avrebbe ammesso di essersi intestato dei beni beni per conto dell’amico Galan.

 

SERVIRà il VOTO DELLA CAMERA

E presto decadrà da parlamentare

ROMA – Decadenza da deputato. Giancarlo Galan, presidente della commissione Cultura della Camera dei deputati, quando ha firmato la richiesta di patteggiamento da presentare alla procura di Venezia, sapeva di mettere fine anche alla sua carriera politica: la legge Severino, che ha già fatto decadere Silvio Berlusconi da senatore nel novembre scorso e portato alla spaccatura del Pdl in Forza Italia e Ncd, non lascia vie di scampo. «Stabilisce l’immediata decadenza con relativa ineleggibilità di chi ha subito una condanna superiore ai due anni per reati contro la pubblica amministrazione» spiega l’onorevole Giuseppe D’Ambrosio, M5S, presidente della Giunta per l’elezione della Camera dei deputati. «Alla nostra commissione deve arrivare copia della sentenza del Gip, l’udienza è in calendario per il 16 ottobre e poi la trasmetteremo alla presidente Laura Boldrini, che fisserà il giorno in cui la Camera sarà chiamata a votare la decadenza. Lo stabilisce l’articolo 66 della Costituzione, mentre per i sindaci, come De Magistris, o i consiglieri regionali scatta la sospensione immediata dall’incarico in attesa della sentenza definitiva». I tempi? «Noi siamo velocissimi e non facciamo sconti proprio a nessuno», spiega D’Ambrosio, «abbiamo risolto in venti giorni il caso dell’incompatibilità della doppia carica del presidente della Puglia, Nichi Vendola, che a norma di regolamento avrebbe potuto restare deputato per sei mesi. Con il doppio stipendio. Mi auguro che nella Giunta per l’elezione non si tiri troppo per le lunghe come nei casi di Donato Bruno e Cesare Previti; oggi la legge Severino non ammette equivoci interpretativi. Credo che tra ottobre e novenbre voteremo la decadenza e la surroga e poi l’onorevole Galan dovrà dire addio anche allo stipendio. Ma trovo scandaloso, invece, che Francantonio Genovese, il deputato Pd arrestato e sotto inchiesta a Messina, continui ad essere pagato con l’indennità da parlamentare. Il M5S ha chiesto l’immediata sospensione della retribuzione per chi finisce in carcere, ma i regolamenti sembrano come le tavole di Mosè, scolpiti sul marmo». Quando la Camera voterà la decadenza di Giancarlo Galan, si dovrà procedere anche all’elezione del nuovo presidente della commissione di Montecitorio: il M5S con Giuseppe Brescia ha chiesto il cambio di guardia sia per Galan che per Ilaria Capua (Sc-Monti) vicepresidente, spesso impegnata per lavoro negli Usa. Ma la direttrice dello Zooprofilattico delle Tre Venezie non ha nessuna intenzione di lasciare l’incarico. Ultima questione: Galan, se e quando decadrà da deputato, potrà contare sul vitalizio da ex consigliere regionale per i suoi 15 anni di presidente del Veneto: si tratta di 3750 euro al mese, cui va sommato il vitalizio da senatore, carica ricoperta per pochi mesi, e da deputato dal 1994 al 1995 e dal febbraio 2013 ad oggi.

(al.sal.)

 

Il dirigente della Regione Veneto Fabio Fior e gli imprenditori Strano e Dei Svaldi fanno scena muta davanti al gip Marchiori

Il pm sui tre re dei rifiuti: come una banda

VENEZIA – Hanno preferito tacere, sia Fabio Fior, il dirigente regionale della Tutela e Ambiente, sia gli imprenditori Sebastiano Strano e Maria Dei Svaldi. Sono comparsi davanti al giudice veneziano Roberta Marchiori ieri mattina, difesi rispettivamente dagli avvocati Rosario Greco di Bari, Francesco Schioppa di Venezia e Anna Desiderio di Padova, e si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, una possibilità che il codice concede a tutti gli indagati, non è escluso che lette le carte che l’accusa ha raccolto e ha contestato vogliano in seguito parlare, spiegare. Il primo è agli arresti domiciliari nella sua casa di Padova, in via del Santo, gli altri due hanno l’obbligo di dimora nei comuni di residenza, rispettivamente Saccolongo e Mogliano Veneto. Stando al pubblico ministero Giorgio Gava, che ha coordinato le indagini dei finanzieri del Nucleo di Polizia tributaria lagunare, doveva esserci una quarta persona raggiunta dal provvedimento, il commercialista mestrino con studio in viale Ancona Gionata Sergio Molteni, ma il giudice delle indagini preliminari ha sostenuto nelle 117 pagine della sua ordinanza di custodia cautelare che non c’erano nei suoi confronti elementi sufficienti. O, meglio, il magistrato non ha rilevato che esistessero elementi sufficienti per il reato contestato, l’associazione a delinquere finalizzata al peculato, all’abuso d’ufficio e alla malversazione, un’accusa che il rappresentante della Procura contesta anche all’architetto Dei Svaldi, al commercialista Molteni, agli imprenditori Gennaro Visciano, Sonia Silvestri e a Strano. Secondo l’accusa Fior e gli altri avrebbero costituito un consolidato sodalizio criminoso, utilizzando le società Sicea, Zem, Nec, Marte, ultimamente la Eco Environment. Il dirigente regionale avrebbe acquisito la maggioranza del capitale sociale e le avrebbe poi utilizzate «a fini di utilità privata». Grazie alla rete di prestanomi e soci, che occultava quello reale, Fior si sarebbe appropriato di circa un milione di euro di finanziamenti regionali, tre episodi legati alla forestazione da realizzare nel comune di Sant’Urbano, quello per la costituzione dell’Osservatorio scientifico sui disastri ambientali dell’Accademia di scienze ambientali che fa capo all’ex giudice Antonino Abrami e, infine, il progetto di educazione ambientale ideato dalla veronese Magnifica fabbriceria.

Giorgio Cecchetti

 

IL PROGETTO FANTASMA DELLA MAGNIFICA FABBRICERIA Di OPPEANO

Quei 110 mila euro per un corso educativo mai svolto

VENEZIA – La cricca di Fabio Fior era diventata una macchina perfetta per dividere soldi pubblici con gli amici. Infatti gli inquirenti della Guardia di Finanza e dei carabinieri del Noe sono convinti che non solo il dirigente regionale e i suoi due principali complici, Maria Dei Svaldi e Sebastiano Strano, abbiano intascato i soldi “stornati” dalla Regione. Il progetto di educazione ambientale ideato dall’Associazione Magnifica Fabbricceria di Oppeano ne è un esempio. Il progetto dell’associazione, che fa capo a Mattia Galbero, costa alla Regione 110 mila euro ma in realtà gli investigatori scoprono che le uniche spese reali sono quelle di trasporto degli studenti da una scuola di Oppeano alla discarica che si trova nello stesso comune veronese. Le altre tracce del corso non sono altro che due mail inviate dalla Magnifica Fabbricceria alla Sicea, cioè la società che ha organizzato tecnicamente il presunto corso e le spese riconducibili a delle borsette regalate agli studenti e provenienti dalla Cina. Il finanziamento è arrivato a dicembre del 2009. È utile ricordare che Galbero è segretario particolare di Giancarlo Conta (Ncd), allora assessore regionale all’Ambiente della Regione e che la Sicea è di Fior. In sostanza solo una piccola parte di quei soldi sono stati utilizzati per il corso. Il resto è finito in altri canali. Gli investigatori non escludono che una parte sia servita per la successiva campagna elettorale del 2010. Interessante notare quanto abile sia stata la cricca a intrecciare i fili della ragnatela per intercettare più soldi pubblici possibili. La ditta cinese che fornisce le borsette usate come gadget da regalare agli studenti di Oppeano, dove ha la sua sede in Cina? Guarda caso allo stesso indirizzo dove ha sede Ansac, la no-profit che, come ha detto Fabio Fior, “è una mia creatura”. È nata con lo scopo di occuparsi di temi legati al controllo dell’ambiente. Ha ricevuto parecchi finanziamenti dalla Regione, in tre anni almeno mezzo milione di euro e ha soprattutto organizzato alcuni viaggi in Cina dell’assessore all’Ambiente Giancarlo Conta e di diversi funzionari della Regione. L’associazione aderisce a Expo Venice 2015.

Carlo Mion

 

Gazzettino – Galan torna a casa tra abbracci e fischi

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10

ott

2014

«Per uscire dal carcere ho accettato l’inaccettabile»

REAZIONI – Abbracci e commozione con i familiari e con la figlia. «Per rivederla ha accettato l’inaccettabile», dicono i suoi avvocati. Ma la gente lo ha contestato: «Ladro».

SILENZIO – Intanto a Pisa l’ex assessore regionale Renato Chisso ha scelto di non rispondere all’interrogatorio.

MOSE L’ex governatore ai domiciliari a Villa Rodella. Ad accoglierlo la figlia ma anche contestazioni: «Ladro, ladro»

Galan torna a casa tra abbracci e fischi

SCARCERATO – Scandalo Mose: dopo la richiesta di patteggiamento dell’altro ieri, concessi gli arresti domiciliari a Giancarlo Galan.

RIENTRO – L’ex governatore, nell’auto guidata dalla moglie, ha raggiunto la villa di Cinto Euganeo in attesa dell’udienza del 16 ottobre.

DOPO LA RESA – L’ex governatore ha ottenuto gli arresti domiciliari

INCHIESTA SULL’AMBIENTE – Gli indagati non rispondono, i legali: dobbiamo leggere 30 faldoni di atti

Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere i tre protagonisti dell’inchiesta sull’ambiente. Ieri mattina, davanti al Gip, Maria Dei Svaldi e Sebastiano Strano hanno scelto la strada del silenzio. Motivo: è necessario leggere tutta la corposa documentazione raccolta dal pm: 30 faldoni di atti. Il protagonista dell’inchiesta è Fabio Fior (foto), 57 anni, noalese residente a Padova, ex dirigente del settore Ambiente della Regione Veneto. Per lui è scattata la misura degli arresti domiciliari per i reati di peculato e falso. Il pm Gava contesta all’ex dirigente una serie di incarichi di collaudo che Fior avrebbe seguito su discariche e impianti di smaltimento rifiuti senza la necessaria autorizzazione da parte dell’amministrazione regionale.

 

Galan torna a casa

«Ho accettato l’inaccettabile»

«Non riusciva più a stare in carcere. Per questo Giancarlo Galan ha accettato l’inaccettabile».
È l’amara riflessione fatta ieri pomeriggio dagli avvocati dell’ex presidente della Regione. Niccolò Ghedini e Antonio Franchini spiegano con una frase molto secca che la situazione complessiva in questi mesi era diventata davvero molto delicata.
«Le condizioni generali erano gravi – aggiungono i legali – non dimentichiamo che Galan si trovava ristretto nel carcere di Opera dal 22 luglio scorso». Per riuscire venire fuori da una situazione così difficile i due avvocati hanno quindi deciso di avviare una trattativa serrata che, in otto giorni, ha prodotto il via libera alla scarcerazione da parte della Procura veneziana. E ieri mattina, poco prima delle 10, il gip Galasso dal suo ufficio in piazzale Roma ha depositato il provvedimento che concede a Galan gli arresti domiciliari nella sua casa di Cinto Euganeo. Una decisione, quella del giudice, dettata sia dal parere favorevole della Procura sia dalla lunga detenzione.
Certo, non deve esser stato facile accettare un patteggiamento a 2 anni e 10 mesi visto che in passato Galan ha spesso respinto gli addebiti della Finanza, ma gli avvocati rimarcano che in due mesi il loro assistito ha perso 22 chili e che attualmente presenta anche spunti depressivi che necessitano di una vista psichiatrica. In prospettiva, poi, si stava delineando anche il rischio di una richiesta di giudizio immediato che avrebbe allungato la custodia cautelare in carcere per altri sei mesi per processare il politico come detenuto.
Da qui la scelta dei legali «dell’accordo tecnico della prescrizione per tutti i reati fino al 22 luglio 2008; 2 anni e mesi 10 per i residui reati contestati, confisca per il valore di 2.600.000, sulla casa di Cinto Euganeo rispetto ad un sequestro disposto per 4.850.0000. E così alla fine Galan, dopo una sofferta riflessione, ha accettato solo per le difficoltà di proseguire lo stato di carcerazione e per poter riabbracciare la propria famiglia con particolare riferimento alla piccola Margherita».
L’ex ministro, comunque, è tornato a ribadire la propria estraneità a molti addebiti prendendo di mira alcune affermazioni collegate all’inchiesta sul Mose.
«In particolare – precisano Ghedini e Franchini – in merito alla pretesa dazione di un milione all’anno emerse dalle dichiarazioni dell’ingegner Mazzacurati, le cui reali condizioni di salute, recentemente emerse, gettano luce inquietante sulle dichiarazioni di otto mesi fa, particolarmente confuse e contraddittorie».
L’ultimo affondo dei legali riguarda la carcerazione preventiva. «Il carcere preventivo produce danni, a volte irreversibili, su persone ancora non giudicate – concludono Ghedini e Franchini – auspichiamo che il legislatore intervenga ancora una volta per delimitare in materia drastica questo istituto la cui applicazione pratica e giurisprudenziale suscita sempre maggiori riserve e critiche». In ogni caso il tetto del patteggiamento, se confrontato ad altri protagonisti dell’inchiesta, è destinato a far discutere.

Gianpaolo Bonzio

 

LA PRIGIONE DORATA – Una grande dimora con piscina e chiesetta

IL FILM – Galan all’uscita del carcere con la moglie, all’arrivo a casa e nella prima passeggiata in giardino

DIMAGRITO – Secondo i suoi avvocati avrebbe perso 22 chili

Abbracci e fischi per l’ex doge

Il ritorno nella villa di Cinto Euganeo, l’incontro con la figlia e la contestazione all’arrivo: «Ladro, ladro»

Da ottanta giorni attendeva questo momento. Che è arrivato ieri, poco dopo le 17, quando ha riabbracciato la figlioletta Margherita, nel giardino della sua splendida abitazione di Cinto Euganeo. Giancarlo Galan, infatti, adesso è agli arresti domiciliari a Villa Rodella, da dove era uscito a bordo di un’ambulanza il 22 luglio scorso, diretto al carcere di Opera. Accusato di tangenti nell’ambito dell’inchiesta sul Mose, ha patteggiato una pena di due anni e 10 mesi e la confisca di 2 milioni 600 mila euro: ora dovrà restare all’interno delle mura domestiche, peraltro una prigione dorata con parco, piscina e chiesetta privata. Secondo la legge, come hanno precisato i carabinieri che presidiavano l’abitazione, non potrà però andare neppure in giardino, o sul balcone.
I preparativi per il rientro dell’ex governatore erano iniziati già la mattina, con la governante che era entrata e uscita dall’antica palazzina per fare compere e preparare qualcosa di particolarmente gradito al capofamiglia. La moglie Sandra Persegato, invece, era partita molto presto guida della sua Audi Q7 per andare a prendere il marito nel carcere lombardo. Per il resto della mattinata, e per metà pomeriggio, nel giardino di casa Galan si sono visti solamente i cani, uno dei quali, un vecchio labrador dal passo incerto, non si è mosso dal cancello, come se volesse essere il primo a salutare il padrone. All’interno la piccola Margherita, 7 anni, si era preparata con un delizioso abitino a quadretti e le calzine bianche, per accogliere il papà.
Nella dependance, quella dove aveva dormito anche Silvio Berlusconi il giorno del matrimonio dei coniugi Galan, porte e finestre sono rimaste chiuse, mentre nell’ala dove c’è la residenza della famiglia i balconi sono stati aperti, i vetri a bocca di lupo per arieggiare gli interni, ma le tende rigorosamente tirate. Qualcuno aveva dato una sistemata anche al giardino, per far trovare all’ex governatore in buono stato le tantissime piante di rose bianche di cui si prendeva cura personalmente prima dell’arresto.
Decisamente meno amichevole, invece, l’atteggiamento degli abitanti di Cinto, molti dei quali, a piedi in bici e in auto, sono passati davanti a Villa Rodella urlando insulti di tutti i tipi nei confronti dell’ex doge. «Ladro!», ha gridato qualcuno. I passanti prima si informavano se il loro concittadino più illustre fosse rientrato e poi passavano alle invettive.
Quando è arrivato, dall’altra parte dell’argine, proprio davanti alla facciata della villa, si era radunato un capannello di persone che ha assistito alla scena. Alle 16,55 è tornata per prima Sandra Persegato, camicia senza maniche e pantaloni neri, sgommando con il suv arrivato a gran velocità: con il telecomando ha azionato il cancello elettrico e, in attesa che si aprisse, ha nascosto il volto con una mano, mentre con l’altra ha ticchettato nervosamente sul volante, impaziente di sfuggire alla folla di fotografi e giornalisti. Pochi istanti dopo ha varcato l’ingresso della tenuta la BMW X6 bianca con l’autista e Giancarlo Galan a fianco: quest’ultimo, camicia bianca e maglioncino marrone chiaro sulle spalle, è parso molto molto dimagrito (addirittura 22 chili secondo i legali Nicolò Ghedini e Franchini). Quando ha visto la sua casa, si è passato una mano davanti agli occhi, quasi non credesse di essere di nuovo a Cinto. Le due macchine si sono fermate nell’ala retrostante il cortile. Margherita è corsa tra le braccia del padre prima che lui scendesse dall’abitacolo. Poi Galan ha salutato affettuosamente la moglie, gli altri parenti e i domestici, attorniato da tutti cani di casa che gli hanno fatto moltissime feste. Nel frattempo è iniziato a piovere, ma l’ex governatore non ha esitato a prendere un ombrello e, tenendo per mano la figlia Margherita, ha fatto un giro nei campi a vedere le altre bestiole, gli uccelli nelle voliere e le galline nel pollaio. La bimba, saltellandogli intorno, gli ha raccontato tutto quello che era successo in sua assenza. Quindi per Giancarlo Galan è cominciata la lunga clausura dorata.

