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IL MANAGER – Le parole dell’ex ad della Mantovani

I VERBALI – Baita: «Il Consorzio fino al 2003 non sapeva come spendere i soldi»

Quei lavori “inventati” alle rive e alle barene

Il Consorzio Venezia Nuova fino al 2003 si inventava barene e rive. Lo ha dichiarato Piergiorgio Baita, ex amministratore delegato della Mantovani una delle principali aziende che opera nel progetto Mose, nel corso di uno degli interrogatori con i pm che stanno seguendo la colossale inchiesta sulle tangenti.
Per i vecchi della laguna, per chi ci lavora ogni giorno, per chiunque abbia un po’ di esperienza di barene, velme e rive l’ingegner Baita ha fatto scoprire l’acqua calda ai magistrati. Nel senso che tra chi girava per i canali con una qualsiasi barca erano diventati argomento di conversazione e di risate i lavori che spuntavano in ogni angolo, a Nord e a Sud dello specchio d’acqua che circonda Venezia.
Tutti allenatori della Nazionale, criticava poi qualcuno, volendo intendere che sono tutti bravi a giudicare senza avere almeno una laurea in ingegneria idraulica.
E invece oggi si scopre che già l’anno scorso ai magistrati l’allenatore per eccellenza, Piergiorgio Baita, raccontava che «il Consorzio fino al 2003 non sapeva come spendere i soldi, si è inventato barene, rive, si inventava il lavoro singolo in giro per la laguna».
Appunto! è proprio questo che si dicevano pescatori dilettanti e professionisti, imprenditori dei trasporti lagunari, ambientalisti… tutti quelli insomma che, ad esempio, vedevano imprese continuare a scavare nel lato interno delle curve dei canali quando chiunque sa che quei tratti di riva tornano sempre a interrarsi per il gioco delle correnti. Tant’è vero che chi lo sa si tiene con la barca verso l’esterno, chi non lo sa va a insabbiarsi.
L’ingegner Baita ai magistrati non ha mai detto che fossero lavori inutili, e sicuramente si riferiva ad opere ragionate e magari pure consolidate con migliaia di sacchi in rete durevole pieni di pietrame per salvare le rive distrutte dall’erosione del moto ondoso. Ma a leggere quelle dichiarazioni, i ricordi dei “lagunari” vanno anche a quelle benedette curve.
La rivelazione dell’ex ad di Mantovani aveva lo scopo di spiegare che invece «dal 2003, quando sono partite le opere alle bocche, con l’impegno di finire, è cambiato progressivamente il clima» perché a quel punto tante piccole imprese che si occupavano di tutti quegli interventi sulle rive e sulle barene rischiavano di restare senza lavoro dato che dei cassoni e degli impianti per le paratoie si occupavano «i tre grandi soci che cercavano di monopolizzare il Consorzio» ossia Mantovani, Fincosit e Condotte. Aziende alle quali si opponeva il «piccolo mondo» di cui «Mazzacurati (presidente del Consorzio Venezia Nuova ndr.) è sempre stato il garante».
Mazzacurati – concludeva quella parte di interrogatorio l’ingegner Baita – «non gradiva la competizione dura», perché ribassi troppo elevati rendevano evidente «l’incongruità del prezzo del Consorzio».
«Cioé la stessa impresa che per il Consorzio scava a sette euro al metro cubo, e poi vince una gara a tre euro al metro cubo» fa capire che «da una delle due parti c’è qualcosa che non torna». (e.t.)

 

DUE IMPRESE TIRATE IN BALLO NEI VERBALI

Hmr e Clea, dal ponte di Calatrava al tram

Ci sono due imprese che sono finite nel ciclone del Mose. Una è la Hmr, responsabile della sicurezza per il Mose. La «Hmr servizi di ingegneria e progettazione ad elevato valore aggiunto» – questo si legge nel sito dell’azienda padovana – si è occupata anche della sicurezza del ponte di Calatrava. Vuol dire che tiene sotto controllo il cantiere e si preoccupa che chi ci lavora non corra rischi. In compenso è la Hmr che corre rischi visto che, secondo le dichiarazioni di Pio Savioli, fa parte delle ditte che “producevano nero” per il Consorzio. Anche la Clea è finita nei guai.
L’ultimo lavoro fatto dalla Clea è lo scoperchiamento di via Poerio. Ma la Clea è anche nell’Associazione temporanea di imprese che partecipa alla costruzione del tram. E Clea c’entra anche con un paio di cantieri di Insula per i restauri a veneziaInfinel la Clea aveva un appalto per la manutenzioendell’edilizia scolastica nel comune di Venezia. Insomma l’impresa cooperativa di costruzioni generali di Campolongo Maggiore non è proprio l’ultima arrivata nel mondo dell’edilizia. Curiosità vuole che la Clea abbia sede esattamente davanti alla casa di Lino Brentan, l’amministratore delegato della Venezia-Padova e, peraltro, non è un mistero che Brentan abbia contribuito alla sua nascita. Ebbene, adesso la Clea è precipitata dentro la maxi inchiesta sul Mose.

 

IL CASO – Accuse datate e smentite, l’Espresso ci ritorna

Belsito e le tangenti alla Lega

Zaia e Gobbo: «Solo fango»

Tornano a galla le rivelazioni dell’ex tesoriere della Lega Belsito sulle presente tangenti al Carroccio e ancora una volta vengono tirati in ballo il governatore Zaia e l’ex sindaco di Treviso Gobbo. Vicenda vecchia e già chiarita che viene riproposta dall’Espresso: «Ci risiamo, ancora questa storia», sbotta Gobbo. «Solo fango, ora basta», dice Zaia.

 

LA PROCURA «Violazioni amministrative»

IL CONTRATTO – Audi, soldi e affitto pagato in totale 60mila euro

L’INCHIESTA – Anche l’imprenditore indagato dalla Finanza

Patto con Nes: corruzione

L’accusa: prima l’avvio di controlli sull’attività di portavalori e poi l’accordo col patron della North East

Corruzione: questa l’accusa con cui il Pm trevigiano Massimo De Bortoli ha indagato Carmine Damiano, ex questore trevigiano,attualmente presidente della Mantovani spa, colosso padovano nel campo delle costruzioni. Un’accusa pesantissima. Legata agli ultimi mesi di Damiano alla guida della questura trevigiana quando, in base alle indagini condotte dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, avrebbe firmato un contratto con la Nes di Luigi Compiano. Era il novembre del 2012 e Damiano entro la fine dell’anno sarebbe andato in pensione. Ma già pensava al futuro. Un futuro non da poco. Secondo la Finanza, che ha indagato anche Luigi Compiano, il contratto prevedeva che la Nes avrebbe dovuto garantire all’ex questore un certo numero di consulenze pagate, l’uso personale di una Audi A8, l’utilizzo di un appartamento in centro storico da 1500 euro mensili d’affitto (a carico della Nes ovviamente) e una donazione alla Onlus «Hope x change» in cui opererebbe una persona molto vicina all’attuale numero uno della Mantovani. Accordo raggiunto quando Damiano era ancora questore.
A insospettire gli investigatori è stato però altro: questo contratto sarebbe saltato fuori a qualche mese di distanza dall’inchiesta condotta dalla questura trevigiana proprio sulla Nes. La società di Compiano, ancora prima che scoppiasse il bubbone dei milioni spariti dal caveau di Spresiano, e forse utilizzati per pagare la sterminata collezione di auto sportive, moto e barche del patron, era finita nell’occhio del ciclone per la questione dei furgoni portavalori. Secondo la questura non rispettavano le norme sulla sicurezza. Damiano si rivelò particolarmente inflessibile e condusse l’indagine senza tralasciare niente. Ecco: secondo gli investigatori Damiano aprì quell’inchiesta quasi per costringere la Nes ad assumerlo una volta lasciata la polizia. Ipotesi, comunque, tutta da verificare. Ma il dettaglio che più ha insospettito gli investigatori è saltato fuori durante una perquisizione negli uffici della Nes: un documento firmato da Damiano, in qualità di questore, in cui si garantisce che la società sarebbe stata in grado di offrire i massimi standard di sicurezza. E la Nes avrebbe allegato questo documento ai contratti proposti ai clienti in modo da rafforzare la propria immagine. Secondo una prima ricostruzione un simile attestato non sarebbe stato prodotto da nessun ufficio della questura trevigiana ma redattoda Damiano stesso. Troppi i punti interrogativi e troppe le zone oscure in una vicenda che rischia di provocare un nuovo terremoto giudiziario.

 

IL GRUPPO PD – I consiglieri regionali chiedono  l’elenco di tutti gli investimenti

VENEZIA – Avere l’elenco degli investimenti realizzati nell’ambito sanitario e infrastrutturale dal 2000 ad oggi. Lo chiedono i consiglieri regionali del Partito Democratico con una lettera inviata al Presidente della Giunta, Luca Zaia. “Si chiede l’elenco degli investimenti realizzati nell’ambito sanitario e infrastrutturale (ospedali, strade, ferrovie, porti, sistema fluviale ecc.) dal 2000 ad oggi con l’indicazione delle ditte che hanno realizzato le opere o che sono state incaricate di realizzarle». Il Pd chiede anche di «procedere alla revisione degli accordi contenuti nei project financing sottoscritti dalla Regione Veneto”.

 

L’ESPRESSO – Baita: «La torta dei collaudi fu spartita dai vertici Anas»

VENEZIA – Piergiorgio Baita, il grande accusatore del sistema Mose, intervistato da “L’Espresso”, prefigura sviluppi fino «ai vertici dei ministeri» dell’inchiesta veneziana. E tira in ballo «26 mln di euro in collaudi per il Mose dati ai vertici dell’Anas» e distribuiti a 272 persone. Secondo il settimanale l’importo maggiore (1,2 milioni) sarebbe andato all’ex presidente Anas Vincenzo Pozzi, quindi 747mila euro «di cui 480mila fatturati» al suo successore, Pietro Ciucci. Piero Buoncristiano, direttore del personale Anas in pensione, avrebbe parcelle per più di mezzo milione, oltre a un posto di amministratore delegato del Cav, la società mista per gestire le strade fra Anas e Veneto.

 

A tirare in ballo i vertici della Liga Veneta è Francesco Belsito, tesoriere di Bossi, nelle sue deposizioni dell’anno scorso

SULL’ESPRESSO – Tosi annuncia querele: tornano notizie non verificate, qualcuno intervenga

IL CASSIERE «Soldi a Cavaliere, uomo di Tosi. E una volta ne parlai con Zaia e Gobbo»

IL GOVERNATORE «Accuse vecchie: per me nessun “avviso” e già mesi fa ho denunciato per calunnia»

«Tangenti alla Lega in Veneto» Ma è il vecchio romanzo di Belsito

Nel fiume di milioni che filtra dalle dighe mobili del Mose nuotavano in molti, almeno stando al quadretto delineato dalla pubblica accusa: dalla Guardia di Finanza al Magistrato alle Acque, ministri e giudici contabili, Forza Italia e il Pd, Galan, Chisso e Marchese. Ma Zaia, no. Il governatore e la sua Lega escono immacolati dall’inchiesta sul Mose. Ma ci pensa L’Espresso a ripristinare a viva forza la par condicio del fango. Il settimanale piazza una bella foto di Luca Zaia insieme al titolo «Tangenti alla Lega in Veneto». L’indagine, naturalmente, non riguarda il Mose, ma è invece un capitolo, ripescato al volo, del vecchio romanzo di Belsito, il tesoriere di Bossi, quello dei diamanti in Tanzania. Sono stati infatti – molti mesi fa – il cassiere Belsito e il suo consulente Stefano Bonet a tirare in ballo il segretario della Liga Veneta, Flavio Tosi, e il suo predecessore Gian Paolo Gobbo, accusandoli di essere almeno a conoscenza di un presunto canale illegale di finanziamento del Carroccio in Veneto, alimentato dalla Siram, una multinazionale dell’energia: i denari transitavano, secondo Bonet, da Enrico Cavaliere, uomo di fiducia di Tosi. Ma Belsito dichiarò di avere, in un’occasione, «parlato» anche alla presenza di Zaia e di Gobbo di un milione in arrivo dalla Siram che Bossi avrebbe attribuito «ai veneti». Zaia se ne indigna con L’Espresso: «Dispiace – scrive il governatore – che non abbiate ritenuto di confrontarvi con me prima di procedere alla pubblicazione dell’articolo cui viene accostata maliziosamente una mia fotografia». Zaia ricorda all’Espresso che le accuse di Belsito sono vecchiotte e già pubblicate l’anno scorso da Repubblica, «un quotidiano del Vostro gruppo». E il giorno stesso «ho denunciato Belsito per calunnia». «Avrete notato che neppure il signor Belsito osi dire che io abbia ricevuto una qualche remunerazione, e che non sono stato raggiunto da nessun avviso di garanzia». Anche per Gian Paolo Gobbo vale lo stesso discorso: le accuse di Bonet alla base della “inchiesta segreta” di cui L’Espresso scrive oggi, le ha già tutte smentite a dicembre, quando la notizia apparve la prima volta.
Tosi annuncia querele. «Notizie infamanti, senza uno straccio di prova, nei miei confronti. La macchina del fango costruita con notizie false e non verificate continua la sua attività senza che nessuno intervenga».

 

IL CONTENZIOSO – L’associazione consumatori aveva fatto ricorso al Tar

LE OPERE – Riprendono fiato gli oppositori storici al progetto delle dighe

CODACONS – Il Mose, un’opera mastodontica, praticamente non ha una Valutazione di impatto ambientale. Codacons all’attacco

Nel ricorso 981 presentato nel 2004 Codacons scriveva, ad esempio, che «la Commissione di Salvaguardia aveva dato il suo parere favorevole al Mose avendo letto soltanto 9 tomi su 72 e non avendo neppure aperto i restanti 63. Il tutto in poche riunioni di poche ore, pur avendo tre mesi di tempo». Tecnici bravissimi? Nulla in confronto alla perizia dei componenti del Comitato Tecnico di Magistratura «che ha dato il proprio parere favorevole al progetto definitivo ricevuto il giorno stesso della deliberazione». Non basta: quel Comitato «ha deliberato di ritenere esaurita la procedura di Via per le opere complementari, mentre il Magistrato alle Acque, suo Segretario, ha presentato poco dopo una nuova domanda di Via per le stesse opere complementari in precedenza bocciate dalla Via regionale».
Per il Codacons, insomma, «la valutazione degli impatti ambientali è stata trasformata in un “orpello fastidioso” da superare a tutti i costi».
Scrivevano, dunque, i legali dei consumatori che «allo stato delle cose manca ancora un provvedimento di Via positiva per il progetto di opere per le chiusure mobili, così come manca un provvedimento di Via legittimo per le opere complementari».
Scendendo nei particolari il ricorso riportava che la Via statale relativa ai progetti di massima presentati fino al 1996 si era conclusa con la delibera del Consiglio dei Ministri del 15 marzo 2001 e con il successivo parere del 6 dicembre «senza neppure un provvedimento formale di valutazione positiva»; d’altro canto «le procedure di Via regionale per le opere complementari sono state addirittura capaci di “assorbire” la Via nazionale. Tesi palesemente illegittima».
Secondo Codacons, insomma, le opere dissipative complementari (lunate e rialzo dei canali), sottoposte a Via regionale ma parte integrante del complesso di tutto il progetto, nella Valutazione di impatto ambientale hanno assorbito le opere principali, ossia le paratoie. (e.t.)

 

I CONTENUTI «In Salvaguardia un parere favorevole in tutta fretta»

«Ora risarcimento a 270mila veneziani»

Il Codacons annuncia un’azione collettiva pari a 3 miliardi di danni. «L’opera non ha la Via»

Il Mose, un’opera da 5 miliardi e 600 milioni di euro che ha riversato milioni di tonnellate di cemento alle bocche di porto del Lido, di Malamocco e di Chioggia, praticamente non ha una Valutazione di impatto ambientale. Quella Via che a Venezia impongono anche per piazzare un tombino, per il Mose è perlomeno all’acqua di rose o non c’è proprio. Lo sostiene il Codacons, coordinamento di associazioni di consumatori, in un ricorso rigettato nel 2004 dal Tar del Veneto e nel 2005 dal Consiglio di Stato. Ricorso che oggi Codacons nazionale e Veneto, alla luce degli scandali emersi, ripropongono chiedendo la revisione delle decisioni prese dal Consiglio di Stato. «Se i giudici, infatti, hanno deciso sulla base di presupposti falsi o quantomeno alterati, è evidente la necessità di un riesame delle sentenze emesse, che potrebbe ora addirittura portare ad un blocco dell’intero progetto» dicono Franco Conte e Carlo Rienzi, presidente regionale e nazionale dell’associazione. I due hanno anche chiesto alla Procura della Repubblica il sequestro urgente di tutti i provvedimenti rilasciati da enti locali e nazionali che hanno autorizzato la realizzazione del Mose, e propongono la nomina di Raffaele Cantone come custode delle opere del Mose (è il magistrato presidente dell’autorità nazionale anticorruzione scelto dal premier Renzi per riportare trasparenza nei cantieri di Expo 2015). Domani, inoltre, sempre Codacons darà l’avvio ufficiale a quella che definisce la «più grande azione collettiva mai avviata per tutti i 270 mila abitanti di Venezia, volta ad ottenere i “danni da Mose”» valutati in almeno 10 mila euro a cittadino, ossia quasi 3 miliardi di euro. Il coordinamento dei consumatori, infine, interverrà nel procedimento penale pendente presso la Procura di Venezia chiedendo di procedere anche per i reati di frode nelle pubbliche forniture in concorso, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, abuso e omissione in atti d’ufficio, oltre al possibile configurarsi di un serio e concreto danno ambientale.
Che cosa sosteneva Codacons nel suo ricorso del 2004 contro il parere della Commissione di Salvaguardia per la città di Venezia con il quale approvava il progetto degli “Interventi alle bocche lagunari per la regolazione di flussi di marea”? Affermava che «la volontà di fare comunque qualcosa per la tutela dell’equilibrio idraulico e la preservazione dell’unicità dell’ambiente cittadino, ha svuotato di significato le procedure amministrative, ha ridotto i provvedimenti da adottare ad un mero simulacro di formalità ed ha imposto una rilettura illegittima degli atti già esistenti». Vale a dire, per il Codacons: la necessità che quel qualcosa da fare fosse fatto bene e legittimamente è passata all’ultimo posto.

 

Il “compagno M.” davanti ai giudici dovrà replicare alle accuse del sindaco

Marchese ribatterà alle dichiarazioni di Mazzacurati, ma dovrà difendersi da quelle di Savioli, l’uomo delle “cooperative rosse” che dice di averlo pagato

La figura chiave è sempre più quella del compagno M. Oggi Giampiero Marchese affronta il Tribunale del riesame. Dalle risposte che il compagno M. fornirà ai magistrati dipende la sorte di tanta gente. A cominciare dal sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. Perchè Giampiero Marchese ha di fronte a sè tre strade. La prima è quella di non dire nulla e negare tutto. Nel Pd la danno al 99 per cento. La seconda è quella di accollarsi le responsabilità di alcune “dazioni” di denaro e dire che i soldi li ha usati per il partito. Questa ipotesi vale l’1 per cento, oggi. La terza possibilità è che Marchese dica di averli presi e di averli utilizzati anche per la campagna elettorale di Orsoni, avvertendo lo stesso sindaco di Venezia. Questa possibilità, che fino a ieri aveva zero probabilità, improvvisamente potrebbe prendere corpo dopo l’uscita di Orsoni che in pratica dice che il Pd è un partito di ladri, che ha costretto anche gli onesti come il sottoscritto a rubare. A questo punto il compagno M. potrebbe decidere di smettere di fare il capro espiatorio. Intanto però, quel che è certo è che oggi Marchese si presenta al Tribunale del riesame di Venezia. E’ accusato di finanziamento illecito al Pd e per questo è stato messo in carcere. Curioso perchè ha la stessa imputazione di Orsoni – che invece ha avuto solo i domiciliari. Ecco perchè l’avvocato Francesco Zarbo, che lo difende, chiederà la revoca dell’arresto. Per il resto la difesa di Marchese sarà su tutto il fronte. Per i versamenti “in bianco” da parte delle cooperative rosse, Marchese dirà che non poteva sapere che si tratta di quattrini che venivano dal Consorzio. Per quanto riguarda i finanziamenti in nero, Marchese contesterà punto per punto. E su Mazzacurati dirà che si contraddice. Ma a mettere sulla graticola Marchese è soprattutto uno che è «iscritto al partito da 40 anni». Si tratta di Pio Savioli, nato il 30 gennaio 1944 a Molinella in provincia di Bologna, patron della Coveco. Dunque un compagno Doc. Anche se Pio Savioli per portare a casa la pagnotta alle cooperative rosse ha fatto tutto quello che Mazzacurati gli chiedeva e cioè ha creato fondi neri come se piovesse. Per Mazzacurati Pio Savioli si occupava delle coop rosse e dei finanziamenti al Pd «essendo io della stessa banda, diciamo così» – spiega Savioli senza vedere la tragica ironia della battuta.
Non si tira indietro nessuno quando si tratta di finanziare il partito e le cooperative rosse che pure valgono nel Consorzio il 5 per cento dei lavori del Mose, quindi pochissimo, comunque contribuiscono un bel pò. «Dal 2005 in poi sono aumentati gli appetiti di quelli che stavano al di fuori del Consorzio» – spiega Savioli. Ecco, appunto, tutti si erano accorti che il Consorzio Venezia Nuova era un bancomat a ciclo continuo. «Il Consorzio si rende conto che i fornitori di servizi, quelli che forniscono bonifiche belliche, archeologia, studi, ecc., se non sono soci dovrebbero partecipare alle gare.» Per evitare le gare, Mazzacurati decide di farli entrare nella Coveco. «Il Coveco può anche associare per legge consorzi artigiani e di piccole imprese» e dunque ecco che entra la Selc, che era l’impresa di fiducia per la biologia. Poi la Sitmar dei Falconi, Archeotecnica, Alba di Padova, Groma, Lotti che fa la direzione lavori insieme a Thetis, Hmr che fa sicurezza, Broetto di Padova. Tutti dentro, tutti senza gare di appalto. E tutti che pagano. Chi? Anche Giampiero Marchese. «Con Marchese ho collaborato perchè il Coveco, la Sec, la Sitmar, in occasione delle elezioni facessero quelle dazioni, delle cose, contributi, quelli ufficiali». Il Coveco mette 30 mila. La Sitmar altrettanti, la Nautilus 15 mila,la Cosidra di Padova altri 15. Anche al Clea entra nella torta. E poi ci sono i soldi in nero: «Ad esempio ogni 3-4 mesi la San Martino versava a Marchese 15 mila euro. In tutto 180, 170» – Savioli non si ricorda, ma ricorda che Marchese incassa «per il partito. Li ha presi dal 2010 per aiuto personale e poi forse per qualche problema che avevano in Federazione o a Jesolo, non lo so».

 

LA DOCCIA FREDDA – Alberto Francesconi Simionato e i bersaniani tentennanti: abbandonare o resistere ai diktat centrali?

Per giorni hanno lavorato per far approvare il bilancio entro la fine di luglio, al fine di dare certezze amministrative alla città, in attesa di conoscere le intenzioni del sindaco. Ora però che il sindaco, tornato in libertà, ha chiamato in causa il partito dicendo di non aver «mai ricevuto denaro che è stato gestito da altri», le cose cambiano. E all’interno del Pd veneziano, azionista di maggioranza della Giunta Orsoni, si fa forte la tentazione di far saltare il banco. Senza pensarci troppo su.
L’irritazione dev’essere stata forte per l’on. Michele Mognato, che da vicesindaco fu uno dei promotori della candidatura Orsoni. Ieri, dopo essere stato chiamato in causa con il collega Davide Zoggia e con Giampietro Marchese per avere sollecitato il candidato Orsoni a “battere cassa” presso Giovanni Mazzacurati per i contributi elettorali, ha detto di essere rimasto allibito: «Smentisco di essermi mai occupato di raccolta di fondi nel 2010 per l’elezione a sindaco del prof. Giorgio Orsoni. Smentisco categoricamente di aver mai preso parte ad incontri nel corso dei quali si sia anche solo ipotizzato finanziamenti illeciti».
Particamente identica la versione di Davide Zoggia, responsabile nazionale enti locali del Pd all’epoca della campagna elettorale del 2010, e già nominato in alcuni “pizzini” per contributi elettorali relativi alla sua campagna per le elezioni provinciali del 2009: «Ho seguito la campagna elettorale del prof. Orsoni in maniera non continuativa e il mio ruolo era di natura politica, non mi sono mai occupato di vicende inerenti i finanziamenti elettorali».
Ma anche Sandro Simionato, fino a ieri mattina sindaco facente funzioni di Venezia, quindi dimissionario assieme agli altri colleghi di Giunta, ha il suo bel da fare per tenere i nervi saldi dopo avere riconosciuto, nel convulso Consiglio comunale di lunedì, la trasparenza e correttezza amministrativa» di Orsoni. Per giorni, assieme al segretario comunale Emanuele Rosteghin, aveva fatto il giro dei circoli del Pd per rassicurare iscritti e segretari, sgomenti per il ciclone giudiziario che si era abbattuto sulla città e sul partito. E ora si trova, assieme ai vertici del partito a suo tempo legati a Bersani, divisi fra il desiderio di lasciare e la volontà di tenere testa alle forti pressioni che da Roma vorrebbero un azzeramento totale del partito veneziano. È la posizione già sostenuta da Debora Serracchiani nel lungo incontro di pochi giorni fa con Simionato, Rosteghin e il segretario provinciale Marco Stradiotto. «Ciò che è successo – dice Roger De Menech, segretario regionale dei Dem, area Renzi – non sposta la visione del Pd. Dobbiamo andare avanti con una posizione molto concreta e dura rispetto al malaffare».
Stradiotto, intanto, è deciso a far parlare soltanto le carte. «Sto verificando tutto – spiega, annunciando di avere ordinato un’indagine interna sui fondi per le campagne elettorali – per domani sera (oggi per chi legge, ndr) avrò in mano una relazione. In ogni caso è tutto tracciato e non ci sono operazioni fuori posto». Anche Stradiotto però, tenuto a mediare fra umori interni e pressioni romane, non esclude di dover ricorrere alle maniere forti: «Ci vorranno due o tre giorni per decidere. Ma se qualcuno ha sbagliato – dice – non si guarda in faccia nessuno».
Intanto, in attesa della direzione provinciale convocata lunedì prossimo, prende posizione il Pd di San Donà di Piave, il cui sindaco Andrea Cereser è uno degli esponenti più vicini al premier Renzi: «Un passo indietro – si legge in un documento – da parte di chi ha ricevuto finanziamenti, anche se leciti. Accelerare i tempi per andare alle elezioni di un nuovo sindaco di Venezia». Più chiaro di così.

 

Responsabilità scaricate sul Pd: i soldi del Consorzio Venezia Nuova accettati su «insistenze di Zoggia, Marchese e Mognato» per non provvedere in proprio

Vigili urbani, carabinieri e poliziotti vigileranno sull’incolumità di Giorgio Orsoni. Il sindaco di Venezia sarà scortato dai vigili durante i suoi spostamenti, mentre sotto casa ci saranno sempre due carabinieri o poliziotti. «Inaudito – sbotta Francesco Lipari, segretario provinciale del Coisp – Abbiamo una carenza enorme di uomini e mezzi, se ne occupino i vigili».

 

«Mazzacurati mi disse: ho finanziato tutti i sindaci»

L’INTERROGATORIO – Molti i «non ricordo» ma una smentita decisa: «Mai visto quel denaro»

LA SVOLTA – Accordo con la Procura: 4 mesi di reclusione «Ha ammesso la colpa»

Orsoni patteggia e torna libero

VENEZIA – «Mazzacurati mi disse: sai, io mi sono sempre occupato delle campagne elettorali, anche di quella precedente del tuo predecessore, dove c’erano anche dei conflitti interni al Pd, io sono stato presente». Non mancano le frecce avvelenate nel verbale d’interrogatorio che il sindaco di Venezia ha sostenuto in Procura. Il predecessore di Orsoni era Massimo Cacciari. E, anche se eventuali finanziamenti avvenuti nel 2005 sarebbero coperti da prescrizione, queste dichiarazioni non mancheranno di scatenare aspre polemiche. Orsoni ha spiegato ai pm che Mazzacurati gli avrebbe confidato di aver sempre pagato entrambi i contendenti alle elezioni per il Comune: «Non voleva che il candidato che vinceva poi gli andasse a rimproverare “tu non mi hai sostenuto». E prosegue: «mi aveva anche precisato che in questa campagna il mio avversario Brunetta si era già fatto vivo per chiedere di essere congruamente finanziato. E Mazzacurati mi disse: se finanzio Brunetta devo finanziare anche te…»
Il resto del veleno è per il Pd, da lui accusato di averlo spinto a chiedere i finanziamenti, ora contestati come illeciti. «Il tuo concorrente è in vantaggio.. dispone di un budget adeguato, rischiamo di andare male… Io mi sentivo usato in quella campagna… veramente non ho organizzato nulla… mi assumo tutta la responsabilità di questa cosa, pur dicendo che non ho visto un euro in tuttit questi giri…».
Per finire Mazzacurati. Con lui, un tempo caro amico, spiega che i rapporti si incrinarono dal 2012, quando Orsoni contrastò le mire del Consorzio sull’Arsenale (battendosi per acquisire gli spazi per il Comune) e sui progetti speculativi al Lido. Insomma adombra una possibile vendetta a distanza: «C’è stata una forte frattura anche a livello personale… può sembrare una vicenda marginale, ma secondo me è importante anche per fare il quadro generale e anche perché qualcuno addebita a me certe cose…»

Giorgio Orsoni chiede di patteggiare e torna in libertà. L’inattesa svolta nel filone d’inchiesta sui finanziamenti illeciti del sindaco di Venezia per la campagna elettorale del 2010 è arrivata ieri mattina, quando il gip Alberto Scaramuzza gli ha revocato gli arresti domiciliari, dopo aver preso atto dell’accordo raggiunto con la Procura per l’applicazione di 4 mesi di reclusione. Poiché Orsoni non ha precedenti penali, il giudice prevede che gli possa essere concessa la sospensione condizionale della pena e, di conseguenza, ha preso atto che non sussistono più le esigenze cautelari. Nel provvedimento depositato alle 8.20 e notificato poco più tardi, Scaramuzza scrive che da parte di Orsoni emerge «una complessiva assunzione di responsabilità in ordine ad una sua consapevolezza dell’effettiva provenienza del denaro dal Consorzio Venezia Nuova».
RESPONSABILITÀ – La Procura ha dato parere favorevole alla remissione in libertà «poiché il pericolo di reiterazione del reato (tanto più attuale quanto più prossime le nuove elezioni) è infatti eliminato dalla volontà di autoesclusione da ogni carica politica e amministrativa manifestata dal prof. Orsoni». In realtà il sindaco, nella conferenza stampa di ieri, ha dichiarato di non volersi dimettere. Almeno per ora. Il provvedimento di 3 pagine con cui la Procura ha dato il via libera al patteggiamento è firmato dal procuratore Delpino, dell’aggiunto Nordio, dei pm Ancilotto e Buccini, ma manca la firma del pm Tonini. Il tono dei magistrati è quasi comprensivo nei confronti del sindaco, di fronte alla sua «articolata e sofferta versione», che «da un lato si configura come ammissione di responsabilità penale… dall’altro ne mitiga la gravità, riconducendo gli episodi al loro reale connotato: la mera esecuzione di una strategia di finanziamento occulto elaborata dai vertici del partito cui lo stesso non si è opposto, ed anzi – sia pure per una propria debolezza – si è prestato».
PRESSIONI – La Procura dipinge Orsoni come una “vittima” del sistema della politica in quanto avrebbe accettato finanziamenti provenienti dal Cvn – pur consapevole dei profili di inopportunità – a causa delle «insistenze reiterate e pressanti del Partito Democratico, avanzate dai sui responsabili politici e contabili, Zoggia, Marchese e Mognato. Richieste che sarebbero state accolte con riluttanza e soltanto dopo una sorta di intimazione ultimativa», per non dover provvedere con fondi personali alle spese elettorali. Ciò fa pensare a possibili seguiti delle indagini. Ma Zoggia e Mognato non risultano indagati.
BUSTA FANTASMA – La Procura dà l’impressione di credere al sindaco anche nella parte in cui nega di aver mai visto personalmente i soldi, al contrario di quanto ha dichiarato l’ex presidente Giovanni Mazzacurati, il quale racconta di averglieli consegnati personalmente. «La divergenza è facilmente superabile laddove si ammetta che tra persone di mondo questi affari si regolano con comportamenti concludenti e discreti, senza formule sacramentali e atteggiamenti grossolani», scrivono i pm, ritenendo plausibile che Mazzacurati abbia semplicemente appoggiato una busta da Orsoni e che quest’ultimo non si sia “sporcato” le mani a contare i soldi, limitandosi a girarli a qualcun altro.
Su questo punto, però, Orsoni si trincera dietro una lunga serie di non ricordo. Nelle 26 pagine di cui è composto il suo verbale d’interrogatorio in parte si difende, in parte ammette una responsabilità per il contesto generale, in parte scarica sui vertici del Pd, con tono e contenuti che con coincidono del tutto con quelli che hanno caratterizzato la sua conferenza stampa di ieri. Davanti ai magistrati il sindaco ha ammesso una trentennale amicizia con Mazzacurati, e ha confessato di avergli chiesto (dopo un iniziale contributo di 110mila euro regolarmente registrato) di finanziare ancora la sua campagna elettorale, cedendo alle pressioni del Pd. Non solo: ha aggiunto di aver motivo di credere che Mazzacurati abbia effettivamente fatto il secondo versamento (che per la Procura fu in nero, di 450mila euro) in quanto gli eventi elettorali che il partito gli aveva detto essere in forse per mancanza di soldi, poi furono fatti. Insomma, quel finanziamento illecito ci fu, anche se Orsoni giura di non aver mai visto quei soldi.
NON RICORDO – Orsoni ammette ripetuti incontri con l’allora presidente del Cvn (nell’interrogatorio non lo definisce mai millantatore, al contrario di quanto ha fatto ieri) spiegando che «molto spesso veniva anche con documentazioni di cui mi voleva parlare…». Ma, di fronte alle pressanti domande dei magistrati sulla possibile consegna di una busta di una certa consistenza, Orsoni lamenta problemi di memoria: «Francamente sono passati 4 anni, non ho ricordi». La memoria non lo assiste neppure quando i pm gli chiedono se alcuni di questi plichi li abbia consegnati a qualcuno: «Non me lo ricordo… quindi può essere che abbia lasciato dei plichi da qualche parte, non lo so, ma non sono in grado di dirle di più…»
“DATTI DA FARE” – Ben più preciso e determinato in sindaco lo è stato nel tirare in ballo i vertici del Pd locale: «Andando avanti nella campagna elettorale le pressioni per avere più soldi si sono fatte sempre più forti da parte dei vari esponenti della politica, ma soprattutto o quasi esclusivamente da parte di esponenti del Pd, quelli con cui mi relazionavo… Queste pressioni, ripeto, sono state molto forti al punto che in qualche occasione mi si disse che dovevo mettere mano al portafoglio personale…» E ancora: «… il tuo concorrente è in vantaggio… “datti da fare!”… e io mi sono adattato…».

 

L’INTERVISTA «Non medio sul malaffare e mi sono fatto molti nemici Mazzacurati millantatore»

«Non mi dimetto, vado avanti Il Pd? Superficiale e farisaico»

È bastato che Giorgio Orsoni iniziasse la conferenza stampa a Ca’ Farsetti, subito dopo essere andato a riprendersi l’investitura da sindaco in prefettura dopo la momentanea sospensione disposta dalla procura, che si è capito che sarebbero state scintille. Così prendendo il microfono: «Siamo qui dopo una settimana di riposo…». E poi rivolto ad alcuni giornalisti che non sentivano le sue parole: «Andate dall’otorino».
Sindaco, ha deciso di dimettersi?
«Non mi dimetterò perché non ci sono le condizioni oggettive per farlo. Non ho nulla da rimproverarmi. Credo che si debba andare avanti nell’interesse della città e fare atti importanti come il consolidamento del bilancio».
Chi è Mazzacurati?
«Un millantatore. L’ho incontrato dopo il mio insediamento a sindaco. Mi chiedeva di parlare di Legge speciale, di Mose e dell’Arsenale sul quale eravamo in forte disaccordo visto che ho lottato per restituirlo alla città. Ci fu un scontro molto forte e non mi meraviglia che poi vi fosse un certo risentimento…».
Quante volte lo ha incontrato?
«Più volte, anche perché era mio cliente, e fu lui a propormi di sostenere la mia campagna elettorale attraverso canali che ho sempre ritenuto leciti. Ho consegnato a lui, come ad altri, il numero di conto corrente per la campagna elettorale, convinto che fosse tutto a posto».
Rapporti continuativi, quindi.
«Fu lui ad insistere per sostenere la mia candidatura dicendo che questo era un compito che si era assunto da sempre in passate tornate, con tutti gli altri candidati sindaco, perché non voleva che chi si fosse ritrovato a vincere, potesse incolparlo di non averlo sostenuto».
E chi gestiva i suoi finanziamenti elettorali?
«Ho spiegato ai pm che non ero al corrente in alcun modo dei meccanismi messi in atto per creare dei fondi destinati poi anche a contribuire alla campagna elettorale di tutti i partiti; non ho ricevuto alcuna somma da parte di chicchessia né tantomeno di Mazzacurati. Non c’era alcun comitato a gestire la mia campagna elettorale, ma i partiti».
Dal vertice nazionale del Pd sono arrivare randellate.
«In questa vicenda ci sono stati comportamenti inaccettabili. Basta leggere le dichiarazioni dei primi giorni. E queste le ho passate tutte ai miei legali. Poi decideremo».
Ma come giudica l’atteggiamento del partito?
«È stato superficiale e farisaico da parte di qualche esponente Pd e della segreteria nazionale. Non mi conoscevano e si sono premurati di dire che non ero iscritto al Pd».
E Renzi? Lo ha sentito?
«No. Lo conosco da quando era sindaco di Firenze; abbiamo condiviso anche l’iter sulla città metropolitana. Quello che mi ha colpito è stata la superficialità di giudizio. La fretta è una cattiva consigliera. Ringrazio Piero Fassino (sindaco di Torino ndr) per la solidarietà».
Quale è adesso il futuro di Giorgio Orsoni?
«Non ho un passato politico, e non ho un futuro politico. Ho sempre pensato che fosse un pericolo avere una tessera di partito in tasca».
Quindi non ci sarà un Orsoni-bis a Venezia?
«Avevo deciso da tempo di non ricandidarmi. E ora questo è determinante. In un gesto di impeto avrei potuto dare le dimissioni subito. Non lo faccio perché non sono un impetuoso».
La città attende di essere governata.
«Ho manifestato la mia gratitudine agli assessori che mi hanno messo a disposizione il loro mandato. E mi auguro che non arrivino indicazioni dall’esterno. Ogni decisione va presa qui e in consiglio comunale».
Rimane l’amarezza.
«Enorme. Anche perché avevo creduto importante che vi fosse una forza progressista come il Pd in grado di cambiare. È vero che sono di estrazione borghese, ma credo che questa sinistra abbia bisogno di tutti, anche del Dna di chi non è un operaio…».
Rammarico profondo.
«Ho sbagliato a fare il sindaco, non dovevo farlo. Ho capito ben presto che mi sarei scontrato con molte situazioni bordeline; che non mi avrebbero visto consenziente come lo può essere per un politico navigato. Io vedo il bianco e il nero, mai i grigi. E soprattutto non medio sul malaffare. Ne vado fiero».
E questo può essere un motivo della “settimana di riposo”…
«Ho trovato molte situazioni grigie, che ho cercato di gestire portandole in bianco. E per questo mi sono fatto molti nemici».

Paolo Navarro Dina

 

IL FRONTE GIUDIZIARIO – La difesa chiede di patteggiare 4 mesi «Vittima del sistema»

IL FRONTE POLITICO – Scontro con il Pd. Lunedì la fiducia in Consiglio comunale

Revocati i domiciliari, il sindaco attacca: «Non mollo»

VENEZIA Gli assessori consegnano le deleghe, Giunta azzerata. Tiziana Agostini si dimette su Facebook

LA GIUNTA – Il terremoto giudiziario dell’inchiesta sul Mose ha travolto anche il Comune. Ieri in una riunione di Giunta gli assessori hanno consegnato le deleghe nelle mani del sindaco, che si è preso tre giorni per decidere il da farsi. L’assessore Tiziana Agostini ha annunciato su Facebook la sue dimissioni. Sul fronte politico si annuncia un consiglio comunale rovente lunedì a Mestre, dove sarà messa alla prova la fiducia del Pd nel sindaco dopo i duri attacchi di ieri.

Orsoni contro tutti «Qualcuno pagherà»

IL SINDACO – Giorgio Orsoni torna libero e attacca. Il sindaco ha ottenuto la revoca degli arresti domiciliari, ha chiesto di patteggiare 4 mesi ed è tornato subito in sella. In una conferenza stampa dal clima teso, ne ha avuto per tutti: da Mazzacurati al Pd. «Mi sono fatto molti nemici e forse questo è lo scotto che ho pagato. Addolora la distanza presa da qualcuno. Sono molto offeso. Ci saranno conseguenze gravi, anche dal punto di vista legale, per chi mi ha assimilato a un gruppo di malfattori». Poi annuncia: «Non mi dimetto».

 

NIENTE DIMISSIONI – Ma in Procura aveva detto di voler lasciare

SINDACO LIBERO – Revocati i domiciliari, duro sfogo in conferenza stampa

L’AVVERSARIO «Mazzacurati? Un millantatore. Con lui scontri sull’Arsenale»

«Offeso da chi ha preso le distanze: mi sono fatto molti nemici, ne pago lo scotto. Ma non mollo»

Orsoni “libero” di attaccare

È durato otto giorni il provvedimento restrittivo neiconfronti del sindaco Giorgio Orsoni, che ieri mattina è tornato in libertà

Un Giorgio Orsoni teso, talvolta con la voce che tradisce una forte emozione, ma comunque deciso. E che trova anche lo spirito di una battuta con i giornalisti che assediano Ca’ Farsetti, dopo essere (ri) entrato in Comune tra gli applausi dei dipendenti: «Felice di vedervi, dopo una settimana… Immagino che abbiate seguito molto la Biennale Architettura…». Casa sua, quella in cui per sette giorni è stato confinato ai domiciliari, si trova proprio di fronte a Ca’ Farsetti, sede del Comune. Ma 8 giorni e 50 metri possono essere distanze siderali, se nel mezzo succede di tutto. Nulla è e sarà più come prima a Venezia.
La notizia che tutti attendevano era una: si dimette o non si dimette? «No», è la risposta secca di Orsoni a precisa domanda. Un “no” che rischia di provocare un terremoto politico. E che cozza con quanto riporta il provvedimento con cui il giudice, poche ore prima, aveva accolto l’istanza di revoca dei domiciliari accompagnata dalla richiesta di patteggiamento a 4 mesi, che ora dovrà essere accolta dal gup. Ovvero, la volontà che il sindaco aveva manifestato in Procura di lasciare ogni carica politica, decisione che, dal punto di vista dei giudici, avrebbe fatto decadere il pericolo di reiterazione di reato (finanziamento illecito). Invece davanti ai giornalisti annuncia forte di voler restare in sella. E di combattere. «Ho sempre operato per il bene della città – dice – Ma evidentemente mi sono fatto molti nemici e forse questo è lo scotto che ho pagato».
Ne ha per tutti, Orsoni. «Addolora la distanza presa da qualcuno – attacca – Sono molto offeso. Ci saranno conseguenze gravi, anche dal punto di vista legale, per chi mi ha assimilato a un gruppo di malfattori».
Poi il Pd: «Credo che ci sia qualcuno – sbotta – che forse non ha capito, o forse ha fatto finta di non capire che cosa stava succedendo. Con un modo di pensare un po’ forcaiolo». Poi aggiunge: «Ho ceduto alle richieste di candidarmi. Me lo avevano chiesto già due volte, alla terza non ho avuto la forza di dire di no». E ribadisce: «Sono stato chiamato a fare il sindaco, mi hanno voluto i partiti e me lo aveva chiesto il mio predecessore (Cacciari, ndr). La mia campagna elettorale è stata gestita da partiti che mi hanno sostenuto. È evidente che il maggiore organizzatore campagna è stato il Pd e poi altri».
«Con esponenti del Pd ho più volte interloquito. Ma non ho mai saputo – spiega – come le iniziative elettorali venissero pagate. Questo ho detto ai giudici consapevole di avere gestito la città nel modo migliore possibile, mi sono opposto a chi voleva sfruttare la citta».
«Non ci sono le condizioni per dimettermi – spiegherà dopo la Giunta – Non ho nulla da rimproverarmi.
Poi l’affondo sul suo grande accusatore, quello che ha raccontato ai magistrati di aver consegnato una busta con i soldi provenienti dal Consorzio. «Il presidente Mazzacurati? L’ho incontrato più volte, e fu lui a propormi di sostenere la mia campagna elettorale attraverso canali che ho sempre ritenuto leciti. Ho consegnato anche a lui, come ad altri il numero del conto corrente per la campagna, convinto fosse tutto lecito». E ancora: «Fu lui ad insistere per sostenere la mia campagna, dicendo che questo era un compito che si era assunto da sempre in precedenti campagne elettorali, con tutti gli altri candidati a sindaco, perché non voleva che chi vinceva potesse incolparlo di non averlo sostenuto». E quella busta?
«Giovanni Mazzacurati è un millantatore – replica secco il sindaco – I filoni di accusa sono di due tipi: che avrei percepito dal mio mandatario elettorale somme illecitamente procurate, cosa che non ho mai sospettato così come per versamenti fatti sul conto del mio mandatario».
«Non ho mai pensato che quei finanziamenti – aggiunge – fossero men che leciti: venivano da imprese che fanno capo al Consorzio Venezia Nuova ma io non so come si procurassero quei fondi. Non era una cosa che potevo sapere. Devo dire che ho saputo solo al termine della campagna elettorale chi aveva contribuito e chi no».
E poi la conferma di un’ipotesi che in Comune gira da tempo. «Mazzacurati – dice il sindaco – Voleva parlarmi dei problemi della citta, del Mose e soprattutto dell’Arsenale. Con lui ho avuto uno scontro duro e forse c’è stata qualche vendetta nei miei confronti». Chiaro il riferimento al braccio di ferro sull’Arsenale, su cui il Consorzio di Mazzacurati voleva estende.

(da.sca.)

 

LE TAPPE – Dall’alba del 4 giugno al rientro a Ca’ Farsetti

Gli 8 giorni che hanno cambiato la politica veneziana

La settimana più lunga. Dall’arresto alla liberazione

Era uscito da sindaco dal municipio di Mestre alle otto di sera del 3 giugno. Nelle sue funzioni ha rimesso piede a Ca’ Farsetti alle 12.30 di ieri, 12 giugno. In mezzo, otto giorni che Giorgio Orsoni riuscirà difficilmente a dimenticare.
MERCOLEDÌ 4 GIUGNO – L’incubo, per il sindaco, si materializza all’alba, quando i finanzieri si presentano nella sua abitazione a San Silvestro. Orsoni, che pure sapeva dell’indagine a suo carico, ha una reazione di stizza. Protesta la sua innocenza, alza la voce ma non può opporsi al provvedimento di notifica degli arresti domiciliari. Da quel momento l’abitazione diventa il confine della sua libertà, mentre la notizia del suo arresto fa il giro del mondo in pochi minuti. Orsoni viene temporaneamente sospeso dall’incarico, che viene affidato al vice Sandro Simionato.
VENERDÌ6 – Dopo 48 ore trascorse agli arresti Orsoni esce, sempre in stato di arresto, per essere condotto nell’aula bunker di Mestre dove, con l’avvocato Daniele Grasso suo difensore, rilascia alcune dichiarazioni spontanee. Non un interrogatorio in senso proprio, ma una sorta di autodifesa nella quale dichiara di non avere mai preso soldi da Mazzacurati, senza escludere che qualcuno per conto della sua campagna elettorale possa avere fatto da intermediario.
LUNEDÌ 9 – L’accusa però incalza e Orsoni, che vuole chiarire al più presto la sua posizione giudiziaria, si presenta in Procura a piazzale Roma e per quattro ore risponde alle domande dei titolari dell’inchiesta che gli contestano il finanziamento illecito per la campagna elettorale del 2010. Nessuna dichiarazione al termine dal suo difensore, che non ha chiesto il ricorso del tribunale del Riesame per la scarcerazione. Nei giorni successivi si rafforzano le voci di una imminente scarcerazione del sindaco sospeso, che non trovano però riscontro. A Simionato viene invece negata dal procuratore Luigi Delpino la possibilità di incontrare Orsoni.
GIOVEDÌ12 – I legali di Orsoni concordano con il pm una pena di quattro mesi per il finanziamento illecito, ma l’ultima parola spetterà al giudice dell’udienza preliminare. A questo punto scatta la scarcerazione e Orsoni, rientegrato nelle sue funzioni di sindaco, può rimettere piede a Ca’ Farsetti, dove davanti a decine di cronisti, dove spiega che erano i partiti che lo sostenevano, Pd in testa, ad avere gestito la sua campagna elettorale.

Alberto Francesconi

 

FIDUCIA – Da chiarire la posizione dei consiglieri del Pd

SCOSSONE IN COMUNE – Le forze che sostengono l’amministrazione rinviano a oggi le dichiarazioni

IL SEGNALE – Sebastiano Bonzio rinuncia all’incarico di delegato per il lavoro

Ca’ Farsetti, imbarazzo in maggioranza

Riunione dei capigruppo, parla solo la minoranza. Lunedì la resa dei conti in Consiglio

Dai partiti di maggioranza in Consiglio comunale (Pd, Psi, In Comune, Fds, Federalisti riformisti, Udc) poche parole e l’impegno a riprendere la discussione questa mattina sull’opportunità o meno di appoggiare ancora una giunta presieduta dal sindaco Giorgio Orsoni. Poche parole e un atto che pesa: Sebastiano Bonzio, consigliere della Federazione della Sinistra, ha annunciato in serata la sua “irrevocabile decisione” di rimettere al sindaco la delega alle Politiche del Lavoro, che gli era stata affidata all’inizio del mandato amministrativo. Un atto importante, poiché Bonzio è stato – a parte qualche situazione marginale – un fedele alleato della giunta. «Troppo pesante – dice – è la disparità esistente tra le cifre da capogiro, tutte risorse sottratte al beneficio pubblico, tirate in ballo in queste ore e le briciole, faticosamente messe da parte ogni anno in sede di bilancio, per attivare politiche attive del lavoro vitali, in questa città piegata dalla crisi. Da oggi – continua – incomincia per noi un percorso tutto nuovo, che metta assieme la parte migliore della città».
Un altro esponente che considera quasi conclusa l’esperienza amministrativa è Beppe Caccia: «Valuteremo nella notte – ha detto assieme a Bonzio – se ci saranno le condizioni per fare un bilancio differente da quello che farebbe un commissario». L’Udc è propensa ad approvare il rendiconto, ma ritiene che non ci siano le condizioni per andare avanti.
Dal Pd, invece, solo un “no comment”, soprattutto per le dimissioni dell’assessora Agostini (di cui riferiamo nella pagina accanto) e per le “voci” diverse al suo interno.
Tra le opposizioni, si è registrato a fronte di un certo possibilismo sull’eventualità di arrivare almeno all’approvazione del consuntivo e forse del bilancio. Sebastiano Costalonga (Fratelli d’Italia) è stato l’unico a chiedere le immediate dimissioni. «Con quei finanziamenti- attacca – il dato delle elezioni potrebbe essere stato falsato e forse molti di noi non sarebbero legittimati a sedere in Consiglio. Meglio andare a casa subito». Ieri sera Costalonga, con Raffaele Speranzon, Pietro Bortoluzzi e altri attivisti ha “occupato” la sala degli Specchi (anticamera dell’ufficio del sindaco) per tutta la notte. A fronte di una disponibilità del sindaco a proseguire solo con un termine, Stefano Zecchi (Civica Impegno) ha chiesto a Orsoni: «Ma se sei innocente perché non porti a termine il mandato?». La risposta data dal sindaco, che se la sarebbe presa con la magistratura e con la stampa, non è piaciuta a Renzo Scarpa (misto) il quale ha ritirato la sua disponibilità a proseguire oltre il rendiconto.
Lunedì, infine, in Consiglio comunale si porrà la questione della fiducia all’amministrazione Orsoni. Si tratta di un atto non previsto giuridicamente per le amministrazioni locali, ma che prenderà forma e concretezza nel dibattito che si svilupperà.

Michele Fullin

 

DISPOSTA LA VIGILANZA – Due carabinieri e poliziotti sotto casa a San Silvestro. Il Coisp: «Inaudito»

Il sindaco Giorgio Orsoni ha bisogno della scorta. Sempre. Durante qualsiasi spostamento. E anche sotto casa. Di giorno e di notte.
La necessità di tutelare la sicurezza del primo cittadino e di garantirgli una adeguata vigilanza sarebbe stata rappresentata dal prefetto Domenico Cuttaia al questore Vincenzo Roca giusto ieri, esattamente dopo la richiesta di patteggiamento, la scarcerazione e il ritorno del sindaco a Ca’ Farsetti. Il timore è che possano esserci problemi di sicurezza, considerato anche quanto successo in consiglio comunale l’altro giorno.
Di qui la decisione: Orsoni sarà scortato dai vigili urbani durante tutti i suoi spostamenti, mentre sotto casa, a San Silvestro, sarà garantita la presenza, a turno, di due rappresentanti delle forze dell’ordine, carabinieri e poliziotti.
Un provvedimento che ha mandato su tutte le furie il Coisp, sindacato indipendente di polizia. «Inaudito – sbotta Francesco Lipari, segretario provinciale del Coisp – Stiamo parlando del sindaco, quindi dovrebbe essere la polizia locale a occuparsi della vigilanza, non poliziotti e carabinieri. E invece, da stasera (ieri, ndr), fino a quando non si sa, avremo dieci operatori sottratti al controllo del territorio e alle loro mansioni per stazionare sotto casa di Orsoni». Il segretario provinciale del Coisp parla di dieci uomini tra carabinieri e poliziotti perché in una giornata, dalla mattina a notte compresa, sono previsti quattro turni, ma va conteggiato anche quello di riposo. «Abbiamo una carenza enorme di uomini e mezzi e si chiede ai cittadini di pagare un servizio di vigilanza al sindaco? Assurdo».

 

LA CITTÀ SI INTERROGA – Gli esponenti del mondo economico e culturale valutano l’ipotesi di dimissioni del sindaco.

Associazioni e categorie divise sull’opportunità di mollare

Continuare o non continuare? Sì, no, forse. Categorie economiche e istituzioni culturali soddisfatte per l’esito della vicenda Orsoni «dal punto di vista umano». Ma divise sul fatto che il sindaco debba dimettersi o esercitare il mandato fino alla sua scadenza naturale. Contrario alla seconda opzione, Vittorio Bonacini: «Sono contento che Orsoni sia riuscito a chiarire le sue responsabilità personali – dice il presidente dell’Ava – Tuttavia, l’aver patteggiato è un’ammissione di colpevolezza o quanto meno di leggerezza, e come amministratore dovrebbe riconsiderare le sue posizioni, sotto il profilo etico e per il rilievo dell’istituzione che rappresenta. Facendo un passo indietro, fosse solo per una questione di stile». Dello stesso avviso Giuseppe Bortolussi, direttore del Centro studi Cgia di Mestre, secondo cui «dopo il patteggiamento, dimissioni sarebbero state opportune. Il mio timore è che la gente possa non capire e respingere una situazione del genere. Ciò potrebbe essere all’origine di seri problemi. Cosa vorrebbe fare il sindaco? Chiudere il quinquennio e poi ricandidarsi con il Partito democratico?».
«Massima stima per la persona, che ora però si trova a gestire in Consiglio comunale una situazione tutt’altro che facile – aggiunge Gilberto Dal Corso, presidente di Confartigianato Venezia – Il rischio di caos è reale. Insomma, prima di andare avanti, ci pensi su». Mentre per Maurizio Franceschi di Confesercenti, «il patteggiamento di un sindaco è sempre imbarazzante. Per stile, etica e necessità di dare un segnale forte, meglio le dimissioni».
Di parere opposto, Cristiano Chiarot. «A Giorgio Orsoni rinnovo tutta la mia stima e fiducia – dichiara il sovrintendente della Fenice – Se ha deciso di restare in sella, ritengo lo abbia fatto con ponderatezza, a ragion veduta e a beneficio della città». Anche Marino Folin, presidente della Fondazione di Venezia, si dice «soddisfatto per lui e il ridimensionamento della vicenda. Tuttavia, non so proprio come possa pensare di andare avanti».
Non raggiungibile il presidente della Biennale, Paolo Baratta, a trincerarsi dietro un cauto «no comment» sono Confindustria e Pasquale Gagliardi della Fondazione Cini. Mentre per il presidente dell’Ateneo Veneto, Guido Zucconi, «bisognerà vedere se le forze politiche che hanno sostenuto il sindaco gli rinnoveranno la fiducia o si sfileranno. Comunque, se Orsoni vuole chiudere partite importanti e ha i numeri per farlo, proceda».
Possibilista Roberto Magliocco, presidente di Confcommercio Ascom: «Sull’approccio corretto del sindaco con la categoria, nulla da ridire. Quindi, a decidere se continuare o finire qui sia il Consiglio comunale: non vogliamo interlocutori zoppi». E decisamente schierato per la continuità del mandato, Ernesto Pancin: «Ho seguito la conferenza stampa di Orsoni, valutando positivamente le sue dichiarazioni – dice il segretario dell’Aepe – Qui sono in gioco gli interessi della città, dunque le forze politiche valutino bene il da farsi».

Vettor Maria Corsetti

 

C’è infatti chi le considera necessarie, chi invece ritiene che la Giunta debba tenere duro nell’interesse della comunità

LE CRITICHE «Il patteggiamento è come un’ammissione di colpa»

LO SCENARIO «Valuteremo se ci sono le condizioni per proseguire»

CHIAROT «A Orsoni rinnovo tutta la mia stima. Se il sindaco ha deciso di rimanere, ritengo lo abbia fatto con ponderatezza, a ragion veduta e a beneficio della città»

Continuare o non continuare? Sì, no, forse. Categorie economiche e istituzioni culturali soddisfatte per l’esito della vicenda Orsoni «dal punto di vista umano». Ma divise sul fatto che il sindaco debba dimettersi o esercitare il mandato fino alla sua scadenza naturale. Contrario alla seconda opzione, Vittorio Bonacini: «Sono contento che Orsoni sia riuscito a chiarire le sue responsabilità personali – dice il presidente dell’Ava – Tuttavia, l’aver patteggiato è un’ammissione di colpevolezza o quanto meno di leggerezza, e come amministratore dovrebbe riconsiderare le sue posizioni, sotto il profilo etico e per il rilievo dell’istituzione che rappresenta. Facendo un passo indietro, fosse solo per una questione di stile». Dello stesso avviso Giuseppe Bortolussi, direttore del Centro studi Cgia di Mestre, secondo cui «dopo il patteggiamento, dimissioni sarebbero state opportune. Il mio timore è che la gente possa non capire e respingere una situazione del genere. Ciò potrebbe essere all’origine di seri problemi. Cosa vorrebbe fare il sindaco? Chiudere il quinquennio e poi ricandidarsi con il Partito democratico?».
«Massima stima per la persona, che ora però si trova a gestire in Consiglio comunale una situazione tutt’altro che facile – aggiunge Gilberto Dal Corso, presidente di Confartigianato Venezia – Il rischio di caos è reale. Insomma, prima di andare avanti, ci pensi su». Mentre per Maurizio Franceschi di Confesercenti, «il patteggiamento di un sindaco è sempre imbarazzante. Per stile, etica e necessità di dare un segnale forte, meglio le dimissioni».
Di parere opposto, Cristiano Chiarot. «A Giorgio Orsoni rinnovo tutta la mia stima e fiducia – dichiara il sovrintendente della Fenice – Se ha deciso di restare in sella, ritengo lo abbia fatto con ponderatezza, a ragion veduta e a beneficio della città». Anche Marino Folin, presidente della Fondazione di Venezia, si dice «soddisfatto per lui e il ridimensionamento della vicenda. Tuttavia, non so proprio come possa pensare di andare avanti».
Non raggiungibile il presidente della Biennale, Paolo Baratta, a trincerarsi dietro un cauto «no comment» sono Confindustria e Pasquale Gagliardi della Fondazione Cini. Mentre per il presidente dell’Ateneo Veneto, Guido Zucconi, «bisognerà vedere se le forze politiche che hanno sostenuto il sindaco gli rinnoveranno la fiducia o si sfileranno. Comunque, se Orsoni vuole chiudere partite importanti e ha i numeri per farlo, proceda».
Possibilista Roberto Magliocco, presidente di Confcommercio Ascom: «Sull’approccio corretto del sindaco con la categoria, nulla da ridire. Quindi, a decidere se continuare o finire qui sia il Consiglio comunale: non vogliamo interlocutori zoppi». E decisamente schierato per la continuità del mandato, Ernesto Pancin: «Ho seguito la conferenza stampa di Orsoni, valutando positivamente le sue dichiarazioni – dice il segretario dell’Aepe – Qui sono in gioco gli interessi della città, dunque le forze politiche valutino bene il da farsi».