 

IL BILANCIO FINANZIARIO – Un’inchiesta costosa ma «in attivo»

Con i 12 milioni che lo Stato incasserà dai patteggiamenti, la Procura di Venezia ha ampiamente coperto le “spese di giustizia” sostenute per condurre in porto una delle inchieste destinate a entrare nella storia, del malaffare italiano. Indagini, quelle sul Mose, partite in sordina nel 2008 e chiuse, forse non definitivamente, lo scorso 4 giugno: quanto sono costate ai contribuenti? L’unico dato certo sono i circa 750mila euro pagati per migliaia di ore di intercettazione. Ma occorre considerare anche il “prezzo” delle risorse umane impiegate fra investigatori della Guardia di Finanza, e giudici. Per quanto riguarda i finanzieri il calcolo molto approssimativo potrebbe ammontare a circa 1 milione e e mezzo considerando almeno 15 militari staccati a tempo pieno per 4 anni, con stipendio medio mensile di 2mila euro comprensivo di straordinari, più l’arrotondamento per missioni e altro.

 

Ma Baita e i big hanno pagato meno di tutti

L’EX SINDACO – L’offerta di Orsoni era del 2,7 %: il gup l’ha respinta

IL CONTO – Galan dovrà sborsare il 54% della somma che gli viene addebitata

Scandalo Mose, in base alle pene pecuniarie già patteggiate e in via di definizione, la Procura di Venezia sull carta ha già recuperato quasi 12 milioni di euro. Oltre il 30% sul totale del cosiddetto prezzo del reato che si aggira, in base a quanto contestato in ordinanza a circa 36 milioni 192mila euro. Chiamato a pagare risulta chi si è intascato a vario titolo i soldi pubblici, diffusi a pioggia da quella centrale di tangenti che si è rivelata il Consorzio Venezia Nuova sotto la guida di Giovanni Mazzacurati. Il conto più salato, si fa per dire, è stato presentato non tanto ai vip della politica o ai big dell’economia, bensì ai pesci piccoli, per lo più responsabili delle cooperative. Il dato emerge calcolando la percentuale di ogni singolo indagato rispetto alle cifre confutate nero su bianco dai finanzieri che hanno condotto le indagini, coordinati dai pm Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini. Questo solo sul fronte del “vil denaro”, senza considerare la pena detentiva patteggiata che per il filone veneziano ammonta a un totale di 33 anni. Piergiorgio Baita, ex patron della Mantovani di cui detiene stock option milionarie, è uscito dalla scena giudiziaria sborsando 400mila euro: il 5% dei quasi 8 milioni di euro contestati per evasione fiscale. Mentre i “soci”, citati con lui in solido, Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan quando era governatore del Veneto, William Ambrogio Colombelli, titolare della “cartiera” di fatture false con sede a San Marino, Nicolò Buson, responsabile amministrativo di Mantovani, non hanno versato nemmeno un cent.
Di fatto la stangata – considerata non sulla cifra complessiva da versare – l’hanno presa, come detto, i personaggi cosiddetti minori, quali i titolari delle coop che nei diversi interrogatori hanno ribadito che se volevano lavorare dovevano allinearsi al “sistema”. Da questa angolazione più bastonati di Galan sul portafoglio, che l’altro ieri ha chiesto di patteggiare con 2 milioni e 600mila euro (quasi il 54% dei 4 milioni e 830mila contestati) appaiono i chioggiotti Dante Boscolo Contadin, Gianfranco Boscolo Contadin (Nuova Coedmar) e Andrea Boscolo Cucco: battono il record rispettivamente con il 100% e con il 94% e Dante paga in toto i 464mila euro contestati, 64mila euro in più di Baita. A tallonarli, un altro Boscolo, Mario Bacheto della Cooperativa San Martino (fu la verifica fiscale aziendale avviata nel marzo 2008 a far partire l’inchiesta Mose) con poco più del 91%, 300mila euro più di Baita.
Seguono a distanza Stefano Tomarelli (manager di Condotte) con quasi il 67% equivalente a 700mila euro su 1 milione e 45mila euro, Maria Teresa Brotto (dirigente Consorzio Venezia Nuova) con il 64%, 600 mila euro (200mila euro in più di Baita) su 933mila euro.
L’importo da primato pattuito spetta […………………….] (titolare dell’omonima azienda di costruzioni e socio al 30% del Consorzio Venezia Nuova) con 4 milioni di euro, dieci volte tanto Baita, il grande accusatore, calcolati su oltre 13 milioni di euro contestati. La cenerentola, sempre percentualmente parlando risulta con il 2,15% Franco Morbiolo, ex presidente del Coveco, il consorzio della Lega delle Cooperative del Veneto, che stando all’accusa sarebbe stata la centrale delle mazzette rosse (19mila euro su 890mila). L’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, si posiziona subito dopo Morbiolo e prima di Baita con 2,7% (15mila su 560mila) ma la proposta del suo patteggiamento, come si sa, è stata rigettata dal giudice dell’udienza preliminare. Al terzo posto, con il 9% il padovano Paolo Venuti, l’ex commercialista di Galan che ha ammesso di aver fatto da prestanome al deputato di Forza Italia, da ieri ai domiciliari a Villa Rodella (70mila euro) su 790mila.

Monica Andolfatto

 

Pene leggere? Sì, ma giustizia è fatta

Da quando esiste il rito del patteggiamento in Italia, mai un’inchiesta complessa come quella del Mose si è conclusa in termini così rapidi e con la resa (quasi) incondizionata della (quasi) totalità degli indagati. Mentre vent’anni fa gli ex ministri Carlo Bernini e Gianni De Michelis si facevano processare per le mazzette della “bretella” autostradale Marco Polo, oggi l’ex ministro Giancarlo Galan ha scelto di uscire dalla scena giudiziaria e politica scendendo a patti con i suoi accusatori, anche se per quattro mesi aveva sostenuto che essi fossero allo stesso tempo vittime e carnefici, a causa delle allucinazioni confessorie del trio Mazzacurati-Baita-Minutillo. E così fa finire in archivio un elenco di episodi di supposta corruzione per milioni di euro che fanno impallidire Mani Pulite.
Tutti sanno che il patteggiamento non è ammissione di colpevolezza, ma accettazione concordata di una pena (detentiva e pecuniaria), per i più svariati motivi. C’è chi vuole risparmiare sui costi di un processo, chi preferisce evitare mesi sotto la ribalta della cronaca. Ma c’è anche chi teme condanne severe e si aggrappa al compromesso che la Legge gli offre per limitare i danni. È un accordo tra accusa e difesa, con una convenienza da ambo le parti. Ma è un contratto che difficilmente si accetta – soprattutto se in gioco c’è l’onore di persone che hanno ricoperto incarici pubblici – quando si è accusati ingiustamente.
Per questo la resa di Galan alla Procura di Venezia è l’ammissione (implicita soltanto ad essere benevoli) dell’esistenza di quel sistema dell’intrallazzo, delle elargizioni clientelari, dei controlli sugli appalti, dei finanziamenti illeciti alla politica, indicati nei capi d’accusa che hanno portato alla retata del 4 giugno 2014. Il fatto che più o meno tutti gli indagati abbiano fatto la stessa scelta, significa che il disvelamento dei fatti e delle prove, le testimonianze e le chiamate di correo raccolte da Finanza e pubblici ministeri, non erano tasselli di un quadro disordinato, confuso, approssimativo, ma i mattoni di una costruzione solida, dalle fondamenta ben piantate. Purtroppo, a guardarla con gli occhi del cittadino, è in realtà una babele di interessi privati in atti d’ufficio, distrazione di risorse pubbliche e scandalosi arricchimenti personali, che – a dispetto dei tanti amministratori onesti – rimarrà come una macchia, non soltanto individuale, su Venezia e sul Veneto.
Giancarlo Galan starà ai domiciliari per qualche mese ancora, sborserà un po’ di quattrini e perderà il seggio alla Camera dei Deputati, ma ha comunque ottenuto vantaggi non indifferenti. Esce dal carcere, evita il rischio di una condanna molto più pesante al termine del processo, vede interrompersi la caccia al tesoro aperta in mezza Europa sui suoi conti bancari esteri e non pagherà, seppur in solido, le spese legali, che per un’inchiesta-monstre come quella sul Mose saranno salatissime.
Eppure la Procura di Venezia, su cui inevitabilmente in queste ore piovono anche critiche per una pena tutto sommato modesta rispetto al tenore delle accuse, può fregiarsi di un grande merito. Un record da annali giudiziar, in epoca di processi-lumaca. In quattro mesi ha chiuso la partita con politici locali e regionali, uomini di partito e portaborse, ufficiali della Finanza infedeli, ex-Magistrati alle Acque, professionisti e imprenditori. Tutti hanno ballato per anni una danza macabra attorno al Mose, in una Laguna carnescialesca, dove i volti erano in realtà le maschere di una rappresentazione molto poco civile. Con l’unica eccezione dell’indagato Renato Chisso, ora hanno capito che il tempo della resa alla Giustizia è arrivato. E questo, pur con qualche approssimazione, è il punto più vicino a una verità sostanziale.

Giuseppe Pietrobelli

 

L’ASSESSORE IN CARCERE Il faccia a faccia salta all’ultimo momento

Chisso tace: «Non me la sento»

Viaggio a vuoto dei pm a Pisa

I difensori miravano a far constatare di persona dai magistrati il pesante stato psicofisico dell’indagato: «Non può stare in cella, rischia un altro infarto»

Si è avvalso della facoltà di non rispondere, aprendo la strada alla richiesta di rito immediato da parte della Procura lagunare, processo entro brevissimo con le sole prove accumulate finora. Nel primo interrogatorio dal giorno del suo arresto, il 4 giugno scorso, Renato Chisso ha rifiutato di sostenere il contraddittorio davanti ai due dei tre pm, con Paola Tonini, titolari dell’inchiesta sul Mose, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini. Magistrati che di prima mattina sono partiti da Venezia alla volta del carcere di Pisa, dove a mezzogiorno era fissato il faccia a faccia fra l’ex assessore regionale alle Infrastrutture e coloro lo accusano di corruzione, alla presenza dei legali del 60enne veneziano.
Una titubanza iniziale di fronte ai sostituti procuratori e poi poche parole: «Non me la sento di rispondere, non sono in grado» avrebbe detto, trasandato nell’aspetto. Così chi si aspettava che dopo l’amico Galan, il prossimo a capitolare fosse lui è stato spiazzato. E lo è ancor di più chi fatica a capire la strategia difensiva intrapresa, finora apparsa incentrata sulla battaglia peritale medica per dimostrare l’incompatibilità della cella con le condizioni di salute di Chisso, il quale si è sempre proclamato e continua a proclamarsi innocente. Allora forse sarebbe bastato inviare un fax in Procura, rifiutando quella che i magistrati hanno considerato l’opportunità concessa a tutti gli indagati del Mose, ovvero di controbattere alle contestazioni.
L’avvocato di Chisso, Antonio Forza, ha qualche asso nella manica da giocare in dibattimento e mirava a far constatare di persona lo stato psicofisico del suo assistito, cardiopatico, e che a suo parere risulta gravemente compromesso, tanto da far temere un altro infarto. I pm dal canto loro non si sbilanciano e attendono la decisione della Commissione nominata dal gip. Stando alle dichiarazioni dell’ex segretaria di Galan, Claudia Minutillo, dell’ex amministratore delegato della Mantovani, Piergiorgio Baita, e dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, Chisso sarebbe stato a libro paga del Consorzio. Ad aggravare la posizione di Chisso, di recente, le ammissioni rese da Luigi Dal Borgo circa ingenti versamenti su conti esteri a lui riconducibili.

 

GALAN / 1 – PENA DA LADRI DI GALLINE

Come volevasi dimostrare. Il sig. Galan cala i pantaloni, patteggia una pena da ladri di galline e promette di restituire all’erario la somma di 2,6 milioni di euro. Qualcuno dovrà spiegare al popolino cosa significhi patteggiare una pena agli arresti domiciliari o tutt’al più essere inserito nel novero dei lavori socialmente utili, come il povero Berlusconi. Il signore, che con tanta alterigia si dichiarava totalmente estraneo e lanciava strali a destra e a manca, ora si troverà ad innaffiare i fiori nella sua villa principesca e si darà da fare per racimolare i soldi rubati. Sì, perché il signore ha rubato soldi pubblici, cioè contributi del popolo e come tale dovrebbe chiedere scusa ai derubati e farsi qualche annetto di galera. Poi speriamo che gli venga confiscata la villa, i tanti poderi, barche e macchine, insomma lo si riduca al lastrico, imparerà così come si vive con pochi euro al mese. Bisogna che in questo paese, dilaniato da continui scandali, ritorni la morale e l’onestà, per cui la pena inflitta al sig. Galan sia un monito per chi governa ed amministra denaro pubblico.

Alessandro Dittadi – Mogliano Veneto (Tv)

 

GALAN / 2 – ISOLIAMO LE MELE MARCE

Galan patteggia. Bene, ha fatto ciò che la legge gli permette. Sono convinto che tra consulenti medici, perizie sulla sua salute e costi vari, per tipi come lui, sommato il costo del carcere, sia la soluzione meno costosa. Ma poi? Se dovesse vivere come niente fosse successo sarebbe un male. A queste persone (se poi è giusto chiamarle tali) bisognerebbe scavare un fossato attorno, nessun funzionario pubblico dovrebbe più avvicinarsi, pena la radiazione, se un ente privato dovesse partecipare a gare di appalti pubblici e si avvalesse delle sue (e della sua cerchia) consulenze dovrebbe essere subito escluso dalla gara, gli si dovrebbe eliminare pensioni e vitalizi acquisiti, perché la persona pubblica si è macchiata di disonestà soprattutto verso tutti coloro che lo hanno votato, non verso i pochi che lo hanno scelto. Abbiamo una miriade di esempi di qualcuno che si avvale ancora di tipi come questi perché sono costoro che conoscono il sistema. C’è bisogno di isolarli davvero, renderli inoffensivi. Sono solo malati di potere e presidenzialismo, se gli togliamo questo si auto eliminano.

Lettera firmata

 

GALAN / 3 – UN “DOGE” INDEGNO

Ci fu un tempo felice in cui Venezia era l’esempio. Chi aveva un incarico pubblico doveva essere integerrimo e se rubava veniva decapitato. Ora non pretendo tanto ma pensare che il moderno “doge” patteggi il minimo e si tenga il massimo urla dolore e sdegno. Per quanto ancora saremo chiamati a fare sacrifici inenarrabili per ingrassare costui e costoro?

Nadia Ancilotto

 

GALAN / 4 – MA QUESTA NON E’ GIUSTIZIA

Non ho mai scritto nella mia lunga vita a un giornale, ma sono talmente indignato che non ne posso fare a meno. Mi ero illuso che il grande lavoro fatto da quei giovani e coraggiosi Giudici contro addirittura i poteri forti dello Stato portasse a una condanna esemplare, forse non ci avrebbe restituito il maltolto, ma ci avrebbe confortato. Invece abbiamo un Corona in galera per altri anni e questi signori, con la esse minuscola, che si sono appropriati dei soldi dello Stato, vissuti alla grande alla faccia di tutti noi, sperperando i nostri soldi, avendo comperato case pagandole in nero (dichiarato dal venditore) restano praticamente impuniti: solo un piccolissimo patteggiamento, senza contare tutto il resto. Signori Procuratori della Repubblica vorrei sapere, come cittadino, se questa è Giustizia.

Maurizio Fiorini

 

GALAN / 5 – IL PRINCIPE DELLE CONTRADDIZIONI

Lo ricordiamo tutti: era partito negando qualsiasi coinvolgimento. Proclamandosi onesto, adamantino, incapace non soltanto di violare leggi ma anche di escogitare furberie per aggirarle. Anzi, ancora prima, durante il suo lunghissimo “governatorato”, si era profuso in elogi per questo Nordest sano, lontano dalle corruttele, fatto di grandi imprese (sempre le stesse, noto incidentalmente) che lavoravano con passione e onestà e a cui la politica doveva solo dire grazie. Comunque, davanti al parlamento, prima correzione di rotta: sono innocente, nessun reato ma sì, al limite, per la mia casa, qualche furberia nella fatturazione per ovvi motivi fiscali. Poi l’arresto e le lamentazioni sdegnate e grintose: è un complotto, farò nomi e cognomi. Ha fatto nomi e cognomi di imprenditori che l’avrebbero finanziato occultamente. Lo hanno smentito tutti. Nuova giravolta: combatterò fino in fondo per dimostrare la mia innocenza. Fatalità, appena ha rischiato di passare da un’infermeria al carcere comune, ecco pronto un patteggiamento anche cospicuo. E l’offerta di un pozzo di soldi che fino a poco prima aveva dichiarato di non avere. E’ davvero triste la fine del doge Galan. Ma lui è comodamente nella sua villa. Forse è più triste la fine per chi ha continuato a votarlo per anni e anni.

Elena Fava – Carbonera (Tv)

 

Gazzettino – La resa di Galan: 2 anni e 10 mesi

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9

ott

2014

MOSE – L’ex ministro patteggia la pena. Confisca di 2,6 milioni. La Procura: sì ai domiciliari. Decadrà da deputato

Nordio: pena non altissima ma confiscata grossa somma

ACCORDO – L’ex governatore Giancarlo Galan chiede il patteggiamento per lo scandalo Mose: due anni e dieci mesi e 2,6 milioni di euro. Sì della Procura, la decisione finale spetta al gip.

SVOLTA – L’ex doge dovrebbe andare agli arresti domiciliari. Oggi, intanto, interrogatorio in carcere per l’ex assessore Renato Chisso.

La resa di Galan: 2 anni e 10 mesi

Se non ha i soldi per pagare, rischia la confisca di villa Rodella

DETENUTO – Giancarlo Galan si trova dal mese di luglio nell’infermeria del carcere di Opera a Milano. Adesso per lui si fa concreta la speranza di ottenere gli arresti domiciliari

Galan si arrende e patteggia 34 mesi e 2,6 milioni di euro

Dopo aver sempre respinto ogni accusa, l’ex governatore chiede di concordare la pena.