Vettor Maria Corsetti

 

Giunta “azzerata”. Tutte le deleghe nelle mani del sindaco

Tutte le deleghe degli assessori sono state rimesse simbolicamente nelle mani del sindaco, che entro tre giorni si riserva di decidere se continuare o mollare tutto. È l’atto con cui la giunta, nella riunione di ieri pomeriggio, ha ribadito l’intenzione di proseguire nel mandato, ma solo a termine e a condizione che non ci siano fratture nella maggioranza. Questo è un po’ l’esito “ufficiale” all’uscita degli assessori dalla riunione di Giunta, la prima dopo la batosta giudiziaria della scorsa settimana che ha cambiato il destino dell’amministrazione comunale e della città. A sentirla così, sembra che ci siano stati i complimenti del sindaco alla tenuta dell’amministrazione anche in sua assenza e l’intenzione di proseguire. Tuttavia, non possono essere dimenticate né la presa di distanze del Pd regionale nei confronti di Orsoni all’indomani della messa agli arresti domiciliari né le dichiarazioni di alcuni esponenti della maggioranza con rappresentanza in giunta, critici sulla prosecuzione.
All’inizio dell’incontro, un sindaco dal volto meno provato rispetto a quello mostrato nella mattinata in conferenza stampa, ha proposto una misura estrema come l’azzeramento della Giunta e un governo di salute pubblica con la partecipazione di tutte le forze politiche della città per chiudere il mandato o andare avanti fino all’approvazione di atti importanti, come il bilancio di previsione e, possibilmente, la riqualificazione di Porto Marghera e il tema delle grandi navi.
Questa impostazione non sarebbe stata condivisa e così si è continuato per la strada maestra, cioè la disponibilità a rimettere le deleghe al sindaco e riprendere dopo un confronto di maggioranza.
L’atmosfera dell’incontro, tuttavia, non è stata molto serena, raccontano. Mentre il sindaco rispondeva alle domande dei cronisti, gli assessori e alcuni capigruppo della maggioranza con lo sguardo cupo si sono chiusi nell’ufficio del vicesindaco e ci sono rimasti per una buona mezz’ora.
Poi, come se nulla fosse accaduto, sono entrati all’incontro con i capigruppo di maggioranza e opposizione per sentire che aria tirava.
Tra gli assessori, bocche cucite e dichiarazioni di circostanza. Evidente, in questo momento, il rispetto della consegna del silenzio.
«È un atto puramente formale – commentano – attraverso il quale gli assessori, rimettendo il mandato nelle mani del sindaco, chiedono al Consiglio comunale di valutare se ci sono ancora le condizioni per portare avanti almeno alcuni atti fondamentali».
Particolarmente importanti sono l’approvazione del rendiconto 2013 entro la fine del mese. Trascorso quel termine, il Testo unico degli enti locali prevederebbe sanzioni molto pesanti per la città.
Un altro nodo riguarda il bilancio di previsione, che per quest’anno comporta il recupero di una quarantina di milioni tra tagli, razionalizzazioni di spesa e nuove entrate.

M.F.

 

IL CASO – Tiziana Agostini, misteriose dimissioni via Facebook

Nella vicenda c’e’ anche la questione legata a Tiziana Agostini, assessora alle Politiche educative. Attorno alle 18, quindi dopo la riunione di giunta, ha comunicato attraverso Facebook di aver dato le dimissioni, ottenendo una serie di apprezzamenti sia dagli “amici” che da personaggi che hanno sempre avversato l’amministrazione Orsoni ma che in questo caso le tributavano un certo rispetto.
“Un’ora fa – recita il post – mi sono dimessa da assessora. Per quattro anni ho lavorato al servizio della città e continuerò a farlo nella mia veste di cittadina. La politica è un servizio reso liberamente e non può subire condizionamenti di nessuna sorta”.
Il sindaco, però, è caduto dalle nuvole e ha detto di non saperne nulla e di aver appreso da un collaboratore di quel messaggio. L’assessora, che abbiamo cercato di contattare, si è resa irreperibile.

(m.f.)

 

L’ex presidente della Mantovani a «l’Espresso» ricostruisce la lista dei big che hanno incassato le maxiparcelle

Si va dai vertici dell’Anas a Vincenzo Fortunato per finire con Roberto Daniele

VENEZIA «La Mantovani aveva un terzo del Consorzio Venezia Nuova che ha costruito il Mose, perché si parla solo della Mantovani come corruttrice?». In una intervista a “l’Espresso” in edicola oggi, l’ex presidente della Mantovani Piergiorgio Baita allarga lo scenario dell’inchiesta sulle tangenti veneziane e ribadisce quanto dichiarato ad Alberto Vitucci, del nostro giornale, una settimana fa. Il settimanale nel dossier dedicato al Veneto, si occupa anche delle aziende dell’ex ministro Galan, dei suoi legami con Veneto Banca e poi della Lega, con la clamorosa inchiesta sui rapporti con la Siram, con l’ex cassiere Belsito e il suo consulente Bonet che accusano Tosi e Gobbo di aver avallato un sistema di finanziamento parallelo. Ma torniamo al Mose, con le dichiarazione di Baita che hanno trovato conferma dagli interrogatori di Giovani Mazzacurati, il deus ex machina del Consorzio Venezia Nuova e padre del Mose. Baita dichiara a Gianfrancesco Turano de «l’Espresso»: «Io avevo la sponda a San Marino. E gli altri? Per esempio la Technital del gruppo Mazzi, che ha preso anche la progettazione della Pedemontana lombarda, ha incassato dal Consorzio tra 150 e 200 milioni di euro solo per le opere alle bocche di porto.[……] era il tramite fra Mazzacurati e Gianni Letta, era quello che li faceva incontrare a cena a Roma, nella casa dove hanno trovato tre quadri del Canaletto e uno del Tintoretto. E non solo le parcelle Technital non si sono mai potute discutere ma nel 2004, quando siamo entrati nel Cvn comprando dall’Impregilo dei Romiti, Mazzacurati ci ha ordinato di girare una parte delle azioni a [……], in modo da essere su un piano di parità. Se no, non ci faceva entrare». Baita conosce la leggenda nera riguardante Italholding, la capogruppo dei […..] intestata a due fiduciarie (Spafid e Prudentia): la quota di minoranza sarebbe stata girata di volta in volta al politico di riferimento dell’opera. «Di sicuro a ogni spreco», dice a “l’Espresso”, «corrispondeva una fetta di consenso in un settore: politici, amministratori, quei tecnici che ti compri con quattro promesse di carriera. La settimana scorsa hanno messo agli arresti un ingegnere, Luigi Fasiol, per un incarico di collaudo su mia segnalazione. Con questo metro dovrebbero arrestare parecchi alti dirigenti ministeriali, manager pubblici e giudici contabili. Invece non ho visto nulla sui 26 milioni di euro in collaudi dati ai vertici dell’Anas, a Pietro Ciucci, a Vincenzo Pozzi, a Pietro Buoncristiano o a ex magistrati come Vincenzo Fortunato. Tutti chiedevano l’incarico al Cvn». Il totale dei collaudi delle opere Mose è di 26 milioni di euro distribuiti a 272 soggetti. Il record con 1,2 milioni di euro è dell’ex presidente Anas Vincenzo Pozzi, oggi alla presidenza della Cal (Concessionarie Autostradali Lombarde) con l’ex ad Antonio Rognoni, arrestato per truffa alla Regione Lombardia. Numero due per importo presunto è il successore di Pozzi, Pietro Ciucci: 747 mila euro di compenso di cui 480 mila fatturati. Piero Buoncristiano, direttore del personale Anas in pensione, ha parcelle per più di mezzo milione, oltre a un posto di amministratore delegato del Cav, la società mista per gestire le strade fra Anas e Veneto. Presenti anche l’ex direttore generale Francesco Sabato, Alfredo Bajo, braccio destro di Ciucci, Mauro Coletta e Massimo Averardi con somme dai 240 mila ai 400 mila euro. In zona infrastrutture e trasporti si trovano l’ex magistrato ordinario e del Tar Vincenzo Fortunato (535 mila euro), capo di gabinetto di ministeri prima di essere nominato liquidatore della Stretto di Messina. Anche Roberto Daniele ha partecipato ai collaudi del Mose con 400 mila euro fatturati. Daniele ha ricevuto tutto il compenso presunto (414 mila euro) e da un anno, su nomina del ministro Maurizio Lupi, presiede il Magistrato alle acque di Venezia. Ma quello che è accaduto a Venezia è un modello che si ripete in altre opere. Spiega Baita a “l’Espresso”: «Dopo Tangentopoli, il Consorzio ha avuto il merito di sollevare i politici dal rapporto diretto con gli imprenditori. Questo sistema ha fatto scuola con la nascita di varie società di scopo (Ispa, le società regioni- Anas, la stessa Sogin). E arriva fino all’Expo di Milano».

 

Galan: dai traffici di gas con l’Indonesia all’energia

Ve la ricordate la sceneggiata di Berlusconi alla ________: «Ma lei quante volte viene» rivolta ad Angela Bruno, la dipendente mandata sul palco come speaker dell’evento elettorale? Quell’azienda ha forti legami con Giancarlo Galan, l’ex ministro della Cultura sulla cui testa pende la richiesta dia resto formulata dalla procura di Venezia e depositata alla camera dei deputati per la necessaria autorizzazione. A quanto scrive l’Espresso nel numero in edicola oggi, Galan assieme alla moglie Sandra Persegato possiede una quota del 10 per cento della società costituita appena 15 mesi fa. Gli investigatori hanno intercettato alcune telefonate in cui la moglie di Paolo Venuti, commercialista, parlava di traffici di gas con l’Indonesia. Il professionista è stato arrestato. Torniamo a ________: Galan e la moglie hanno versato 10 mila euro a __________ e Luca Ramor, due manager rampanti che hanno bruciato le tappe della carriera con una società che si occupa di energia pulita, quotata a Piazza Affari. Nel suo articolo, Vittorio Malagutti ricostruisce i bilanci dell’azienda, che in portafoglio ha 2 mila clienti. Quanto vale l’azienda? «Un milione di euro» scrive Andrea Barbera, il commercialista che nell’ottobre 2012 ha firmato un’apposita perizia giurata, che ha fatto anche parte del collegio sindacale.Come risulta dai bilanci i ricavi sono saliti a 52 milioni nel 2013, quasi il doppio rispetto al 2012. E i profitti sono balzati a 700 mila euro a quasi due milioni. Una marcia trionfale, che rischia di fermarsi con l’inchiesta del Mose, visto che Galan, amico e socio, ora rischia il carcere. Ameno che alla Camera non scatti un meccanismo di solidarietà trasversale,mail Pd ha già detto che il sì all’arresto sarà unanime.

Fondi della Siram

 

Belsito e Bonet accusano la Lega

Clamorose novità nell’inchiesta che la procura di Milano ha avviato dopo l’arresto di Belsito: l’ex tesoriere della Lega Nord e il suo consulente Bonet hanno lanciato accuse su Flavio Tosi e Giancarlo Gobbo, entrambi segretari veneti del Carroccio, per aver avallato un sistema di finanziamento parallelo ed esclusivo. Tutto questo è raccontato nel numero de l’Espresso in edicola oggi. I soldi sospetti arriverebbero dalla Siram, un colosso francese degli appalti di energia, e anche da grandi aziende italiane come la Fincantieri. Versamenti per almeno 10 milioni di euro. Appena lette le anticipazioni di stampa, Flavio Tosi e Luca Zaia hanno annunciato querele.

 

I protagonisti Sutto, l’uomo di fiducia che gestiva il denaro

Quello di Scaramuzza è invece il ruolo di collegamento tra Baita e Brentan

VENEZIA Ci sono figure che ai più dicono poco, nella vicenda delle tangenti del sistema Mose, ma sono fondamentali per far funzionare il meccanismo della corruzione e della mazzetta distribuita a destra e a sinistra. Sono funzionari del Consorzio Venezia Nuova e imprenditori costretti a fare i collettori di denaro e a pagare, se vogliono continuare a lavorare. Federico Sutto è una figura fondamentale nella vicenda. «È il consigliere politico di Mazzacurati» dice in un interrogatorio Piergiorgio Baita. Figura importante per capire la tangentopoli, tanto che la Guardia di Finanza, su richiesta della pm Paola Tonini, dedica ben quattro file, ricchi di dati, al personaggio. Scrivono gli investigatori del manager con un passato di socialista: «Già capo della segreteria dell’allora ministro Gianni De Michelis, da qui si spiegano gli ottimi rapporti con l’assessore Renato Chisso, dal 1996 è dipendente del Consorzio, con compiti di assistenza a tutte le attività della segreteria del suo presidente Mazzacurati». Con Renato Chisso, Sutto va anche in ferie, in Turchia. Mai dimenticare che Mazzacurati sostiene di aver iniziato a pagare Chisso già dai primi anni Novanta. Ed è Chisso che fa assumere Sutto al Consorzio. Nel corso degli anni Sutto diventa l’uomo di fiducia di Mazzacurati, tanto che a lui l’ingegnere «affiderà in via esclusiva il compito della raccolta e della custodia delle somme di denaro contante retrocesso dalle imprese all’ingegnere Mazzacurati », sottolinea in un’informativa la Guardia di Finanza. In sostanza è il “ragioniere delle mazzette”, incarico che prima condivideva con l’ingegnere Alberto Neri, vice direttore del Consorzio. Neri va in pensione quando, nel 2010, arriva la Guardia di Finanza, per un accesso ispettivo (in realtà è il sistema per iniziare l’indagine), ed emerge che i conti non tornano, si trova traccia di mezzo milione di euro non dichiarati. Insomma si tratta di “fondi neri” che però la Guardia di Finanza non riesce a sequestrare. Forse chi compie la verifica viene tradito da qualche talpa infiltrata dalla “cupola delle mazzette”. Neri prende paura e va in pensione. Sutto, allora, sale in cattedra. In un verbale Giovanni Mazzacurati dichiara: «(…) i soldi generalmente me li facevo portare, quasi mai li ho portati io. Erano soldi che servivano a me(…) Insomma soldi che dovevo dare a qualcuno». E alla domanda del pm Tonini su chi li portava, Mazzacurati risponde: «(….)meli portava Sutto». Altro passaggio importante della tangentopoli è la corruzione che riguarda il Magistrato alle Acque. Il pm chiede all’ingegnere chi sapeva della corruzione e lui risponde: «Sutto sapeva e pure Neri sapeva. Io usavo Neri fino ad una certa epoca, praticamente usavo Sutto e basta». E in quel periodo le consegne sono state tra le 20 e le 22. Poi Sutto per queste cose è perfetto. Spiega ancora l’ex presidente del Consorzio: «(…) lui, Sutto non chiedeva mai nulla, prendeva la busta (..) .e non chiedeva (…) andava a consegnare». Piergiorgio Baita, in un altro verbale, inoltre spiega che «(…) Sutto diventa con il tempo, il consigliere politico di Mazzacurati». L’uomo che spiega come mantenere gli equilibri con tutti i partiti. Sempre in questa tangentopoli compare il nome di Mauro Scaramuzza, titolare della Fip, impresa della galassia Mantovani con la quale spesso fa Consorzi d’impresa temporanei. È l’uomo di collegamento tra il sistema Baita e quanto ha creato Lino Brentan con i lavori legati all’autostrada Padova Venezia. Lui, imprenditore, è costretto a chiedere la “partecipazione” economica al sistema, alle altre imprese a cui subappalta i lavori che si aggiudica. Vince e cede appalti e poi passa a raccogliere il denaro contante, che poi, attraverso Lino Brentan e Giampiero Marchese, arriva al Pd. Scaramuzza sarà figura di spicco nel prossimo filone d’inchiesta: opere stradali.

Carlo Mion

 

Gdf, esisteva un «sistema» di false verifiche

La procura di Napoli ipotizza un vasto meccanismo di corruzione per pilotare i controlli fiscali

NAPOLI La vicenda delle mazzette versate per ammorbidire le verifiche fiscali, che ha portato martedì all’arresto del comandante provinciale di Livorno della Guardia di Finanza, Fabio Massimo Mendella, rappresenta un caso isolato o fa parte di un sistema collaudato e assai più ampio in cui sono coinvolti sia ufficiali, sia gradi più bassi delle Fiamme Gialle? È questo che intendono accertare ipm della Procura di Napoli che conducono l’inchiesta e che, stando a quanto finora emerso, ritengono più che fondata l’ipotesi dell’esistenza di un livello molto più grave di corruzione. Una circostanza che trapela dalle indiscrezioni raccolte e che si evince anche della lettura del decreto con il quale i pm della Procura di Napoli Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock hanno ordinato la perquisizione degli uffici del vicecomandante generale della Gdf Vito Bardi. Nel provvedimento di poche righe non vi sono riferimenti a episodi concreti nè a fonti di prova, ma solo il reato ipotizzato, che è quello di corruzione. Hanno deciso di non scoprire ancora le carte gli inquirenti che stanno lavorando soprattutto sugli stretti legami tra Bardi e Mendella, entrambi componenti del Cocer della Gdf e legati da rapporti di frequentazione. Né sono noti, al momento, i motivi che hanno indotto a iscrivere nel registro degli indagati il generale in pensione della Gdf Emilio Spaziante, arrestato la settimana scorsa per la vicenda Mose. Segno comunque che si indaga su più fronti. Ma ora l’attenzione è concentrata sulla figura dell’imprenditore napoletano Achille D’Avanzo, titolare della società Solido Property, proprietaria di numerosi immobili affittati alla Guardia di Finanza. Le verifiche della Digos di Napoli riguardano presunti fatti corruttivi simili a quelli venuti alla luce nella vicenda rivelata dai Pizzicato. Il nome dell’immobiliarista napoletano spuntò in un’ inchiesta svolta nel 2012 dal pm Woodcock nell’ambito della più vasta indagine sulla P4. Nel novembre di quell’anno furono disposte varie perquisizioni tra cui anche quelle a carico di D’Avanzo. Oggetto: presunte irregolarità nell’affitto a Napoli di immobili destinati alla Guardia di Finanza per importi ritenuti esorbitanti nonché l’acquisto di immobili a Roma. Una vicenda poi archiviata dal gip del Tribunale di Roma come ricordano in una nota i legali di D’Avanzo. Gli scenari che configurano gli inquirenti sono dunque quelli di un sistema assai più ramificato, che chiamerebbe in causa ufficiali e sottufficiali, e non solo attraverso accertamenti fiscali compiacenti in cambio di tangenti.

 

Padova, il grande affare del nuovo ospedale

Nel «piano segreto» Ruscitti avrebbe dovuto diventare dg dell’Azienda sanitaria

L’irritazione di Mazzacurati per il ruolo «pigliatutto» di Piergiorgio Baita

Sette anni di progetti destinati a morire dopo la grande retata e l’arrivo di Bitonci

Doveva costare 1,7 miliardi di euro e ospitare 2400 posti letto sanitari

PADOVA – Questa è la storia (e i retroscena) del più grande appalto sanitario del Veneto in campo sanitario: il nuovo ospedale di Padova ovest. Voluto da Giancarlo Galan, figlio di un primario, abbracciato dalla sinistra, sventolato dall’Università. Varato nel 2007 dalla Regione, attirò subito uno dei grandi gruppi mondiali della sanità: gli australiani della Bovis, che presentarono un mega progetto da 2400 posti letto e 1,7 miliardi di euro di spesa. Dopo sette anni di progetti, polemiche e serate conviviali sono bastati sette giorni di questo giugno per riporlo definitivamente nel cassetto: prima la Grande Retata veneziana, poi la vittoria di Massimo Bitonci a Padova. Addio al nuovo ospedale, che nel corso degli anni era stato «ridimensionato» a mille posti letto e 600 milioni di spesa. Le indagini dei magistrati svelano gli altarini, intuibili ai più navigati conoscitori del mondo ma sconosciuti dal grande pubblico. Il 1 marzo 2011, ad esempio, l’ex segretario regionale alla Sanità Giancarlo Ruscitti – uomo legato all’Opus Dei – parla al telefono con il cassiere delle cooperative rosse, il trevigiano Pio Savioli. Il quale riferisce che l’Ingegnere (Mazzacurati) avrebbe parlato con l’allora sindaco Zanonato del nuovo ospedale. L’ipotesi che avrebbe potuto far decollare il nuovo polo sarebbe stata la nomina a direttore generale dell’Azienda ospedaliera proprio di Ruscitti, che nel frattempo aveva lasciato la carica in Regione: «Sul direttore generale – spiega Ruscitti al suo interlocutore – prevalgono tre voci: una è il presidente della Regione, l’altro è il rettore dell’università, che però è amico di Zanonato e il terzo è Zanonato stesso. Allora se i due, Zanonato e il Rettore, si mettessero d’accordo è dura che il presidente della Regione non gli mandi…» Ruscitti rivela al cassiere delle cooperative anche il retroscena che un paio d’anni prima il rettore Milanesi avrebbe voluto suggerire il suo nome al posto di Adriano Cestrone, all’epoca direttore dell’Azienda ospedale di Padova: ma poi non se ne face niente perché Galan si oppose: «Io voglio fare il quarto mandato – disse l’ex governatore a Ruscitti – se tu mi lasci dopo due anni devo prendermi un nuovo segretario con tutti i problemi che ci sono ». Savioli e Ruscitti parlarono anche dell’ubicazione del nuovo polo sanitario a Padova Ovest: «Se lo facciamo dentro andiamo incontro a un gruppo anti Zanonato, che contesta da sempre la scelta di Padova Ovest e così via, ma se siamo noi a far dipanare i problemi e i vantaggi dell’una e dell’altra scelta dovremmo averne ragione. Ma lui (l’Ingegnere) torna sempre lì, su Piergiorgio». Dalla conversazione si evince chiaramente (e siamo nel 2010) che Mazzacurati non vuole Baita tra i piedi nel project del nuovo ospedale di Padova. Savioli parla di come «risolvere » il problema Baita e racconta a Ruscitti un episodio di molti anni prima: quando a un appuntamento con Lia Sartori la parlamentare vicentina disse espressamente ai suoi interlocutori: «Venite ma non portatemi Piergiorgio». Insomma, l’ex presidente di Mantovani era percepito nell’ambiente come un «pigliatutto» che dava fastidio a tutti: Savioli parla della cordata antagonista per il restauro della Fenice ed anche di un’offerta ostile per il nuovo ospedale di Treviso. «Cioè Piergiorgio se non c’è lui….va fuori di matto» sibila Savioli al telefono. Due mesi più tardi, il 7 giugno 2011, Mazzacurati e Savioli, consigliere del Consorzio Venezia Nuova, invitano a cena Zanonato e il rettore Milanesi. C’è anche Ruscitti e l’argomento è, appunto, l’ospedale di Padova. «Il capo supremo mio (Mazzacurati) era un po’ come si suol dire scoglionato e invece è ritornato arzillo» riferisce Pio Savioli il giorno dopo a Franco Morbiolo, il capo del Coveco, consorzio di cooperative. Lo scoglio per il nuovo ospedale è sempre stato, in Regione, Luca Zaia, mai particolarmente entusiasta. Più interessato al project della «sua» Treviso: «Chi vuole metter lemani là dentro, lo uccido» riferisce Savioli attribuendo questa frase proprio al governatore. Alla fine, anche quello di Treviso rischia di incagliarsi nelle inchieste: due dei tre promotori (Meneguzzo e Maltauro) sono in carcere.

Daniele Ferrazza

 

Caso Bolzan, quattro milioni alla Lega

I veleni di Savioli sul caso di Treviso

«Vox populi di Treviso, messa in giro da Forza Italia, è che gli altri soldi son andati alla Lega. Cioè quei quattro milioni che mancano… insomma, gli altri quattro sono andati alla Lega». Parola di Pio Savioli, bolognese trapiantato a Treviso, consigliere del Consorzio Venezia Nuova e riferimento delle cooperative rosse nei lavori del Mose. Lo riferisce, a proposito dell’impiegata infedele condannata per aver sottratto alle casse dell’Usl di Treviso più di 4 milioni di euro, in una conversazione telefonica con Giancarlo Ruscitti, ex segretario regionale alla Sanità, intercettata dai magistrati della Procura di Venezia. Ruscitti conosce bene la vicenda e aggiunge dettagli e particolari, come l’amicizia tra Cestrone e l’impiegata e il ruolo del dirigente Mario Po.

 

Dal 2007 sul piatto la proposta della Bovis Lend

Padova Ovest, nei pressi dello stadio Euganeo. É il luogo dove avrebbe dovuto sorgere il nuovo ospedale di Padova. La superficie di 546.743 metri quadri suddivisa in 37 proprietà diverse. Una delle proprietà più estese appartiene al gruppo Unicomm dei Cestaro (Famila). La prima proposta progettuale è stata presentata nel 2007 dal gruppo internazionale Bovis Lend Lease (e da Palladio finanziaria) e recepito dalla Regione. Nel marzo 2010, nell’ultima seduta di giunta Galan, la Regione approva il documento di indirizzo sottoscritto da Comune, Provincia, Azienda ospedaliera, Iov e Università. Con l’arrivo di Zaia il progetto viene ridimensionato a mille posti letto. Nel luglio scorso la Regione ha incaricato l’Azienda ospedaliera di fare la stazione appaltante.

 

Corruzione: indagato l’ex questore Damiano

Il presidente di Mantovani accusato di aver ricevuto regali dalla Compiano (North East Service)

Piena fiducia nel lavoro della magistratura, sicuro che accerterà la mia assoluta estraneità

TREVISO L’ex questore Carmine Damiano è indagato dalla Procura di Treviso, insieme a Luigi Compiano, con l’ipotesi reato di corruzione in relazione al periodo in cui, dopo aver lasciato la questura, aveva svolto una collaborazione per la Compiano. Il nuovo filone d’indagine, nato dal clamoroso buco nel caveau della Nes, è ancora riservato. Ma da quanto filtra da ambienti investigativi sembra che Damiano, ora presidente della Mantovani, avesse firmato il contratto di collaborazione quando ancora ricopriva l’incarico di questore a Treviso e che quindi, qualsiasi cosa avvenuta successivamente, ha assunto un valore retroattivo. Damiano ha dichiarato di avere fiducia nella magistratura e di essere in grado di dimostrare la sua estraneità rispetto ai fatti che gli vengono contestati. Questo nuovo filone d’indagine ha preso il via dagli sviluppi della maxi inchiesta sul buco della Nes, quando si scoprì che dall’interno del caveau di Silea erano sparite decine di milioni che lì dovevano essere custodite. Dall’analisi della documentazione sequestrata successivamente sono spuntati il contratto di collaborazione e i pagamenti da parte di Compiano all’ex questore nel frattempo andato in pensione nel gennaio dell’anno scorso. Sarebbero poi emersi altri benefit, come un’Audi e un appartamento messo a disposizione dalla Compiano nei pressi di piazza del Grano. In tutto vengono contestati a Damiano e Compiano versamenti per diverse decine di miglia di euro. «Ho combattuto in prima linea la criminalità comune e organizzata per oltre 38 anni giorno e notte senza risparmiare energie», ha spiegato ieri l’ex questore di Treviso, «e chi mi conosce sa perfettamente che ho sempre fatto della legalità il mio stile di vita e la mia missione. Trovo molto strano che si parli oggi a distanza di oltre un anno di un rapporto di breve consulenza con la Nes, nato alla luce del sole e interrotto oltre un anno fa anche per miei ulteriori impegni», con chiaro riferimento alla chiamata da parte di Romeo Chiarotto a presiedere la Mantovani dopo l’arresto di Piergiorgio Baita. «Conosco bene i magistrati, il dottor De Bortoli e gli inquirenti nei cui confronti nutro la massima fiducia», ha aggiunto Damiano, «auspico scoprano velocemente, al termine di tutte le verifiche necessarie la mia estraneità ai fatti». Una posizione chiara in vista dei prossimi sviluppi delle indagini.

Giorgio Barbieri

 

MOZIONE DEL GRUPPO

Il Pd al governatore: subito una revisione dei project financing

VENEZIA Il gruppo consiliare del Pd veneto chiede al governatore Zaia un elenco degli investimento realizzati in ambito sanitario e infrastrutturale dal 2000 ad oggi con l’indicazione delle ditte che li hanno realizzati. I democratici, inoltre, chiedono di procedere «con la massima urgenza» alla revisione degli accordi contenuti nei project financing sottoscritti dalla Regione, lamentando che le imprese interessate siano state esentate da qualsiasi intervento di spending review.