La Procura di Venezia accetta e gli concede i domiciliari. Al gip la decisione definitiva

Anche Giancarlo Galan alla fine ha ceduto. Ieri mattina i suoi legali hanno concordato con la Procura il patteggiamento di due anni e 10 mesi di reclusione e il pagamento di due milioni e 600 mila euro, somma che sarà confiscata come provento di reato. Il gip Giuliana Galasso prenderà in esame la proposta di applicazione di pena il prossimo 16 ottobre, assieme a quelle di altri 18 tra i principali indagati nell’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose”. Stamattina lo stesso giudice dovrà decidere in merito all’istanza di concessione degli arresti domiciliari all’ex Governatore del Veneto, che si trova recluso all’interno del Centro medico del carcere di Opera, a Milano, dallo scorso 22 luglio, dopo che il Parlamento decise di concedere l’autorizzazione al suo arresto.
La Procura – con decisione del procuratore capo Luigi Delpino, dell’aggiunto Carlo Nordio e dei pm Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini – ha dato parere favorevole al patteggiamento seppure Galan non abbia fatto alcuna ammissione in relazione ai pesanti reati che gli vengono contestati. Gli inquirenti ritengono di aver raggiunto un importante risultato: non appena la sentenza diventerà definitiva, scatterà il divieto di ricoprire cariche elettive o di Governo e, di conseguenza, Galan dovrà lasciare il seggio alla Camera, dove prima dell’arresto era presidente della Commissione Cultura. L’incandidabilità ha durata non inferiore ai sei anni.
Il patteggiamento di Galan (esponente di spicco di Forza Italia prima e del Pdl poi) e di numerosi altri indagati – con la conseguente confisca di consistenti somme di denaro – costituisce per la Procura una conferma della fondatezza dell’impianto accusatorio. Se tutti i previsti patteggiamenti saranno definiti la prossima settimana, nelle casse dello Stato entreranno circa 12 milioni di euro: si tratta di denaro, quote azionarie e beni immobili già sequestrati agli indagati, per i quali scatterà la confisca. Nel caso Galan la confisca potrebbe riguardare la stessa villa Rodella, fino all’ammontare di 2,6 milioni. Salvo che l’ex presidente della Regione non riesca a trovare l’ingente somma e a versarla nell’apposito fondo dello Stato prima che la sentenza passi in giudicato, ottenendo il dissequestro dei beni “congelati”.
A chiedere gli arresti domiciliari nella lussuosa villa di Cinto Euganeo sono stati gli stessi difensori dell’ex Governatore, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini: la pena di due anni e 10 mesi non è sospesa (la sospensione condizionale è concedibile fino a pene massime di due anni): di conseguenza i legali cercheranno di far scontare a Galan il più possibile a casa, prima che la sentenza diventi definitiva e possano fare istanza al Tribunale di sorveglianza affinché possa essergli concesso l’affidamento in prova. Così come è accaduto al suo grande amico, Silvio Berlusconi, anche lui decaduto in base alla legge Severino.
Galan è accusato di essere stato al soldo dell’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, e dell’ex presidente dell’impresa di costruzione Mantovani, in cambio dell’aiuto per far procedere il progetto relativo alla realizzazione del Mose (il sistema di dighe mobili progettato per difendere Venezia dall’acqua alta) e per agevolare alcuni project financing a cui partecipava la Mantovani. Parte delle imputazioni, quelle precedenti al 21 luglio del 2008, sono state considerate prescritte dal Tribunale del riesame per il troppo tempo trascorso. Ma, contro Galan restano altri episodi successivi, riscontrati dai risultati di alcune rogatorie e, dalla scorsa settimana, confermati dalle ammissioni del suo commercialista e amico, Paolo Venuti, il quale ha riconosciuto di aver fatto da prestanome al presidente della Regione, per non far figurare il suo nome in alcune società. Probabilmente è stata proprio la confessione di Venuti, unita al rischio di essere trasferito a breve in una cella comune, assieme ad altri detenuti, a far decidere Galan per il patteggiamento. Una vera e propria “resa”, considerato che fino all’ultimo aveva sempre negato sdegnosamente ogni accusa.

Gianluca Amadori

 

L’ex ministro dovrà lasciare il seggio da deputato

Per mesi ha detto: «Mi difenderò, sono innocente»

L’INDAGATO – Dalle prime dichiarazioni, alle memorie, alla conferenza stampa a Montecitorio aveva sempre respinto ogni accusa

Parola di Galan: sono innocente. Lo ha detto e spergiurato in più occasioni, dal 4 giugno scorso, quando seppe che il gip ne aveva ordinato l’arresto.
Pomeriggio del 4 giugno: «Mi dichiaro totalmente estraneo alle accuse che mi sono mosse, accuse che si appalesano del tutto generiche e inverosimili, per di più, provenienti da persone che hanno già goduto di miti trattamenti giudiziari. Mi difenderò a tutto campo nelle sedi opportune, con la serenità e il convincimento che la mia posizione sarà interamente chiarita».
Dalla memoria difensiva del 20 giugno 2014. «Non ho mai ricevuto denari dall’ing. Piergiorgio Baita nel corso dei 15 anni di Presidenza della Regione Veneto e ciò vale anche per il periodo successivo; tantomeno, vorrei precisare con forza, ne ho a costui richiesti». E ancora: «Con l’ing. Giovanni Mazzacurati vi era un rapporto molto formale e mai abbiamo discusso di denaro o di finanziamenti a mio favore. Mai nulla ho da lui ricevuto». Nella stessa autodifesa. «Da diverse fonti processuali emerge che molti denari consegnati al Mazzacurati servivano per scopi personali dello stesso per milioni di euro, il che fa pensare che costui abbia usato la fantasiosa storia del milione di euro all’anno quale “copertura” di proprie ingenti appropriazioni».
Il 23 giugno, a Montecitorio. «Quella della Finanza è una rappresentazione della realtà assolutamente falsa. Non ho rubato. Sulle mie condizioni patrimoniali sono state scritte le più colossali fesserie. Leggo che avrei 18 conti bancari, non lo sapevo. Ci sono delle accuse assurde: avrei preso 900 mila euro per il rilascio del parere della commissione di salvaguardia nel 2002 e mi avrebbero dato i soldi quattro anni dopo? E poi, perché dare i soldi per convincere uno, il sottoscritto, che è già convinto del Mose? Qualcuno quei soldi se li è presi».

 

 

EX ASSESSORE – Renato Chisso è l’ultimo degli indagati che è ancora in carcere a Pisa. Oggi verrà interrogato

IN CARCERE A quattro mesi dall’arresto

La prima volta di Chisso: oggi interrogatorio dei pm

È rimasto l’ultimo detenuto della retata di giugno. Il difensore: «Sta davvero male, non può rispondere»

Resta solo lui. Dei big politici della cricca del Mose che non hanno ancora chiesto di patteggiare. Fatta eccezione per la ex europarlamentare vicentina Lia Sartori, la quale però non deve rispondere di corruzione bensì di finanziamento illecito ai partiti. Renato Chisso, 60 anni, veneziano, ex assessore regionale alle Infrastrutture e alla Mobilità, è ancora in cella dallo scorso 4 giugno quando all’alba scattò quella che è passata alla cronaca come la “grande retata” per la nuova Tangentopoli veneta. Si è sempre proclamato innocente. Da allora non è mai stato interrogato dai pm titolari dell’inchiesta che si è abbattuta come uno tsunami in laguna, Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini. Stamani per la prima volta verrà sentito di magistrati che lo accusano. Il faccia a faccia è stato fissato nel carcere di Pisa, struttura scelta dalla Procura per offrire all’indagato cardiopatico, la massima assistenza medica. Ieri pomeriggio Chisso ha incontrato il suo legale, l’avvocato Antonio Forza, alfiere di una strenua battaglia, finora persa, per far concedere al suo assistito gli arresti domiciliari sulla base di un quadro clinico che definisce gravemente compromesso. E su tale fronte si è ingaggiato uno scontro durissimo a suon di perizie fra i consulenti della Procura e quelli della difesa. Cui ha posto fine il gip che, sulla base dei propri periti, ha sancito che la struttura carceraria di Pisa è attrezzata in maniera adeguata dato che è annessa a un centro clinico specializzato in cardiologia, negando quindi l’attenuazione della misura detentiva.
L’avvocato Forza, contattato ieri, ha affermato che l’unico imperativo categorico che si è dato è quello di fare di tutto affinché Chisso non sia colpito da un altro infarto – come quello che a settembre 2013 lo portò d’urgenza all’ospedale di Mestre dove fu operato. Teme infatti che, testuale, questa storia finisca nel peggiore dei modi.
E sulla strategia difensiva? Chisso non è nelle condizioni psicofisiche di decidere nulla e non è nemmeno in grado di colloquiare, ha continuato Forza asserendo che sta male sul serio e che i pm potranno finalmente constatarlo di persona. Lo stato di salute di Chisso è talmente precario, ha sottolineato Forza, che non gli consente di difendersi nemmeno da accuse assolutamente false come quelle di aver portato milioni di euro all’estero. I pm non hanno trovato nulla. Il tenore di vita di Chisso è sotto gli occhi di tutti e dimostra che possiede i soldi sufficienti per vivere. E basta, ha concluso Forza. Stando alle dichiarazioni dell’ex segretaria di Galan, Claudia Minutillo, dell’ex amministratore delegato della Mantovani, Piergiorgio Baita, e dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, Chisso sarebbe stato a libro paga del Consorzio. Come l’ex Doge del Veneto, Giancarlo Galan. Che ieri a sorpresa ha chiesto di patteggiare. E pensare che in una conferenza stampa tenuta a Montecitorio a fine giugno aveva sentenziato che la Guardia di Finanza aveva fatto un lavoro scadente, tale da indurre in errore chi doveva giudicarlo, preparando una falsa rappresentazione su basi presuntive e non documentali.

 

SCANDALO Mose – L’INCHIESTA «L’impianto accusatorio esce confermato, premiato il lavoro degli inquirenti»

LE MOTIVAZIONI – Il procuratore aggiunto di Venezia spiega il via libera al patteggiamento

Nordio: rischio prescrizione, importante recuperare i soldi

«Abbiamo privilegiato l’aspetto pecuniario della sanzione: di fronte alla prospettiva di un processo lungo, del rischio di prescrizione e di una pena detentiva comunque incerta, nel bilanciamento di interessi prevale la riscossione immediata di somme considerevoli a titolo di confisca».
Il procuratore aggiunto Carlo Nordio ha spiegato così, nel primo pomeriggio di ieri, la decisione della Procura di dare il via libera al patteggiamento della pena proposta dai difensori dell’ex Governatore del Veneto, Giancarlo Galan, in carcere con l’accusa di corruzione. La pena detentiva – due anni e 10 mesi di reclusione – non è altissima, ma deve essere valutata assieme ai 2,6 milioni di euro che il deputato di Forza Italia ha accettato di farsi confiscare. Sicuramente, se riconosciuto colpevole, sarebbe stato condannato ad una pena ben più severa. I processi, però, si sa sempre come iniziano, mai come finiscono, tra normative che cambiano e una Corte d’Appello che in Veneto ha un arretrato enorme e fissa processi dopo anni di attesa.
«La sanzione complessiva risponde al fondamentale criterio di rieducazione contenuto nell’Art. 27 della Costituzione, e ai criteri di ragionevolezza ed economia processuale che hanno ispirato il legislatore a introdurre l’istituto del patteggiamento», si legge nel comunicato stampa firmato infatti dal procuratore capo, Luigi Delpino assieme all’aggiunto Nordio». Nel commentare la “resa” dell’ex presidente della Regione, Nordio non nasconde la soddisfazione: «L’impianto accusatorio esce confermato – spiega – Viene premiato l’ottimo lavoro dei sostituti procuratori che si sono occupati delle indagini, senza alcun accanimento o enfasi salvifica, in modo estremamente attento alle garanzie processuali e fisiche degli indagati».
Il riferimento è sicuramente allo stesso Galan, fin dal primo momento recluso nel Centro medico del carcere di Opera per evitare un peggioramento delle sue condizioni di salute, ma anche all’ex assessore Renato Chisso, sottoposto ad accertamenti sanitari per verificare la compatibilità delle patologie cardiache di cui soffre con la detenzione in carcere.
La Procura ha motivato il parere favorevole alla sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti «in ragione della congruità della pena, della carcerazione preventiva già sofferta (oltre due mesi, ndr) e del suo proseguimento domiciliare».
I difensori di Galan non hanno rilasciato alcuna dichiarazione, riservandosi di farlo attraverso un comunicato non appena l’ex ministro arriverà nella sua abitazione, agli arresti domiciliari. Quasi certamente insisteranno sul fatto che il loro assistito non ha ammesso alcuna responsabilità e ha scelto di patteggiare unicamente per evitare la prospettiva di dover trascorrere altri pesanti mesi dietro le sbarre nel corso del processo. Una situazione che era ormai diventata per lui insopportabile: in poco più di due mesi Galan ha perso 22 chili di peso.
Degli indagati principali coinvolti nell’inchiesta sul “sistema Mose”, l’unico a non aver ancora optato per il patteggiamento è l’ex assessore Renato Chisso, che oggi sarà interrogato dai pm Ancilotto e Buccini nel carcere di Pisa. La decisione a sorpresa di Galan potrebbe avere un influsso sulle sue future scelte difensive.

Gianluca Amadori

 

Così Fior gestiva il business dei rifiuti

Secondo la procura, un sistema di società di comodo consentiva al dirigente regionale di controllare le discariche venete

Il business delle discariche del Veneto era appannaggio della cricca dei rifiuti. Nel corso degli anni la Eos Group srl aveva acquisito una posizione dominante nelle veste di “terzo controllore” tanto da “vegliare” sulla metà degli impianti di gestione dei rifiuti della provincia di Verona, su tutti quelli della provincia di Rovigo, sul 65% di quelli della provincia di Venezia e del 40% di quelli della provincia di Treviso. Un regime quasi di monopolio, in sfregio al libero mercato, messo in atto da una delle società create strumentalmente da Fabio Fior, fino all’agosto 2010 dirigente generale della Direzione Tutela Ambiente della Regione Veneto, ai domiciliari nella sua casa di Padova dall’altro ieri.
Il dato emerge dalle indagini condotte dai finanzieri del Nucleo di polizia tributarie di Venezia e dai carabinieri del Noe di Treviso, nell’ambito dell’operazione “Bondì” coordinata dalla Procura lagunare, culminata dalle ordinanze di custodia cautelare disposte dal gip Roberta Marchiori anche nei confronti di Maria Dei Svaldi, imprenditrice di Mogliano e Sebastiano Strano, imprenditore nel settore ambientale, padovano di Saccolongo, entrambi sottoposti a obbligo di dimora e considerati i più stretti sodali di Fior con incarichi amministrativi all’interno delle ditte finite sotto la lente degli investigatori. I tre sono chiamati a rispondere a vario titolo di peculato, abuso d’ufficio, malversazione ai danni dello Stato, falsità ideologica nell’inchiesta che ha fatto luce sull’indebito utilizzo di fondi regionali per milioni di euro destinati al finanziamento di progetti ambientali che spesso e volentieri vedevano al lavoro imprese “vicine” a Fior. Quest’ultimo, inoltre, in forza del ruolo di dirigente, era in grado di ottenere incarichi professionali di collaudo che non di rado si “dimenticava” di comunicare alla Regione, violando il decreto sulle prestazioni a carattere privatistico extra-ufficio. Per Fior, Dei Svaldi e Strano l’interrogatorio di garanzia davanti al gip si terrà stamane. Fra gli altri 18 indagati anche il commercialista mestrino di Fior, Sergio Gionata Molteni, che avrebbe gestito la fiduciaria svizzera che di fatto governava le imprese di cui il dipendente infedele regionale, tutt’ora in servizio nel dipartimento Lavori Pubblici, risultava socio occulto. Iscritti nel registro nella loro veste di ex assessori regionali all’Ambiente sia Renato Chisso (fino al 2005) che Giancarlo Conta (fino al 2010), gli ex magistrati alle Acque Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta (tutti tranne Conta, arrestati per le tangenti Mose) nonché alcuni uomini chiave del Consorzio Venezia Nuova come gli ex direttori generali Roberto Pravatà e Johann Stocker e l’attuale responsabile del Sistema informatico Roberto Rosselli, chiamato in causa però al tempo in cui era capo del Servizio informativo. L’accusa per tutti è di abuso d’ufficio. Nei guai anche gli ex sindaci dei comuni padovani di Sant’Urbano, Dionisio Fiocco, e di Piacenza d’Adige, Lucio Giorio, e quello del comune veronese di Torri del Benaco, Giorgio Passionelli. I primi due per i soldi stanziati per la “forestazione” della ex discarica di Sant’Urbano mai realizzata, finiti nelle casse della Green Project, gravitante nella galassia societaria di Fior.

Monica Andolfatto

 

MOSE DUE. LA SOLUZIONE È UNA SOLA

Leggiamo, quattro mesi dopo la bufera Mose che ha coinvolto il Comune di Venezia, nonchè rappresentanti della Regione e funzionari vari, di un nuovo scandalo che interessa sempre la nostra regione, per quanto concerne lo smaltimento dei rifiuti. È un nuovo scandalo che mette sul banco degli imputati la precedente gestione del Veneto, Giancarlo Galan in primis, e che narra ancora di sprechi per milioni di euro. Sul proliferare degli scandali si potrebbero interpellare psicologi e studiosi del comportamento umano, che ci spieghino il senso di questa mania di arraffare, specie da parte di persone con lauti stipendi e già notevolmente benestanti. Il potere? La mania di accumulare e di essere sempre più ricchi? Il disprezzo di qualsiasi norma, tanto comandiamo noi? O forse la somma di tutti questi motivi, e l’appartenenza a un sistema: lo fanno tutti. Ma a noi interessa piuttosto che questo malaffare venga estirpato: lo paghiamo noi cittadini, con un aumento delle tasse e una riduzione dei servizi. E per qualsiasi richiesta la risposta è sempre la stessa: non ci sono soldi. Sarà un caso, ma per quanto riguarda i nostri scandali veneziani e regionali vediamo sempre interessati gli stessi nomi. Venezia è da oltre trent’anni governata dalla stessa parte politica, che ha cambiato più volte nome, ma non esponenti. In Regione da vent’anni comanda il centrodestra, prima con Giancarlo Galan per quindici anni, ora con Luca Zaia. Anche in Regione però si leggono sempre gli stessi nomi di politici, e poi le stesse ditte da loro molto amate. Non sarà purtroppo finita qui, e certo di nuovi scandali dovremo in futuro leggere e arrossire. C’è solo un modo, sempre lo stesso, per mettere fine a questo devastante andazzo: dopo due elezioni, il politico deve andarsene dalla gestione della cosa pubblica, perchè solo così si evitano incrostazioni e rendite di posizione che quasi invariabilmente portano al saccheggio del bene comune. Purtroppo chi comanda non intende fare ciò, ma non se ne va fuori. Il risultato è un malessere sempre più profondo, la disistima assoluta per la casta politica e il rischio di derive future.