 

LE MAZZETTE A CHI CACCIA I CORROTTI

FERDINANDO CAMON

La gravità della corruzione aumenta con l’eccellenza dei corrotti: adesso salta fuori il sospetto che perfino i vertici più alti della Finanza siano corrotti. Il numero 2, e il precedentenumero2. Generali con tre stelle, che nell’esercito comanderebbero Corpi d’Armata. E un colonnello. Adesso ragionerò, con voi, su quanto sia grave questa complicità, se verrà confermata, ma intanto affrontiamo subito il grande dramma: siamo spacciati, se perfino i comandi supremi della Finanza si fan corrompere? Non c’è niente da fare? No. Non è così. Perché anche questa corruzione, dei capi dei capi della Finanza, se verrà confermata, è stata smascherata, e questo vuol dire che la Finanza è in grado di controllare se stessa, la base scopre il marcio anche nei propri vertici. Certo, è grave che i vertici siano corrotti. Ma sarebbe più grave senon fossero scoperti, non avessimo su di loro intercettazioni, denunce, inchieste. Invece le abbiamo. Nello sconforto del male dilagante, c’è questo conforto di un Corpo dello Stato che vigila su di noi e su se stesso. L’attuale numero 2 della Finanza, e il suo predecessore, e un colonnello, sono indagati per aver aiutato alcuni imprenditori a nascondere la contabilità in nero, in cambio di sontuosi compensi. La parte che avrebbero ricevuto non è dell’ordine delle centinaia di migliaia di euro, ma del milione. Èquella la cifra magica, che col suo bagliore accieca gli occhi e la coscienza dei grandi servitori dello Stato, spostandoli dall’altra parte, tra i nemici dello Stato. Le notizie danno corpo al sospetto che questi altissimi ufficiali non cedessero a qualche singola avance, ma fossero stabilmente iscritti nel libro-paga delle imprese che volevano evitare i controlli. Le mazzette milionarie sono alte, ma sono proporzionali all’entità delle somme nascoste. E così si assiste a un crescendo nelle somme versate a questi ufficiali infedeli: all’inizio eran singole somme da 10mila euro, 15mila, poi son diventate 30mila, e ripetendosi han creato il monte milionario. All’inizio i corrotti si fan tentare da una piccola corruzione, timida, un assaggio, poi se quella va bene proseguono con somme più sostanziose: anche con l’Expo funzionava così, e anche col Mose. Il grosso della corruzione sta nel denaro, il resto, soggiorni qua e là, in resort di lusso, cene collettive in ristoranti chic, doni di vario genere al signore e alla signora, sono un puro contorno. Il vero problema son le valigie di euro. Noi siamo in un momento difficile della nostra storia, soffriamo le pene dell’inferno per uscire dalla crisi, siamo pagati meno, alcuni non son pagati per niente, riduciamo le vacanze, le pizze, il cinema, i vestiti, perfino gli alimentari, noi tutti, compresi i lavoratori della Guardia di Finanza: che ne è di loro, col loro piccolo stipendio di piccoli statali, ora che vedono le centinaia di migliaia e i milioni di euro sparire nelle capaci tasche dei capi dei loro capi? Lo sconforto che nasce dalla scoperta della corruzione tra i cacciatori di corruzione, crea danno in due parti della società: i contribuenti tartassati, che vedono i comandanti tartassatori intascare e nascondere, e la manovalanza dei finanzieri, quelli al cui umile, nascosto, prezioso lavoro si deve gran parte della scoperta dell’evasione. Quello del finanziere è un lavoro etico, consiste nel far sì che tutti ricevano il giusto, e che chi si accaparra l’ingiusto sia scoperto e punito. Questo esercito di lavoratori, ingiustamente non amati, ma altamente meritevoli, va in crisi se scopre che a tradire l’etica del giusto rapporto tra lavoro e compenso è chi li comanda. Vedo che da qualche parte si affaccia l’idea che qualcuno che sta in alto parli ai finanzieri, ai contribuenti, ai cittadini. E spieghi. Non solo questo scandalo, se tale resta, ma anche gli altri scandali connessi, Expo, Mose, Mps, banche varie, ammanchi, fallimenti. Come mai una banca fallisce, i suoi risparmiatori perdono tutto, poi la banca rinasce con più soldi di prima? Se è questione di uomini e non di regole, come qualcuno dice, allora come mai questi generali son diventati generali, mentre sotto di loro stanno tanti onesti, che però sono ufficiali subalterni? Lo Stato continua, anche qui, a promuovere per anzianità e non per merito? Lo Stato ci vedeo è cieco?

FerdinandoCamon

 

GIUSTIZIA ED ERRORI DEI GIUDICI

MASSIMO DE LUCA

La norma approvata mercoledì alla Camera, che introduce la responsabilità civile diretta dei magistrati, riproduce l’emendamento del leghista Pini già approvato nella scorsa legislatura e poi arenatosi al Senato. Il copione è lo stesso. I fautori della responsabilità diretta dei magistrati sostengono di adempiere alla procedura di infrazione 2230/2009, che però riguarda la responsabilità dello Stato per violazione manifesta del diritto dell’Unione Europea da parte degli organi giurisdizionali.  Questione che non c’entra nulla con la responsabilità civile diretta dei magistrati. Le sentenze della Corte di giustizia europea ci chiedono di introdurre il principio di responsabilità anche nel caso di violazione, in un processo, delle norme comunitarie, ma sempre in capo allo Stato, mai al singolo giudice. Chi sostiene il contrario non le ha lette o è in malafede. Non è nemmeno vero che approvando il principio della responsabilità civile diretta dei magistrati ci adegueremmo alla legislazione dei paesi più avanzati. Nei paesi di common lawil giudice gode di una totale immunità per i propri atti giudiziari, bilanciata dalla responsabilità politica del Congresso negli Stati Uniti e del Lord Cancelliere in Gran Bretagna. Nei principali paesi dell’Europa continentale, dalla Germania alla Francia, è prevista come da noi la possibilità di esperire un’azione risarcitoria contro lo Stato, che potrà poi rivalersi contro il singolo magistrato. È lo stesso principio della “legge Vassalli” che disciplina in Italia questa delicata materia. Chi vuole la responsabilità diretta dei giudici afferma che la “legge Vassalli” ha tradito il referendum del 1987, che sull’onda della vicenda Tortora portò all’abrogazione della legislazione precedente. Ma anche questa è una mistificazione. Con il referendum si abrogò la norma che prevedeva che il giudice rispondesse dei suoi atti solo in caso di dolo. Punto. Spettava poi al Parlamento stabilire una nuova disciplina ed è ridicolo accusare l’allora Guardasigilli Vassalli, eminente giurista, grande avvocato di estrazione socialista e sicuramente garantista, di aver voluto una legge conforme ai desiderata dei magistrati. Vassalli e con lui i parlamentari dell’epoca, piuttosto, sapevano bene che l’attività dei giudici è un unicum, non paragonabile all’attività di qualsiasi altra professione, e per questo vollero una legge che escludesse la responsabilità civile diretta dei magistrati. È solo un’eventualità che un medico possa danneggiare un paziente, dato che il medico di regola opera per guarire il malato e così l’avvocato che si spende per far vincere il cliente. Con le loro decisioni i giudici “danneggiano” sempre una delle parti in causa, dato che nel processo c’è sempre un soccombente. Consentire alla parte che si ritiene ingiustamente condannata o che ha perso la causa di agire direttamente contro il magistrato, metterebbe la giustizia ancor più in crisi. In tutti i paesi di grande tradizione giuridica le leggi che limitano la responsabilità civile dei magistrati non sono un privilegio di casta, ma servono a tutelare la libertà di giudizio del giudice e quindi l’affidamento del cittadino di avere di fronte un giudice che non sia condizionabile. Il giudice è allora completamente irresponsabile degli atti che compie? Certo che no. C’è sempre la responsabilità disciplinare e quanto alla responsabilità civile si potrebbe semplificare e rendere più incisivo il meccanismo di rivalsa dello Stato nei confronti del giudice che ha sbagliato. Il magistrato che abusa dei suoi poteri o commette evidenti errori deve risponderne, ma va tenuto fermo il principio che il cittadino che si ritiene danneggiato possa citare direttamente solo lo Stato. Altro punto da ribadire è che non possono essere sanzionati i giudici solo per questioni interpretative, a meno che non si tratti di interpretazione abnorme. Le differenze di valutazione appartengono alla fisiologia del sistema. Se l’interpretazione delle norme e dei fatti fosse sempre univoca perché dovremmo avere più gradi di giudizio? Capisco la delusione e la rabbia di una vittima di un errore giudiziario o la frustrazione di chi per anni aspetta una sentenza e chiede che il suo giudice paghi per errori e inefficienze, ma lasciare ogni giudice in balia delle azioni risarcitorie delle parti di un processo rischia di provocare il corto circuito di tutto il sistema. Per un magistrato che pagherebbe giustamente per i suoi errori, ne avremmo molti altri chiamati in causa per aver fatto il proprio dovere. Chi frequenta le aule di giustizia lo sa e anche i parlamentari dovrebbero saperlo.

Massimo De Luca

 

Orsoni patteggia e torna subito libero

Motivazione? «La decisione di autoescludersi da ogni carica politica»

Accordo per uscire con una pena di 4 mesi,manon lascia la poltrona

Per i Pm «Non è plausibile che un candidato del suo prestigio si dedicasse a raccattar fondi»

Ma sarà il Gup a dire l’ultima parola sulla congruità dell’intesa raggiunta tra la procura e la difesa

VENEZIA Alle 8.20 di ieri il sindaco Giorgio Orsoni è tornato un uomo libero, dopo una settimana di arresti domiciliari che hanno fatto il giro del globo e con in tasca un accordo raggiunto dai suoi legali (l’avvocato Daniele Grasso e Mariagrazia Romeo) con la Procura per patteggiare una pena di 4 mesi e 15 mila euro di multa (sospesa) per finanziamento illecito ai partiti. «Ho dovuto pagare una goccia del mio sangue per la città», ha commentato il sindaco con chi gli chiedeva il perché di questa scelta. Intesa che, peraltro, ora passerà al vaglio del giudice per le udienze preliminari Vicinanza, che potrà confermare l’accordo o respingerlo, se lo riterrà non congruo. Ieri mattina, il giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza ha revocato la misura cautelare che aveva emesso nei confronti del sindaco Giorgio Orsoni, accusato dai pm Ancillotto, Tonini e Buccini di finanziamento illecito ai partiti, per 400 mila euro in arrivo dal Consorzio Venezia Nuova. L’inchiesta ha terremotato la città e l’Italia per i fondi neri con il quale il Consorzio è accusato non solo di aver finanziato candidati di destra e sinistra, ma soprattutto di aver pagato tangenti all’ex presidente della Regione Galan e all’ex assessore ai Lavori pubblici Chisso, oltre che agli ex magistrati alle acque Cuccioletta e Piva. Tra l’arresto e la libertà, un’«articolata e sofferta versione » dei fatti – come scrivono i pm nel dare il loro parere favorevole alla scarcerazione e al patteggiamento – resa dal sindaco di Venezia in un interrogatorio durato quattro ore, lunedì 9 giugno: ricostruzione nella quale Orsoni ammette di aver chiesto sostegno economico per la campagna elettorale a Mazzacurati, ma specificando di averlo fatto su «insistenze reiterate e pressanti del Pd, avanzate dai suoi responsabili politici e contabili Zoggia, Marchese e Mognato» – ricordano i pm – «accolte con riluttanza e soltanto dopo una sorta di intimazione ultimativa, altrimenti avrebbe dovuto provvedere con risorse personali». Orsoni ammette dunque di aver chiesto danaro, ma di non avere idea di quanti soldi siano poi arrivati al Pd: «Ho dato un conto corrente», ha detto ieri in conferenza stampa. «Argomentazione credibile», osservano i pm Ancillotto, Buccini, l’aggiunto Nordio e il procuratore Delpino, «non essendo plausibile che un candidato del prestigio del prof. Orsoni si dovesse dedicare a raccattar fondi con iniziative diffuse e petulanti », «quasi obbligato ad accedere alle consuetudini funeste dei finanziamenti neri, adeguatamente rappresentategli con argomentazioni serrate dai tre responsabili del partito, come unico mezzo per conseguire il successo». Portando a casa ammissioni e un accordo di patteggiamento che mantiene salda la tesi accusatoria, uno dei mattoni dell’inchiesta, i pm sembrano ora quasi “difendere” il sindaco, quando dice di non avere idea di quanti soldi siano arrivati dal Consorzio, quale la loro origine nera e come siano stati spesi: «È credibile che il prof. Orsoni non ne abbia tenuto la contabilità: la sua tradizione accademica e professionale era estranea alla complessa strategia finanziaria che presuppone esperienza specifica e spregiudicatezza di approcci… le sue energie rivolte a consolidare e sfruttare la propria immagine di competenza e probità sarebbero state disperse e forse compromesse nel compito, più grossolano e meccanico, di sollecitare benefici». Perché dunque l’arresto “bomba”mondiale del sindaco di Venezia a fronte di una (probabile) pena a 4 mesi? «L’articolata e sofferta versione dell’imputato da un lato si configura come ammissione di responsabilità penale in ordine al reato contestatogli, dall’altra ne mitiga la gravità, riconducendo gli episodi alla mera esecuzione di una strategia di finanziamento occulto elaborata dai vertici del partito cui lo stesso non si è opposto, ma pur per una propria debolezza, si è prestato, per la maggior autorevolezza che aveva su Mazzacurati: con quei contributi il Pd poté finanziare le iniziative promozionali che aveva minacciato di sospendere se il prof. Orsoni non vi avesse provveduto». Quadro di ammissioni confermato dal giudice Scaramuzza. Sì, dunque, alla scarcerazione, per Orsoni, con curiosità finale: «Il pericolo di reiterazione del reato, tanto più attuale quanto più prossime le nuove elezioni», scrivono ancora i pm, «è eliminato dalla volontà di autoesclusione da ogni carica politica e amministrativa manifestata dal prof. Orsoni, che elimina il rischio di inquinamento della prova legato alla valenza influente della carica ricoperta». A domanda di un giornalista in conferenza stampa- «Sindaco, si dimette?» – la risposta ieri è stata: «No».

Roberta De Rossi

 

«Mazzacurati si è vendicato ma io resto: non mi dimetto»

Il sindaco contrattacca: «Per questa vicenda mi hanno assimilato ai malfattori

Maciò che più mi addolora è la presa di distanza di qualcuno nei miei confronti»

«Ho incontrato più volte il presidente del Cvn ma dopo le elezioni per il Mose e l’Arsenale»

Non ho pai sospettato che quei fondi per la mia campagna fossero di provenienza illecita»

VENEZIA «È stata la vendetta di Mazzacurati ». Un «millantatore» quando dice di avergli portato i soldi a casa. E la provenienza illecita? «Non potevo sapere da dove venissero quei soldi. Li ho chiesti sollecitato dai partiti della mia coalizione, in particolare il Pd, preoccupati per comestava andando la campagna elettorale». Il sindaco Giorgio Orsoni torna a Ca’ Farsetti. Liberato ieri mattina, dopo una settimana di arresti domiciliari, sceglie come miglior difesa l’attacco. Arriva in motoscafo in municipio dalla Prefettura, dove è stato reintegrato nel suo ruolo, qualche minuto prima delle 13.Adattenderlo il direttore generale Marco Agostini e nel palazzo municipale un gruppo di dirigenti e dipendenti che lo salutano con un lungo applauso. È stanco e tirato, ma affronta con un certo coraggio un esercito di giornalisti, fotografi e tv. «No, non mi dimetto», risponde secco a chi gli chiede se ha pensato di andarsene. Riprende come se nulla fosse accaduto, convoca giunta e capigruppo. Ma prima si toglie qualche sassolino. «Mazzacurati? L’ho incontrato più volte dopo la campagna elettorale. Mi voleva parlare insistentemente, di Mose, di Arsenale e di altre cose. Sull’Arsenale in particolare siamo stati fortemente in disaccordo. La mia iniziativa di darlo alla città e di andare a vedere i conti non gli è piaciuta. Per questo non mi meraviglia ci sia stata una qualche vendetta nei miei confronti ». «E qualcuno», scandisce con la voce un po’ emozionata, «mi ha assimilato a un gruppo di malfattori. Ci saranno conseguenze anche gravi per questo». Pensa a querelare qualche giornale. Ma anche, si dice, a rivalersi per quella che considera una «grande ingiustizia ». Il secondo sassolino è per il Pd. Orsoni lo ripete più volte. «Quei soldi non erano per me, io soldi non ne ho mai visti. Ho dato il mio numero di conto corrente a imprenditori o presunti tali che incontravo casualmente e si offrivano di appoggiarmi. E anche a Mazzacurati. Ma soldi non ne ho mai visti». A curare entrate e uscite ci pensava il suo mandatario elettorale, il commercialista veneziano Valentino Bonechi. E gli altri fondi, circa 400 mila euro che Mazzacurati dice di averle consegnato? «Mazzacurati è un millantatore», si fa serio Orsoni, «sono stato sollecitato a chiedere altre risorse dai partiti della coalizione, e in particolare dal Pd». Orsoni non fa nomi, anche se li ha fatti nell’interrogatorio con i pm che ha preceduto il suo rilascio. Si dice sicuro di aver «chiarito nel modo più inconfutabile la sua assoluta estraneità agli episodi contestati». Il volto tradisce emozione. Ma l’avvocato ha deciso di difendersi da solo e pubblicamente. Accende il microfono nella sala degli stucchi di Ca’ Farsetti e scherza con i giornalisti. «Sono molto felice di incontrarvi dopo una settimana di riposo. Siete stati sicuramente molto impegnati con la Biennale…». Poi liquida con una battuta la vicenda che l’ha visto di colpo precipitare. «Questo provvedimento di revoca degli arresti domiciliari si commenta da solo», attacca, «dopo una settimana e una lunga chiacchierata lunedì con i pm. Veramente era un pezzo che chiedevo di incontrarli per chiarire la mia posizione, ma ho dovuto aspettare ». «Non ho mai sospettato che quei fondi destinati alla mia campagna elettorale fossero di provenienza illecita», ha ripetuto, «non lo potevo sapere anche perché ho saputo solo al termine della campagna l’elenco dei miei sostenitori. Come sapete non mi sono proposto io a fare il sindaco. Era la terza volta che me lo proponevano, e purtroppo non ho avuto la forza di dire di no». «Quello che mi ha addolorato di più in questa vicenda, dice Orsoni con un filo di voce, «è la distanza presa da qualcuno nei miei confronti. Chi? I giornali li leggete anche voi, no?». Infine un bilancio sulla sua gestione del Comune. Destinata comunque a concludersi presto. «Credo di aver gestito la città nel modo migliore possibile. Opponendomi a tutti i concessionari che in città operano e continuano ad operare. Mi sono opposto a coloro che vogliono sfruttare la città. Per questo mi sono fatto tanti nemici».

Alberto Vitucci

 

LO SFOGO con i consiglieri

«Io non c’entro nulla con questo pantano»

Nell’incontro con i capigruppo Orsoni si è detto stanco, ma con la coscienza pulita

VENEZIA Raccontano di un sindaco amareggiato ma deciso a far valere le proprie posizioni, di un sindaco che ha parlato di una “politica debole” e che non ha nascosto la sua perplessità nei confronti della magistratura per averlo tirato in ballo per una vicenda che, con i reati contestati alle altre persone arrestate, come la corruzione e il riciclaggio, non c’entra nulla. «Io di quel sistema non faccio parte». Tanto più che non era lui, come aveva già occupato in conferenza stampa, ad occuparsi della raccolti di fondi per la campagna elettorale. Raccontano questo i consiglieri comunali che ieri pomeriggio, dopo la riunione di giunta e prima di quella di maggioranza hanno partecipato all’incontro dei capi- gruppo. Rispondendo alle loro domande – secondo quanto raccontano gli stessi consiglieri – Orsoni avrebbe spiegato di non aver ancora patteggiato, madi stare valutando la possibilità. Una scelta che, a suo dire, non andrebbe letta come ’ammissione di responsabilità – come sostiene invece l’opposizione, una scelta sulla quale anche il Pd nutre qualche dubbio – ma come la volontà di «uscire quanto prima da questo pantano con il quale non c’entro nulla», secondo gli appunti presi da alcuni consiglieri. Orsoni ha poi aggiunto di avere la coscienza pulita, ha spiegato di non essersi mai occupato della raccolta di fondi e di essersi pentito di aver accettato l’invito, che già aveva rifiutato in passato per due volte, di candidarsi a sindaco della città. Ha spiegato di essere stanco e di valutare anche le dimissioni, ma preferibilmente solo dopo l’approvazione del bilancio a patto che, ovviamente, ci sia una maggioranza disposta ad accompagnarlo in questo non facile percorso. Dopo l’incontro con tutti i capi-gruppo quello con le forze di maggioranza, che si è conclusa a tarda sera. Questa mattina un nuovo vertice di maggioranza per decidere come e se andare avanti, anche se lo spettro delle dimissioni è sempre più probabile a Ca’ Farsetti.

(f.fur.)

 

Tribunale della Libertà, oggi i primi riesami

Arriva il momento delle prime sentenze, seppur a livello di riesame, per gli arrestati dell’inchiesta Mose. Oggi, negli uffici al quarto piano della cittadella della Giustizia a Venezia, primo appuntamento davanti ai giudici del Tribunale della Libertà. Di fronte a loro sfileranno i difensori di tre indagati: le udienze fissate sono quelle per il consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese (accusato di finanziamenti elettorali illeciti dal Consorzio Venezia Nuova), il titolare della Selc, Andrea Rismondo, e il presidente del Coveco, Franco Morbiolo, questi ultimi accusati di corruzione. Rismondo si trova ai domiciliari, Marchese e Morbiolo, due delle figure di spicco dell’inchiesta, sono dal 4 giugno in carcere. Ascoltati i difensori, i tre giudici del Riesame si riuniranno in camera di consiglio, entro sera a potrebbero arrivare le prime decisioni. Dal 18 giugno iniziano le udienze per Stefano Boscolo, Luciano Neri e Federico Sutto. Non hanno invece presentato istanza al riesame gli avvocati dell’assessore regionale Renato Chisso.

 

Zoggia e Mognato si ribellano

«Quereliamo: mai partecipato a incontri per finanziare il partito democratico»

VENEZIA «Qualsiasi tentativo di accostare il mio nome all’inchiesta sul Mose è pura illazione: ho già dato mandato ai miei legali di tutelare la mia onorabilità». Così Davide Zoggia, parlamentare veneziano del Pd tirato in ballo negli interrogatori dal sindaco Orsoni per i presunti finanziamenti illeciti ricevuti dal Consorzio Venezia Nuova, rispedisce le accuse al mittente. «Non ho mai partecipato a riunioni in cui si discutesse di finanziamenti illeciti», dice, «il mio ruolo nella campagna elettorale era di natura politica». Simile la reazione di Michele Mognato, parlamentare Pd all’epoca vicesindaco della giunta Cacciari. «Non ho mai preso parte a incontri nel corso dei quali si siano soltanto ipotizzati finanziamenti illeciti», scrive in una nota, «qualsiasi accostamento del mio nome a questa vicenda rappresenta una mera illazione e in quanto tale ho già dato mandato ai miei legali di tutelare il mio nomee la mia onorabilità». I due parlamentari veneziani del Pd non ci stanno dunque a essere accostati alla vicenda dei finanziamenti illeciti. Era stato il sindaco Giorgio Orsoni, nell’interrogatorio di lunedì, a spiegare che la sua richiesta di finanziamenti, che riteneva perfettamente leciti, era dovuta alle insistenze dei responsabili politici e contabili del partito democratico, in particolare appunto Giampietro Marchese (il tesoriere), l’allora responsabile degli enti locali nazionali ed ex presidente della Provincia Davide Zoggia, il vicesindaco ed ex segretario del partito Michele Mognato. Secondo il primo cittadino delle spese per la campagna elettorale lui non si sarebbe mai interessato. Ci pensava il suo mandatario, il commercialista veneziano Valentino Bonechi. E per il resto «i partiti della coalizione e in particolare il Pd, il partito maggiore». Marchese, in carcere per altre accuse della stessa inchiesta, ovviamente non replica. Lo fanno invece Zoggia e Mognato. Che insistono sulla «piena legittimità » della loro azione nella campagna elettorale che poi portò Orsoni a conquistare la poltrona di sindaco, battendo nettamente il candidato del centrodestra, appoggiato dal governo Berlusconi e dal presidente della Regione Galan, Renato Brunetta. Anche Brunetta aveva ricevuto finanziamento da imprese del Consorzio. «Ma tutti regolari, ricevuti con bonifici e denunciati», ricorda il responsabile della sua campagna elettorale Michele Zuin.

(a.v.)

 

«Tra persone di mondo si usano maniere discrete»

La scrittura ha sapore d’altri tempi: «Tra persone di mondo questi affari si regolano con comportamenti concludenti e discreti, senza formule sacramentali e atteggiamenti grossolani. È dunque perfettamente plausibile che la “consegna a domicilio” riferita dall’ing. Mazzacurati sia stata una pura e semplice collocazione di una busta anodina in una stanza qualunque con vereconda indifferenza, seguita dalle consuete reciproche manifestazioni di cavalleresche cortesie. Nessuna persona ragionevole può pensare che un tale incontro, imbarazzante per entrambi, si sia concluso con una metodica verifica contabile di una frusciante mazzetta». Così, nel provvedimento con il quale danno parere favorevole al ritorno in libertà del sindaco, i pm trovano la quadra tra l’ingegner Mazzacurati che dice di aver consegnato personalmente al sindaco, nella sua casa di San Silvestro, in più occasioni, contributi elettorali per 450mila euro; e il sindaco Orsoni che nega risolutamente qualsiasi consegna brevi manu: «È un millantatore», ha detto in conferenza stampa. La Procura sottolinea la sostanza: «Entrambi ammettono che il contributo fu versato per sovvenzionare una campagna elettorale che si presentava movimentata e costosa e che dopo l’iniziale versamento vi furono diverse sollecitazioni del candidato sindaco al presidente del consorzio per finanziamenti ulteriori».

(r.d.r.)

 

Elezioni, le imprese pagano tutti

Nella campagna 2010 fondi anche per Brunetta. Zuin: «Ma era tutto registrato»

VENEZIA Chi paga la campagna elettorale? Il clamoroso arresto del sindaco Orsoni – e la sua scarcerazione dopo una settimana e due interrogatori – ripropone il tema del finanziamento ai partiti. Abolito quello statale da una legge dello Stato e dal referendum, restano i contributi più o meno volontari che vengono ai candidati da industriali, imprenditori e singoli cittadini. Nel caso dell’inchiesta Mose i magistrati accusano Orsoni di aver ricevuto finanziamenti di provenienza illecita dal presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati. «Non potevo immaginare da dove venissero i finanziamenti delle imprese», si è difeso Orsoni, «e in ogni caso questi sono stati consegnati al mio mandatario e al comitato elettorale composto dai partiti che mi sostenevano». Centinaia di migliaia di euro versati secondo Orsoni nella cassa dei tesorieri della campagna. E usati per fini assolutamente leciti, come le pubblicità su radio, giornali e tv, i volantini e le brochure, le iniziative elettorali. Un reato, hanno ripetuto in questi giorni i difensori del sindaco- avvocato, tutto da provare, che sta comunque su un piano assolutamente diverso da quelli contestati alla «cupola » della corruzione, che pagava per ottenere favori e pareri addomesticati sulla grande opera. I finanziamenti dai privati sono del resto ormai una costante delle campagne elettorali di tutti i candidati. Che organizzano cene di lusso con imprenditori e finanzieri proprio allo scopo di raccogliere fondi. È il caso di Renato Brunetta, fedelissimo di Berlusconi, economista, ex ministro, che nel 2010 correva contro Orsoni per conquistare la poltrona di sindaco. Famosa la sua cena all’hotel Monaco con imprenditori e soggetti economici veneziani. «Ma i nostri contributi non superavano qualche migliaio di euro alla volta», ricorda Michele Zuin, allora responsabile della campagna di Brunetta insieme a Alessandro Danesin, «e tutto era registrato ufficialmente. Niente soldi, ma versamenti nel nostro conto corrente. Tutto documentato». Tra le imprese finanziatrici di Brunetta – che allora era più di Orsoni sostenitore del Mose – ci sono state anche imprese del Consorzio Venezia Nuova. «È possibile», conferma Zuin, «del resto io non li conosco tutti gli imprenditori che fanno parte del Consorzio Venezia Nuova». Ma per i fondi del Consorzio a finire nei guai è stato il sindaco Giorgio Orsoni. «È stata una vendetta di Mazzacurati »,ha detto ieri.

(a.v.)

 

COMUNICATO STAMPA OPZIONE ZERO – 12 GIUGNO 2014

“Fermare subito il debito perverso del Passante”

Zaia blocchi subito i project bond sul Passante e l’indebitamento perverso di CAV spa.

Non ci sono più scuse: le principali ditte che hanno costruito il Passante sono implicate nello scandalo MOSE.

I motivi dei costi spropositati del by-pass di Mestre sono sotto gli occhi di tutti.

Grandi opere uguale malaffare: Moratoria immediata su tutti i grandi progetti e sul Project Financing.

 

Il vaso di Pandora è aperto. Quello che emerge in modo chiaro e inequivocabile è che il “sistema” delle Grandi Opere e del Project Financing sono pensati e strutturati per alimentare lobby politiche e affaristiche delinquenziali a danno dei lavoratori e dei cittadini.

Al Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, che ora interpreta la parte dell’alieno, bisogna ricordare che oltre alle responsabilità penali esistono anche quelle politiche.

Se come dice la sua intenzione è quella di mettere in campo una lotta senza quartiere alla corruzione il primo atto da fare è bloccare l’emissione di Projcet Bond per il Passante di Mestre.

Il prossimo luglio parte infatti la società pubblica CAV SpA (partecipata da ANAS e Regione Veneto) emetterà  titoli obbligazionari sui mercati finanziari per 700 milioni di euro. Si tratta della prima operazione di svendita di un’opera pubblica in Italia; per l’acquisto dei titoli sono già in “pole position” Royal Scotland Bank, Unicredit, Societè Generale, Intesa e Bnp Paribas.

L’emissione dei Project Bond aprirà un altro buco” dopo quello già aperto solo qualche mese fa dalla stessa CAV con Cassa Depositi e Prestiti e con Banca Europea degli Investimenti per altri 423,5 milioni di euro.

Tutto nasce dal fatto che CAV con il gettito di pedaggi non riesce a restituire circa 1 miliardo di euro, soldi anticipati da ANAS per la costruzione dell’opera.

Si tratta di un’operazione assurda visto che il Passante è stato interamente costruito con soldi pubblici, ma la sua gravità è addirittura accresciuta da quanto emerge dai fatti di questi giorni.

Il Presidente Zaia questa volta non può dire di non sapere visto che la Corte dei Conti italiana già nel 2011 sollevava gravissimi dubbi su vari aspetti della costruzione dell’opera: la mancanza di controlli e di supervisione, la possibilità di infiltrazioni della criminalità organizzata nei subappalti, e soprattutto l’aumento ingiustificato dei costi da circa 750 milioni di euro preventivati inizialmente a 1,4 Miliardi di euro finali.

Ma ora sono chiari anche i veri motivi della lievitazione spropositata dei costi visto che tra le imprese più importanti che hanno costruito il Passante di Mestre troviamo le stesse ditte del Consorzio Venezia Nuova ora al centro dello scandalo:  Mantovani, FIP, Co.Ve.Co. e Grandi Lavori Fincosit.

Le spericolate operazioni finanziarie di CAV SpA sono state avallate dall’attuale Giunta Regionale in carica con le delibere n. 199272012 e 49372013 e dai suoi rappresentanti politici nel Consiglio di Amministrazione della società (tra questi fino a poco tempo fa anche l’arrestato Giampietro Marchese).

Ora il quadro è inequivocabile, non esistono più alibi; se davvero per il Presidente Zaia contano più i fatti che le parole allora lo dimostri subito bloccando la spirale perversa del debito del Passante.