Mirka Rossetto – Francesco Sinisi

 

VENEZIA – Il collaudo dell’impianto Cdr di Fusina nelle carte dell’inchiesta sull’ex dirigente del settore ambiente in Regione

Fior da mesi sorvegliato speciale

Da tempo la Corte dei Conti stava setacciando l’attività dell’ingegnere di Noale per verificare un danno erariale

L’INCHIESTA – Anche la Procura regionale della Corte dei conti indaga sul noalese Fabio Fior, l’ex dirigente del settore Ambiente della Regione Veneto, finito martedì agli arresti domiciliari per i reati di peculato e falso, nell’ambito di un’inchiesta penale coordinata dal pm Giorgio Gava. Era sotto tiro da mesi

LA SELEZIONE – Per scegliere l’ingegner Fabio Fior come collaudatore dell’impianto cdr di Fusina, ci fure pure una gara tra i collaudatori iscritti all’albo regionale. La organizzò Ecoprogetto, la controllata del gruppo Veritas che gestì tutta l’operazione. La Regione diede pure la sua autorizzazione. Ora anche questo collaudo è finito tra le carte dell’inchiesta

LA SANZIONE – La Regione lo aveva sospeso

TRIBUNALE – Previsto per stamane l’interrogatorio davanti al gip

Incarichi e parcelle: la Corte dei Conti da mesi indaga su Fior

BUFERA – Accertamenti per verificare se c’è stato un danno erariale per i soldi presi

PROCURA – L’ex dirigente regionale è finito sotto inchiesta per peculato e falso

Anche la Procura regionale della Corte dei conti indaga sul noalese Fabio Fior, l’ex dirigente del settore Ambiente della Regione Veneto, finito martedì agli arresti domiciliari per i reati di peculato e falso, nell’ambito di un’inchiesta penale coordinata dal pm Giorgio Gava.
La Procura erariale ha aperto un fascicolo all’inizio dell’anno, a seguito di una segnalazione pervenuta dall’amministrazione regionale che, a partire dal 1. ottobre del 2013, aveva disposto la sospensione disciplinare per sei mesi del proprio dipendente. Il viceprocuratore Giancarlo Di Maio sta lavorando da allora per ricostruire la vicenda finita sotto accusa e per verificare se sia configurabile un danno a carico delle casse regionali, e a quanto ammonti.
In caso affermativo, la Procura della Corte dei conti potrebbe chiedere a Fior di risarcirlo di tasca propria. Gli accertamenti non sono ancora conclusi in quanto gli episodi sono numerosi e di una certa complessità. Con molta probabilità il viceprocuratore Di Maio chiederà ai colleghi della Procura penale di trasmettergli gli atti che hanno portato all’emissione di una misura cautelare a carico di Fior in modo da poter acquisire ulteriori elementi nei suoi confronti. Per chiedere il risarcimento di un danno erariale è necessario provare che il comportamento del pubblico dipendente è stato doloso, oppure gravemente colposo.
Nel capo d’imputazione formulato dal pm Gava nei confronti dell’ex dirigente del settore Ambiente, è contestata l’ipotesi di concussione per induzione in relazione ad una serie di incarichi di collaudo che Fior avrebbe eseguito su discariche e impianti si smaltimento rifiuti senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione da parte della pubblica amministrazione. Ma anche l’ipotesi di peculato per oltre due milioni di euro di fondi erogati dalla Regione ad una società, la Green Project, di cui Fior sarebbe stato “socio occulto”, per interventi di ri-forestazione che, secondo gli investigatori, sarebbero stati messi in atto soltanto in minima parte.
Fior non è stato ancora ascoltato la Procura erariale ma, prima della chiusura dell’inchiesta, avrà la possibilità di fornire la propria versione dei fatti.
Questa mattina, nel frattempo, il dirigente regionale comparirà di fronte al giudice per le indagini preliminari Roberta Marchiori per difendersi dalle accuse penali di peculato e falso che gli sono costate la misura cautelare degli arresti domiciliari. Fior è accusato anche di abuso d’ufficio, reato per il quale non è prevista misura cautelare in quanto il legislatore non lo ritiene di particolare gravità e lo punisce con il massimo di 3 anni.

Gianluca Amadori

 

VERITAS – Tra le verifiche nel mirino anche quella di Fusina

LA PROCEDURA – Via libera regionale, nessuno sollevò l’incompatibilità

Cdr, una gara per il collaudo

L’ex responsabile regionale sotto accusa arrivò secondo, ma il primo rinunciò all’incarico

FUSINA – Il nuovo impianto Cdr di Veritas. Il collaudo venne eseguito nel 2010 dall’ingegner Fabio Fior, dirigente regionale, scelto dalla controllata del gruppo Ecoprogetto con una gara tra gli is

Per scegliere l’ingegner Fabio Fior come collaudatore dell’impianto cdr di Fusina, ci fure pure una gara tra i collaudatori iscritti all’albo regionale. La organizzò Ecoprogetto, la controllata del gruppo Veritas che gestì tutta l’operazione Fusina. Poi la Regione diede pure la sua autorizzazione. Ora anche questo collaudo è finito tra le carte dell’inchiesta che ha scoperchiato un’altra cricca che si spartiva soldi pubblici. E a Veritas non nascondono lo stupore. «Sono rimasto attonito» commenta l’amministratore delegato del gruppo, Andrea Razzini.
Tutto ruota attorno al solito tema del controllore che si mischia al controllato. Tra le varie accuse, per Fior c’è proprio quella di aver eseguito collaudi per cui sarebbe stato incompatibile in quanto dirigente regionale. In particolare, la vicenda Veritas risale al 2010, quando Fior chiese l’autorizzazione ad eseguire il collaudo di Fusina e il suo superiore, Roberto Casarin, la concesse. Entrambi sono accusati di falso per aver attestato una non incompatibilità che – nella ricostruzione dell’ordinanza – cozzerebbe con il fatto che più volte, tra il 2007 e il 2008, Fior, da presidente della commissione tecnica regionale ambiente (Ctra), aveva approvato progetti presentati dalla stessa Veritas.
Ieri abbiamo chiesto al gruppo quali progetti fossero stati approvati dalla Ctra, ma per ricostruirlo Veritas ha bisogno di tempo. Per il momento il gruppo ha precisato che l’operazione Fusina è stata gestita dalla controllata Ecoprogetto. Che fu questa ad organizzare una licitazione tra i collaudatori iscritti all’albo regionale. L’ingegner Fior si piazzò al secondo posto, poi il primo rinunciò e la gara fu vinta dal dirigente regionale. In un secondo tempo fu anche chiesta l’autorizzazione alla Regione, che arrivò puntualmente. Nessuno sollevò il problema dell’incompatibilità. Fino all’inchiesta.

(r. br.)

 

Un milione e seicentomila euro per le attività “esterne” di Mister X

Lo chiamavano “mister x”. Ma anche “il capo”. Al cellulare. Non sapendo di essere ascoltati dai finanzieri che, coordinati dal pm Giorgio Gava, stavano indagando sullo strano caso dell’ing. Fior.
A parlare al telefono i suoi collaboratori, quelli che come Maria Dei Svaldi e Sebastiano Strano, colpiti da obbligo di dimora, amministravano a vari livelli le società create da Fior per intercettare i fondi regionali o per accaparrarsi i collaudi di impianti e strutture che spesso lo vedevano parte attivi negli iter attuativi in Regione.
Era dal 2011 che gli uomini del Nucleo di polizia tributaria provinciale erano alle costole del responsabile apicale del Dipartimento Ambiente della Regione (ruolo cessato nel 2010), recordman di incarichi extra-ufficio, molti dei quali svolti senza la necessaria autorizzazione dell’Ente, e che dagli accertamenti svolti su delega della Procura, risultava socio occulta di una galassia di società impegnate nello stesso settore che Fior controllava nella sua veste di dirigente pubblico. Fabio Fior, 57 anni, noalese, padovano di adozione, laurea in ingegneria a Catania, chiamato anche a gestire l’emergenza rifiuti in Campania, super esperto in tematiche ambientale e componente sia della Commissione Via che della Commissione tecnica regionale ambiente, dal 2004 al 2010 svolse una serie di incarichi esterni incassando parcelle per un milione e seicentomila euro: all’incirca 260mila euro all’anno, oltre centomila euro in più rispetto al suo stipendio annuo. C’è da chiedersi come facesse a svolgere tutto al di fuori del suo regolare orario di lavoro. E se lo è chiesto pure la Regione che nei confronti di Fior adottò la sanzione disciplinare che lo sospese per sei mesi, reintegrandolo in pianta organica all’inizio dello scorso aprile. A motivare la misura l’omessa comunicazione e conseguente assenza di autorizzazione a svolgere l’attività esterna.

Monica Andolfatto

 

Malversazione e peculato in Regione. Tre arresti, indagati Chisso e Conta

Cricca dei rifiuti, nuovo scandalo

Il direttore del settore Ambiente, si sarebbe intascato milioni di euro. Nei guai anche Chisso, Conta (Ncd) e numerosi imprenditori e sindaci

Rifiuti: arresti in Regione. Caccia ai soldi in Svizzera

VENEZIA – In Veneto, nell’éra Galan, ha proliferato il malaffare: hanno rubato i politici, ma pure i dirigenti della Regione e dall’affare non si sono tirati indietro nemmeno tanti imprenditori presi a modello del Veneto che produce. L’operazione “Buondì”, che ieri ha portato all’arresto dell’ex dirigente della Regione Fabio Fior, 57 anni, di Padova, lo testimonia. Il dirigente dalla fine degli anni Novanta ad oggi è stato il padrone amministrativo del ciclo dei rifiuti in Veneto. Ha pensato e fatto emanare una legge a suo uso e consumo, quindi approvava in commissione i progetti degli impianti che poi collaudava. E per finire aziende da lui controllate avevano il compito di verificare e monitorare il funzionamento degli stessi impianti. Tutto questo ha reso a lui e alla sua cricca milioni di euro. L’operazione del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Mestre si è chiusa ieri e ha inglobato anche una gran parte di un’altra inchiesta dei carabinieri del Noe di Treviso. Ai politici, come Renato Chisso e Giancarlo Conta, è andata bene. Sono solo indagati per abuso d’ufficio, secondo i magistrati non si sarebbero accorti di nulla. L’operazione coordinata dai pm Giorgio Gava e Sergio Dini, rispettivamente di Venezia e Padova, ha visto l’esecuzione di tre ordinanze cautelari nei confronti di Fabio Fior, dirigente della Regione Veneto (ai domiciliari), Sebastiano Strano, 51 anni, di Battaglia Terme, imprenditore e Maria Dei Svaldi, 47 anni, di Mogliano Veneto, imprenditrice (entrambi con obblighi di dimora). Dalle indagini iniziate dal 2006 emerge la figura di Fabio Fior, che concentrava su di sé molteplici incarichi nella procedura per il rilascio delle autorizzazioni di intervento per realizzare impianti di trattamento rifiuti: era membro della commissione Via (Valutazione Impatto Ambientale) e vice presidente della Commissione Tecnica Regionale all’Ambiente. Fior, conoscendo l’iter delle varie pratiche, riusciva a farsi nominare collaudatore delle opere, in alcuni casi dichiarando falsamente di non avere incompatibilità con l’incarico e, in altri casi, omettendo del tutto di richiedere l’autorizzazione all’incarico. Nelle indagini sono finite anche le modalità di nomina delle società che per legge dovevano fungere da terzi controllori indipendenti: le società sarebbero riconducibili a Fior attraverso una fiduciaria svizzera, gestita dal commercialista Gionata Sergio Molteni con sede a Mestre. La fiduciaria possedeva le quote di altre società coinvolte nel giro dei controllori e riconducibili ai soci del dirigente, cioè Maria Dei Svaldi e Sebastiano Strano. Le società potevano contare su modalità agevolate di assegnazione dei contratti di controllo, grazie alle “pressioni” di Fior alla Regione. Poi gli indagati portavano i soldi guadagnati illegalmente, in Svizzera. Per ora le Fiamme Gialle hanno recuperato quasi due milioni di euro a fronte degli svariati milioni di cui si sarebbe appropriato. I reati contestati sono: peculato, malversazione a danno dello Stato, abuso d’ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico. Anche quest’indagine ha evidenziato il coinvolgimento di personaggi già protagonisti dell’indagine sul Mose. Le società di Fior hanno ricevuto in affidamento diretto l’esecuzione dei lavori di telerilevamento delle discariche abusive presenti sul territorio di otto comuni del Garda, lavori finanziati con fondi regionali dell’Assessorato all’Ambiente (retto all’epoca da Giancarlo Conta prima e Renato Chisso poi) e assegnati al Magistrato alle Acque di Venezia per l’individuazione del soggetto esecutore. Il Magistrato alle Acque (ufficio retto all’epoca da Maria Giovanna Piva e, successivamente, da Patrizio Cuccioletta, entrambi indagati per abuso d’ufficio) ha affidato l’incarico direttamente al Consorzio Venezia Nuova (Mose), aggirando la normativa sugli appalti. Attraverso la complicità di un funzionario responsabile del Servizio Informativo del Consorzio Venezia Nuova, Roberto Rosselli (indagato per abuso d’ufficio), i lavori di telerilevamento per complessivi 2,5 milioni di euro sono stati assegnati alla società Marte srl riconducibile a Fior.

Carlo Mion

 

SE IL POTERE VA A RUFFIANI E SPRECONI

Non è l’ondata che tutti si aspettavano, ma una costola del sistema che ha governato – e che in larga parte governa – la cosiddetta Seconda Repubblica nel Veneto. Gli arresti che hanno sconvolto nuovamente gli uffici della Regione aggiungono sconforto alla rabbia che pervade la maggioranza dei cittadini. Il dirigente arrestato, da tempo trasferito ad altro ufficio, ha governato per 15 anni il sistema dei rifiuti: dalla commissione tecnica all’inceneritore di Ca’ del Bue a Verona. Nel suo curriculum vanta la partecipazione alla task force per l’emergenza rifiuti a Napoli e una consulenza con il ministero dell’Ambiente dell’Albania. Dopo questa nuova inchiesta giudiziaria, dalla quale affiora un diffuso sistema di barattieri, ruffiani e corruttori, la politica cercherà di circoscrivere l’episodio a una responsabilità individuale. Non è così e lo sappiamo tutti. La Regione del Veneto, dove lavorano centinaia di ottimi dipendenti pubblici, ha dimostrato negli ultimi dieci anni di appartenere più di quanto non voglia far apparire il suo presidente all’Italia ruffiana e sprecona. Negli ultimi anni sono stati arrestati il capo della Direzione per la Geologia e il Ciclo delle Acque, per lunghi anni «dominus» del sistema di governo delle attività di cave; poi il dirigente dell’Ufficio Bilancio per l’inchiesta sulla riscossione dei bolli auto; quattro mesi fa, insieme al dirigente della Legge speciale di Venezia e del Commissario per la riforma dei trasporti, sono finiti in carcere un assessore regionale della giunta Zaia e l’ex governatore Giancarlo Galan. Per non parlare delle inchieste giudiziarie che hanno azzerato i vertici o azzoppato la struttura dell’Agenzia per l’ambiente, dell’Ater di Venezia e dell’Istituto delle Ville Venete. E cosa dire dei manager della sanità regionale che costituivano società di consulenza privata nel campo della sanità, tuttora al loro posto. Pochi mesi dopo il suo insediamento, il governatore Luca Zaia scrisse due curiose lettere ai dipendenti: la prima «raccomandando vivamente» ai pubblici dipendenti di non incontrare «al di fuori delle sedi istituzionali» professionisti, consulenti o cittadini che avessero pratiche aperte con gli uffici regionali; la seconda invitando a stoppare sul nascere ogni interlocutore che si presentasse loro con un «mi manda il presidente». Evidentemente, qualcosa aveva intuito. Ma continuare a scrivere alla magistratura «per valutare se esistono ipotesi di reato» ogni qualvolta sente puzzo di bruciato non basta, è mancanza di coraggio. Un leader si assume la responsabilità, nel bene e nel male: e poiché gran parte dei protagonisti delle inchieste giudiziarie sono un’eredità del passato, Luca Zaia farebbe bene – anziché inseguire il sogno di un improbabile e comunque inconcludente referendum sull’indipendenza del Veneto – a dare un segnale di forte discontinuità con ciò è stata la Regione del Veneto. Sarebbe un messaggio rassicurante non solo per i molti dipendenti pubblici onesti, ma soprattutto per i cittadini del Veneto. Che senza scelte radicali hanno tutto il diritto di guardarsi attorno e vedere se c’è, altrove, un’offerta politica diversa. Le prossime elezioni regionali sono alle porte e la disperazione del centrodestra, che guarda a Zaia come il salvatore della patria, è sotto gli occhi di tutti. La campagna elettorale, piaccia oppure no, si svolgerà durante le udienze e i processi dei principali indagati dello scandalo Mose. E in campagna elettorale saranno in molti ad attribuire alla giunta Zaia una sostanziale «continuità» con il sistema precedente: nelle infrastrutture, nel sistema dei project financing, nelle scelte amministrative, persino nelle imprese prevalenti. Quel che sta succedendo nel Veneto è l’azzeramento di un sistema di potere durato vent’anni, cresciuto e prosperato anche sotto il naso delle Procure e degli investigatori e denunciato solo da pochi, isolati, rompiscatole. Adesso c’è bisogno che anche quel che resta della politica faccia pulizia: a destra come a sinistra, non immune da colpe. Zaia può essere il primo presidente di un nuovo Veneto o l’ultimo del vecchio e consociativo sistema. Agisca in profondità e mostri con i fatti la volontà di cacciare i corrotti e premiare gli onesti: non si può? Neanche la separazione del Veneto dall’Italia si può fare.