 

Gazzettino – Galan e Chisso, i conti non tornano

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12

giu

2014

Corrotti e corruttori, quanti insulti

TANGENTI MOSE Un teste su Mazzacurati: diceva che con 7 milioni ci campava sì e no tre o quattro anni

Galan e Chisso, i conti non tornano

Per l’accusa l’ex governatore ha oltre un milione di spese non giustificate, l’ex assessore quasi 250mila euro

SOLDI – Redditi, entrate e uscite, stato patrimoniale. Dai faldoni di indagine escono i conti dell’ex governatore Galan e dell’assessore Chisso. E le cifre, secondo gli investigatori, non corrispondono.

LIQUIDAZIONE – E un teste mette a verbale ciò che il presidente del Consorzio Mazzacurati pensa della sua buonuscita: con 7 milioni ci campo 3-4 anni.

Intercettazioni: il problema di come far sparire “il nero”

Auto, barche, case, società: ecco la fotografia della Finanza

Dichiara entrate per 1,4 milioni e uscite per 2,4 in 10 anni

La villa, secondo i finanzieri, non vale 1 milione e 376mila euro come dichiarato, ma 1 milione e 725mila euro. È intestata per il 98,08% a Galan e per l’1,92% alla moglie Sandra Persegato

AI RAGGI X Gli accertamenti della Guardia di Finanza su beni e possedimenti di Giancarlo Galan

Galan, i conti non tornano

Cassette di sicurezza e conti correnti. Barche e macchine. Case e casette. Appartamenti e villini. E la Guardia di finanza mette in fila tutto, elencando ad uno ad uno i beni di Giancarlo Galan e della moglie Sandra Persegato. Ne esce il ritratto di una famiglia che, come dire?, non vive proprio seguendo i dettami di Sparta. Anche perchè dichiara entrate complessive per 1 milione e 400 mila euro e uscite per 2 milioni e 400 mila euro.
Partiamo dalle dichiarazioni dei redditi. In 10 anni – dal 200 al 2011 – Galan non ha messo in tasca più di 1 milione di euro. Nel 2000 – diventa Governatore del Veneto nel 1995 – dichiara 74 mila 323 euro. Sua moglie zero. Nel 2011 sono 97 mila euro – nel frattempo ha lo stipendio da ministro che rimpingua le entrate. Ma mettendo tutto insieme arriviamo ad un milione di euro netti in 10 anni. La moglie, a parte il 2006 che dichiara 200 mila euro, per il resto viaggia tra zero e 30 mila. E vediamo che cosa possiede la Galan Spa.
Anzi, prima di passare agli elenchi dei beni, leggiamo la trascrizione di una intercettazione ambientale. Si tratta di un colloquio avvenuto in auto tra Paolo Venuti e un collega di studio di Venuti che è il commercialista di Galan. Ebbene i due parlano dell’inchiesta dicono che «Giancarlo è molto spaventato». Venuti aggiunge «stavo tirando giù quattro dati delle dichiarazioni vecchie che abbiamo». Ma dov’è il problema? Il problema è il “nero” si dicono i due. Come si fa a farlo sparire? «E come lo spendi? Vestiti, ristoranti, benzina? Ma paghi per quanto hai prelevato e dove l’hai prelevato? E non ho prelevato e allora come l’hai pagata la benzina? Hai voglia di andare in ristoranti, ma ci sono anche spese essenziali e se mancano i movimenti di banca, proprio perchè faccio gli extra…» Ma i due commercialisti ricordano che Galan «nei primi anni guadagnava, il suo 101 erano 250, 300 milioni di lire e a quell’epoca viveva con la mamma, cioè oggettivamente non spendeva, non dico niente, ma molto poco, per cui un milioncino di euro ai valori monetari dell’epoca, di stipendi Publitalia li ha portati a casa, poi ha avuto 700 mila euro di liquidazione, poi ha preso 400 mila euro di plusvalenze dell’Antoveneta». Quindi soldi ce n’erano un bel po’ nelle tasche di Galan, prima che diventasse Governatore del Veneto. Soldi sufficienti per spiegare il patrimonio? Possiede una Audi Q7 3.0 V6 del 2006, una Puch Pinzgauer, che è un mezzo d’assalto a 6 ruote, una Land Rover del 2010 e una Mini Morris sempre del 2010 e un Quad. Passiamo alle barche. Ha una barca a vela del 1995 di 7 metri e 2 barche a motore, una da 9 e l’altra da 8 metri e mezzo. Le partecipazioni societarie. Galan è socio accomandatario della Società Agricola Frassineto sas che è di proprietà di Margherita srl con una quota dell’1 per cento. Stessa quota detenuta nella stessa società dalla moglie, Sandra Persegato. Queste due società, come abbiamo detto, sono di Margherita srl, di proprietà al 100 per cento dei due Galan. Sandra Persegato è socio di Edil Pan con una quota del 17,5 per cento. Galan è proprietario al 100 per cento di Franica Doo, una società ungherese. La villa di Cinto Euganeo risulta di proprietà al 98,08 per cento di Galan e dell’1,92 della moglie. Sempre Galan ha la nuda proprietà per un terzo del villino di via Vecellio a Padova in usufrutto alla madre ed è proprietario al 100 per cento senza usufrutto dell’abitazione di viale Bligny 54 a Milano. I conti correnti dei Galan invece piangono lacrime e sangue. Al Monte dei Paschi ci sono mille euro e 2 centesimi. Altri 13 mila euro Galan li ha in due conti correnti del banco di Napoli. E altri 6 mila e 700 euro in Veneto Banca dove ha fatto investimenti però per 122 mila 250 euro. La moglie ha 2 mila e 63 centesimi in conto corrente presso la Banca popolare di Vicenza e uno scoperto di 886 euro in Veneto Banca. L’ex Governatore ha investito 6 mila 250 euro nella società Ihfl tramite la fiduciaria Sirefid. La moglie ha investito 10 mila euro nella società Amigdala tramite la fiduciaria Sirefid. Galan ha una cassetta di sicurezza al Banco popolare e la moglie ne ha due presso la Banca popolare di Vicenza. La villa secondo i Finanzieri non vale 1 milione 376 mila – come dichiarato – ma 1 milione 725 mila. Al 30 giugno 2013 risultavano al nucleo familiare Galan disponibilità per 161 mila 197 euro.

 

ARRESTO A giorni sarà sentito in Procura. Camera, la Giunta per le autorizzazioni avvia l’iter

L’ex Doge: «Non c’è nessuna discrepanza»

L’AVVOCATO FRANCHINI «Risposta all’ordinanza punto per punto»

IL DIFENSORE «Il tenore di vita dell’ex assessore molto sotto le sue possibilità»

VENEZIA – Giancarlo Galan sarà sentito a giorni, probabilmente la prossima settimana in Procura a Venezia. Il deputato di Forza Italia – su cui pende una richiesta di arresto per lo scandalo Mose, che giusto ieri, a Roma, ha iniziato il suo iter in Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera – dovrebbe essere sentito dal procuratore capo, Luigi Delpino, e dall’aggiunto, Carlo Nordio. Il giorno della comparizione, però, non è ancora stata fissato. Ieri, per concordare l’incontro, sono arrivati negli uffici lagunari veneziani i due difensori di Galan, gli avvocati Antonio Franchini e Nicolò Ghedini. Quello di Galan non potrà essere un interrogatorio, non previsto dalla procedura in caso di sospensione di una misura cautelare, ma una cosiddetta dichiarazione spontanee. «Faremo una dichiarazione, punto su punto, su quello che viene contestato nell’ordinanza» ha anticipato Franchini. All’ex governatore del Veneto vengono contestati più episodi di corruzione, addirittura di essere stato a libro paga del Consorzio Venezia Nuova con uno stipendio di un milione l’anno. Ieri l’avvocato Franchini ha ribadito la strategia difensiva: «É accusato falsamente. Giustificheremo anche l’aspetto patrimoniale. Non c’è discrepanza tra patrimonio e dichiarato. I calcoli sono stati fatti partendo dal 2000, ma già prima c’era un patrimonio importante. Per il suo lavoro in Publitalia, Galan aveva avuto guadagni rilevanti e pure una liquidazione rilevante».
A Roma, intanto, l’esame della richiesta di autorizzazione a procedere è cominciata con l’esposizione del caso da parte del relatore, Mariano Rabino, per poi aggiornarsi alla prossima settimana. Da esaminare ci sono i 18 faldoni di atti, trasmessi giusto ieri, da Venezia. L’audizione di Galan è stata già stata fissata tra due settimane, ma l’interessato nel frattempo potrebbe inviare anche memorie o chiedere di essere ascoltato prima.

 

A Chisso “contestati” 248mila euro

L’avvocato Forza: le Fiamme Gialle si sono dimenticate pensione del padre, Tfr, premi assicurativi

MESTRE – Galan e Chisso. Chisso e Galan. E’ stato così per tre lustri. I due erano “in banco insieme” in Regione. Anche adesso si trovano in banco insieme, ma stavolta è quello degli accusati perchè entrambi sono accusati di aver incassato mazzette a non finire. La Finanza ha passato al setaccio la vita dei due e quel che salta agli occhi è la sproporzione evidente tra i beni posseduti da Galan e quelli di Chisso. Eppure la dichiarazione dei redditi dei due sembra una fotocopia. 1 milione ha dichiarato Galan dal 2000 al 2011 e 926 mila euro ha dichiarato Renato Chisso. Come dire che lo stipendio da Governatore del Veneto è abbastanza simile a quello di un assessore regionale. Ma è la differenza tra entrate e uscite che è enorme. Galan ha oltre 1 milione di euro da giustificare – in 10 anni – mentre Chisso ne 248 mila. Sempre in 10 anni.
Stando alla scheda stilata dalla Guardia di finanza per la Procura, Renato Chisso non risulta avere la proprietà di alcun immobile, nè alcuna partecipazione azionaria nè in società italiane nè straniere. Per quanto riguarda le automobili, possiede una Alfa Romeo 156 del 2000. La moglie una Fiat 16. La figlia una Mercedes 180 al 50 per cento – con il marito – e una Toyota Yaris. Passiamo ai conti correnti. Chisso ne ha uno presso la Cassa di risparmio e contiene 47 mila euro. Assieme alla moglie ha un conto alle Poste con 28 mila 866 euro.
Gerarda Saccardo, la moglie, ha un conto corrente con 2 mila 571 euro presso la Carive, 2 mila 679 sono nel conto della Banca Mediolanum. Gerarda Saccardo risulta però aver fatto investimenti per 175 mila 557 euro ed ha una cassetta di sicurezza alla Banca popolare di Vicenza. Assieme al marito ha un libretto delle Poste con un saldo di 28 mila 866 euro. Anche la figlia ha due conti correnti, uno al Credito emiliano per 23 mila euro e uno alla Mediolanum per 218 euro ed ha effettuato investimenti per 99 mila 965 euro. Renato Chisso risulta aver passato alla figlia 2 mila euro al mese da maggio 2008 a giugno 2013. In tutto si tratta di 153 mila euro di bonifici fatti all’unica figlia, compresi i bonifici per l’acquisto di un immobile al mare. Mettendo insieme tutto il nucleo familiare – conteggia la Finanza – la disponibilità finanziaria di Chisso è di 380 mila euro. Ma l’avvocato di Chisso, Antonio Forza, batte tutti sul tempo e contesta la ricostruzione fatta dalla Finanza. Secondo il commercialista incaricato da Forza, la Finanza si è dimenticata di registrare il reddito del padre di Renato Chisso, Primo, morto un paio di mesi fa. Chisso infatti vive nella stessa casa nelle quale è nato e fino a poco tempo fa divideva con il padre. Ebbene Primo Chisso aveva la sua pensione – circa 27 mila euro l’anno, che non figurano da nessuna parte. Non solo, non sono stati conteggiati gli arretrati della pensione – rileva l’avv. Forza. Infine, altra dimenticanza, Renato Chisso si è fatto dare un anticipo sul Tfr in quanto funzionario in aspettativa della Carive. Si tratta di altri 42 mila euro (41.892,76 per l’esattezza) che Chisso ha incassato nel 2007 dalla Cassa di risparmio ed ha utilizzato per la figlia. Infine la Finanza non ha conteggiato circa 100 mila euro di premi assicurativi che ha incassato la moglie. Insomma ce n’è abbastanza, secondo l’avv. Forza, per dire che il livello di vita dell’assessore regionale alle Infrastrutture è molto al disotto delle sue possibilità. Dunque, secondo Forza i 248 mila euro di spese in più rispetto alle entrate devono essere corretti. Chisso ha speso almeno 500 mila euro in meno rispetto a quanto ha incassato. Questo il conto della Difesa.

M.D.

 

Fischi e insulti contro i motoscafi blu della Regione

VENEZIA – Dopo lo scandalo delle mazzette legate al Mose e gli arresti in Regione, l’indignazione popolare non risparmia i motoscafi blu. A Palazzo Ferro Fini si racconta di fischi e insulti lanciati in Canal Grande quando passano le barche che trasportano assessori e consiglieri regionali, impegnati questa settimana nei lavori dell’assemblea legislativa. Motoscafi facilmente riconoscibili, visto che hanno la scritta della Regione. Gli arresti dell’assessore Renato Chisso e del consigliere Giampietro Marchese hanno destato del resto molto scalpore.
Intanto, tra i due gruppi consiliari di Forza Italia il tema della sostituzione in giunta di Chisso provoca scintille. Da una parte Moreno Teso ha chiesto al governatore Luca Zaia di nominare un tecnico e di sottoporlo al voto di fiducia del consiglio. Dall’altra parte Piergiorgio Cortelazzo ha replicato che il nuovo assessore deve essere un politico:«Altrimenti devono essere tecnici tutti gli assessori, perché solo quello ai Trasporti»?. Il rimpasto, del resto, è duplice – Remo Sernagiotto che volerà al Parlamento europeo e Chisso che si è dimesso dopo l’arresto – ed è tutto in casa azzurra, anche se riguarda i due distinti gruppi. Zaia non ha preso alcuna decisione: «L’acqua è ancora torbida, a tuffarsi si rischia di finire su uno scoglio e farsi male».

(al.va.)

 

Alla vigilia dell’arresto l’ingegnere voleva una buonuscita migliore «Penso che molte provviste restassero a lui, so quali costi aveva…»

I VERBALI DI SAVIOLI – L’uomo del Consorzio racconta l’allegra gestione del vecchio “pater familias”

Mazzacurati l’esoso: «Con 7,5 milioni campo solo 3-4 anni»

I 7 milioni e mezzo di buonuscita non bastavano all’ingegner Giovanni Mazzacurati, che ne avrebbe voluti 10. I 7 milioni e mezzo alla fine restano tali, ma la richiesta stupì persino gli uomini del Consorzio Venezia Nuova. Succedeva nel luglio dell’anno scorso, alla vigilia dell’arresto di Mazzacurati. E un mese mezzo dopo, è Pio Savioli – nel frattempo finito agli arresti domiciliari – a far mettere a verbale quello che gli avrebbe riferito l’avvocato Alfredo Biagini a proposito di quella buonuscita “insufficiente”. Mazzacurati «”aveva fatto un po’ di conti e voleva portare i 7 milioni e mezzo a 10, perché dice che con 7 milioni e mezzo campa – chiedo scusa della parola un po’ così – campa 3 o 4 anni” – ecco le parole che Savioli attribuisce a Biagini -. E siamo rimasti tutti un po’ così».
Racconta anche questo il consulente del Coveco, il consigliere delle cooperative all’interno del Consorzio Venezia Nuova, che con i suoi verbali ha contribuito a costruire il castello accusatorio che ha portato a questa nuova inchiesta sul sistema Mose. Pagine e pagine di interrogatori condotti dal pubblico ministero Paola Tonini, con gli uomini della Guardia di Finanza, tra luglio e ottobre scorsi e ora all’interno di quei 18 faldoni di atti che accompagnano l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari, Alberto Scaramuzza.
Savioli, spesso messo alle strette dagli investigatori, racconta un po’ di tutto: dei pagamenti da parte delle aziende al Consorzio per creare i fondi neri, del vorticoso giro di soldi, degli appetiti crescenti, dell’asservimento del Magistrato alle acque al Consorzio Venezia Nuova. É sua la frase sul Magistrato che firmava anche la carta igienica usata, se arrivava dal Consorzio.
Ma interessanti sono anche le pagine dedicate alla figura di Mazzacurati. Un “pater familias”, lo definisce Savioli, per le imprese che fa lavorare, ovviamente senza gare. Ma anche un distributore dei soldi delle stesse imprese. Tra le tante, Savioli racconta di 20mila euro lavori di asfaltatura per il Comune di Padova eseguiti dalla Clea. Gratis. Lo spiega come «un piacere a Padova, che è sempre stato un Comune vicino, dove c’erano sia Galan che Zanonato, che tutti. Niente, così. Ma ce ne sono tante di cose così». Savioli porta l’esempio del restauro di un tetto di un convento in Toscana, su richiesta dell’ex sindaco di Chioggia. Lavoro «che non è toccato a me per fortuna» aggiunge. «Venezia Nuova – spiega – si sentiva molto investita di un ruolo di sponsorizzazione, di aiuto». E «sponsorizzazioni ce ne sono, libri, robe di questo genere, finché vuole. E non parlo dei libri, quelli che vengono fatti come strenne annuali, anche altre cose: ricerche, un po’ di tutto. Cioè, Venezia Nuova fatturando negli ultimi anni 400-500 milioni tentava di mantenere un rapporto con il circondario di un certo tipo, su questo non c’è dubbio. A me è toccato questo, probabilmente ad altri sono toccate altre cose».
Savioli racconta anche del clima degli ultimi mesi in Consorzio, quando, con il fiato sul collo della Guardia di Finanza, e soprattutto con le voci sugli interrogatori di Piergiorgio Baita, l’ex presidente della Mantovani, Mazzacurati decide di lasciare la presidenza. Ed è a questo punto che si parla della buonuscita. Savioli riferisce di aver telefonato a Mazzacurati che gli disse: “Bisogna che ci vediamo, perché dobbiamo mettere a posto la questione dei soldi”. Lui si spaventa, teme intercettazioni («A me sono venuti i capelli ricci») e si precipita dall’avvocato del Consorzio, Biagini, che gli spiega che la buonuscita resterà di 7 milioni e mezzo, anche se Mazzacurati ne voleva 10. In un’altra occasione Savioli parla dei tanti figli dell’ingegnere e dei tanti costi. Fa mettere a verbale: «Ho la convinzione, purtroppo non precisa, ma credo di andarci abbastanza vicino che molti soldi di queste provviste restavano a Venezia Nuova, ergo all’ingegner Mazzacurati. Lo dico perché so i costi che ha l’ingegner Mazzacurati».

Roberta Brunetti

 

PIERGIORGIO BAITA «Era come buttare soldi in un recipiente bucato, intervenimmo una volta per tutte»

CONFIDENZE – Baita, Minutillo e i raccomandati

SOLDI A PIOGGIA «Fatturando 500 milioni sponsorizzava tutti: libri, ricerche, conventi…»

«L’azienda ha debiti? La compero»

La Mantovani acquistò società del commissario Mainardi per fare un “piacere” a Chisso

La società del super commissario per le infrastrutture è in crisi? Me la compero. La disponibilità economica della Mantovani, accompagnata alla voglia di ingraziarsi le richieste dei politici, è arrivata a questo punto. Perchè l’architetto Bortolo Mainardi, bellunese di Lorenzago di Cadore, aveva ricevuto l’incarico dal governo Berlusconi di verificare l’attuazione delle grandi opere a Nord Est. E poi era stato nominato commissario della Tav in Veneto e Friuli. Ebbene, secondo i Pm veneziani dell’inchiesta-Mose, l’assessore regionale ai Trasporti Renato Chisso avrebbe chiesto a Baita di ripianare i debiti di Mainardi nella società Territorio srl che navigava in cattive acque. E Chisso, secondo l’accusa, avrebbe avuto interessi a tenere buoni rapporti con Mainardi non solo per i suoi incarichi, ma anche per la vicinanza al ministro Giulio Tremonti.
Baita ha raccontato: «I rapporti con Mainardi sono stati di due tipi, anche se poi sono confluiti in un unico rapporto. Il primo è stato un incarico professionale di affidamento a Territorio, il coordinamento della preparazione della proposta di project per la prosecuzione della A27, e successivamente abbiamo rilevato la società Territorio srl». Che tipo di favore fu? «Il favore è stato fatto su richiesta dell’assessore Chissso che riteneva di investire nel rapporto con Mainardi, posto che Mainardi aveva una posizione che avrebbe potuto essere utile all’assessore Chisso. Èun favore che abbiamo fatto, neanche di particolare impegno, perché era del tipo di dare incarichi professionali. È il favore più corrente e più frequente».
Perchè l’acquisto della società? «Era inutile mettere dell’acqua su un recipiente bucato. La società aveva debiti, ma se noi gli mettevamo l’incarico si salvava, ma se continuava a fare debiti era come mettere acqua dentro un recipiente bucato. Per cui abbiamo preferito fare un favore una volta per tutte, rilevare la società e basta, perché sennò sarebbe stato continuamente. Mi pare che fosse 80 mila euro, una cosa così, il valore debiti/crediti».
La circostanza è confermata da Nicola Buson, responsabile finanziario di Mantovani: «Credo sia stato un piacere, più che un affare. Un piacere reso a qualche amico, a un amico in particolare del Bortolo Mainardi che credo sia Renato Chisso. Mainardi aveva fatto delle attività per noi, ma erano poco… lui voleva tenerla quella società, ma non riusciva a farla decollare, non riusciva a farla funzionare, e decidemmo di acquisirla, insomma, rispondendo a una sollecitazione del Chisso, credo. Aveva fatto degli studi relativamente a un intervento, quello del prolungamento dell’autostrada verso Cortina».

 

PAROLA DI BAITA «Costa fu messo al Porto dall’ingegnere»

«Costa è succube di Mazzacurati, al Porto l’ha messo Mazzacurati». Lo dice l’ex ad di Mantovani, Piergiorgio Baita, per spiegare ai pm quale fosse il potere dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova nei confronti dell’autorità portuale. «Quando si è trattato di fare la nomina di Costa presidente dell’Autorità portuale Mazzacurati si è molto adoperato per superare l’ostilità dell’assessore Chisso, che non voleva Costa, ma Michele Gambato (presidente di una controllata della Regione, ndr.)». «È stato Mazzacurati – racconta sempre Baita – a fare da mediatore con Galan, perché Galan mediasse su Matteoli e Matteoli desse l’indicazione di Costa, indicato nella terna del centronistra». In un altro interrogatorio è Pio Savioli, consigliere del Consorzio, a raccontare di un finanziamento a Costa di cui gli parla Baita: «Mi incontrò in campo Santo Stefano e mi disse che stava andando a fare un bonifico secondo legge per il professor Costa, parlo della volta che è diventato sindaco».

 

LE INTERCETTAZIONI

INTERCETTAZIONI Le sorprese nei 18 faldoni delle indagini

Nessuno si fida di nessuno

Veleni tra gli intercettati

Parenti serpenti? E che dire di questa compagnia di giro che ruotava attorno alle mazzette? Bisogna leggere i verbali, ma soprattutto le intercettazioni telefoniche ed ambientali per capire quanto poco buon sangue corresse tra gli uni e gli altri. Basti dire che William Colombelli, il console onorario di San Marino in Veneto, quello che inventa il sistema delle fatturazioni false per “retrocedere” decine di milioni di euro a Piergiorgio Baita, si fida talmente tanto che registra i colloqui con Baita ed è grazie a quelle registrazioni, lo ammettono gli stessi Finanzieri, che la più grande inchiesta sulla corruzione in Laguna prende il volo. Se Colombelli non avesse registrato il colloqui non Baita non saremmo arrivati a quella che è stata soprannominata la Retata Storica. Ma nei 18 faldoni finora consegnati dalla Procura di Venezia c’è di tutto e di più. Prendiamo una telefonata di Claudia Minutillo che con Piergiorgio Baita parla del contratto che deve fare alla figlia di Giovanni Artico, funzionario della Regione che in quei mesi tiene bloccato il Consorzio.
Lei sbuffa e dice che «la gente non si fida nemmeno più della propria ombra» e aggiunge che Artico «è uno spaccacazzi allucinante». Ma Artico insiste perchè la figlia sia assunta anche se non è questo granchè. «Valentina è meno capace di Alice» le dice Flavia Faccioli, l’addetta stampa del Consorzio. Valentina è Valentina Artico e Alice è la sorella della moglie di Giacomo, figlio di Baita. Che Artico non fosse un lord inglese del tutto indifferente alla “palanca” lo si scopre da un’altra intercettazione. Al telefono Artico e la Minutillo. L’ingegnere della Regione telefona per trattare addirittura il compenso per la figlia «Non i 600 euro al mese» – si raccomanda. No, almeno 1.200-1300 assicura la Minutillo. E Artico. «Mi ero dimenticato di chiedere queste cose a Baita e Baita non mi risponde». Chissà come mai. Sparlato di Artico, Claudia Minutillo ne ha anche per Baita. In una intercettazione ambientale si sente che scoppia in lacrime con Renato Chisso e dice che non ce la fa più. Si sente sola, persa, si lamenta di essere stata fatta fuori.
Da chi? Da Baita. «Quando io gli dico aiutami a risolvere questa cosa, mi dice di non rompere i coglioni». Baita dimostra il massimo della delicatezza però con l’ing. Dal Borgo. Nei verbali di interrogatorio trancia questo giudizio «è un mio compagno di classe al quale non abbiamo mai dato grande credito finché eravamo all’università, perché copiava i compiti e poi ha fatto una serie di mestieri». Luigi Dal Borgo è con Mirko Voltazza l’uomo che offre “protezione” al Consorzio.
«Voltazza e Dal Borgo chiedevano 500 mila euro all’anno per la protezione del Consorzio Venezia Nuova e 300 mila euro all’anno per quella di Mantovani» – dice Baita. Il quale – si sa – non è tenero nemmeno con Giancarlo Galan, che considera troppo avido. Ma è ancor più interessante una intercettazione ambientale che riguarda amici stretti di Galan e della moglie, Sandra Persegato. Si tratta di Alessandra Farina e Paolo Venuti, marito e moglie. Ma Venuti non è solo il commercialista di Galan è anche il suo prestanome, e gli sta facendo fare il mega affare del gas in Indonesia. «Io mi domando, ma è possibile che uno faccia i miliardi come dice lei, la Sandra Persegato?» – chiede Alessandra Farina. E il marito: «Io non la bado più la Sandra». Come dire che era una che le sparava grosse «e i nostri figli non hanno i soldi per il taxi» commenta, velenosa e invidiosa la moglie. E che dire di Enrico Provenzano, responsabile amministrativo del Coveco, che detta a verbale «per sentito dire so che Furlan – già vicepresidente Coveco – fa la “cresta” con le imprese nello svolgimento delle sue attività presso il Consorzio Venezia Nuova». E poi tutti, nessuno escluso, che in tutte le intercettazioni quando pensano che nessuno li ascolti se la prendono con Mazzacurati che una volta è l’imperatore e un’altra il doge, ma sempre è quello che fa e disfa e bisogna obbedirgli ciecamente. Sono tutti ai suoi piedi sia quando chiede un’assunzione – che sia l’avv. Giuseppe Moschin o Giancarlo Ruscitti – che si tratti di dare una mano al patriarca Scola puntando 100 mila euro sulla ruota del Marcianus. Insomma una bella compagnia unita per sempre nel rispetto della dea mazzetta.

Maurizio Dianese

 

Moraglia: la città e anche la Chiesa facciano un serio esame di coscienza

Il monito di Moraglia: «Urgente avviare da subito un serio esame di coscienza»

(al.spe.) «In attesa che i fatti siano accertati e i giudizi emessi, è urgente e quanto mai utile avviare da subito un serio esame di coscienza che, per protagonisti, deve avere la città e la chiesa che è in Venezia». È il monito con cui il patriarca Francesco Moraglia entra per la prima volta nel dibattito sull’inchiesta Mose, attraverso un’intervista rilasciata al settimanale diocesano Gente veneta in edicola domani. Dopo aver scelto la prudenza e il silenzio, il presule decide di dire la sua, ma lo fa senza dedicare alcun passaggio esplicito ai finanziamenti – tutti dichiarati e documentati – elargiti negli anni alla Fondazione Marcianum dal Consorzio Venezia Nuova il cui allora numero uno Giovanni Mazzacurati era anche presite. Al proposito l’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, avrebbe dichiarato agli inquirenti che «davamo soldi a Marcianum perché ce l’ha chiesto Mazzacurati dicendo che era stata una richiesta esplicita del patriarca Angelo Scola. Senza di noi Marcianum non sarebbe nato», specificando che «poi Scola è andato a Milano e i fondi si sono dimezzati. Il nuovo patriarca ha una visione completamente diversa». Nell’intervista al proprio giornale Moraglia spiega che «è questione di coraggio. Bisogna tenere la barra dritta, a dispetto dei venti impetuosi che vorrebbero condurre la nave di qua o di là. Quant’è più facile infatti lasciarsi portare dal vento. Ma sarebbe debolezza o almeno leggerezza. Con il pericolo di non giungere alla meta che, pur nella tempesta di questi giorni, si chiama giustizia. Vivo il momento presente con trepidazione, preoccupazione e speranza». Il patriarca afferma che «è un momento difficile e faticoso per tutti, anche se con responsabilità ben distinte. Al tempo stesso, però, è una situazione che può essere letta come momento di grazia e speranza, se fa scaturire davvero quell’esame di coscienza a cui accennavo prima. E questo deve portare ad una ridefinizione delle priorità nella nostra vita individuale e collettiva, anche nella vita della nostra chiesa». Quindi sottolinea che «non basta parlare del valore della legalità. Bisogna parlare della giustizia e motivare, soprattutto di fronte ai giovani, le ragioni di essa. E spiegare che è essenziale, per ciascuno e per tutti, avere per meta la giustizia». Moraglia, che nell’intervista fa riferimento anche ad alcune scelte per certi versi scomode di contenimento dei costi compiute nei due anni da quando conduce la diocesi, conclude così: «Noi cristiani siamo sempre portatori di speranza e anche la difficile vicenda di questi giorni deve poter generare speranza che, per essere vera, non può essere generica o vacua e deve saper portare a evidenziare le proprie ragioni».

 

Boldrin: contributi in chiaro ai “club” dell’ex premier, nulla per le sue campagne elettorali

IL RUOLO «Non sono l’intermediario. Ho solo incassato fatture e al lordo delle tasse»

L’INTERVISTA – Il commercialista veneziano coinvolto dal memoriale Pravatà

«Soldi a Enrico Letta, ma in regola»

«Un turno elettorale nel 2007? Ma quale turno, il governo Prodi è caduto nel 2008». Il commercialista mestrino Arcangelo Boldrin è finito come altri nel calderone del memoriale di Roberto Pravatà, ex vicedirettore generale del Consorzio Venezia Nuova.
«A meno che non vogliamo credere che Enrico Letta avesse chiesto soldi al Consorzio per le primarie del Pd».
Soldi che sarebbero passati tramite lei, definito da Pravatà intermediario di Letta per il Veneto.
«Che io sia un lettiano lo sanno anche i masegni di Venezia, e fino ad ora non è ancora un reato. Definirmi intermediario per un finanziamento illecito, invece, è pura follia».
Pravatà, nel suo memoriale, scrive che se n’era andato sbattendo la porta perché «disapprovavo i metodi, che ritenevo censurabili, con i quali il Consorzio acquisiva il consenso».
Piergiorgio Baita, nello stesso interrogatorio, sostiene che Mazzacurati gli aveva fatto cenno che c’era bisogno di chiudere in modo non conflittuale il rapporto con Pravatà e aggiunge che «abbiamo pagato l’ira di Dio», citando il pagamento dei mobili di casa e l’affidamento di un incarico per l’acquisto di attrezzature che aveva lo stesso Pravatà.
In mezzo a questo scontro è finito anche lei, citato appunto da Pravatà.
«Non so nulla di tutto ciò ma posso affermare per certo che questo signor Pravatà l’ho visto due volte in tutta la mia vita – continua il commercialista Boldrin -. E per quanto mi riguarda, i soldi che il Consorzio ha dato al mio studio sono documentati e soprattutto sono giustificati da incarichi ben precisi, altro che pagamenti fittizi».
A luglio dell’anno scorso il nostro giornale aveva anticipato che il Consorzio Venezia Nuova aveva versato 50 mila euro come sponsorizzazione all’associazione veDrò, fondata da Enrico Letta nel 2005 e sospesa dopo la sua nomina a premier. Quel contributo, concesso tra il 2011 e il 2013, era in qualità di partner istituzionale del meeting che l’associazione aveva tenuto per alcuni anni a Dro, nel Trentino, con la partecipazione di molti esponenti di spicco della politica e dell’economia.
Soldi, insomma, il Consorzio ne ha effettivamente dati all’associazione di Letta.
«E si tratta, appunto, di sponsorizzazione regolare. Come quella che il Consorzio diede alla nostra “Associazione TrecentoSessanta Venezia” per un convegno che organizzammo ad ottobre del 2010 su porto, aeroporto e interporto per il NordEst».
TrecentoSessanta è l’associazione che nasce nell’estate 2007 quando Enrico Letta volle dare continuità all’esperienza di mobilitazione delle prime primarie del Pd. La sezione veneziana, che lei guidava, ricevette dunque soldi dal Consorzio.
«La bellezza di duemila euro concessi, in seguito a nostra richiesta scritta ufficiale, con una risposta altrettanto ufficiale e un bonifico».
E i fondi per questa benedetta campagna elettorale di Letta? Nel memoriale di Pravatà si parla di 150 mila euro passati attraverso la sua intermediazione.
«Contribuzioni dirette o indirette a sostegno di campagne elettorali di Enrico Letta sono destituite di ogni fondamento. Altra cosa è l’attività professionale nei confronti del Consorzio Venezia Nuova che il nostro studio ha svolto per qualche tempo, tutta documentabile e regolarmente fatturata».
Di che cifra si tratta?
«50 mila euro l’anno tra il 2008 e il 2011, al lordo delle tasse. Quindi 25 mila euro netti e, siccome in studio siamo in cinque, si fa presto a fare i conti di quanto abbiamo percepito».
Per quali prestazioni?
«Nel 2008 ci chiesero di trovare una formula tecnica per far coesistere negli spazi dell’Arsenale il Consorzio e la società Arsenale, del Comune e del Demanio, presieduta da Roberto D’Agostino. Dopo un po’ ci rendemmo conto che non era possibile trovare un accordo per cui andammo dal Consorzio a dire che non se ne poteva fare nulla».
E per gli anni seguenti?
«Quando ci ritirammo dalla questione Arsenale, il Consorzio ci disse che gli premeva un altro tema, la valorizzazione di Valle Millecampi in base a un accordo di programma tra Provincia di Padova, Comune di Codevigo e Magistrato alle acque. A noi hanno chiesto la valutazione economica. Uno studio di una settantina di pagine che abbiamo consegnato nel 2011, dopodiché è cessata la nostra collaborazione».

 

GLI SCENARI – Ecco cosa succederebbe se il sindaco si dimettesse

CONTRATTI E INDENNITÀ – Consulenze e integrativi potrebbero essere annullati

COMITATONE – Un commissario può anche cambiare linea sulle crociere

Dalle navi al Casinò, città in bilico

A rischio anche il percorso per costituire la Città metropolitana

Finora sono state solamente voci, ma che cosa succederebbe nel caso in cui il sindaco Giorgio Orsoni, oggi sospeso, rassegnasse le dimissioni?
Gli effetti sarebbero molteplici e si riverberebbero su persone, istituzioni e operazioni in essere, non solamente sul territorio della città, ma su un’area ben più vasta.
CONTRATTI – I primi a saltare sarebbero i contratti di consulenza utilizzati dal sindaco per lo svolgimento del suo mandato: il portavoce Samuele Costantini, il capo di gabinetto Romano Morra, la segretaria particolare Luisa De Salvo e il consulente diplomatico Antonio Armellini. Le loro figure, infatti, dipendono esclusivamente dal rapporto con il primo cittadino.
CASINÒ – La giunta sta cercando di portare avanti almeno il bilancio di previsione, ma senza prevedere l’alienazione del Casinò. L’intenzione sarebbe stata di procedere ugualmente con la gara e magari iscrivere a bilancio la somma risultante in sede di assestamento di bilancio. Anche questa strada appare oggi difficilmente praticabile, dato l’orizzonte temporale ristretto imposto anche dal partito di maggioranza, il Pd, che ha dato come termine ultimo il 31 luglio.
GRANDI NAVI – I lavori del Comitatone andranno avanti ugualmente con un delegato del sindaco, che porterà avanti le aspettative e le richieste della città nei confronti del Governo. Nel caso in cui ci andasse il commissario, non ci sarebbe la garanzia di una piena continuità sulla strada portata avanti dalla giunta Orsoni. I margini di discrezionalità del commissario sono infatti superiori a quelli di un sindaco, che deve rispondere agli elettori.
TEMI NAZIONALI – Senza il sindaco, che ha un ruolo importante in seno all’Anci e ad altre associazioni di enti locali, cadono tutte quelle “entrature” che Venezia ha finora avuto negli ambienti romani. Per forza di cose, un commissario votato all’ordinaria amministrazione non potrà portare avanti le richieste della città con la stessa forza di un sindaco in carica e nel caso dell’Anci (ma anche di altri organismi) la nomina è ad personam e quindi la rappresentatività di Venezia subirebbe un naturale congelamento.
CITTÀ METROPOLITANA – Il sindaco di Venezia è un elemento fondamentale della città metropolitana e non si potrà eleggere in sua mancanza il Consiglio metropolitano. Come conseguenza, si andrà vero una sorta di commissariamento dell’ente ad opera dello Stato e della Regione fino a quando il capoluogo non avrà un nuovo sindaco.
PROVINCIA – Il blocco della città metropolitana potrebbe avere ripercussioni anche sul periodo di commissariamento della Provincia. Il mandato della presidente Francesca Zaccariotto ha una scadenza di legge fissata al 31 dicembre e una eventuale prosecuzione dell’incarico è tutta da definire.
SEGRETERIE – Con la decadenza del Consiglio comunale e della Giunta, ci sarà una parte del personale che perderà le indennità di presenza, dovuta all’orario molto più flessibile dovuto alla presenza in concomitanza con gli organi politici. Quindi le segreterie di sindaco, vicesindaco e assessori e quelle dei gruppi politici. Per molte di queste persone, che torneranno a lavori più “normali”, si tratta di una perdita in busta paga non indifferente.

 

IL PERSONALE – Rotte le trattative I sindacati attaccano il dg Marco Agostini

Sembrava, data la situazione difficile, che il contratto dei dipendenti comunali avrebbe avuto un rinnovo rapido e indolore. Invece ieri, dopo quattro giorni di incontri serrati, ieri le trattative sono saltate. «A causa – puntualizzano i rappresentanti sindacali – del comportamento irresponsabile del direttore generale Marco Agostini».
A ridosso del terremoto che la scorsa settimana ha scosso anche il Comune nelle sue fondamenta, l’amministrazione e i sindacati hanno tentato di chiudere sul contratto prima dell’eventuale arrivo di un commissario. All’inizio si sono verificate anche frizioni importanti, come lo scontro sulla decisione del Comune di “recuperare” dalle buste paga una parte della produttività erogata e ritenuta non dovuta.
«Pur manifestando dissenso in merito alla trattenuta decisa unilateralmente – spiegano – abbiamo ricercato una mediazione accettabile e ieri si era arrivati ad una mediazione su cui sia le delegazioni dei lavoratori che quelle della parte pubblica (i dirigenti Morino e Bassetto) si erano trovati d’accordo».
Ad un certo punto è scattata una sospensione perché i dirigenti avrebbero dovuto sottoporre la bozza al direttore generale.
«Quando sono tornati – concludono – ci hanno detto di non essere più disponibili a firmare e noi ce ne siamo andati. Giudichiamo questa posizione grave e irresponsabile e ci riserviamo di definire tutte le iniziative per modificare il risultato della trattativa».
Con la fine eventuale dell’esperienza amministrativa della giunta Orsoni, i precari non dovrebbero aver molto da temere. I concorsi per la deprecarizzazione sono stati banditi e pubblicati in Gazzetta ufficiale e quindi la questione si riconduce- secondo i sindacati – all’ordinaria amministrazione.

M.F.

 

IN PARLAMENTO – L’affondo dei grillini: «Fuori il Consorzio»

(m.f.) Interruzione della concessione al Consorzio Venezia Nuova, smantellare il Magistrato alle Acque e porlo sotto il Ministero dell’Ambiente, valutare la possibilità di ridurre la profondità delle bocchie di porto di Chioggia e Malamocco.
Queste sono solo alcune delle richieste presentate ieri dal deputato del M5S Marco Da Villa al “question time” della Camera, in un’interrogazione urgente al ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti. Di fronte alla risposta di quest’ultimo, ritenuta insufficiente, Da Villa ha attaccato i governi di centrodestra e centrosinistra che si sono succeduti.
«Quello che ci sta dicendo – ha detto al ministro – è che nessun governo si è preoccupato dell’esistenza del decreto di compatibilità ambientale. I complici dei ladri, per omissione, inerzia o chissà per quale altro motivo, sono stati i governi Berlusconi e il Governo prodi del 2006. Complici di un’opera abusiva, che ha sottratto denaro pubblico alla scuola e alle imprese sane».

 

RAPPORTO ECOMAFIE – Bettin: «Si prefigura l’ipotesi di grave reato ambientale»

(r.ros.) «Le mazzette legate alla costruzione del Mose è un grave reato ambientale e si tratta di un esempio di criminalità organizzata di alto spessore». L’assessore all’Ambiente Gianfranco Bettin non ha dubbi: quello che sta emergendo dall’inchiesta della Procura veneziana legata alla costruzione del sistema di dighe mobili per salvaguardare Venezia dalle acque alte è un reato ambientale a tutti gli effetti. Bettin ne parla introducendo quelli che sono i consueti dati annuali dell’Osservatorio Ecomafie di Legambiente che ha annunciato che al processo si costituirà parte civile.
«Cause ed effetti e numeri dei danni di quello che sta emergendo in ambito giudiziario non sono ovviamente presenti nel rapporto 2013 – spiega Bettin – Non siamo di fronte a un sistema in salute con piccole e marginali patologie, qui parliamo di un sistema criminale vero e proprio con fortissimi impatti di natura ambientale. Per come è stato concepita e realizzata l’operazione Mose ha prodotto dei guasti ambientali pesantissimi nel regime aerodinamico della laguna, il tutto senza avere la garanzia che funzionerà per la tutela della laguna e per come è realizzato: il Mose del Consorzio Venezia Nuova è solo un test sulla carne viva della laguna e della città. E questo ha favorito il sistema di illegalità e malaffare che poi ha rimpinguato lo sviluppo della corruzione».
Per quanto riguarda i numeri, soprattutto quelli veneti, il punto lo offre Gianni Belloni, coordinatore dell’Osservatorio di Legambiente. «Nel 2013 sono in leggero calo i reati ambientali, ma aumentano quelli legati al circolo dei rifiuti. In calo anche il cosiddetto ciclo del cemento che però fotografa la crisi del settore. In Veneto l’aumento consistente riguarda i reati sul ciclo dei rifiuti: eravamo al 12. posto, siamo saliti al 9° con 70 sequestri, 150 denunce. Nel 2013 la nostra regione è al decimo posto generale nella classifica dell’illegalità ambientale: 1004 le infrazioni accertate (3,4% su scala nazionale), 1035 le denunce, nessun arresto e 213 sequestri. La buona attività della Dia, operativa in questo ambito dal 2010, giustifica il calo dei reati generale». «È ora di voltare pagina – ha quindi concluso Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto – e di passare dall’indignazione ai fatti concreti per fermare la corruzione dilagante. Per questo abbiamo stilato un ‘Manifesto contro la corruzione».

 

Nuova Venezia – Baita: “Costa succube di Mazzacurati”

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12

giu

2014

In un verbale la gara del Porto sullo scavo dei canali, che costò l’arresto all’ex presidente del Consorzio: «Da lui gli input»

VENEZIA In uno dei suoi interrogatori Piergiorgio Baita parla anche della nomina all’Autorità portuale di Paolo Costa, ex rettore di Ca’Foscari, ex sindaco ed ex ministro. Il pubblico ministero Stefano Ancilotto gli pone domande sulla gara d’appalto per lo scavo dei canali portuali che è costata l’arresti a Giovanni Mazzacurati per turbativa d’asta. Ecco il verbale del 17 settembre 2013. DOMANDA – Quindi l’input sulla formazione di questo bando sarebbe venuto da Mazzacurati? RISPOSTA– Sì. Non si occupa del dettaglio del bando ma di dire “fate una forma in modo tale”. DOMANDA– Nei confronti di chi però? RISPOSTA– Dell’Autorità portuale. DOMANDA– Manella persona di chi? RISPOSTA– Costa è succube di Mazzacurati, l’ha messo Mazzacurati. DOMANDA– Questo lo dice come indicazione generica olo dice nello specifico? RISPOSTA– Posso testimoniare che quando si è trattato di fare la nomina di Costa Presidente dell’autorità portuale Mazzacurati si è molto adoperato per superare l’ostilità di Chisso, che non voleva Costa, voleva Michele Gambato (presidente della Confindustria di Rovigo). È stato Mazzacurati a fare da mediatore con Galan perché Galan mediasse su Matteoli e Matteoli desse l’indicazione su Costa, che era indicato nella terna del centrosinistra. Quindi credo che nasca da lì. DOMANDA– Questo nasce da qui, il suo rapporto con Costa. RISPOSTA– No, nasce il rapporto con Costa. DOMANDA– Ma rispetto al bando specifico, alla vicenda specifica, al fatto che questo bando lei dice fosse stato tagliato appositamente per quel determinato gruppo. RISPOSTA– Non per quel determinato gruppo. Per il gruppo dei piccoli del Consorzio. DOMANDA– Ho capito, ma qui si tratta di fare un bando in un certo modo, quindi presso l’autorità portuale. RISPOSTA– Certo. Bisognerebbe andare a chiedere a chi l’ha scritto, ha firmato il bando, qual è la ratio che c’è in quella prescrizione, che impedisce a tutte le imprese, non solo a Mantovani, del Consorzio dotate dell’illimitato nelle opere marittime di partecipare a una gara di 12 milioni, perché non c’è solo Mantovani che non ha partecipato. Cioè era un bando da fare ricorso, non da concorrere. In un altro verbale, del 9 aprile 2013, Claudia Minutillo parla della costruzione della nuova Romea, quella che deve unire Venezia a Civitavecchia via Cesena, costruzione alla quale partecipa anche la Mantovani e per la quale Buson sborsa 17 milioni. Minutillo racconta che tutta Forza Italia si era mobilitata per far procedere l’opera tanto che a Giancarlo Galan ne avevano parlato sia Marcello Dell’Utri sia Cesare Previti. Giorgio Cecchetti

 

Galan, la Procura invia altri 18 faldoni

La giunta per le autorizzazioni ha avviato l’esame della richiesta di arresto: il voto entro l’estate

‘‘Il relatore Rabino: «Voglio rispettare la scadenza originaria del4 luglio»

VENEZIA – Potrebbero allungarsi i tempi per l’esame, da parte della giunta per le autorizzazioni della Camera, della richiesta di custodia cautelare nei confronti del deputato Giancarlo Galan, trasmessa dalla Procura di Venezia. L’ipotesi è stata ventilata ieri dal presidente della giunta, Ignazio La Russa (Fdi), alla luce dell’invio, non richiesto, a Montecitorio, da parte della Procura di Venezia di un fascicolo di 16 falconi (con migliaia di pagine). La Russa ha suggerito che si faccia decorrere il mese a disposizione della giunta da ieri e non dal 4 giugno, data in cui è arrivata a Roma l’ordinanza del gip di Venezia. «Stando al regolamento », rileva l’onorevole Mariano Rabino, di Scelta civica, cui è stato affidato il ruolo di relatore. L’onorevole Galan, che ha chiesto alla giunta di essere ascoltato e ha preannunciato l’intenzione di depositare delle memorie. «L’audizione del collega Galan», puntualizza l’onorevole Rabino, «potrebbe avvenire già nella seduta di mercoledì 18 oppure mercoledì 25 giugno». Galan inoltre insiste per essere ascoltato dalla Procura. L’incontro con i magistrati potrebbe avvenire già oggi. Il parlamentare forzista, che sta ricostruendo tutti i suoi estratti conto dal 1987 al 2014, si dichiara «pronto a rispondere punto per punto ad ogni accusa. Ho le carte per provare la mia estraneità». Tra i componenti della commissione si è pronunciata, alla luce dell’ordinanza del gip Scaramuzza, Giulia Grillo, deputata del Movimento Cinque Stelle: «Quello che ho letto è incredibile, in particolare a pagina 96 dell’ordinanza». Per l’onorevole Rabino, che nelle prossime settimane non avrà certo di che annoiarsi, l’inchiesta sugli appalti del Mose «sta in piedi, bisogna però valutare se le misure richieste di arresto emessa dalla Procura di Venezia. Io comunque m’impegnerò per ché venga rispettata la scadenza originaria del4 luglio». Nei corridoi di Montecitorio qualche membro della giunta per le autorizzazioni avrebbe anche sollevato dei dubbi sull’opportunità della presenza del democratico Davide Zoggia, che nei giorni scorsi era stato chiamato in causa dall’ex amministratore delegato della Venezia-Padova per un finanziamento elettorale. Tra i componenti della giunta figura anche Antonio Leone, ex Forza Italia, ex Pdl e ora esponente del Nuovo centrodestra, che nel giugno 2009 era tra gli invitati al matrimonio di Galan e dodici mesi era presente anche alla festa per il primo anniversario di matrimonio dell’ex governatore.

 

La cassaforte Palladio che finanzia i project degli ospedali veneti

Roberto Meneguzzo voleva creare la Mediobanca del Nordest

È in carcere per i contatti con Milanese, factotum di Tremonti

VENEZIA Il dottor Meneguzzo, scusi, chi è? «E’ un consulente del Consorzio ed è stata la persona attraverso la quale Mazzacurati ha trovato il rapporto con il ministro Tremonti, come suggeritogli dal dottor Letta, a sua volta incapace di sbloccare la situazione. L’ingegner Mazzacurati, per trovare questo rapporto, chiede consiglio all’onorevole Sartori, che indica il dottor Meneguzzo». Così Piergiorgio Baita in uno degli interrogatori rilasciati ai pm nell’inchiesta Mose. Fino a una settimana fa, Roberto Meneguzzo era noto come amministratore delegato di Palladio Finanziaria Spa, colui che aspirava a diventare la Mediobanca del Nordest, dopo aver provato a sfidare sul serio la vera Mediobanca. Quel Meneguzzo oggi è in cella con l’accusa di corruzione. Nelle carte dell’inchiesta emerge un ritratto assai lontano dal manager rampante che frequenta i salotti della finanza. Meneguzzo, nel suo ruolo di consigliere e tessitore di relazioni, si spende a Milano per Mazzacurati per risolvere il «problema della verifica Gdf» in corso al Consorzio Venezia Nuova. E’ lui a suggerire la soluzione: «Vi do io una strada che ho già usato per una questione che ha riguardato Omnitel.. non so cosa … di Palladio Finanziaria » riferisce Baita agli inquirenti. E’ Meneguzzo a favorire l’incontro con Marco Milanese, il collaboratore di Tremonti e poi deputato Pdl indagato nell’inchiesta per lo sblocco di un finanziamento al Cipe, e con Emilio Spaziante, ex comandante Gdf in carcere, che «avrebbe comportato il pagamento di due milioni alla Guardia di Finanza e il conferimento a Meneguzzo di 300 mila all’anno più 400 mila come successore». Meneguzzo però guadagna anche dagli ospedali. Per il project Thiene–Schio, continua Baita, «i rapporti sono stati tutti tenuti dalla Palladio, dottor Meneguzzo, a cui abbiamo affidato l’incarico del closing finanziario con una fee importante sul finanziamento ricevuto da Unicredit». Perfino Bovis Lend Lease, la società che ha proposto il project dell’ospedale di Padova e in corsa anche per la cittadella della Salute di Treviso, avrebbe cercato un referente politico tramite la copertura del patron di Palladio. Forse in virtù della joint venture creata nel 2010 tra Palladio e la stessa società di project? «Mazzacurati e Savioli (consulente Coveco, ndr) cercavano di organizzare una loro cordata per partecipare alla gara per l’ospedale di Padova, cordata che fosse orientata su un certo fronte politico, ritenendo che la cordata cui stava lavorando Meneguzzo escludesse la loro parte politica» spiega Baita. Un lavoro parallelo che il manager vicentino gestiva con un telefonino segreto. Procurandone altri ai «colleghi» del giro. Non solo: il marchio Palladio è spuntato anche nell’indagine per l’Expo 2015. Lo dicono le carte dell’inchiesta nel capitolo dedicato alla Città della Salute, dove si cita il coinvolgimento di Palladio per «la copertura coni rossi (coop, ndr)». Ma chi è Roberto Meneguzzo? «Una volpe» spiegava ne Il Nordest sono io Giancarlo Galan, «un vero uomo di finanza». Finito in carcere come un mediatore d’affari qualunque. Classe ’56, di Malo, con la sua Palladio, e in coppia con Enrico Marchi di Finint si era creato un ruolo da protagonista negli affari, diventando consulente delle principali dinastie venete,come il gruppo Riello e la Safilo dei Tabacci. Nella compagine della sua Palladio, oltre una holding con sede in Lussemburgo, siedono con un 21% noti imprenditori locali, tra cui la famiglia Zoppas, con cariche affidate nel tempo anche alla secondogenita di Giuliana Benetton, uscita a marzo 2014. I soci forti sono però Intesa San Paolo (con il 9%) e il Banco Popolare (8,6). Poi c’è Veneto Banca con cui Palladio condivide l’entrata in Generali con il veicolo Effeti, joint venture tra la veneta Ferak e la torinese Crt. E sempre con la Popolare di Montebelluna divide quel 20% di Eta Spa che controlla Est Capital Group, la holding che gestisce la Sgr e 18 fondi immobiliari in Laguna, dove tra le quotiste figurano aziende del Consorzio Venezia Nuova come Grandi Lavori Fincosit (Mazzi), Condotte (Astaldi) e Mantovani. E proprio in Laguna si è impaludato Meneguzzo. La discesa relazionale aveva avuto un primo colpo con il gelo creatosi tra Piazzetta Cuccia e la finanziaria vicentina dopo l’affare Fonsai. Una guerra che secondo alcuni, avrebbe pesato nella cacciata di Giovanni Perissinotto da Generali, facendo venir meno il principale referente e scoperchiando un alone di conflitti di interessi che Perissinotto avrebbe realizzato proprio con gli azionisti veneti di Ferak. Su questo e altri investimenti indaga oggi la Procura di Trieste.

Eleonora Vallin

 

Marchi: «Sono amico di Galan e con lui ho solo rapporti nel rispetto della legge»

ROMA. «I miei rapporti con l’onorevole Galan, al quale sono legato da una amicizia che risale fin dagli anni della giovinezza, si sono sempre svolti all’insegna della massima correttezza e del rispetto della legge. Mi riservo comunque di tutelare il mio buon nomee quello delle Società che rappresento in tutte le sedi opportune». Lo rileva in una nota Enrico Marchi, (foto) presidente di Save e di Finanziaria Internazionale, in relazione ad articoli di stampa pubblicati oggi che, citando i verbali dell’inchiesta sul Mose e le dichiarazioni di Claudia Minutillo, parlano di presunte «corresponsioni di denaro a Galan». Marchi conosce Galan fin dagli anni in cui militavano entrambi nel partito liberale, autentica minoranza in Veneto, anche se a Roma era al governo con la Dc. A Palazzo Balbi invece imperava il monopolio dello scudocrociato che divide le poltrone con gli alleati solo per assoluta necessità. A raccontare il sistema di pagamenti a Galan è stata Claudia Minutillo, l’ex segretaria del doge azzurro che ha ricostruito al magistrati il sistema di contribuzione al leader di Forza Italia. I fondi per la campagna elettorale arrivavano anche da molti imprenditori, secondo le procedure concordate.

 

«Sanità? Si vinceva solo se c’era Gemmo»

Baita: «Mantovani fu costretta a non partecipare ad appalti pubblici e a impegnarsi solo sui project»

VICENZA – Le sorprese di Baita. L’ingegner Piergiorgio, arrestato un anno e mezzo fa quand’era il numero uno della “Mantovani spa”, ha riempito migliaia di pagine di interrogatori davanti ai pubblici ministeri Ancilotto, Tonini e Buccini per raccontare il sistema di tangenti e favori che riguardavano il Mose e i grandi appalti in Veneto. Ma le sue ammissioni, oltre che ricche di nomi e cifre, sono anche fonte di sorprese. Dalle piccole mazzette a quando la sua azienda, fra le più importanti d’Italia, venne tagliata fuori dagli appalti pubblici regionali per le proteste dei concorrenti alla politica. Ragion per cui, ricostruisce Baita, la società fu costretta a buttarsi sui project financing, trovando appoggi sul fronte delle infrastrutture (per l’ottimo rapporto con l’assessore Chisso), ma non su quello sanitario (gestito in toto, ribadisce Baita, dall’europarlamentare Lia Sartori). Fuori dagli appalti. Baita, nel lungo interrogatorio del 6 giugno dello scorso anno, suddivide i suoi rapporti con la politica regionale in tre fasi. La prima, fra il 2002 e il 2005, durante la quale «sono stato chiamato direttamente a sostenere la campagna elettorale del presidente uscente Galan… ho contribuito con 200 mila euro, che ho consegnato alla dottoressa Minutillo… assistente del presidente, mail mercato la chiamava la vice presidente». Ma è nel secondo periodo, con Galan rieletto, che succede qualcosa. «Il secondo periodo – ricorda Baita – comincia per quanto mi riguarda con un invito a pranzo in un ristorante di Galzignano, al quale era presente l’assessore Chisso oltre al presidente Galan». Durante il pranzo, «mi fu detto che, vista la posizione che la Mantovani aveva ormai assunto all’interno del Consorzio, la quantità dei lavori… le lamentele che le imprese di riferimento avevano scritto su una nota che il presidente Galan mi fece vedere sulla invadenza della Mantovani nel settore degli appalti», Baita doveva «ritenersi escluso dagli appalti della Regione durante quella legislatura». I project. E Baita cosa fa?«Dopo un paio di prove e aver dimostrato che senza i santi non si va in paradiso…». «Sia più chiaro », gli chiede il pm. «Ci fanno perdere un paio di gare in modo evidente… ci concentriamo sui project, o partecipando a delle compagini già avviate, come per la Pedemontana, o con proposte autonome nostre». Non c’è via d’uscita: «Dal 2005 al 2010 a Mantovani in Veneto non resta che fare project, perchè appalti non ne vince neanche uno». La sanità. «I project che la Mantovani presenta, in sanità per esempio, se non sono accompagnati da una certa formazione non vincono», precisa Baita. Il quale spiega che «se non c’è la Gemmo non si vince in Veneto una concessione… Gemmo legata all’onorevole Sartori». E Baita poi precisa che «devo dire che il mio rapporto con l’onorevole Sartori non è sempre stato dei migliori… Il mio rapporto con Lia Sartori era del tutto conflittuale, quindi non ho mai corrisposto somme di danaro in via diretta ». La Gemmoa cui si riferisce Baita è la “Gemmo spa” di Vicenza, azienda leader nel settore degli impianti tecnologici e nelle opere di illuminazione pubblica.

(d.n.)