Daniele Ferrazza

 

Un anno fa Fior, chiacchieratissimo, fu sospeso per 6 mesi e allontanato dai cantieri

Il manager vigilato speciale al Balbi

VENEZIA – Un “vigilato speciale” a Palazzo Balbi, Fabio Fior. Per anni, in qualità di dirigente generale del dipartimento Tutela Ambiente – un ruolo chiave – ha fornito consulenze a pagamento sui medesimi progetti che era poi chiamato a valutare in veste istituzionale, agendo (secondo i giudici) come un «socio d’impresa occulto» sul versante degli appalti pubblici. Un conflitto d’interessi plateale e illegale, maturato in piena stagione galaniana, al punto che un anno fa – su segnalazione della Guardia di Finanza – la Regione avvia un procedimento disciplinare nei suoi confronti. L’addebito? «Aver svolto in oltre un quindicennio e in fasi diverse attività libero professionale a favore di società senza le opportune autorizzazioni da parte dell’Ente o di aver, in altri casi, esibito autorizzazioni irregolari». Questa la convinzione maturata dalla commissione ad hoc costituita dal governatore Luca Zaia per fare chiarezza sulla vicenda e composta, tra gli altri, dal segretario generale Tiziano Baggio e dall’Avvocato dello Stato Ezio Zanon. L’indagine interna si conclude con la sospensione per sei mesi dal servizio, senza stipendio, a partire dal primo ottobre 2013, dell’alto funzionario. Fior ricorre contro il provvedimento ma il giudice del lavoro respinge la sua istanza; nel maggio scorso, concluso il semestre punitivo, è reintegrato nell’organico con mansioni diverse: allontanato dai cantieri, è dirottato al Progetto integrato Fusina. Zaia e il suo staff, tuttavia, sono consapevoli della gravità dei fatti e, vista l’impossibilità di troncare il rapporto professionale con il manager, si rivolgono alla Corte dei Conti. Ai magistrati della sezione giurisdizionale, precisa una nota, viene così trasmessa «la documentazione per il recupero delle somme indebitamente percepite dal dirigente nell’attività sopra illustrata», ottenendo la restituzione di oltre 2 milioni. Non basta. La sensazione è quella di una cupola che da un decennio manovra appalti e affari, operando indisturbata nella presunzione di impunità. Una delibera d’urgenza prova a fare pulizia, ridefinendo i criteri di affidamento degli incarichi, ora limitati nel numero annuale, e stabilendo che l’ammontare complessivo dei compensi da attività extraufficio non può superare il 25% dello stipendio percepito dai dirigenti, ora sottoposti al controllo incrociato tra le dichiarazioni d’imposta modello 770 e le autorizzazioni rilasciate dall’amministrazione. Molti reagiscono rabbiosamente in un crescendo di proteste e lettere anonime al curaro. Ma il dado è ormai tratto.

Filippo Tosatto

 

Dalla Gea alla Green Project, decisivi i ruoli degli ex sindaci Fiocco e Giorio

Un affare da 5 milioni con l’aumento delle tariffe per lo smaltimento

La discarica dei veleni e la foresta mai piantata

SANT’URBANO – Doveva essere la «foresta del Veneto», è diventata una palude di fanghiglia giudiziaria. Nel pantano, in primis, ci sono finiti Dionisio Fiocco e Lucio Giorio, ex sindaci di Sant’Urbano e Piacenza d’Adige di area Pdl e Udc, accusati di peculato e abuso d’ufficio dalla Procura di Venezia. Fiocco e Giorgio, avrebbero serie responsabilità nel tracollo del progetto di forestazione della discarica di Sant’Urbano, iniziativa che avrebbe fatto finire illecitamente nelle casse della Green Project srl – società creata ad hoc e riconducibile a Fabio Fior – almeno 5 milioni di euro. FORESTA VENETA. Nel 2003 la giunta regionale ha previsto l’impiego di piantagioni forestali per l’assorbimento del biossido di carbonio nell’area. Tra gli interventi, quello di Sant’Urbano, che ospita la discarica tattica regionale di Balduina. Per finanziare la forestazione, la commissione tecnica regionale ambientale (Ctra) presieduta da Fior aveva stabilito di aumentare di 4 euro a tonnellata la tariffa per il conferimento dei rifiuti in discarica. Questa somma, sempre su autorizzazione di Fior, doveva essere versata dalla Gea srl – gestore della discarica – alla società Green Project. Questa realtà, vicina a Fior, aveva ottenuto l’appalto di forestazione senza alcuna gara o selezione pubblica. Il progetto aveva ottenuto anche l’appoggio della società Solaris (partecipata dai Comuni di Sant’Urbano e Piacenza d’Adige, da qui il coinvolgimento dei due ex sindaci), che si era impegnata ad individuare terreni di privati in cui destinare le piante. PROGETTO FASULLO. «Peccato che, nonostante i soldi incassati, la Green Project abbia piantato ben pochi alberi» commenta Augusto Sbicego, dal 2012 sindaco di Sant’Urbano «L’intervento più evidente è quello che si può vedere a sud della piscina, ma non siamo certamente di fronte ad una foresta». Secondo la Procura, gli alberi effettivamente piantati non sarebbero stati più di 2.280, per una spesa di 63.566,32 euro. «Green Project ha ricevuto somme ben più importanti» aggiunge ancora Sbicego, che a settembre 2012 è stato convocato dalla Regione per affrontare la questione.«La Regione ci ha chiesto di reintroitare i soldi delle tariffe, mai spesi per la forestazione comunale. Eravamo appena stati eletti e non sapevamo dove mettere le mani, anche perché i nostri dipendenti comunali ci spiegavano che ogni pratica di quel progetto passava per le mani dell’ex sindaco Dionisio Fiocco. Per questo, usciti dalla Regione, siamo andati a denunciare tutto alla Guardia di finanza di Venezia». Secondo i conti del Comune, Green Project aveva introitato prima del 2012 4 milioni di euro: «2 milioni di euro sono stati restituiti, altri 900 mila sono stati versati direttamente dalla Gea alla Regione e i rimanenti 1,7 milioni sono oggetto di ingiunzione al Comune: noi non sappiamo dove siano finiti e Green Project sostiene di averli spesi nel progetto di forestazione». MAXI RISARCIMENTO. Il Comune di Sant’Urbano è la principale vittima di questa vicenda: «Ci ritroviamo con una discarica che non ha la giusta compensazione ambientale, con tanti alberi promessi ma pochissimi piantati; con 1,7 milioni di euro da recuperare e, beffa su beffa, con una clamorosa richiesta di risarcimento da parte della Green Project», conclude allibito Sbicego. La società ora in liquidazione avrebbe accusato il Comune – reo di aver presentato l’esposto nel settembre 2012 – di essere la principale causa del tracollo: da qui la maxi richiesta di risarcimento di 520 milioni di euro. Cifra, questa, da bancarotta comunale. Ma l’inchiesta farà giustizia su tutto.

Nicola Cesaro

 

A sant’urbano infuria la polemica «Sono sereno, tutto in regola»

SANT’URBANO «Sono allibito: ho sempre agito nella massima trasparenza e nel pieno interesse del Comune». Dionisio Fiocco, dal 2002 sindaco per un decennio di Sant’Urbano, conferma massima trasparenza in ogni suo legame con il progetto di riforestazione della Green Project: «Abbiamo accettato un progetto a costo zero per il Comune che garantiva una compensazione ambientale di notevole importanza. L’adesione all’iniziativa è passata attraverso il consiglio comunale ed è stata vagliata dalle commissioni regionali». Fiocco ricorda come la stessa Regione abbia “sponsorizzato” questo progetto in fiere e convegni, persino in Cina ed in Austria. Continua l’ex sindaco: «Mi accusano di aver gestito personalmente la questione? Seguivo direttamente molte cose, non ci vedo nulla di male. In Comune sono depositati dal 2003 i documenti: è tutto in regola» . (n.c.)

 

Maria Dei Svaldi:«Fabio ha una barca di 18 metri e se questi parlano…» Sequestrati 469 mila euro sul conto corrente

«Ho paura, Fior andrà a finire in galera»

PADOVA «Devi ringraziare Dio se ce la caviamo, Fabio ha una barca di 18 metri, se questi parlano e lo sputtanano va a finire in galera». È preoccupata Maria Dei Svaldi, mentre a fine luglio 2013 parla con la mamma. Non sa che nella sua auto c’è una microspia che intercetta le telefonate: l’architetta veneziana, da ieri agli arresti con l’obbligo di dimora come l’imprenditore Sebastiano Strano, sapeva benissimo che Fabio Fior rischiava le manette. Lei pensava di uscirne indenne, invece è finita nella lista dei 20 indagati della nuova clamorosa inchiesta che ha messo a soqquadro il settore ambiente della Regione: a palazzo Balbi appena hanno capito gli intrallazzi di Fior lo hanno trasferito a Fusina. Ma era troppo tardi. L’ordinanza. Il gip Roberta Marchiori apre un filone nuovo, legato al business della ricomposizione ambientale delle aree utilizzate come discariche. E diventa un ciclone per i sindaci e gli ex assessori regionali all’Ambiente Renato Chisso e Giancarlo Conta, che dovranno rendere conto delle delibere con cui hanno approvato i progetti. Chisso, dal 4 giugno in carcere per lo scandalo delle tangenti del Mose, si trova ora nei guai anche per l’accordo di programma fra Regione, Magistrato alle acque e consorzio Venezia Nuova per il servizio di monitoraggio ambientale con il telerilevamento: una spesa da 1 milione e rotti di euro. I sequestri. Come per il Mose, sono partiti i sequestri preventivi dei conti correnti di quattro società: Eos Group, Green project, Eco Environment, Stc 2000 e di tutti i beni intestati a Fabio Fior sul cui conto corrente sono depositati 469.962,40 euro. L’impero Eos e il ruolo di Fior. Con il suo ruolo di dirigente in Regione, Fior ha fatto affidare a Zem Italia, Sicea, Nec ed Eos incarichi per il monitoraggio del trattamento dei rifiuti, la Eos Group, scrive il gip Roberta Marchiori nella sua ordinanza, «controlla» la metà degli impianti della provincia di Verona, tutti gli impianti del Rodigino, il 65% delle discariche del Veneziano e il 40% di quelle del Trevigiano». Un «dominio» che dura fino a quando Fabio Fior viene trasferito al settore Energia e allora iniziano le preoccupazioni, come emerge sempre da una telefonata di Maria Dei Saldi con un certo Federico: è stata cancellata la figura del terzo controllore e «gli amici che prima avevamo in Regione adesso non ci sono più. Fior ci dà una mano, Giuliano ci dà una mano», ma il vento è cambiato. I legami con il Mose. A chi poteva essere affidato se non al Consorzio Venezia Nuova il telerilevamento ambientale? Nessun dubbio quando nel 2003 Renato Chisso decide di affidare l’incarico al gruppo di imprese e professionisti del Mose: con due delibere si stanziano prima 509 mila euro e poi altri 581 mila per realizzare progettazioni sperimentali per la salvaguardia ambientale di Venezia e della laguna. Come non bastassero i 5 miliardi di euro stanziati dal Governo con il Cipe, a palazzo Balbi si trova il modo di dare un’altra manciata di soldi a Mazzacurati e a Baita, allora entrambi in cabina di regia. Il telerilevamento si allarga fino al lago di Garda ma ciò che contesta la magistratura è l’assenza di una gara per l’assegnazione del progetto su una somma così rilevante per poi scoprire che i protagionisti della vicenda sono Fabio Fior, allora uomo di fiducia di Chisso, e Roberto Rosselli, dirigente del Cvn. Nell’ordinanza ci cita l’interrogatorio di Piergiorgio Baita del 5 novembre 2013: «Il Cvn quando non opera in concessione e si avvale di terzi deve fare delle gare» e quindi con queste procedure si «è procurato un rilevante vantaggio patrimoniale al Cvn, alla Zem, alla Sicea, alla Stc 2000 e alla Eos e poi alla Nord est controlli». Reato contestato a Chisso? Abuso in atti d’ufficio. Stia sereno: questa volta non rischia il carcere.

Albino Salmaso

 

Le reazioni politiche

Conta si difende, Zaia plaude

Pd e M5S: «Regione corrotta»

VENEZIA – C’è chi si proclama innocente: «Sono assolutamente estraneo ai fatti, il mio operato come amministratore è sempre stato trasparente e rispettoso delle normative e delle procedure», fa sapere Giancarlo Conta, il capogruppo del Nuovo centrodestra indagato per abuso in atti d’ufficio «pertanto confido nell’operato della magistratura e diffido gli organi di informazione ad associare il mio nome e la mia persona a comportamenti non leciti», è la conclusione vagamente minacciosa dell’esponente alfaniano. E chi plaude a magistrati e Guardia di Finanza, come il governatore Luca Zaia, che spende parole garantiste – «I processi si celebrano nelle aule dei tribunali, ci auguriamo che le persone coinvolte nell’inchiesta riescano a chiarire la loro posizione nell’interesse loro e di tutti i veneti» – malcelando tuttavia la soddisfazione per il nuovo colpo inflitto al sistema ereditato da Giancarlo Galan, contro il quale ha avviato una personale battaglia di trasparenza. C’è l’opposizione, concorde nel definire il nuovo capitolo del malaffare la naturale conseguenza dell’illegalità che per anni ha spadroneggiato negli uffici direttivi della Regione, sollecitando perciò un cambio politico al timone del Veneto. «Ai cittadini che assistono sconcertati a questo susseguirsi d’indagini giudiziarie che vedono coinvolti amministratori e dirigenti della Regione, dico che la prossima primavera c’è l’occasione di voltare pagina. Dopo un ventennio di continuità del sistema di potere c’è la necessità di un cambio fisiologico, di una autentica rigenerazione», commenta Simonetta Rubinato, parlamentare del Pd e candidata alle primarie che designeranno lo sfidante di Zaia. «Questa classe politica ha dimostrato tutta la sua incapacità e in certi casi complicità a afronte di un’ illegalità diffusa, perciò va mandata a casa», rincara l’ex eurodeputato democratico Andrea Zanoni, che a Strasburgo si è battuto per una nuova legge in materia di conflitti d’interesse. «Finalmente è scoperchiato un sistema che il potere politico, con la complicità di tecnici, funzionari, manager e imprenditori, aveva finora difeso strenuamente dagli oppositori, spesso denigrando o minacciando con querele questi ultimi», afferma Gianfranco Bettin, il presidente dell’Osservatorio Ecomafie, che punta il dito contro Palazzo Balbi «spesso in combutta con cruciali livelli ministeriali romani». «Il castello sta crollando, portando alla luce tutto il marcio che nascondeva», chiude Mattia Fantinati, deputato del M5S, «questa nuova retata di politici e dirigenti scelti da quegli stessi politici, è la dimostrazione di come la Regione Veneto sia ormai un sistema collaudato di interessi personali che si concretizzano attraverso reati che portano il nome di concussione, peculato, abuso d’ufficio».

Filippo Tosatto

 

Il Tribunale dei ministri: Matteoli va processato perché ha favorito Erasmo Cinque che non ha eseguito alcuna opera

Con 25 mila euro guadagnò 48 milioni

VENEZIA – Un investimento di 25 mila euro che ha fruttato un utile di 48 milioni, «non eseguendo sostanzialmente alcun lavoro», «non avendo le potenzialità tecniche ed operative per eseguire i lavori» per la messa in sicurezza dei cantieri del Consorzio Venezia Nuova nelle opere di bonifica di Porto Marghera, finanziate dalle industrie con 600 milioni. È l’iperbolico colpo messo a segno dall’imprenditore romano Ernesto Cinque con la sua Socostramo, quando nel 2000 «per effetto di un’operazione societaria che non doveva essere particolarmente evidente agli altri soci entrava a far parte del Consorzio Venezia Nuova», «acquisendo la quota irrisoria dello 0,006583%», ma assicurandosi il diritto ad ottenere lavori «fuori quota» nelle opere assegnate del Consorzio. Un’operazione – se ne sono convinti anche i giudici del Tribunale dei ministri, accogliendo dopo quattro mesi di interrogatori, le tesi della Procura – patrocinata dall’ex ministro per l’Ambiente e le Infrastrutture Altero Matteoli, sodale di partito (An) e amico di Erasmo Cinque, al punto da imporne la presenza a Venezia all’ex presidente del Cvn Giovanni Mazzacurati, che l’accettò per non avere rogne sui finanziamenti al Consorzio (60 milioni, per le bonifiche) in quel dare-avere che intesse tutta l’inchiesta Tangenti Mose. È racchiuso in 193 pagine l’atto di accusa con il quale il Tribunale dei Ministri ha disposto di chiedere alla giunta per le autorizzazioni del Senato il via libera all’indagine per corruzione su l’ex ministro all’Ambiente Altero Matteoli. Perché Mazzacuati ha dichiarato in interrogatorio di aver consegnato 3-400 mila euro a Matteoli per le sue campagne elettorali: «Accuse surreali», la replica dell’ex ministro, che ha detto di essere il primo a volere l’indagine. «Fu Matteoli a dire di riprendere Socostramo quindi?», chiedono i giudici a Mazzacurati. «Sì, sì», risponde lui, «siamo andati colazione in un ristorante vicino a Palazzo Chigi, era la enoteca Capranica, c’era Cinque, Matteoli e io. E Matteoli mi disse che lui ci teneva molto che Cinque lavorasse. Il fatto è che Cinque non lavorava, quindi il problema era quello. Però dopo, quando ha introdotto Baita le robe sono andate a posto perché il lavoro lo faceva Baita e loro poi si mettevano d’accordo in altro modo». L’importante era che Cinque fosse della partita, per far piacere al ministro: è la tesi dell’accusa. Lo confermano Piergiorgio Baita (Mantovani), l’ex magistrato alle Acque in busta paga al Consorzio Patrizio Cuccioletta, l’ex direttore di Mantovani Buson, Pravatà (Consorzio), Claudia Minutillo (ex segretaria di Galan). Per i giudici «le indagini eseguite hanno dimostrato un asservimento alle politiche del Cvn da parte di Matteoli nella sua veste di ministro» e «forte del suo rapporto con Matteoli, l’imprenditore Erasmo Cinque decideva le sorti dei presidenti del Magistrato alle Acque di Venezia, prerogativa del ministro delle Infrastrutture». In più, per i giudici, Matteoli – per il tramite di Cinque – ha ricevuto danari di William Colombelli e Nicolò Buson, per alcune centinaia di migliaia di euro. «Erasmo Cinque le ha mai parlato del destinatario poi finale di queste somme?», chiedono i pm a Baita: «Certo…mi diceva che erano per Matteoli e per il partito di An ma abbiamo sempre avuto il dubbio che ci facesse la cresta».

Roberta De Rossi

 

I pm chiederanno processo immediato per Chisso e Galan

Sebastiano Strano, il braccio destro di Fior

La moglie: le colpe, vanno cercate altrove

SACCOLONGO. Ha accompagnato i finanzieri a prelevare dei documenti nella ditta e ha consegnato anche il computer che aveva in casa. Sebastiano Strano, 51 anni, nato a Battaglia, ma residente a Saccolongo con la famiglia, consulente ambientale, ha trascorso la mattinata a collaborare con le forze dell’ordine e nel pomeriggio ha incontrato il suo avvocato. Non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Dal 2008 Strano, stando alle indagini, sarebbe il presidente del cda della Eos Group, in cui è stata incorporata la Sicea, di cui era il legale rappresentante. È anche membro del cda della Green project, fondata nel 2005 insieme a Maria Dei Svaldi e Gennaro Visciano, coinvolti nell’inchiesta. Anche lui quindi è indagato per induzione indebita a dare o promettere utilità in concorso: gli si contesta di essere il braccio operativo di Fabio Fior, avendogli consentito di strumentalizzare le società a lui formalmente riferibili per le sue finalità illecite. Insieme a Fior e a Roberto Rosselli avrebbe realizzato un progetto di monitoraggio del territorio regionale con telerilevamento, affidando gli incarichi alle società Sicea e Eos di cui faceva parte. «Ci auguriamo si risolva tutto in fretta» dichiara la moglie di Strano «e che il provvedimento dell’obbligo di dimora sia una misura cautelare finalizzata esclusivamente all’acquisizione della documentazione societaria. Mio marito nella società ha ruoli marginali: se ci sono delle responsabilità, credo siano ad altri livelli».

cristina salvato

 

Gazzettino – Sistema Mose, nuova retata

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

8

ott

2014

Sistema Mose, nuova retata

IL VENETO degli scandali

Torna il “sistema Mose” spariti altri sette milioni

L’INCHIESTA – Blitz nel settore ambiente: 3 arresti, 21 indagati, accuse a Chisso e Conta, capogruppo Ncd

L’OPERAZIONE – Tre misure cautelari, tra cui gli arresti domiciliari per un dirigente della Regione Veneto, e una ventina di indagati per un’inchiesta che vede, in parte, gli stessi protagonisti dello scandalo Mose.

L’INDAGINE – Nel mirino della Finanza i fondi dirottati al Consorzio Venezia Nuova per progetti ambientali. Coinvolti gli ex assessori Chisso e Conta.

I DUE EX ASSESSORI – Chisso e Conta responsabili «di un’ articolata manovra con finalità privatistiche»

IL MANAGER – L’ex dirigente dell’Ambiente «collocò in Svizzera i profitti accumulati»

OPERAZIONE BUONDÌ – Progetti per l’ambiente dal Consorzio Venezia Nuova a società-schermo

TUTTI I REATI – Non ci sono tangenti, ma abusi d’ufficio, falso, peculato e malversazione

Agli arresti domiciliari il dirigente regionale Fabio Fior, obbligo di dimora per due imprenditori

Tra i 18 indagati Chisso, gli ex Magistrati alle Acque Piva e Cuccioletta e Conta, capogruppo Ncd

GLI AFFARI – Oltre 7 milioni nella rete d’oro dell’ingegner Fior

Ti occupi di un dirigente infedele nell’ufficio Ambiente della Regione ed ecco riemergere dalle acque, solo all’apparenza placide della laguna, il Mose. Insieme a parte della “cricca” arrestata lo scorso 4 giugno dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Venezia. Niente di cui stupirsi. Lo dicono gli stessi investigatori delle Fiamme Gialle. Le indagini che hanno portato ieri agli arresti domiciliari l’ingegner Fabio Fior, 57enne noalese trapiantato a Padova, tuttora dipendente del settore Lavori pubblici della Regione, e di due imprenditori sottoposti all’obbligo di dimora, Maria Dei Svaldi, 47enne, di Mogliano e Sebastiano Strano, 52enne di Saccolongo (Padova), confermano, fra gli altri aspetti, ancora una volta il sistema perverso che legava a filo doppio il Magistrato alle Acque, sotto la gestione di Maria Giovanna Piva prima e di Patrizio Cuccioletta poi, al Consorzio Venezia Nuova targato Giovanni Mazzacurati.

Ed ecco spiegato il motivo per cui, fra gli altri 18 indagati dell’operazione battezzata “Buondì” non per le note merendine, bensì perché così si davano il buongiorno Fior e compagni, figurano nomi legati all’inchiesta sulla “grande retata”: dagli stessi Piva e Cuccioletta, all’ex assessore Renato Chisso, tuttora in carcere, dagli ex direttori generali del Consorzio Roberto Pravatà dimessosi nel settembre 2008 e Johann Stocker in carica fino al maggio 2001, all’attuale direttore dei sistemi informatici Roberto Rosselli, parmense di 56 anni e all’epoca dei fatti responsabili del Servizio Informativo del Consorzio. A tutti viene contestato il reato di abuso d’ufficio. Il legame con Fior? Eccolo. Si dipana attraverso il dirottamento illecito di fondi regionali al Consorzio, “complici” nel 2005 l’allora assessore all’Ambiente, Chisso e nel 2009 il suo successore, il veronese Giancarlo Conta, 65 anni, attuale capogruppo consigliare a palazzo Ferro Fini per il Nuovo centro destra autonomo (anche lui indagato per abuso d’ufficio). La cifra complessiva è di circa sette milioni di euro che entrano nelle casse del Consorzio per progetti ambientali e finiscono a vario titolo in quelle delle società create strumentalmente da Fior per intercettare i soldi pubblici che egli stesso gestiva come dirigente generale della Direzione tutela ambiente dal 2002 al 2010.
Il meccanismo oliato ruota attorno al Sistema informativo del Consorzio Venezia Nuova. È l’allora responsabile Rosselli il riferimento di Fior. E gli ex assessori? Hanno promosso a Palazzo Balbi gli accordi di programma fra Regione Veneto e Magistrato alle Acque che, con affidamento diretto, e quindi senza regolare gara d’appalto, hanno assegnato al Consorzio tramite il Sistema informativo, da un lato il telerilevamento delle discariche sul territorio regionale (un milione e 80mila euro) e dall’altro la certificazione ambientale (quasi 4 milioni) di otto comuni della riviera del Garda con comune capofila Torri del Benaco (fra gli indagati anche l’allora sindaco Giorgio Passionelli). È Fior a indirizzare il Sistema informativo ad avvalersi delle aziende a lui riconducibili quali controllori terzi della realizzazione dei progetti. Aziende come Zem Italia, Nord Est controlli, Sicea, Eos Group, delle quali Fior secondo gli inquirenti è socio occulto o addirittura dominus. Nell’elenco risulta anche la Stc 2000 che viene invece collegata a Rosselli in quanto amministrata dalla sua compagna e dal figlio di lei. Da sottolineare che nell’ennesimo scandalo che scuote la Regione – la quale in questa vicenda hanno chiarito gli stessi investigatori è parte lesa e ha collaborato da subito con le indagini – non si parla né di tangenti né di corruzione, bensì appunto di abuso d’ufficio. A Fior vengono contestati anche i reati di peculato, malversazione a danno dello Stato, e falsità ideologica.
Il conto alla rovescia per il suo arresto è scattato nel 2011 quando i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria eseguono un controllo nel settore dei materiali ferrosi negli uffici della Regione. È da qui che prendono origine le indagini coordinate dalle Procure di Venezia e di Padova, e che vedono impegnati anche i carabinieri del Noe di Treviso. Ad apparire singolare da subito la figura di Fior che assomma su di sé molteplici incarichi nell’ambito delle procedure per il trattamento dei rifiuti: fa parte della Commissione Via (Valutazione impatto ambientale) e della Commissione tecnica regionale all’ambiente. Conosce perfettamente l’iter delle pratiche e in virtù della funzione che riveste riesce a farsi nominare collaudatore delle opere che spesso ha autorizzato, in alcun casi dichiarando falsamente di non avere incompatibilità con il relativo incarico e in altri omettendo di richiedere l’autorizzazione a operare extra ufficio alla Regione. Una iper attività che non solo gli fa intascare fra il 2004 e il 2010 circa un milione e seicento mila euro, (600mila euro per incarichi mai autorizzati) ma che gli costa un procedimento disciplinare aperto dalla Regione che sfocia nella sospensione dal lavoro dal 1. ottobre 2013 al 31 marzo 2014. Gli sviluppi investigativi, come ha spiegato il tenente colonnello Roberto Ribaudo, hanno appurato il collegamento diretto tra le ditte e Fior attraverso una fiduciaria svizzera gestita dal commercialista mestrino Sergio Gionata Molteni. Ditte che hanno attuato nei fatti un regime di monopoli amministrate da sodali di Fior come la Dei Svaldi, Strano e Gennaro Visciano. Fra queste anche la Green Project destinataria di 5 milioni per il rimboschimento della discarica di Sant’Urbano nel padovano, soldi ottenuti con l’istituzione di un fondo regionale alimentato pure dalla tassa sui rifiuti. Le opere furono iniziate e poi abbandonate tanto che per giustificare le spese furono emesse fatture per operazioni e prestazioni inesistenti. Ed è in tale contesto che risultano indagati gli allora sindaci di Sant’Urbano (Padova), Dionisio Fiocco e di Piacenza d’Adige (Padova) Lucio Giorio. La Regione con la Green Project ha tutt’ora un contenzioso che le ha consentito di ottenere la restituzione di oltre tre milioni di euro.

Monica Andolfatto

 

Soci occulti, soldi all’estero e spunta il nome di Galan

L’ordinanza del Gip Marchiori ricostruisce le «condotte illecite» di Fior per accappararsi appalti e occultare i proventi. In un’intercettazione il nome dell’ex governatore: indaga la Gdf

«Dalle indagini emerge che Fabio Fior ha messo a segno nel corso di un esteso arco temporale, con il contributo di Sebastiano Strano e Maria Dei Svaldi, plurime condotte illecite strumentalizzando la funzione pubblica per il perseguimento di finalità privatistiche e di cospicui vantaggi economici».
Lo scrive il giudice per le indagini preliminari di venezia, Roberta Marchiori, nell’ordinanza di custodia cautelare, lunga 117 pagine, con cui ha imposto gli arresti domiciliari a Fior, ex dirigente regionale all’Ambiente e l’obbligo di dimora ai due imprenditori della Green Project. Tutti sono accusati di peculato (per essersi appropriati di oltre due milioni di euro relativi ad interventi di riforestazione effettuati solo in piccola parte a Sant’Urbano, in provincia di Padova); Fior anche di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in relazione ad una dichiarazione con la quale, su sua pressione, il segretario dell’assessore all’Ambiente, Paolo Zecchinelli, attestò che il dirigente aveva chiesto l’autorizzazione a svolgere alcuni collaudi, cosa che invece non sarebbe avvenuta.
SOLDI IN SVIZZERA – La misura cautelare è stata concessa per «il concreto pericolo di inquinamento probatorio»: il gip sottolineana come Fior, dopo le contestazioni disciplinari (fu sospeso per sei mesi lo scorso anno) «si è immediatemente attivato per “fabbricare” atti falsi tesi ad accreditare la regolarità del suo operato… e ha inoltre verosimilmante provveduto a “collocare” in territorio svizzero i profitti accumulati».
ARRESTI NEGATI – Il pm Giorgio Gava aveva chiesto misure cautelari più pesanti nei confronti dei tre, sollecitando l’arresto anche di altri due indagati. Il gip Marchiori ha invece ridimensionato il quadro accusatorio, ritenendo sufficienti domiciliari e obbligo di dimora e sostenendo che non vi sono sufficienti elementi probatori in relazione ad alcuni dei 37 capi d’imputazione contestati dalla Procura: tra questi figurano l’ipotesi di associazione per delinquere e concussione per induzione, per i quali non è quindi stata concessa ordinanza di custodia cautelare. Parte dei reati sono stati commessi a Padova e gli atti saranno trasferiti nei prossimi giorni alla locale Procura.
GALAN – A pagina 77 dell’ordinanza, nel capitolo dedicato alle presunte false fatturazioni per giustificare i fondi ricevuti dalla Regione per l’intervento di riforestazione, spunta anche il nome di Galan. A farlo, in un colloquio intercettato (e riassunto in un brogliaccio della Finanza) è l’imprenditore Sebastiano Strano, mentre parla con Dionisio Fiocco, sindaco di Sant’Urbano: «Strano dice che sono convinti (non dice chi) che la Regione ha messo i fondi, li ha dati a lui che li ha girati a Fiocco tramite Solaris o chissà come e che Fiocco li ha poi restituiti a Galan». La Finanza sta effettuando accertamenti per capire se il riferimento sia effettivamente all’ex Governatore o se Strano usasse il nome di Galan per intendere l’Ente da lui presieduto.
CHISSO E CONTA – La Procura attribuisce ai due assessori regionali all’Ambiente, Renato Chisso e Giancarlo Conta (solo indagati), un ruolo decisivo nella seconda vicenda finita sotto accusa, quella relativa al “Sistema informativo” che la Regione ha affidato al Consorzio Venezia Nuova, senza alcuna gara, in asserita violazione delle legge. Il gip ritiene fondata l’ipotesi di «un’unitaria, articolata manovra illecita posta in essere per finalità privatistiche». A godere di un ingiusto vantaggio patrimoniale sarebbero stati il Cvn e varie altre società, ma anche Fabio Fior. Nell’ordinanza tutte le contestate ipotesi di abuso d’ufficio sono state ritenute fondate, ma per questo reato non è stata emessa misura cautelare.
SOCIO OCCULTO – Le indagini condotte dalla Guardia di Finanza, con la collaborazione dei Carabinieri del Noe, hanno evidenziato che Fior ha agito come “socio occulto” di numerose società che operavano nel settore ambientale (oltre a Green Projetc, anche Zem Italia, Nord est controlli, Sicea, Eos, Eco Environment, Marte e Ansac), sia mentre rivestiva l’incarico di dirigente del settore Ambiente della Regione, sia nel periodo successivo. A confermarlo sarebbero i servizi di osservazione e le numerose intercettazioni: sono migliaia le telefonate da lui fatte con i formali aministratori di quelle società, o le visite nelle loro sedi. Un numero tale di chiamate e di incontri che non possono «trovare giustificazione in motivi istituzionali», scrive il gip.
ROYALTIES – Il ruolo dominante di Fior emerge dalle intercettazioni: è il dirigente regionale, ad esempio, a suggerire a Strano e Dei Svaldi di togliere dal mercato la società Eos, troppo esposta in quanto diventata quasi monopolista, proponendo di suddividere i suoi lavori tra altre società, riconoscendogli delle royalties.
I SEQUESTRI – Il gip ha “congelato” i conti correnti delle società coinvolte nell’inchiesta, finalizzata ad una futura eventuale confisca: si tratta di Eos Group srl, Green Porject srl, Eco Environment Sa e Stc 200 sas. Nessun sequestro è stato concesso invece per i conti correnti di Fior.

Gianluca Amadori

 

FONDI A PIOGGIA – Dal 2003 avrebbe speso 120 milioni

SOLDI BLOCCATI – La magistratura ha congelato i conti di cinque società

I VERBALI Baita: «Uno sperpero totale di denaro dello Stato»

Il Sistema informativo, così il Consorzio finanziava gli amici

L’ex patron della Mantovani spiega come i fondi regionali ottenuti senza gara venivano indirizzati alle società di Fior

Mose, Magistrato alle Acque, Consorzio Venezia Nuova. Parole chiave della recente tangentopoli lagunare ma anche dell’indagine che ha portato all’arresto di Fabio Fior ex dirigente della Regione Veneto. E nell’ordinanza che dispone per lui la misura restrittiva ai domiciliari si legge anche il nome di Piergiorgio Baita, ex patron della Mantovani e, insieme a Giovanni Mazzacurati ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, grande accusatore nell’inchiesta della grande retata coordinata dai pm Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini.
Baita parla del Sistema Informativo del Cvn, veicolatore nel contesto Fior dei finanziamenti regionali ottenuti giocando facile cioè senza gara d’appalto, e lo definisce senza mezzi termini “uno sperpero totale di soldi dello Stato a benefico di nessuno” che affida gli incarichi “senza nessun tipo di gara a parenti, amici, cose del Consorzio”.
Fino al 2011 la struttura è stata guidata dall’ing. Roberto Rosselli ora passato a dirigere il Sistema informatico del Consorzio, considerato dagli investigatori che hanno inchiodato Fior, il suo uomo dentro al Cvn. Istituito nel febbraio 1984 in attuazione della prima convenzione fra Magistrato alle Acque e Consorzio Venezia Nuova nell’ambito della prima Legge Speciale, il Servizio Informativo ha il compito di raccogliere, classificare e conservare tutti i dati e le informazioni sull’ambiente lagunare e sulle attività che vi si svolgono, collaborando con gli altri Enti che operano nel comprensorio allo scopo di definire le rispettive politiche ambientali di intervento. Nel corso degli anni si trasformerà, secondo gli accertamenti investigativi, in un fagocitatore di decine di milioni di euro. Dal 2003 in poi avrebbe speso a pioggia qualcosa come 120 milioni di euro. Con bilanci redatti come ebbe a dire ironicamente un investigatore su carta copiativa. Un mare di soldi. Mazzacurati ne parla come “una gigantesca palla” ed è d’accordo con Baita sul fatto che occorre chiuderlo al più presto.
Baita nei vari interrogatori risulta ancor più impietoso: «Era una cosa scandalosa, senza utilità per nessuno. Se io devo regalare mille euro a una persona glieli do, non ne spendo 100mila perché la persona ne spenda 99 e se ne tenga mille, perché spreco 100mila euro. Gli do mille euro, ma che sia finita, non faccio finta di spendere l0 milioni di euro all’anno per avere niente, perché qualcuno si metta in tasca 2mila euro al mese. (…) il Servizio informativo era una sine cura che si erano messi in piedi i dirigenti del Consorzio all’insaputa dei consorziati (…) per arrotondare lo stipendio, cosa che nessun consorziato aveva mai detto “sono contrario”, ma non si possono sprecare 10 milioni di euro all’anno quando mancano i soldi per il lavoro».