 

Le “collette” di Brentan e il 6% versato dalla Fip

Il ruolo decisivo dell’ex amministratore delegato della Padova-Venezia

Quei 200 mila euro “lasciati” da Scaramuzza per salvare la Sacaim dalla crisi

VENEZIA Giampietro Marchese da una parte, e Lino Brentan dall’altra, sono i due collettori di denaro destinato al Pd veneziano. Denaro proveniente dal sistema Mose e grandi opere in Veneto. Denaro non dichiarato, soldi che provengono dal Consorzio Venezia Nuova e dalle imprese impegnate nella realizzazione di opere autostradali. E non sono pochi soldi, anche se va detto che molto probabilmente qualche cosa è rimasto attaccato alle mani dei due collettori. Emerge dagli interrogatori di Giovanni Mazzacurati che consegna il denaro a Giampiero Marchese e dell’imprenditore Mauro Scaramuzza, titolare di un’impresa impegnata nel 2006, nella realizzazione di opere di mitigazione ambientali lungo il passante di Mestre. Quest’ultimo ha rapporti diretti con Lino Brentan, amministratore delegato della Padova- Venezia. La sua Fip Indutriale di Mestre vince l’appalto ma è costretta a cederlo alla Sacaim, anche se di fatto resta a gestire i lavori. Brentan è chiaro «lascia l’appalto alla Sacaim ed è inutile che fai ricorso al Tar, tanto perderesti solo del tempo…», gli dice quando vengono affidati i lavori. In quella occasione Scaramuzza capisce cosa voglia dire lasciare l’appalto. La Fip, deve consegnare il 6 per cento del valore dei lavori alla Sacaim, in quel momento non è in buone acque: si tratta di 200mila euro. All’apparenza sembrano soldi destinati all’impresa in difficoltà. In realtà Scaramuzza spiega alpm Stefano Ancilotto che lo interroga nel novembre scorso, che in più occasioni Brentan si lamenta di come è stato trattato dal partito. «Gli ho procurato dei fondi e manco mi ringraziano», dice l’ad dell’autostrada. Ma Scaramuzza consegna denaro a Brentan, destinato al Pd, anche grazie a ad un’altra azienda costretta a pagare, allo stesso titolare della Fip, se vuole lavorare negli appalti. Si tratta dei fratelli Benetazzo, titolari di un vivaio. Per fornire le piante da sistemare lungo il Passante devono pagare a Scaramuzza 170mila euro, che lui in gran parte e con tranche diverse, consegna a Brentan per le campagne elettorali ma pure per spese personali dell’ad: acquisto di mobili e biglietti della lotteria. Comunque la cupola Mazzacurati- Baita era informata di tutto, senza il suo assenso nulla sarebbe avvenuto. Del resto Giovanni Mazzacurati in un interrogatorio spiega al pm Paola Tonini: «Ho dato per tre anni all’incirca 500 mila euro a Marchese. In occasione i campagne elettorali. Lui ci serviva come vice presidente del consiglio regionale per velocizzare le pratiche».

Carlo Mion

 

Il rapporto sulle ecomafie in regione

Legambiente: anche noi parte civile sul Mose

Accertati oltre mille reati contro l’ambiente, altrettante denunce e più di 200 sequestri

VENEZIA – Legambiente si costituirà parte civile nel processo per la nuova tangentopoli veneta e nel contempo, assieme all’Osservatorio ambiente legalità Venezia, propone una serie di proposte contro la corruzione. Dal traffico dei rifiuti all’abusivismo edilizio, dagli incendi boschivi al racket degli animali, dall’agromafia agli affari illeciti nel settore dei beni culturali e della green economy: sono alcuni dei temi di “Ecomafia 2014”, il rapporto annuale di Legambiente che racconta il business sempre fiorente della criminalità che danneggia l’ambiente e mette a rischio la salute dei cittadini. A presentare il Rapporto sono stati ieri a Mestre l’assessore comunale all’Ambiente, Gianfranco Bettin, i presidenti di Legambiente Veneto, Luigi Lazzaro, e del Centro di azione giuridica di Legambiente Veneto, Luca Tirapelle, e il coordinatore dell’Osservatorio ambiente e legalità di Venezia, Gianni Belloni. «Il Veneto – ha spiegato Belloni – guadagna una posizione rispetto allo scorso anno, passando al decimo posto nella classifica sugli illeciti accertati dalle forze dell’ordine. Nella nostra regione sono state registrate 1.004 infrazioni, pari al 3,4% per cento del totale, 1.035 sono state le persone denunciate e 213 i sequestri. Si è registrato inoltre un cambiamento nel modus operandi delle organizzazioni criminali che lucrano sul ciclo dei rifiuti o del cemento a spese dell’ambiente, che hanno accresciuto la capacità di mimetizzare gli illeciti e di ampliare le rotte del crimine». «Il Rapporto – ha sottolineato Bettin – ci racconta di un contesto squilibrato a livello nazionale, un sistema malato che ha preparato la strada a crimini ambientali enormi, come quello del Mose, vero e proprio test sulla carne viva della città e della laguna che ha prodotto danni ambientali devastanti senza neppure una reale garanzia di efficacia». «È ora di voltare pagina – ha concluso Lazzaro – e di passare dall’indignazione ai fatti concreti per fermare la corruzione dilagante, che crea ingiustizia, spreca risorse pubbliche e devasta l’ambiente. Per questo abbiamo stilato un “Manifesto contro la corruzione, per i beni comuni e la democrazia” che contiene 15 proposte concrete e verificabili». Per leggere il manifesto e aderire: stop corruzione veneta. wordpress.com

(c.m.)

 

L’OPINIONE

LO STATO CHE BISOGNA BONIFICARE

Cosa può fare la politica I partiti hanno occupato lo Stato, ora serve una rigorosa selezione delle persone a cui si affidano incarichi pubblici

FRANCESCO JORI – Come vent’anni fa? No,come duemila. Mentre a Roma si discute, che si tratti di Annibale o di Scajola, la Sagunto-Italia viene espugnata, messa a sacco, depredata. Un Niagara di tangenti fertilizza le praterie di una sfilza di mascalzoni, non pochi dei quali recidivi; e anziché prosciugarle alla fonte, stiamo ancora qui a di battere se sia un problema di regole o di uomini. Sappiamo bene, dalla stagione di Mani Pulite, cosa si sarebbe dovuto fare. Non solo non lo si è fatto, ma diversi protagonisti di allora tuonano tutt’oggi contro la magistratura, dimenticando le cifre ufficiali: solo il 6 per cento degli imputati sono stati assolti perché estranei ai fatti; degli altri, molti se la sono cavata grazie a una legislazione di favore. Dalle fogne messe a nudo in tante successive vicende, e in particolare le due ultime di Expo e Mose, emerge una sconcertante novità: la tacita istituzione di una sorta di Cassa Depositi ed Elargizioni; i primi costituiti con i soldi della comunità, le seconde erogate non più a beneficio di partiti e correnti come vent’anni fa, ma di singoli figuri collocati in posizioni strategiche, politiche e amministrative. Un meccanismo messo in piedi dallo Stato in persona, attraverso strutture tecnocratiche ad hoc: come il Consorzio Venezia Nuova, che come ha spiegato Piergiorgio Baita intasca per legge, e ribadiamo per legge, il 12per cento; cifra servita per garantire una vita spericolata non solo a se stesso, ma pure a una serie di personaggi di ogni forma e colore, per il non disprezzabileimportodi100milioni. Finendo per penalizzare le imprese di cui avrebbe dovuto essere la sponda. Ci sono altre due questioni da chiarire. La prima è quella sottolineata da un giudice stimato come Carlo Nordio: il sistema delle opere pubbliche è congegnato in modo talmente farraginoso e complesso, da indurre all’illecito per by-passarlo. Anche questa è saggezza antica: «corruptissima re publica plurimae leges», ammoniva Tacito. Come dire, le troppe leggi aprono le porte alla corruzione; nell’odierna Italia, le spalanca. Inutile sparare sulla magistratura, o parlare di giustizia a orologeria: tocca alla politica cambiare le leggi; e se non lo fa, è per ignavia o per interesse. La seconda questione riguardai predatori. Ogni volta, tutti si proclamano innocenti e vittime di macchinazioni. Aspettando le sentenze, resta il fatto che intanto i soldi dalle casse sono usciti, e tanti. Non risulta che siano stati versati alla Caritas o alla San Vincenzo; e poiché, tanto nella vicenda Expo come in quella Mose, sono serviti a creare un fondo- tangenti, è assai improbabile che siano finiti nelle tasche degli uscieri. Non creiamo mostri, ma neppure martiri: qualcuno di sicuro ne ha beneficiato; e altrettanto di sicuro non era un comprimario. In attesa di certezze su nomi e responsabilità, ci sono almeno due cose che il sistema politico può e deve fare, da subito. Primo, smetterla con ipocrite prese di distanza o con ambigui silenzi: avessero o no in tasca una tessera, le persone coinvolte hanno fatto molto comodo ai partiti per raccogliere voti e gestire istituzioni; quanto a chi la tessera l’aveva, in non pochi casi ha rivestito posizioni di primissimo piano, e non per poco tempo. Secondo, e conseguente: occorre procedere a una radicale bonifica delle posizioni esistenti, e a una rigorosa selezione delle persone cui si affidano incarichi pubblici, dai palazzi romani a quelli periferici, dai grandi enti ai piccoli consigli di amministrazione. Non basta mettere in galera ladri e corrotti, ammoniva più di trent’anni fa Enrico Berlinguer: il nodo sta nell’occupazione dello Stato a opera dei partiti. L’assedio continua; e ad ognuno ormai puzza questo barbaro dominio, come scriveva Machiavelli nel “Principe”: cortigiani di ogni colore, lasciateci respirare.

 

Orsoni: ho chiesto quei soldi

Mose, il sindaco ammette un contributo dal Consorzio per le elezioni

Orsoni: sì, a Mazzacurati chiesi soldi per le elezioni

Zoggia, Marchese e Mognato lo consigliarono di rivolgersi al Consorzio perché Brunetta era in vantaggio.

Ammessa anche la consegna di una busta

VENEZIA Il sindaco di Venezia spera di essere scarcerato presto dopo il lungo interrogatorio di tre giorni fa, anche perché se da un lato ha continuato a negare di aver ricevuto nelle sue mani direttamente dal presidente del Consorzio Venezia Nuova i 400 mila euro per la sua campagna elettorale, dall’altro ha fornito al pubblico ministero Stefano Ancilotto nuovi elementi utili all’indagine. Ha, infatti, raccontato che nel 2010, in piena campagna elettorale per le comunali in laguna, si erano presentati da lui l’allora segretario provinciale Michele Mognato, poi eletto in Parlamento, l’allora candidato alla presidenza della Provincia Davide Zoggia poi eletto alla Camera e chiamato in segretaria nazionale del Pd da Pierluigi Bersani, e Giampietro Marchese, responsabile organizzativo del partito. Al futuro sindaco, sempre stando al racconto di Orsoni, avrebbero spiegato che la campagna elettorale non stava andando come doveva e c’era il rischio che il candidato del Centrodestra – era Renato Brunetta – potesse farcela, c’era quindi la necessità di incrementare gli sforzi e di conseguenza c’era bisogno di soldi per finanziare iniziative e propaganda. Orsoni avrebbe spiegato che i tre esponenti del Pd l’avrebbero spinto a chiedere a Giovanni Mazzacurati ulteriori finanziamenti oltre a quei 110 mila euro che le aziende collegate al Consorzio avevano elargito. Per convincerlo avrebbero aggiunto che quei finanziamenti ulteriori poteva chiederli e ottenerli soltanto lui, grazie all’amicizia di lunga data che lo legava al presidente del Consorzio. Il futuro sindaco avrebbe compiuto il passo richiesto, ma durante il lungo interrogatorio di lunedì, è durato quasi due ore alla presenza dei difensori (gli avvocati Daniele Grasso e Mariagrazia Romeo), ha ribadito di non aver mai ricevuto quei 400 mila euro di cui ha raccontato l’anziano ingegnere. Ha naturalmente ammesso che Mazzacurati è più volte andata a casa sua, a San Silvestro, e che in un’occasione gli avrebbe anche consegnato una busta, ma lui non l’avrebbe aperta, non sapendo che cosa conteneva, lui credeva documenti e carte: «Io non ho visto un euro», ha messo a verbale. Sulla base di questo interrogatorio, i difensori non solo hanno chiesto al giudice Alberto Scaramuzza, lo stesso che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, che il sindaco venga scarcerato, ma avrebbero già avviato una trattativa con i rappresentanti della Procura che si occupano della vicenda per giungere ad un patteggiamento, di quelli previsti dal codice durante le indagini preliminari e dunque prima di qualsiasi richiesta di rinvio a giudizio. Il reato contestato al sindaco, due episodi di finanziamento illecito al partito, prevede una pena che varia da un minimo di sei mesi di reclusione a un massimo di quattro anni ed è probabile che i difensori puntino al minino a addirittura a uno o due mesi in meno di quei sei mesi. Probabile, comunque, che l’obiettivo principale dei due avvocati non sia tanto il mese in più o in meno, bensì quello di ottenere prima possibile la scarcerazione del sindaco e in secondo luogo la sua uscita da questa inchiesta dei pubblici ministeri Stefano Ancilotto, Paola Tonin i e Stefano Buccini in modo da non vedere più il suo nomee la sua foto accanto a quella degli altri arrestati e indagati, i quali devono rispondere del reato di corruzione, un’accusa ben più grave e diversa da quella contestata ad Orsoni. E il primo obiettivo, quello della scarcerazione potrebbero ottenerlo addirittura entro la fine di questa settimana, sempre grazie all’interrogatorio di lunedì scorso.

Giorgio Cecchetti

 

ex assessori e tesorieri, ora in regione e in parlamento

Il filo rosso tra Comune e Partito democratico

Chi sono i tre uomini che vengono dal Pci-Pds e tengono in pugno il Pd veneziano

VENEZIA – Finanziamenti per la campagna elettorale e l’elezione del sindaco. È un filone della maxi inchiesta sul Mose, che adesso intende far luce anche sulla corsa delle amministrative 2010. Lotta furibonda tra il candidato del centrosinistra, l’avvocato Giorgio Orsoni, e il fedelissimo di Berlusconi, l’economista Renato Brunetta. Quest’ultimo si porta in laguna i ministri del governo Berlusconi, si schiera senza riserve per il Mose e le grandi opere, raccoglie anche lui fondi (dichiarati) da industriali e imprese del Consorzio. A un certo punto i sondaggi dicono che potrebbe farcela, nonostante la lunga tradizione di centrosinistra in città. Occorre cambiare marcia. E questo, secondo le dichiarazioni rese dal sindaco ai magistrati, è il motivo della richiesta che gli viene fatta dai tre responsabili del suo comitato elettorale. Chi sono? Giampietro Marchese, 55 anni, jesolano, esponente storico del Pci locale. Sempre in seconda fila, a contare le preferenze e a incassare i finanziamenti. Il tesoriere è un pezzo importante del Pci-Pds, poi del neonato Pd. Gestisce i contatti con le imprese e i sostenitori. Viene eletto per tre volte in Consiglio regionale, dove si occupa di sanità. Da Orsoni si fa anche nominare amministratore delegato della società delle Farmacie comunali. Si autosospende dal Pd dopo la notizia dell’estate scorsa di aver ricevuto finanziamenti elettorali. «Un atto opportuno», commenta allora il segretario provinciale Michele Mognato, «per fare chiarezza evitando strumentalizzazioni ». Del trio che chiede altri finanziamenti, secondo le dichiarazioni di Orsoni, farebbe parte anche lui. Classe 1961, impiegato alla Metro, la multinazionale del commercio con sede a Marghera, ha fatto il consigliere comunale, il vicesindaco di Paolo Costa e poi di Massimo Cacciari. Capogruppo e segretario provinciale del Pd, è stato eletto alla Camera nel 2013. Il terzo uomo è Davide Zoggia, 50 anni, è stato sindaco di Jesolo, poi vicepresidente e presidente della Provincia (dal 2004 al 2009), poi sconfitto dalla leghista Francesca Zaccariotto. Viene eletto anche lui alla Camera con le Politiche del 2013, messo in lista – come Mognato – per la corrente bersaniana. Negli ultimi due anni Zoggia ha esercitato la funzione di portavoce del segretario Pierluigi Bersani, responsabile nazionale degli Enti locali e segretario organizzativo. Una «fede», quella per il partito, che li tiene uniti ormai da molti anni. E che li ha messi un po’ in crisi con la vittoria al congresso di Matteo Renzi. Mognato, Zoggia e Marchese. Per loro finora non è emersa alcuna ipotesi di reato. Ma una chiamata di responsabilità da parte del sindaco che hanno eletto nel 2010.

Alberto Vitucci

 

Letta: solo falsità e fango

Boldrin: quelle con il Cvn sono fatture vere e documentabili

VENEZIA «Leggo falsità sul mio conto legate al Mose. Smentisco con sdegno e nel modo più categorico. Non lascerò che mi si infanghi così!». Lo scrive su Twitter l’ex premier Enrico Letta, dopo aver letto quanto riferito da alcuni giornali, che riferiscono quanto dichiarato da Roberto Pravatà, ex vicedirettore del Consorzio Venezia Nuova. «Nel 2007 abbiamo dato un contributo elettorale di 150 mila euro all’onorevole Enrico Letta». La somma sarebbe stata versata ad Arcangelo Boldrin, che replica senza timori: «Con riferimento alle notizie di stampa preciso che il nostro Studio Associato ha svolto per qualche tempo un’attività professionale nei confronti del Consorzio Venezia Nuova, tutta documentabile e regolarmente fatturata. Contribuzioni dirette o indirette a sostegno di campagne elettorali dell’On. Enrico Letta sono destituite di ogni fondamento», afferma il commercialista Arcangelo Boldrin. «E sono convinto della totale onestà di Enrico Letta: il mio contratto è reale con fatture vere, lo posso dimostrare».

 

Le dichiarazioni sui rapporti con la lega

Sutto e l’incontro con Cavaliere

La Spessotto (M5S): revocare tutte le sentenze del Tar

VENEZIA – Il Consorzio Venezia Nuova «non aveva referenti politici nella Lega», ma non significa che non parlasse anche con il Carroccio. Lo racconta Federico Sutto, ex braccio destro di Mazzacurati, nei verbali agli atti della inchiesta Mose. «Si parlava anche con la Lega» dice Sutto. «L’unica persona che in passato ha avuto un rapporto con il Consorzio, intorno al 2000, è stato Enrico Cavaliere, quand’era presidente del Consiglio regionale. L’abbiamo conosciuto e visto» prosegue Sutto « «e la cosa è finita lì». Sullo scandalo interviene anche Arianna Spessotto, deputata M5S. «A fronte delle ultime e gravissime dichiarazioni rilasciate dalla Minutillo, ex segretaria di Galan, e Baita, ex presidente della Mantovani, chiediamo la revoca immediata di tutte le sentenze pronunciate dal Tar della Regione Veneto e dal Consiglio di Stato, nel cui Collegio giudicante dovessero esserci soggetti coinvolti nell’inchiesta in corso sul Mose. E’ quanto ha affermato ieri in Aula la portavoce del M5S Arianna Spessotto in relazione alla notizia dell’acquisto di sentenze, da parte degli imprenditori del Mose, attraverso un avvocato cassazionista, Corrado Crialese. «Questa vera e propria compravendita di sentenze favorevoli alle ditte del Consorzio rappresenta solo un piccola parte dell’agghiacciante quadro che sta emergendo in questi giorni, una Tangentopoli-bis che vede il coinvolgimento di una classe politica, con esponenti sia di destra che di sinistra, implicata in un sistema criminoso senza precedenti

 

Lista di urgenze, poi a casa

Simionato: «Vediamo se ci sono le condizioni per approvare il bilancio»

Un decalogo delle cose da fare prima di sciogliere il Comune. Una lista di “emergenze” da sottoporre ai cittadini. Il sindaco facente funzioni, Sandro Simionato: «Vediamo se ci sono le condizioni per approvare il bilancio»

Decalogo di urgenze prima di andare a casa

Il vicesindaco Simionato riunisce la giunta: «Incontreremo le categorie»

Per tutta la giornata si sono rincorse voci sulle dimissioni di Orsoni

VENEZIA Un decalogo di cose da fare prima di sciogliere il Comune. E una lista di «emergenze» da sottoporre ai cittadini. «Ci proviamo, vediamo se ci sono le condizioni per approvare un bilancio», dice con in filo di voce il sindaco «facente funzioni » Sandro Simionato. Dimagrito di qualche chilo, affaticato e convinto che andare a casa subito non sarebbe un buon affare per la città. Ieri, per tutta la mattinata, si era sparsa la voce che il sindaco avesse intenzione di dimettersi. La lettera non è arrivata,ma l’agitazione era palpabile. La legge prevede che il sindaco possa presentare le sue dimissioni al presidente del Consiglio comunale (Roberto Turetta) o al segretario generale (Rita Carcò). Ma essendo ancora agli arresti domiciliari avrebbe dovuto farlo attraverso si suoi legali. Una mossa che avrebbe reso vano il tentativo, annunciato anche in Consiglio comunale, di «provare ad approvare il bilancio prima dell’arrivo del commissario». Niente di tutto questo. A Ca’ Farsetti la lettera non è arrivata. Potrebbe arrivare forse nei prossimi giorni, se come sembra, il sindaco dovesse ottenere la libertà tra domani e lunedì. Intanto si prova ad andare avanti sulla strada stabilita a larga maggioranza dal Consiglio comunale di lunedì. Ieri si è riunita la giunta, presieduta da Simionato. «Abbiamo deciso di incontrare ognuno per le parti di sua competenza associazioni di categoria, comitati e gruppi di cittadini. per confrontarci e capire se ci sono i termini per provarci», dice Simionato. «Il nostro dovere è quello di mettere in sicurezza il bilancio, garantire i servizi ai cittadini, portare a termine progetti avviati», continua. Questioni come la bonifica di Marghera, la vendita del Casinò, la programmazione dei servizi sociali, il tram, l’Arsenale. Ce la farà la giunta? La pressione per «andare a casa subito » è sempre più forte. Lo chiedono le opposizioni, ma anche molti settori della maggioranza. «Sabato a Roma c’è l’assemblea nazionale, sentiamo anche cosa dice il segretario Renzi», sorride Simionato. Ma il clima a Ca’ Farsetti non è dei migliori. E in mattinata il vicesindaco ha voluto precisare la sua posizione in merito alla decisione di costituire il Comune come parte civile sulla vicenda delle tangenti. Un atto che qualcuno aveva interpretato anche contro il sindaco Giorgio Orsoni. «Ma c’è una totale diversità tra la posizione del sindaco, che mi auguro possa a breve dimostrare la propria estraneità alle accuse e il sistema di corruzione costruito intorno al Mose, con la regia tecnico politica che sta da altre parti». Secondo Simionato la prova è che «in alcun modo l’amministrazione comunale, i suoi dirigenti e i suoi dipendenti sono coinvolti in queste vicende. È contro quel sistema di malaffare che la città intende far valere la propria onorabilità e la propria diversità». Ma la situazione politica, al di là di come finirà l’inchiesta, è compromessa. Le dimissioni del Consiglio comunale sono ormai imminenti, sicure entro l’estate. E il voto – forse anticipato a ottobre, se il governo firmerà il decreto – inevitabile per riportare a piena operatività un’amministrazione comunale colpita al cuore dall’arresto del suo sindaco.

Alberto Vitucci

 

stop alla concessione unica

«Opera approvata senza una Via positiva»

Alla Camera il question time e l’interrogazione al governo del grillino Marco Da Villa

VENEZIA «Un’opera approvata senza mai avere avuto un decreto di Valutazione ambientale favorevole. Leggi eluse, un sistema capillare di tangenti e le alternative mai prese in considerazione. Si è lasciato a un privato il compito di studiare e intervenire sulla laguna, senza controlli pubblici». Question time sullo scandalo Mose ieri mattina a Montecitorio. Il ministro per l’Ambiente Luca Galletti ha risposto all’interrogazione del deputato Cinquestelle Marco Da Villa. «Ha confermato in pratica che quell’opera è stata approvata senza una Via favorevole », dice Da Villa, «e questo non ci soddisfa. Non sono state rispettate le leggi, e non soltanto con il governo Berlusconi, ma anche con il governo Prodi e il suo ministro Di Pietro, ex pm di mani pulite. Adesso il governo Renzi sta seguendo lo stesso metodo con le grandi navi, cercando di far passare come unica soluzione il devastante scavo del nuovo canale Contorta- Sant’Angelo. Da Villa, a nome del Movimento Cinquestelle, ha proposto allora quattro azioni «immediate ». L’interruzione immediata della concessione unica, già cancellata dalla legge; la separazione degli studi dalla progettazione e dal controllo delle opere va anche smontata totalmente, prosegue Da Villa, la struttura del Magistrato alle Acque, collocandolo al ministero dell’Ambiente com’è naturale che sia. Infine, occorre «ridurre le profondità delle bocche di porto, almeno dove i cassoni non sono ancora posizionati, come Malamocco e Chioggia; e correggere per quanto possibile i difetti delle paratoie mobili. Un tema per niente chiuso, quello della salvaguardia. E una nuova luce gettata dopo la grande inchiesta sulle tangenti. «Una cricca che la lavorato per vent’anni», dice Da Villa, «e nessuno ha mai alzato la voce di fronte al prolungamento della concessione. Nemmeno le imprese rimaste senza lavoro». Un dibattito destinato a proseguire anche in sede parlamentare. Dove numerose sono state negli ultimi anni le interrogazioni presentate anche dal senatore del Pd Felice Casson e in sede locale da Verdi e Rifondazione. Anche queste rimaste spesso senza risposta.

(a.v.)

 

«Le mani sulla città», quel dossier del 2006

I comitati: «Le nostre denunce ignorate sulla rete diffusa del malaffare per la salvaguardia»

VENEZIA «Le mani sulla città». Denunce cadute nel vuoto, esposti lasciati un cassetto. Adesso il Comitato «No Mose-Laguna Bene comune » rilancia. E ripropone il «libro bianco» diffuso nel novembre del 2006, all’indomani del via libera del Comitatone (con il voto contrario del sindaco Cacciari) ai lavori del Mose. «Basta leggere il dossier», dice il portavoce Luciano Mazzolin, «per capire che c’è ancora molto su cui indagare». Quei giorni di novembre del 2006 i comitati avevano occupato la sede del Consorzio Venezia Nuova in campo Santo Stefano, srotolato striscioni e distribuito volantini con su gli «appunti per un libro bianco». Materiali ufficiali e articoli di giornale, ricerche contabili e sulle società. «Il Consorzio è fuorilegge», è scritto nel dossier, che i comitati hanno deciso di ripresentare alla Procura, «perché nel 1993 con la legge 527 il Parlamento aveva deciso di abrogare la famigerata concessione unica. La legge del 1984 che attribuiva al Consorzio il monopolio delle opere di salvaguardia in laguna, dispensandolo dalle gare d’appalto e in pratica annullando ogni forma di concorrenza. Ma anche lì si era trovato «l’inganno». Perché un comma della legge manteneva in vita «gli atti adottati e gli effetti prodotti». Dunque restava in vigore la famosa convenzione quadro del 1992 che vincolava lo Stato a una serie di obblighi con il suo concessionario. Un dossier che parlava dei «mancati controlli» del Magistrato alle Acque, dell’intreccio degli interessi e delle imprese coinvolte nella grande torta del Mose. «Il Consorzio Venezia Nuova e il partito trasversale degli affari hanno le mani sulla città e sulla laguna», il titolo della denuncia. Sotto accusa anche gli incarichi di Piergiorgio Baita, presidente della Mantovani che all’epoca otteneva quasi tutti i grandi lavori per le infrastrutture dalla Regione di Giancarlo Galan e Renato Chisso. La società Palomar, di proprietà del Consorzio, che aveva avuto in concessione i Bacini di carenaggio dell’Arsenale. E il Corila, il Consorzio universitario incaricato di fare studi e monitoraggi in laguna. Otto anni fa avevamo già denunciato tutto», dice Mazzolin, «la centrale della corruzione nata negli anni Ottanta grazie a un’idea di Gianni De Michelis, poi diventato vicepresidente del Consiglio. Un dossier secondo i comitati ancora estremamente attua- Lavori in corso per il Mose a Malamocco le.

(a.v.)

 

«Un esame di coscienza prima di trarre giudizi»

Il Patriarca Francesco Moraglia invita alla prudenza. «Vivo questo momento con trepidazione, preoccupazione e speranza. Bisogna tenere la barra dritta»

VENEZIA «Tenere la barra dritta. A dispetto dei venti impetuosi che vorrebbero condurre la nave di qua e di là. Quant’è più facile, infatti, lasciarsi portare dal vento. Ma sarebbe debolezza o, almeno, leggerezza. Con il pericolo di non giungere alla meta che pur nella tempesta di questi giorni si chiama giustizia. Vivo il momento presente con trepidazione e speranza ».Così il patriarca Francesco Moraglia affronta la questione dell’inchiesta sul Mose. Lo aveva detto sulla Nuova, adesso in un’intervista che uscirà domani con il settimanale diocesano Gente Veneta. Una questione che ha sconvolto la città. Perché oltre alla «cricca» del Mose l’inchiesta ha toccato anche il sindaco Giorgio Orsoni, primo procuratore di San Marco. E nelle carte compare anche il Marcianum (di cui era presidente Giovanni Mazzacurati) e il nome dell’ex patriarca Angelo Scola, oggi arcivescovo di Milano.Coni finanziamenti della Legge Speciale destinati dalla Regione di Galan al seminario e al palazzo patriarcale. Moraglia invita tutti a un «esame di coscienza». «In attesa che i fatti siano accertati e i giudizi emessi», dice, «è urgente avviare da subito un esame di coscienza. Che deve avere per protagonisti la città e la Chiesa che è in Venezia». Ma anche alla prudenza. «Prima di ergersi a giudici di una situazione ancora in divenire », dice, «è bene riflettere con pacatezza. Per questo anch’io ho ritenuto opportuno riflettere per non lasciarmi andare a dichiarazioni affrettate». Una prudenza che non va vista come debolezza ma come virtù. «Ricordo che già vent’anni fa ai tempi di Tangentopoli », risponde il patriarca, «mi sentivo molto in sintonia con chi diceva “i magistrati parlano con le sentenze”. In un tempo in cui tutti davano interviste la trovai un’affermazione di metodo saggia, opportuna e volta al bene comune. In generale, penso che sia corretto esprimersi su un fatto per ciò che si sa, per conoscenza diretta e completa, nelle sedi opportune. Il resto tende a sconfinare nelle chiacchiere». Una bufera che non lascia insensibili i vertici della Chiesa veneziana. Anche se, dice il patriarca, bisogna essere prudenti e tendere alla giustizia. « credo che nessuno debba e possa godere di questa situazione», continua Moraglia, «penso che sia un momento faticoso e difficile e faticoso per tutti, anche se con responsabilità ben distinte. Al tempo stesso è una situazione che deve essere letta come momento di grazia e di speranza, se fa scaturire davvero quell’esame di coscienza di cui parlavo». Una situazione delicata, che il patriarca Moraglia e i vertici della Curia seguono con attenzione.

(a.v.)

 

Gazzettino – L’appello. Indagate anche su Veneto City.