 

La ricca “cupola” dei collaudi demolita nel 2012

La “cupola” dei collaudi. La chiamavano così, a Palazzo Balbi. Un termine spregiativo che però racchiudeva più invidia che disprezzo. Perché far parte della ristretta cerchia dei collaudatori era un privilegio. Botte da centinaia di migliaia di euro se capitava di collaudare pezzi del Passante di Mestre. O del Mose. E siccome il sistema è andato avanti per anni e per anni gli esclusi borbottavano, vien da chiedersi cosa faceva la politica: gli amministratori sapevano e chiudevano un occhio o, il che non è meglio, erano ignari?
Il cerchio ristretto dei collaudatori cessa nel luglio del 2012, quando l’uomo più silenzioso di Palazzo Balbi, il segretario generale della Programmazione Tiziano Baggio, rivoluziona il sistema. La delibera numero 1256 portata in giunta dall’assessore al Personale, Marino Zorzato, ha un titolo che ai più risulta incomprensibile: “Disciplina delle attività extraimpiego e dell’omnicomprensività del trattamento economico dei dipendenti della Regione Veneto facenti capo a strutture della Giunta regionale”. Gli addetti ai lavori capiscono: la manna è finita. Si stabilisce che un dipendente non può eseguire più di un tot di collaudi all’anno, che il compenso non può essere superiore al 25% dello stipendio, che non si potranno svolgere più di cento ore extra ufficio e che, in caso di deroghe, il compenso finirà nel Fondo unico dirigenti. Fissati i nuovi parametri, iniziano i controlli. È così che si arriva all’ingegnere Fabio Fior. Anzi, ci arriva la Finanza.
Un passo indietro. Nel 2012 Fior non è più dirigente del settore Ambiente. Due anni prima, con la nuova giunta Zaia, aveva dovuto lasciare la Direzione dove sin dagli anni Novanta aveva iniziato la carriera, arrivando al gradino di dirigente. Il cambio l’aveva voluto il nuovo assessore all’Ambiente, Maurizio Conte: «Ho voluto un turn-over dappertutto, anche alle cave. Sono settori delicati dove sono fondamentali la massima trasparenza, regole certe, persone impermeabili alle tentazioni». Di Fior sapeva qualcosa? Conte: «Qualche voce interna c’era».
Tre anni dopo, in sede di verifiche, emerge il caso Fior: incrociando il modello 770 e le autorizzazioni all’effettuazione dei collaudi e lavori extra ufficio, i dati non collimano. Si scopre che dal ’90 al ’97 l’ingegnere ha eseguito lavori senza autorizzazione e che dal 2002 al 2012 alcune autorizzazioni erano false. Per quest’ultimo periodo l’importo percepito da Fior ammonterebbe a circa 2 milioni di euro. La Finanza accerta che tra il 2004 e il 2012 il dirigente regionale ha svolto attività di libera professione in contrasto con il Dpr 3/57 che impone ai dipendenti pubblici l’esclusività. È così che, su segnalazione della Finanza, parte la contestazione della Regione a Fior con la misura disciplinare della sospensione per sei mesi, dal 1. ottobre al 1. aprile 2013. Il giudice del lavoro, cui Fior ricorre, conferma la misura disciplinare. Resta la questione dei soldi: la Regione rivuole indietro quasi 2 milioni che Fior ha preso per collaudi/lavori privi di autorizzazione. E siccome Fior i soldi non li ha restituiti, è partita la denuncia alla Procura della Corte dei conti. A Palazzo Balbi c’è una domanda ancora senza risposta: ci saranno altri seguiti sull’ex cerchia dei collaudatori?

 

LA DELIBERA – Freno agli incarichi extra Fior nella rete dei controlli. E l’ente rivuole 2 milioni

L’INGEGNERE PADOVANO

Tutta una carriera in Regione dalla tutela dell’Ambiente all’Energia

Ingegnere, 57 anni, originario di Noale, residente a Padova. Fabio Fior è un dipendente regionale di lungo corso, la sua carriera avviene tutta nel settore dell’Ambiente, sin dai tempi in cui il segretario regionale che guidava la direzione era Roberto Casarin. Dal 5 luglio 2002 al 23 agosto 2010 è stato dirigente generale della direzione Tutela ambiente della Regione. Nel 2010, con il cambio della giunta, da Galan a Zaia, era stato trasferito al settore Energia. E, dopo la sospensione nel 2013, al Progetto Integrato Fusina. I colleghi lo descrivono come una persona seria e simpatica. A Padova, a casa dell’ingegnere, in via Girolamo dal Santo, nel quartiere Arcella, bocche cucite: «Non abbiamo nulla da dichiarare, non è il momento» si limita a dire una voce femminile al citofono.

 

NEL PADOVANO – Augusto Sbicego è il primo, grande accusatore

Il sindaco di Sant’Urbano: «Fui io a denunciare tutto»

«Dopo aver portato i faldoni del progetto di compensazione ambientale a Venezia, andammo dalla Finanza. Il Comune non incassò mai nulla»

Un sindaco che accusa e due che dovranno difendersi. Il grande accusatore del filone padovano dell’operazione Buondì non si nasconde negli uffici della Regione: a lanciare il sasso nello stagno è stato, due anni fa, il primo cittadino di Sant’Urbano, Augusto Sbicego. Questi non ha gradito per niente quel che ha trovato in municipio dopo la sua elezione e ha portato i faldoni riguardanti il progetto di compensazione ambientale del paese direttamente nella sede del governo veneto. «Poi siamo usciti dalla Regione – racconta – e ci siamo infilati nella prima caserma della Finanza, dove abbiamo formalizzato un esposto sulla vicenda». «Ora la Regione – rivela quindi Sbicego – ci chiede indietro più di un milione e mezzo di euro, che sono i soldi che non sono stati spesi per il progetto di piantumazione del boschetto. E non è tutto, dato che li chiedono a noi, alla società che gestisce la discarica e pure alla Green Project. Ma noi di quel denaro non abbiamo visto un euro qui in municipio, perché tutto passava direttamente alla società esterna». Si difende invece a spada tratta Fiocco, che sostiene di aver sempre portato avanti il progetto della Green Project alla luce del sole. «Tutta la documentazione comunale sul progetto di compensazione ambientale che la Regione ha affidato a Green Project è disponibile e io non ho mai nascosto niente – sottolinea l’ex sindaco, al tempo in quota all’Udc – tutte le carte sono in Comune, basta andarle a cercare. Inoltre non è passato neanche un euro nelle casse del Municipio per questo affare, e ritengo superfluo ribadire che io non ci ho guadagnato niente. Anzi, a dire il vero ho guadagnato la visita mattutina della guardia di Finanza». Nella querelle è stato coinvolto anche Lucio Giorio, ex sindaco di Piacenza d’Adige e uomo di centro destra. I due Comuni avevano allargato alla Green Project la società Solaris, proprio per dare una piattaforma logistica al piano di piantumazione. Giorio ora abita in Alto Adige, e ieri ha fatto sapere di essere fiducioso in una risoluzione positiva dell’intricata vicenda giudiziaria.

 

PALAZZO BALBI «Quel dirigente già sottoposto a procedimento disciplinare»

VENEZIA – «Siamo come sempre fiduciosi e rispettosi dell’operato della Guardia di Finanza e della magistratura. Ribadiamo che i processi si celebrano nelle aule dei tribunali. Ci auguriamo comunque che le persone coinvolte nell’inchiesta riescano a chiarire la loro posizione nell’interesse loro e di tutti i veneti». Lo afferma il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia , in relazione all’inchiesta che ha colpito anche un dirigente dell’Ente, Fabio Fior, oltre a un ex assessore. La Regione sottolinea come già nel 2013 fosse stato avviato un procedimento disciplinare nei confronti del dirigente per aver svolto in oltre un quindicennio e in fasi diverse attività libero professionale a favore di società senza le opportune autorizzazioni da parte dell’Ente o di aver, in altri casi, esibito autorizzazioni irregolari.

 

Giancarlo Conta, era assessore all’Ambiente nell’ultima giunta Galan. È iscritto al Registro degli indagati con l’accusa di abuso d’ufficio

DUE PROCESSI «Mi accusavano di essere un inquinatore: ho stravinto»

L’EX ASSESSORE Il veronese Giancarlo Conta, ex azzurro ora capogruppo del Nuovo Centrodestra, si dice tranquillo: «Il mio operato è sempre stato trasparente e corretto»

«Mi vien da sorridere, ho finanziato un progetto pilota delle Fiamme gialle»

Ieri mattina è arrivato a Palazzo Ferro Fini. In agenda la riunione dei capigruppo, le sedute delle commissioni. Mezz’ora dopo si è ritrovato nella bufera. «Ho saputo dalle agenzie di stampa di essere iscritto al Registro degli indagati. Non so neanche perché. Nei siti mi hanno messo in foto con Renato Chisso e Fabio Fior sotto la scritta scandalo Mose. Con tutto il rispetto umano per i due arrestati, io cosa c’entro con il Mose? È una vergogna». Più che rabbia, nelle parole di Giancarlo Conta, veronese, architetto, 65 anni domani, c’è sbigottimento. L’ex assessore all’Ambiente, oggi capogruppo del Nuovo Centrodestra Veneto Autonomo, si dice tranquillo: «Il mio operato come amministratore è sempre stato trasparente e rispettoso delle normative e delle procedure. Pertanto confido nell’operato della magistratura», detta in un comunicato. Avvertendo: «Diffido gli organi di informazione ad associare il mio nome e la mia persona a comportamenti politico – amministrativi non leciti».
Architetto Conta, cosa sa delle accuse che le vengono rivolte?
«Niente. Sono arrivato in Regione alle 10, alle 10.30 mi hanno detto che ero su Internet».
Ha chiamato un avvocato?
«No, perché? Non ho ricevuto nessun avviso di garanzia».
Preoccupato?
«Tranquillissimo. Ricordo che fino a qualche tempo fa ero accusato di essere l’inquinatore numero uno del Veneto: ho avuto due processi per non aver contrastato l’inquinamento da smog. Si è arrivati anche in Cassazione. Li ho tutti stravinti».
Dell’ingegner Fabio Fior cosa dice?
«Ero il mio dirigente quando ho fatto, dal 2005 al 2010, l’assessore all’Ambiente, era già lì prima che arrivassi io, quando la delega l’aveva Chisso. Da quello che leggo hanno indagato tutti quelli che lavoravano nel mio ex ufficio, ma non so perché».
Cosa le dà fastidio?
«Posso capire il fatto che quando un politico viene indagato finisca nel tritacarne mediatico, ma collegarmi al Mose, no! Io non so neanche dove sia la sede del Magistrato alle acque, non ci sono mai stato e nessuno del Mav è venuto da me. Perché associarmi all’inchiesta che ha coinvolto il Mose, il Consorzio Venezia Nuova, il Magistrato alle Aqìcque? È uno schifo».
Ha nemici in politica?
«Non credo. Sono nel Nuovo centrodestra che ormai è quasi una lista civica».
Prima di diventare capogruppo del Ncd a Palazzo Ferro Fini, era in Forza Italia. Con chi stava?
«Io politicamente nasco con Forza Italia. Facevo – come ora – l’architetto, ho il mio studio professionale e non ho mai avuto un incarico pubblico né in Veneto né in Italia. Ero fuori dai giochi politici, tant’è che il settore del mio studio è quello dei restauri e quindi tutto in ambito privato. Nel ’93 comincio a fare politica in Forza Italia a Verona e faccio tutta la trafila, consigliere comunale, vengo eletto coordinatore provinciale al primo e unico congresso vero, nel 2000 arrivo in Regione: assessore all’Agricoltura, Commercio, Industria. Nel 2005 sono rieletto e mi danno l’Ambiente. Nel 2010 ancora rieletto ma faccio il consigliere semplice. Quando c’è la scissione, aderisco al Ncd».
E di che corrente era con gli azzurri?
«In Forza Italia sono sempre stato un Don Chisciotte, quello che contava meno e si batteva contro quelli che erano a Roma per volontà divina, tipo Brancher. La politica è una passione, ma ho sempre vissuto del mio lavoro: nel 2000 avevo il reddito più alto di tutti i consiglieri. Correnti no, ma la persona più lungimirante e corretta cui sono sempre stato vicino è Giorgio Carollo: quando ci fu la spaccatura 7 consiglieri con Galan e 7 con Carollo, io ero con Carollo».
In cosa può consistere il suo abuso d’ufficio?
«È un’accusa che mi ha fatto sorridere. Da quello che sono riuscito a ricostruire riguarderebbe una delibera su un progetto, iniziato da Chisso, per monitorare il territorio veneto e verificare se c’erano delle discariche. Volete sapere chi ha firmato con me quel progetto pilota? La Guardia di Finanza e il Noe, il Nucleo operativo ambientale. La Finanza ci mise a disposizione due elicotteri con un marchingegno per trovare, grazie a un sistema di colori, cosa c’era sotto terra. Vennero trovati 400 siti anomali. Ecco, ho usato risorse per la Finanza e un progetto pilota. Mi devo difendere da questo?».

Alda Vanzan

 

IL PRECEDENTE – Il caso Mestrinaro, sotto sequestro impianto dei rifiuti

L’ordinanza di custodia cautelare, disposta dal giudice per le indagini preliminari veneziano Roberta Marchiori su richiesta del pubblico ministero Giorgio Gava, eseguita ieri mattina, ha avuto come tappa intermedia nell’aprile 2013 il sequestro da parte della Direzione distrettuale antimafia di Venezia dell’impianto di trattamento dei rifiuti della trevigiana Mestrinaro (nella foto a lato) accusata di miscelare gli scarti edili senza trattarli e di metterli sul mercato come cemento per sottofondi stradali.
A collaudare la struttura fu guarda caso l’ingegner Fabio Fior, assunto dalla stessa Mestrinaro, dopo aver partecipato nella sua veste appunto di responsabile dell’ufficio regionale preposto, alla fase istruttoria del procedimento di approvazione della richiesta di ampliamento del sito poi bocciata dal Consiglio di Stato. Fior inoltre sta seguendo attualmente come consulente esterno anche la discarica veronese di Ca’ Del Bue.

 

Matteoli, richiesta depositata in Senato

Scandalo Mose: richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del senatore di Forza Italia Altiero Matteoli. Dieci i faldoni depositati ieri da una pattuglia del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Venezia a Palazzo Madama.

E per Galan «malattia finita»

L’ex doge verso la cella comune

Secondo i medici non ci sono più le condizioni perché resti detenuto nell’infermeria di Opera

Una cella comune per Galan

PROCESSO IN VISTA – L’ex governatore cambierà carcere

L’ex presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, rischia di proseguire la detenzione cautelare in una cella comune. Nei giorni scorsi, a conclusione di una serie di accertamenti sanitari, è stato infatti dichiarato idoneo a rientrare nel normale circuito penitenziario. Per il momento, a causa del sovraffollamento della struttura, la direzione del carcere di Opera, a Milano, ha comunque deciso di lasciare l’ex ministro ed ex presidente della Commissione cultura della Camera in una stanza singola del Centro sanitario nel quale si trova ricoverato fin dal momento dell’arresto, il 22 luglio scorso. Tra non molto, però, in vista dell’immimente processo – la Procura si appresta a chiedere per lui il rito immediato – Galan potrebbe essere avvicinato al Tribunale di Venezia per poter partecipare alle udienze e garantire ai suoi legali la possibilità di incontrarlo e studiare assieme a lui la strategia difensiva. I penitenziari più vicini sono quelli di Santa Maria Maggiore, a Venezia, oppure Padova o Treviso: non è da escludere che, dopo il trasferimento, l’ex Governatore del Veneto possa essere sistemato in una cella comune, considerato che i medici hanno concluso che non vi sono più pericoli connessi al suo stato di salute. Al momento dell’arresto fu ricoverato in infermeria in quanto aveva una gamba fratturata, ma anche per poter monitorare le sue condizioni alla luce di altri problemi evidenziati dai suoi difensori, gli avvocati Niccolò Ghedini e Antonio Franchini. Problemi che ora i medici della struttura penitenziaria non ritengono più incompatibili con la detenzione in una cella comune.
Galan è accusato di corruzione in relazione a presunte somme di denaro e altre utilità che l’allora presidente del Consorzio venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, e l’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, sostengono di avergli versato in cambio del suo appoggio al Mose e ad opere da realizzare in porject financing. Accuse respinte con determinazione dall’ex Governatore, il quale assicura di non aver mai chiesto né ricevuto somme illecite.
Ad appesantire la sua posizione processuale contribuirà la deposizione resa giovedì della scorsa settimana il suo commercialista e amico, Paolo Venuti, il quale ha ammesso di essersi prestato a fare da prestanome di Galan in alcune società, su richiesta dello stesso ex ministro, ma anche di Baita, il quale avrebbe insistito in più occasioni affinché si intestasse alcune quote e il nome di Galan non comparisse in alcun modo come proprietario. Il professionista padovano ha dichiarato di non sapere per quale motivo Galan non dovesse figurare: era in posizione di soggezione, oltre che amicizia, nei suoi confronti, e non glielo avrebbe chiesto. Nel corso del lungo interrogatorio sostenuto davanti ai pm Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini, Venuti avrebbe parlato anche di altre società riconducibili a Galan, nonché di conti esteri. Ma questa parte è coperta da segreto. Quanto ai lavori di restauro della villa di Cinto Euganeo, che Baita racconta di aver eseguito a proprie spese, Venuti ha dichiarato di averli seguiti in qualità di commercialista, senza però sapere quali fossero gli accordi tra Galan e l’allora presidente della Mantovani. La Guardia di Finanza sta effettuando accertamenti e riscontri sulle dichiarazione del professionista padovano che lunedì è tornato in libertà e ha concordato con la Procura il patteggiamento di due anni di reclusione.

 

VENEZIA – Ex Magistrati alle acque, dirigenti regionali, professionisti: nuova bufera giudiziaria

Mose, la laguna trema ancora

NUOVA SCOSSA A VENEZIA

IL NUOVO FILONE – Soldi pubblici e incarichi per le verifiche ambientali

IL PERNO – Tutto ruota attorno al noalese Fabio Fior

Il ritorno del vecchio “sistema Mose”

Due ex Magistrati alle acque, dirigenti, tecnici: Venezia epicentro di un altro terremoto giudiziario

GLI STESSI ATTORI – Un nuovo terremoto giudiziario con epicentro in laguna e protagonisti noti. Ci sono l’ex assessore Renato Chisso e due ex presidenti del Magistrato alle Acque, Maria Giovanna Piva e Renato Cuccioletta. E c’è un dirigente regionale, il noalese Fabio Fior, che avrebbe gestito con società fittizie appalti e certificazioni ambientali. È quanto emerso nell’inchiesta che ha portato Fior agli arresti domiciliari.

IL PALAZZO NEL MIRINO – Sono 20 gli indagati nell’inchiesta che getta nuove ombre sulla gestione delle politiche ambientali in Regione e sulla commistione fra politica e affari: nel mirino la gestione dei controlli sulle aziende di servizi ambientali,e i progetti di forestazione e recupero dell’habitat naturale dal Garda alla pianura padana.

 

I “MESTRINI” – Commercialista e architetto soci in affari

L’architetto Maria Dei Svaldi, e il commercialista Sergio Gionata Molteni sono accusati di avere costituito società fittizie riconducibili al dirigente regionale Fabio Fior.

Ci sono gli ex presidenti del Magistrato alle acque, Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta, già coinvolti nello scandalo Mose. L’ex assessore regionale, Renato Chisso, che per quelle accuse è ancora in carcere. Ma stavolta ci sono anche un funzionario che per anni ha bazzicato i palazzi regionali di Venezia, Fabio Fior, e quello che era stato il suo diretto superiore, Roberto Casarin, finora non scalfiti da altre inchieste. Sono tanti i “veneziani” al centro di questo nuovo scandalo svelato da Guardia di finanza e Carabinieri, coordinati dalle Procure di Venezia e Padova, che getta nuove ombre sui meccanismi di controllo in capo alla Regione. Un sistema noto che rialza la testa.
Protagonista assoluto, proprio Fior, ingegnere 57enne, originario di Noale, ma da oltre vent’anni stabilitosi a Padova. Un funzionario che ha ricoperto incarichi di peso per la Regione: per otto anni (fino al 2010) a capo della Direzione tutela ambiente, nonché vicepresidente della commissione tecnica regionale ambiente e di quella di valutazione di impatto ambientale. L’anno scorso, dopo i primi accertamenti dei finanzieri, era stato sospeso per poi essere reintegrato, ad aprile, prima al settore Energia, poi al Progetto integrato Fusina. Non di quei dirigenti che compaiono sui giornali, ma di quelli che contano. E che, dalle ricostruzioni degli inquirenti, di questo potere avrebbe approfittato nel modo più spregiudicato: procurandosi collaudi per cui sarebbe stato incompatibile, dirottando milioni di finanziamenti pubblici a società di cui era socio occulto. Le accuse a suo carico vanno dall’abuso d’ufficio al peculato, dal falso alla malversazione.
Molto più defilato il ruolo di Casarin. Personaggio più noto alle cronache, per essere stato il Segretario regionale all’ambiente e al territorio della Regione. Uomo dai tanti incarichi: già commissario ai fanghi per la laguna, nonché presidente della commissione di Salvaguardia. In pensione dalla Regione, dopo la fine dell’ultima Giunta regionale, è passato all’Autorità di bacino. In questa vicenda compare con un solo capo di imputazione di falso per aver attestato la non incompatibilità di Fior per vari incarichi di collaudo. Tutti incarichi professionali che, invece, nella ricostruzione degli inquirenti, cozzavano con il ruolo di controllore del dirigente regionale.
Altro capitolo, quello del Magistrato alle acque e del Consorzio Venezia Nuova. Anche da questa inchiesta esce uno spaccato poco edificante: con il Magistrato alle acque che, aggirando le normative sugli appalti, affida al servizio ispettivo del Consorzio Venezia Nuova una serie di incarichi che, alla fine, vengono realizzati da altre società riconducibili al solito Fior. É in questa vicenda che vengono chiamati in causa tre dei protagonisti dell’inchiesta sul Mose: Chisso, nella sua veste di ex assessore all’ambiente e poi ai trasporti, e i due ex presidenti del Magistrato alle acque, Piva e Cuccioletta. Tutti accusati di abuso d’ufficio, i primi due per un sistema di monitoraggio delle discariche abusive, il terzo per un progetto di riqualificazione dei comuni rivieraschi del Garda. Operazione diverse, ma gestite entrambe con lo stesso sistema a vantaggio del solito gruppo di amici.

 

L’ACCUSA – Una galassia di società con un solo regista occulto

LE PERQUISIZIONI – Al mattino blitz della Finanza nella sede di palazzo Linetti

Le Fiamme Gialle nella base del settore Lavori pubblici della Regione

Al setaccio l’ufficio del dirigente Fabio Fior, figura chiave dell’inchiesta

Architetto e commercialista soci in affari con il dirigente

Una foresta nella Bassa padovana, un progetto di riqualificazione del lago di Garda, un censimento delle discariche abusive e una miriade di certificazioni di aziende di servizi ambientali. Il tutto gestito da una ramificazione di società che avrebbero avuto come socio occulto il dirigente regionale Fabio Fior, noalese di 57 anni, e come esecutori altri due veneziani, l’architetto Maria Dei Svaldi, 47enne (per la quale è stato disposto l’obbligo di dimora nella sua casa di Mogliano), e il commercialista mestrino Sergio Gionata Molteni, 51 anni.
I loro nomi compaiono più volte nell’ordinanza che ha colpito ancora ai vertici della Regione Veneto, coinvolgendo fra gli altri l’ex assessore Renato Chisso, il suo successore Giancarlo Conta e il segretario generale all’Ambiente Roberto Casarin. L’architetto Dei Svaldi, assieme a Sebastiano Strano e Gennaro Visciano, figura nel consiglio d’amministrazione di Green project srl che avrebbe ottenuto fatturazioni inesistenti per circa 200mila euro nell’abito del progetto regionale Foreste che avrbbe dovuto creare una grande area verde nel Comune padovano di Sant’Urbano. Ma la professionista si ritrova anche nel cda di altre società, Nec srl ed Eos group, che avrebbero svolto attività di controllo e monitoraggio di aziende nel comparto ambientale. Il tutto, secondo l’accusa, in assenza di regole e con la regia occulta di Fior, che avrebbe tenuto le redini delle operazioni. A Dei Svaldi è contestato anche l’abuso d’ufficio per la riqualificazione ambientale dei Comuni del Garda ottenuto a nome dell’Associazione internazionale per la sorveglianza ambientale e il controllo (Ansac) di cui figurava come legale rappresentante.
Nelle indagini a carico delle società “ombra” gli inquirenti sono risaliti al commercialista Sergio Gioonata Molteni, che come rappresentante della società svizzera Eco Environment (e amministratore di un’altra società, Marte srl) figura come socio unico di Eos Group. I contatti dei due indagati con Fior sono del resto molteplici, come rivelano le intercettazioni telefoniche (un migliaio i contatti con Maria Dei Svaldi) e le «lunghe visite» del dirigente regionale negli uffici di viale Ancona, dove lavora Molteni, e di via Torino dove hanno sede le società di Maria Dei Svaldi. Ma l’ombra del dirigente regionale sembra allungarsi anche sull’attività della Iaes, l’Accademia internazionale di scienze ambientali con sede a Venezia, anche se il gip non ha ritenuto elementi sufficienti per procedere al riguardo. Più concreto, per il giudice che ha disposto gli arresti domiciliari per Fior e l’obbligo di dimora per Dei Svaldi e Strano, il rischio di «nuovi atti illeciti» nel ricco ambito della tutela ambientale – Fior risulta assegnato al Progetto integrato Fusina – e del risparmio energetico.

 

LE REAZIONI – Bettin: «Una rete di potere viziata e corrotta»

Per Gianfranco Bettin, ex assessore all’ambiente e presidente dell’osservatorio ecomafie, è stato «scoperchiato un altro pezzo del sistema corrotto», con la sua «specificità veneta».

L’ATTACCO «Dito puntato sulla Regione con cruciali livelli ministeriali»

L’ATTO DI ACCUSA – L’ex assessore: «Svelate le complicità e i legami di potere tra manager, tecnici e imprenditori»

«Emerge una presunzione di impunità che dura da anni»

Bettin: «Sistema corrotto Questa è la specificità veneta»

É un «buon giorno, per chi ama l’ambiente, l’onestà, la legalità e la buona politica». Ed è anche la conferma che esiste una «specificità veneta» nel malaffare: un meccanismo che tende a coinvolgere nella spartizione una vasta rete di interessati. Gianfranco Bettin, ex assessore all’ambiente, nonché presidente dell’Osservatorio ecomafie – ambiente e legalità Venezia 2010-214, è tra i primi ad esultare per l’operazione “Buondì”. «Operazione importantissima – rimarca – che scoperchia un sistema che il potere politico, con la complicità di tecnici, funzionari, manager e imprenditori, aveva finora difeso strenuamente». Un sistema «articolato che intercettava un flusso rilevante di fondi pubblici, con una modalità che è diversa da quella vecchio stile dell’imprenditore che consegna la mazzetta al politico di turno. Qui siamo nella filosofia del “siamo tutti nella stessa barca”». Ed è proprio questa, per Bettin, la «specificità dell’esperienza veneta, che è venuta fuori anche con il Mose. Un sistema dove tutti sono interessati a far andare avanti un progetto che ne può produrre altri, per il guadagno di tutti. Questo vale per la grande opera, come il Mose, così come per lo smaltimento dei rifiuti… E in questo quadro controllori e controllati si confondono sempre, in un sistema insano che altera il circuito della libera concorrenza».
Bettin denuncia anche quella «presunzione di impunità che è durata per anni e anni, con denunce cadute nel nulla e oppositori minacciati di querela». Oggi «viene a galla con chiarezza quella rete di viziate e corrotte assegnazioni di consulenze, perizie, quella distorsione nei controlli, con al centro, spesso, come abbiamo denunciato da anni, la strategica commissione regionale Via, alla quale dobbiamo discutibilissime scelte (spesso poi ratificate dalla Giunta regionale), e quella commistione deviata tra pubblico e privato che in moltissimi casi non è stata altro che un sistema per dirottare risorse a imprenditori “amici” o “amici degli amici” o a politici travestiti». Bettin punta il dito sulla Regione, al «centro di questo sistema, spesso in combutta con cruciali livelli ministeriali romani, con ruoli decisivi rivestiti da complici del sistema di corruzione e spreco o da incapaci che non vedevano, non sentivano, non parlavano». E a questo punto, dopo quest’ulteriore operazione di chiarezza, Bettin chiede che i «responsabili se ne vadano, non solo i corrotti ma anche gli ignavi e gli incapaci».

 

I RISVOLTI DELL’INCHIESTA Secondo l’ordinanza nel 2010 Fior chiese di essere incaricato

Nel mirino il collaudo al Cdr Veritas

Tra i collaudi finiti nell’inchiesta, c’è anche quello per l’impianto di Cdr che Veritas ha realizzato a Fusina. Nel maggio del 2010 – ricostruisce l’ordinanza – l’ingegner Fabio Fior, all’epoca dirigente generale della Direzione tutela ambiente della Regione Veneto, chiede alla sua amministrazione di essere autorizzato a collaudare l’opera, dichiarando falsamente la sua non incompatibilità. Una condizione necessaria perché un funzionario pubblico, che svolge un ruolo di controllo, possa accettare un incarico professionale di questo tipo. Fior, dunque, dichiara che non ci sono incompatibilità, nonostante avesse presieduto più riunioni della commissione tecnica regionale ambiente, tra il 2007 e il 2008, che avevano espresso «pareri favorevoli per progetti presentati dalla stessa Veritas – si legge nell’ordinanza – e pertanto la struttura alla quale egli era assegnato ed egli medesimo personalmente avevano esplicato funzione di controllo preventivo nei confronti di Veritas spa». Insomma, una incompatibilità evidente tra un soggetto che dovrebbe controllare e un controllato.
Ma non è soltanto Fior, nella ricostruzione degli inquirenti, a dichiarare il falso. Anche Roberto Casarin, il segretario regionale all’ambiente e territorio dell’epoca, di fronte alle richieste di Fior, «dimetteva attestazioni in cui falsamente dichiarava che il Fior non versava in situazione di incompatibilità». Tra cui quella di «collaudatore funzionale dell’impianto di Cdr di Fusina a favore di Veritas spa».

 

SISTEMA MOSE

Appalti e rifiuti l’inchiesta parte dalla Mestrinaro

Anche un architetto moglianese nella nuova inchiesta che scuote la laguna dopo lo scandalo Mose. Nei confronti di Maria Dei Svaldi, 47 anni, è stato disposto l’obbligo di dimora a Mogliano. Tutto è partito dall’inchiesta sulla Mestrinaro di Zero Branco.

UFFICI A MESTRE – La professonista 47enne è domiciliata a Mogliano

LE ACCUSE – Operazioni illecite nel settore ambientale

Appalti, rifiuti: architetto nella rete

Obbligo di dimora per Maria Dei Svaldi, braccio destro del dirigente regionale Fabio Fior

MOGLIANO – Una foresta nella Bassa padovana, un progetto di riqualificazione del lago di Garda, un censimento delle discariche abusive e una miriade di certificazioni di aziende di servizi ambientali. Il tutto gestito da una ramificazione di società che avrebbero avuto come socio occulto il dirigente regionale Fabio Fior, noalese di 57 anni, e come esecutori l’architetto Maria Dei Svaldi, 47enne (per la quale è stato disposto l’obbligo di dimora nella sua casa di Mogliano) e il commercialista mestrino Sergio Gionata Molteni, 51 anni. I loro nomi compaiono più volte nell’ordinanza che ha colpito ancora i vertici della Regione Veneto, coinvolgendo fra gli altri l’ex assessore Renato Chisso, il suo successore Giancarlo Conta e il segretario generale all’Ambiente Roberto Casarin. L’architetto Dei Svaldi, assieme a Sebastiano Strano e Gennaro Visciano, figura nel consiglio d’amministrazione di Green project srl che avrebbe ottenuto fatturazioni inesistenti per circa 200mila euro nell’abito del progetto regionale Foreste che avrebbe dovuto creare una grande area verde nel Comune padovano di Sant’Urbano. Ma la professionista si ritrova anche nel cda di altre società, Nec srl ed Eos group, che avrebbero svolto attività di controllo e monitoraggio di aziende nel comparto ambientale. Il tutto, secondo l’accusa, in assenza di regole e con la regia occulta di Fior, che avrebbe tenuto le redini delle operazioni. Alla Dei Svaldi è contestato anche l’abuso d’ufficio per la riqualificazione ambientale dei Comuni del Garda ottenuto a nome dell’Associazione internazionale per la sorveglianza ambientale e il controllo, di cui figurava come legale rappresentante. I contatti con Fior sono molteplici, come rivelano le intercettazioni telefoniche (un migliaio i contatti con Maria Dei Svaldi) e le lunghe visite del dirigente regionale negli uffici di via Torino dove hanno sede le società di Maria Dei Svaldi. La donna, di fatto, risiede a Mestre ma è domiciliata a Mogliano in via Girardini 13. Ieri la professionista non era in casa. Il campanello al civico 13/1 di via Girardini ha suonato a vuoto. Per motivi di lavoro Maria Dei Svaldi vive in prevalenza a Mestre e non tutti i giorni rientra a Mogliano nell’elegante condominio che si trova a Marocco, al confine con La Favorita di Mestre. E infatti nel quartiere è poco conosciuta, anche perchè -dicono i residenti- conduce una vita piuttosto riservata.

Alberto Francesconi – Nello Duprè

 

Blitz alla Mestrinaro l’inchiesta è partita da lì

APRILE 2013 – Carabinieri in sede a Zero Branco: si apre un nuovo filone d’indagine

ZERO BRANCO – (nd) La vicenda delle terre inquinate dell’ormai ex ditta Mestrinaro di Sant’Alberto di Zero Branco è tornata prepotentemente alla ribalta ieri con l’arresto di Fabio Fior, ingegnere ed ex dirigente generale della Direzione tutela ambiente della Regione dal 2002 all’agosto 2010. L’ordinanza di custodia cautelare disposta dal magistrato a carico di Fabio Fior, arriva al termine di un’inchiesta complessa che ha visto al lavoro i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Venezia e i carabinieri del Noe di Treviso. Una delle tappe intermedie dell’inchiesta, ma senz’altro la più determinante, risale all’aprile 2013, con il sequestro da parte della direzione distrettuale antimafia di Venezia dell’impianto di trattamento dei rifiuti della Mestrinaro. L’accusa era di miscelare gli scarti edili senza trattarli e di metterli sul mercato come cemento per sottofondi stradali. A collaudare la struttura dell’ex ditta Mestrinario fu proprio l’ingegner Fior, assunto quale consigliere dall’azienda zerotina dopo aver partecipato (nella sua veste di responsabile dell’ufficio regionale) alla fase istruttoria del procedimento di approvazione della richiesta di ampliamento del sito zerotino, poi bocciato dal Consiglio di Stato.
Il blitz del Noe, scattato un anno e mezzo fa, portò al sequestro di una grande quantità di rifiuti inquinati che erano stoccati nei nuovi capannoni. L’azienda zerotina era stata autorizzata per la sola lavorazione degli inerti dando lavoro fino a 130 operai nella fase di maggior espansione produttiva. I problemi sono iniziati quando la Mestrinaro aveva chiesto di poter trattare anche i rifiuti speciali, cioè terre inquinate da bonificare per poi essere impiegare come sottofondi stradali. La vicenda comunque non è finita con la chiusura e il fallimento della Mestrinaro, che non si è più ripresa dallo scandalo. Nei capannoni dall’ex ditta, poi diventata Costruzioni Generali Srl a sua volta messa in liquidazione, giacciono ancora centinaia di tonnellate di rifiuti speciali.

 

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