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11

giu

2014

I recenti fatti del Mose rendono a tutti evidente il danno che ai cittadini provoca la collusione tra politica e imprenditoria. Vorrei però far notare come i “soliti noti” abbiano potuto scorazzare imperterriti per anni prima che a loro carico si sia riusciti a produrre qualche prova che permetta ora di bloccarne le malefatte.
Le eventuali condanne poi (sempre che il tutto non finisca in prescrizione prima della fine del processo) saranno come sempre a dir poco ridicole rispetto a quanto invece deve pagare un qualunque cittadino nel caso gli venga addebitato un illecito.
Mi fa sorridere la farsa dei politici intervistati che si sono dimostrati stupiti e increduli perché pur supponendo che siano in buona fede, credo che se fossero stati meno seduti sulle proprie “careghe” e avessero parlato un po’ con la gente comune avrebbero saputo che la “vox populi” da tempo indicava il Mose come una delle maggiori ruberie perpetuate dalla politica ai danni della comunità. E’ la stessa “vox populi” che ritiene “Veneto City” una mera speculazione edilizia.
Sarei felice quindi se ora la Magistratura si prendesse la briga di indagare anche su “Veneto City” dato che nel caso specifico i “soliti noti” hanno acquistato terreni agricoli a prezzi stracciati ben sapendo che sarebbero diventati edificabili (qualcuno li ha forse messi al corrente dei futuri piani regolatori?).
Sempre “i soliti noti” che comprano la terra, progettano e costruiscono, hanno ottenuto dalla Regione l’autorizzazione a edificare l’ecomostro nonostante le proteste di cittadini, commercianti, associazioni autorevoli quali Italia Nostra e perfino il parere contrario del Magistrato alle acque.
I lavori proseguono anche se non si sa ancora chi andrà a occupare quell’enormità di metri cubi di cemento che avrà un impatto devastante sul fragile graticolato romano, ma servirà probabilmente a qualcuno per pagarsi le prossime campagne elettorali.
Penso inoltre che se qualora questi edifici di nuova costruzione non venissero venduti, potranno servire ai “soliti noti” (secondo quanto indicato dalle nuove regole edilizie) quale garanzia per potersi accaparrare gli appalti per l’edificazione di nuovi ecomostri.
In tal caso si finirebbe in un circolo vizioso che garantirebbe solo ai collusi di poter lavorare facendo così morire le piccole aziende e chi con la politica non ha avuto niente da spartire.

Mario Muneratti – Mirano

 

LE SCOPERTE DEL FISCO – Galan, Spaziante, Venuti e Chisso nelle maglie dei controlli

Le uscite “milionarie” degli inquisiti

Tra entrate e spese i conti non tornano

La «Guardia di finanza talebana», come è definita in una intercettazione ambientale dall’interlocutore di Paolo Venuti, il commercialista di Giancarlo Galan, ha ricambiato gli indagati. Passandone ai “raggi X” i patrimoni, per cercare la prova di arricchimenti sospetti. Quel riferimento “talebano” è contenuto in un dialogo che coinvolge il professionista che custodisce buona parte dei segreti finanziari ed economici dell’ex governatore del Veneto, attuale deputato di Forza Italia. È il dialogo da cui si evince che «Giancarlo è molto spaventato, quindi stavo tirando giù quattro dati delle dichiarazioni vecchie che noi abbiamo fatto…». Galan ha paura del “redditometro”, perchè dovrebbe spiegare spese considerate eccessive. Ma quali sono le scoperte dei “talebani” del Fisco?
GIANCARLO GALAN. I coniugi hanno dichiarato dal 2000 al 2011 entrate per un milione 413 mila euro, le uscite sono state però 2 milioni 695 mila euro. Sproporzione: un milione 281 mila euro. La coppia ha però anche numerose partecipazioni societarie. Si tratta di cinque società. Margherita srl (100%) partecipa al 70% la Società Agricola Frassinet sas, tenuta agricola tra Casola Valsenio (Ravenna) e Castel Del Rio (Bologna) per un valore di 920 mila euro, al 21.6% la San Pieri srl (settore energetico), al 10% __  . La seconda società è Ihlf srl, partecipata al 50% tramite la fiduciaria milanese Sirefid spa, si occupa di consulenze sanitarie (l’altra metà vede i nomi di importanti dirigenti sanitari veneti e lombardi). C’è poi Amigdala srl, partecipata dalla moglie di Galan, Sandra Persegato, al 20%, tramite Sirefid; la parte restante è partecipata da Pvp (studio di Paolo Venuti, indicata in un’accusa di corruzione) e Finpiave (holding di un imprenditore veneto dell’abbigliamento). C’è anche Franica Doo con cui i Galan gestiscono il patrimonio in Croazia (immobili, barche, conti correnti). Infine, Thema Italia spa, con quote formalmente intestate a soggetti terzi, ma che la Finanza riconduce a Galan anche per il sequestro avvenuto all’aeroporto di Venezia nel luglio 2013 a Paolo Venuti di documenti da cui emergerebbe che «la società rappresenta la facciata italiana di un importantissimo affare (stimato in 55 milioni di dollari) avente per oggetto il commercio di gas proveniente dall’Indonesia. Galan ha due cassette di sicurezza, la moglie altrettante. Possiede poi una favolosa villa a Cinto Euganeo.
PAOLO VENUTI. La famiglia del commercialista ha dichiarato dal 2000 al 2011 entrate per 2,8 milioni di euro, ma le uscite sono state per 5,9 milioni; la sproporzione è di 3,1 milioni. Venuti ha la partecipazione in Pvp (30%) e Farandola Doo. A fine 2009 i Venuti, grazie allo “scudo fiscale”, hanno fatto rientrare 1,8 milioni di euro (Banca Intermobiliare Suisse di Lugano e Veneto Banka di Zagabria).
RENATO CHISSO. Chisso (che paga un mutuo alla figlia) ha dichiarato dal 2000 al 2011 entrate per 1,1 milioni di euro, le uscite sono state di 1,4 milioni, la sproporzione è di 248 mila euro.
EMILIO SPAZIANTE. Il generale della Finanza ha dichiarato, in undici anni, entrate per 2 milioni di euro, ne ha spesi 3,7, la sproporzione è di 1,7 milioni. Ha un altissimo tenore di vita: auto sportive, barca di lusso, villa con piscina, prestigiosi immobili; possiede orologi, quadri e arredi costosi, frequenta alberghi anche da mille euro la notte e a Dubai ha usato la Limousine per il trasferimento dall’aeroporto.

Giuseppe Pietrobelli

 

L’EX DOGE – Investimenti negli Emirati Arabi e splendida dimora di 4 piani a Rovigno

L’ex presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan, avrebbe fatto investimenti immobiliari anche negli Emirati Arabi. A riferirlo agli inquirenti è stato il finanziere sanmarinese William Colombelli, l’uomo delle false fatture della Mantovani.
All’estero l’ex ministro Galan possiede anche una splendida villa di 4 piani a Rovigno, sulla costa Croata (località Santa Croce), alla quale ha dedicato un articolo il quotidiano locale “Novelist”. Immobile stimato in qualche milione di euro, anche se Galan ha ribattuto sostenendo che il valore è di molto inferiore.

 

BAITA DIXIT – Il partito temeva che Galan intercettasse tutto il denaro

Alla faccia della fiducia. Dice Piergiorgio Baita: «C’era un malessere da parte della segreteria del partito regionale perchè con tutti i soldi che il partito aveva convogliato sul Consorzio Venezia Nuova, la segreteria del partito non aveva visto niente, sospettando che il presidente Galan intercettasse tutto a monte». E, dunque, Nicolò Ghedini, allora segretario regionale di Forza Italia, chiede che ci si appoggi a William Colombelli, che poi è quel faccendiere di San Marino specializzato in fatture false. Ma nemmeno Baita si fidava poi molto dei suoi soci e di Mazzacurati, tant’è che dice di aver controllato più di una volta se, a fronte dei quattrini in nero che versava lui per conto della Mantovani, anche gli altri soci del Consorzio facevano il loro dovere. Ma che ci potesse essere qualcuno che si teneva in tutto o in parte i soldi salta fuori anche dalle stesse dichiarazioni di Baita e Minutillo messe a confronto. Baita dice che Galan veniva pagato sempre attraverso la Minutillo, ma l’ex segretaria di Galan sostiene che tutti i pagamenti sono stati fatti da Baita. Valli a capire…

 

Blitz dell’antimafia alla Mantovani – A FUSINA, A QUARTO D’ALTINO E IN SEDE A MESTRE

L’INCHIESTA – Si muove anche l’Antimafia. Blitz nei cantieri della Mantovani. Raffica di smentite e querele dai politici chiamati in causa.

LE DIGHE MOBILI – Il caso controverso: scegliere il tipo di cerniere per le paratoie

IL CONSORZIO – A Piva e Cuccioletta 4 milioni per accelerare l’iter delle autorizzazioni

L’INCHIESTA – Prime confessioni: almeno due degli arrestati pronti a vuotare il sacco

Mazzacurati: «Lia Sartori chiamava quando voleva soldi»

Dal 2006 al 2012 avrebbe consegnato all’eurodeputata 200mila euro in 4 diversi appuntamenti

E tira in ballo anche il presidente del Magistrato D’Alessio (non indagato): «A lui cifre modeste»

Prime confessioni in vista nell’inchiesta sul sistema di corruzione e finanziamento illecito dei partiti messo in atto per anni dal Consorzio Venezia Nuova. A distanza di una settimana dagli arresti, almeno due degli indagati attualmente in carcere hanno chiesto di essere ascoltati dagli inquirenti, anticipando la propria intenzione di “vuotare il sacco”. I loro interrogatori si svolgeranno con molte probabilità la prossima settimana. Nel frattempo la Guardia di Finanza, coordinata dai pm Paola Tonini, Stefano Buccini e Stefano Ancilotto sta proseguendo le indagini su alcuni fronti ancora aperti e qualche novità potrebbe arrivare a breve. Venerdì un primo vaglio sulle accuse sarà fatto dal Tribunale del riesame, che analizzerà i ricorsi di Giampietro Marchese, Franco Morbiolo e Andrea Rismondo (avvocati Zarbo, Vianelli e Franco).
Dalle migliaia di carte dell’inchiesta depositate ai difensori continuano ad emergere nuovi particolari. Tra questi un episodio relativo un presunto finanziamento illecito all’ex presidente del Consiglio regionale del Veneto, la vicentina Lia Sartori, che sarebbe avvenuto all’Holiday Inn di Marghera, nel maggio del 2010. «Mi aveva detto che aveva bisogno di fondi… di soldi, e mi ha incontrato per quello.. le portai 50mila euro», ha raccontato l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, nell’interrogatorio del 9 ottobre dello scorso anno.
TELEFONATE E INCONTRI – Mazzacurati ha riferito di aver avuto più incontri con la Sartori: «l’ho vista varie volte… queste dazioni di 50mila euro mi pare siano state 4 in quel periodo, dal 2006 al 2012… il tutto dovrebbe essere sui 200mila euro… Non so se l’ho incontrata altre volte per parlarle…»
L’ex presidente del CVN ha precisato che era la Sartori a cercarlo quando aveva bisogno di soldi: «Mi telefonava per fissare l’appuntamento o mi telefonava qualcuno e ci concordavamo l’appuntamento…»
In cambio dei finanziamenti l’allora presidente del CVN ha raccontato di averle fatto dei «solleciti, soprattutto all’inizio, sul problema del finanziamento, perché c’erano dei forti ritardi inizialmente sui finanziamenti del Mose».
Il giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza ha disposto gli arresti domiciliari per Lia Sartori per l’accusa di finanziamento illecito (in parte “in bianco”, ma pagato da soggetti diversi da quelli dichiarati, in parte in “nero”), sospendendo l’esecuzione della misura cautelare in quanto l’esponente politico di Forza Italia è ancora eurodeputato. Ma, non essendo stata rieletta, l’immunità verrà a cadere tra poco.
Sul ruolo della Sartori parlano diffusamente anche altre persone, tra cui Pio Savioli che, grazie al Consorzio Coveco, sostiene di averle messo a disposizione un finanziamento per la campagna elettorale. Piergiorgio Baita della Mantovani, invece, ricorda che Claudia Minutillo, l’ex segretaria del presidente della Regione Galan, fu nominata amministratore di Thetis, società del gruppo CVN, su richiesta proprio dell’ex presidente del Consiglio regionale. La Sartori è difesa dall’avvocato Coppi.
SALVAGUARDIA – Nell’interrogatorio dello scorso 30 luglio Mazzacurati tira in ballo anche l’ultimo presidente del Magistrato alle acque, Ciriaco D’Alessio, raccontando di «aver stretto un rapporto con questa persona… Noi gli abbiamo dato delle somme di denaro modeste, non mi ricordo neanche, però gliele abbiamo date… sull’ordine di 50mila euro, una cosa del genere, 30-50mila euro… mi pare che gliele ho dati in due rate… I primi li ha consegnati io…»
Il nome di D’Alessio non figura, però, tra quelli dei 50 indagati conosciuti finora, in quanto contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare del gip. Dalla Procura non esce alcuna informazione a riguardo e, dunque, non è possibile sapere se l’episodio abbia avuto un seguito sul fronte delle indagini, oppure se sia stato ritenuto senza adeguati riscontri, e dunque non provato. Ben diversa la posizione degli altri due presidenti del Magistrato alle acque, per i quali è stato disposto il carcere, Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta: «Noi cercavamo di fare sì che il Magistrato alle acque e il suo Comitato tecnico fossero più rapidi possibile nelle approvazioni…», ha spiegato Mazzacurati, ricordando che la questione più controversa fu quella delle “cerniere” delle paratie, per le quali vi fu un’accesa discussione tra il sistema “saldato” e quello “fuso”: c’erano convinzioni tecniche diverse, ha spiegato l’ingegnere, ma soprattutto «interessi» divergenti. Alla fine è prevalsa la soluzione “saldata”. Per far viaggiare il progetto del Mose più velocemente e senza difficoltà, Mazzacurati ha raccontato di versamenti pari a «qualche milione di euro, diversi milioni di euro complessivamente tra tutti e due». La Procura stima complessivamente una somma di 3-4 milioni: 200mila euro ogni sei mesi alla Piva; 150 ogni sei mesi a Cuccioletta, al quale sarebbe stato fatto un regalo di 500mila euro quando andò in pensione. Cuccioletta avrebbe negato la corruzione, ammettendo solo qualche regalo.

Gianluca Amadori

 

UN NUOVO FILONE – Baita e i lavori per la sanità: «O con la Gemmo o non si entra»

MESTRE – C’è un filone dell’indagine sul Consorzio che è passibile di sviluppi molto interessanti ed è quello relativo alla sanità. Piergiorgio Baita detta a verbale: «Per entrare nelle operazioni sanitarie o si passa attraverso la Gemmo o non si entra. Questo lo posso certificare perchè quando ero con la Gemmo abbiamo avuto l’aggiudicazione dell’ospedale di Mestre e di quello di Thiene, quando non avevamo la Gemmo abbiamo perso». Gemmo è la società che, secondo Baita, rispondeva direttamente all’eurodeputato Lia Sartori. «Per quanto riguarda l’ospedale di Mestre – mette a verbale Baita – l’accordo era di affidare alla Gemmo la gestione in esclusiva dei cosiddetti servizi informatici a condizioni talmente fuori mercato che lo stesso direttore generale Antonio Padoan aveva un imbarazzo a tenere a freno i suoi funzionari che riscontravano una anomalia tra costo del servizio e costo del mercato». Com’è che l’eurodeputata ha tanto potere? Perchè Lia Sartori aveva «provveduto quasi in maniera autonoma» alla nomina dei direttori generali delle Ulss del Veneto e i direttori «potevano essere etichettati in maniera precisa come persone di fiducia dell’on. Sartori».

 

LA CURIA Sutto: le aziende versavano fondi per farsi belle con il patriarca Scola. E per la visita del Papa tutti a caccia della prima fila

La “grande corsa” per finanziare il Marcianum

VENEZIA – Tutti in coda per finanziare il Marcianum e farsi belli con l’allora Patriarca, il cardinale Angelo Scola. A raccontare la singolare corsa a finanziare la Fondazione culturale della Curia veneziana – in buona parte con i soldi provenienti dalle false fatturazioni – è stato Federico Sutto, uno dei più stretti collaboratori dell’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, che del Marcianum fu tra i soci fondatori e anche presidente.
Sutto, già finito ai domiciliari assieme a Mazzacurati, nel luglio del 2013, è stato nuovamente arrestato nell’operazione della scorsa settimana con l’accusa di corruzione: evidentemente i magistrati della Procura non hanno creduto alla versione fornita lo scorso anno, quando raccontò di aver avuto l’incarico di portare una serie di buste e cartelline per conto di Mazzacurati, senza però sapere con esattezza cosa contenessero. Un incarico recente, dal 2011, perché prima se ne occupava un altro indagato, anche lui in carcere, Luciano Neri. In quelle buste lo stesso Mazzacurati ha spiegato che vi erano i soldi destinati a politici e funzionari pubblici.
Sulla vicenda del Marcianum, invece, Sutto ha parlato a lungo, non nascondendo però il suo fastidio per un ambiente che non gli appartiene: «Con questo mondo non c’entro niente… ma lavorando con Mazzacurati ho dovuto fare anche questo».
Il suo compito era di sollecitare le varie imprese che lavoravano per il CVN a sostenere il Marcianum: versamenti del tutto regolari, quote annuali versate tramite bonifico. All’inizio tutti erano contenti di mettersi in buona luce con il Patriarca, e le quote versate da ciascuna azienda ammontava a 30-40 mila euro: «Il rapporto con il Patriarca e con questa parte del mondo della Curia per loro era una cosa che interessava. Soprattutto nei primi due anni, quando si trattava di andare a fare le riunioni… era una cosa che tutti volevano… Anzi, non le dico la visita del Papa, la corsa per i biglietti o altre cose, perché ognuno voleva essere in qualche modo rappresentato… si vede che questo poi gli serviva…».
Sutto racconta, però, che con il passare degli anni diventò più difficile riscuotere le quote, seppure Sutto abbia raccontato che tutti la versavano «spontaneamente»: «Io con la Giusy (Conti, l’addetta stampa, ndr) sollecitavo, la Giusy tramite le lettere… poi la cosa è andata scemando e soprattutto credo che tanti abbiano smesso dopo che è andato via il Patriarca Scola…» (gla)

 

I BONIFICI – Dopo un paio d’anni riscossioni più difficili

VENEZIA – Tutti in coda per finanziare il Marcianum e farsi belli con l’allora Patriarca, il cardinale Angelo Scola. A raccontare la singolare corsa a finanziare la Fondazione culturale della Curia veneziana – in buona parte con i soldi provenienti dalle false fatturazioni – è stato Federico Sutto, uno dei più stretti collaboratori dell’allora presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, che del Marcianum fu tra i soci fondatori e anche presidente.
Sutto, già finito ai domiciliari assieme a Mazzacurati, nel luglio del 2013, è stato nuovamente arrestato nell’operazione della scorsa settimana con l’accusa di corruzione: evidentemente i magistrati della Procura non hanno creduto alla versione fornita lo scorso anno, quando raccontò di aver avuto l’incarico di portare una serie di buste e cartelline per conto di Mazzacurati, senza però sapere con esattezza cosa contenessero. Un incarico recente, dal 2011, perché prima se ne occupava un altro indagato, anche lui in carcere, Luciano Neri. In quelle buste lo stesso Mazzacurati ha spiegato che vi erano i soldi destinati a politici e funzionari pubblici.
Sulla vicenda del Marcianum, invece, Sutto ha parlato a lungo, non nascondendo però il suo fastidio per un ambiente che non gli appartiene: «Con questo mondo non c’entro niente… ma lavorando con Mazzacurati ho dovuto fare anche questo».
Il suo compito era di sollecitare le varie imprese che lavoravano per il CVN a sostenere il Marcianum: versamenti del tutto regolari, quote annuali versate tramite bonifico. All’inizio tutti erano contenti di mettersi in buona luce con il Patriarca, e le quote versate da ciascuna azienda ammontava a 30-40 mila euro: «Il rapporto con il Patriarca e con questa parte del mondo della Curia per loro era una cosa che interessava. Soprattutto nei primi due anni, quando si trattava di andare a fare le riunioni… era una cosa che tutti volevano… Anzi, non le dico la visita del Papa, la corsa per i biglietti o altre cose, perché ognuno voleva essere in qualche modo rappresentato… si vede che questo poi gli serviva…».
Sutto racconta, però, che con il passare degli anni diventò più difficile riscuotere le quote, seppure Sutto abbia raccontato che tutti la versavano «spontaneamente»: «Io con la Giusy (Conti, l’addetta stampa, ndr) sollecitavo, la Giusy tramite le lettere… poi la cosa è andata scemando e soprattutto credo che tanti abbiano smesso dopo che è andato via il Patriarca Scola…» (gla)

 

LA POLITICA Alfano: profonda indignazione

Letta e Ghedini querelano

Tosi: contributo regolare

Tremonti: non sono indagato e non verrò sentito

Giorgetti: “società civile” più coinvolta dei politici

MATTEOLI SMENTISCE – Mazzacurati: consegnai soldi a casa sua

Querelano tutti. Ministri e big del governo Berlusconi tirati in ballo a vario titolo nell’inchiesta Mose dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova (Cvn), Giovanni Mazzacurati e da Piergiorgio Baita, ex ad della Mantovani. Querela Gianni Letta, all’epoca potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Querela Altero Matteoli, ex ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture, indagato: Mazzacurati ha messo a verbale di aver «consegnato personalmente denari presso la sua abitazione in Toscana». Lui smentisce («mai percepito denaro nè utilità di sorta» e resta in attesa di chiarire davanti ai magistrati.
Querela Niccolò Ghedini, avvocato di Berlusconi e di Galan, coordinatore di FI veneta dal 2005: «Un’invenzione che io abbia ricevuto soldi da Baita, come lui afferma. Nè direttamente nè indirettamente». Aggiunge la sua legale, Giulia Bongiorno: gli stralci degli interrogatori in cui Baita parla di Ghedini «non sono mai stati resi dall’indagato Baita e dunque non esistono agli atti del procedimento».
Precisa Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia, che Mazzacurati dice di aver incontrato un paio di volte per sollecitarlo a mantenere costante il ritmo dei finanzimaenti al Mose, ma senza parlare di soldi in alcun modo. L’ex ministro ribadisce che non è indagato, come del resto confermato dalla stessa Procura di Venezia, e che non sarà sentito.
Querela Renato Brunetta, chiamato in causa per un finanziamento alla campagna elettorale per le comunali veneziane del 2010: «Finanziamento ricevuto non dal Cvn, regolarmente contabilizzato e dichiarato secondo legge». Anche per Flavio Tosi, sindaco di Verona e segretario della Liga veneta, Baita parla di un contributo alla campagna elettorale alle comunali di Verona del 2012: «Ho dato all’ing. Del Borgo (Luigi Del Borgo, bellunese, uno dei 35 arrestati, titolare di una società che si occupa di risanamento ambientale n.d.r.) il rimborso di un versamento che ha fatto a favore del sindaco Tosi». L’ex manager di Mantovani, parla di «15mila euro, mi pare» precisando, in risposta alla domanda dei pm, che si trattava di un finanziamento regolare. Poi aggiunge che lui stesso ha rimborsato a Del Borgo – titolare di una miriade di società che lavoravano con Mantovani – la cifra, con un contratto di fornitura. «Sono sicuro: perché – ricorda – ho visto il bonifico fatto ad una società di Del Borgo e mi ha dato il giustificativo». Da parte sua, Tosi si dice «tranquillo» al punto che – spiega – «ho depositato alcune settimane fa l’elenco dei finanziatori alla Procura di Verona per garantirne un autorevole controllo», stante l’impossibilità di «rendere noti i nomi senza il consenso degli interessati, consenso richiesto ma non ottenuto». Tosi dunque è sicuro che «tutti i finanziamenti ricevuti sono regolari». Sarebbero un centinaio circa. Non nega che tra questi figuri quello di Dal Borgo, ma «non risulta l’importo citato». Tosi non lo dice, ma sembra che il contributo pervenuto da parte di Dal Borgo sia di 5.000 euro circa. Baita è certo che ne ha rimborsati 15.000 a Dal Borgo. Se è così, dove sono finiti gli altri 10.000 o giù di lì? Comunque, il sindaco scaligero sottolinea che «nè la Mantovani ai tempi in cui era diretta dall’ing. Baita nè l’ing. Dal Borgo hanno mai ricevuto lavori o incarichi dal Comune nemmeno per un euro». È da capire quali fossero gli eventuali rapporti tra Tosi e Dal Borgo e per quale ragione l’ingegnere di Pieve d’Alpago avesse sostenuto la sua campagna.
Su tutta l’inchiesta dice la sua Alberto Giorgetti, ex sottosegretario all’Economia e coordinatore veneto del Pdl dal 2009 a fine 2013: «Brutta storia. Mi auguro che gli esponenti del mio partito coinvolti dimostrino la loro estraneità ai fatti. Spero che la magistratura li accerti velocemente». Giorgetti però osserva: «La Tangentopoli dei primi anni ’90 coinvolgeva direttamente e in modo massiccio i vertici dei partiti. Stavolta, i politici sono la netta minoranza e molti sembrano aver agito come singoli. C’è invece un ampio coinvolgimento della società civile, a tutti i livelli, compreso il sistema dei controlli». Il Pdl? «La guardia è sempre stata tenuta alta, mai avuto traccia di situazioni strane, nulla da rimproverare al partito in termini di serietà e trasparenza delle procedure. Il Mose è questione molto veneziana e padovana». Sul suo ex “capo” Giulio Tremonti, mette la mano sul fuoco: «Non ho dubbi che sia totalmente estraneo, per caratteristiche personali e culturali». E da Roma rimbalza anche «la profonda indignazione» del ministro dell’Interno, Angelino Alfano: «Quello che emerge è una vera vergogna».

 

L’idea di Colombelli

«Ci facciamo la banca a San Marino»

Un milione di capitale, le carte già pronte, socia la Minutillo

Poi la loro storia d’amore naufragò e con essa anche il progetto

SUL TITANO – Il console: «Ero il responsabile per la Regione Veneto»

IL PROGRAMMA – L’istituto destinato a gestire tutti i fondi per i project financing

LE CARTE – La banca mai nata perché un amore è finito male

Una banca per gestire dalla Repubblica di San Marino tutti i fondi per il project financing su operazioni italiane.
La geniale idea era venuta a William Ambrogio Colombelli, titolare della Bmc Broker, la società sanmarinese utilizzata da Piergiorgio Baita per realizzare false fatture per milioni di euro e poter così costituire consistenti provviste “in nero” per poter pagare i politici, sia quelli di centrodestra sia quelli di centrosinistra, come è emerso nell’inchiesta condotta dai pm Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini.
«Abbiamo creato da zero una banca», ha raccontato nell’interrogatorio del 12 marzo 2013. Tessera numero 5 di Forza Italia, Colombelli la banca l’aveva già pronta: capitale sociale già versato un milione di euro, sede e struttura già reperite: Finanziaria Infrastrutture era ad un passo dal diventare operativa quando l’allora seconda socia nel progetto, l’ex segretaria del presidente della Regione Giancarlo Galan, Claudia Minutillo (con cui Colombelli aveva una relazione sentimentale) decise di rompere il rapporto d’amore e con esso anche quello d’affari. Tenendosi peraltro i soldi, come ha lamentato lo spregiudicato finanziere davanti ai magistrati.
Nel suo lungo interrogatorio ammette di aver fabbricato false fatture su commissione della Mantovani come se fosse un gioco di società, guadagnando fior di quattrini e consentendo a Baita di mettere da parte milioni da utilizzare per finanziare e corrompere la politica.
Colombelli ha spiegato di essere molto amico di Galan («conosciuto tantissimo tempo prima tramite Nicolò Ghedini che conosco da 25 anni») e di essere stato per questo nominato «console a disposizione della Repubblica di San Marino sul Veneto… Io ero il responsabile sanmarinese per la Regione Veneto, ha precisato. Precisando che in questa veste accompagnò Galan alla firma di un accordo bilaterale con San Marino e, successivamente, ad aprire «un conto corrente nella Banca del Titano». Conto che Colombelli dice non essere mai stato utilizzato dall’ex presidente della Regione: l’unico versamento da 50mila euro sarebbe stato fatto dalla Minutillo.
Che Colombelli fosse un genio delle “provviste calndestine di denaro” lo si ricava anche dai verbali di interrogatorio di Claudia Minutillo. Colombelli si era fatto le ossa con Forza Italia a Milano e ora stava lavorando nel Veneto, ma per non correre rischi a portar su e giù i soldi in nero delle fatture false, si era fatto nominare console di San Marino in Veneto. Così i soldi li portava sempre Colombelli «perchè si sentiva sicuro, perchè diceva che essendo un diplomatico non sarebbe stato controllato». Si tratta di centinaia di migliaia di euro che Colombelli semplicemente ritirava in banca e portava a Baita. A fronte di che? «Lei ha visto quali sono le numerosissime fatture emesse da Bmc di Colombelli nei confronti della Mantovani Spa per progettazioni?» Il pm che interroga Claudia Minutillo enumera una serie infinita di consulenze che vanno dalle «campagne pubblicitarie e di promozione dei cantieri aperti per la salvaguardia di Venezia» allo «studio e progettazione del nuovo terminal Ro-Ro di Fusina» inaugurato proprio il giorno in cui è stato arrestato il sindaco Orsoni. Ebbene, chiede il pm, «che lei sappia queste fatture sono relative a che cosa?» Risposta della Minutillo. «A nulla».
Gianluca Amadori

Maurizio Dianese

 

L’INDAGINE – Su disposizione del prefetto

SUPER LUSSO – Ville e società per l’ex governatore

Limousine e hotel per il finanziere

Controlli degli agenti della Direzione investigativa antimafia nei cantieri del terminal Fusina e dell’Autostrada A4

OBIETTIVO – Infiltrazioni della mala e lavoro in nero negli appalti pubblici

LE INFRASTRUTTURE Mantovani nel mirino: i lavori per Autostrada del mare e Terza corsia

IL BLITZ Una cinquantina di agenti della Dia ha esaminato carte e controllato il personale

L’antimafia passa al setaccio i cantieri di Fusina e della A4

Ispezioni ai cantieri del terminal di Fusina e dell’autostrada A4. Su disposizione del prefetto, e con il coordinamento tecnico-operativo della Direzione investigativa antimafia, ieri per un’intera mattinata sono stati passati al setaccio i cantieri della Mantovani impegnati nel realizzare il terminal dell’autostrada del mare di Fusina e i cantieri all’opera nel tratto di A4 compreso tra Quarto d’Altino e San Donà di Piave dove si sta realizzando la terza corsia, ma anche altri interventi come l’installazione delle barriere fonoassorbenti.
Cinquanta operatori delle forze dell’ordine e anche ispettori del lavoro hanno fatto accessi per sventare situazioni di pericolo sul fronte delle infiltrazioni mafiose nel settore degli appalti pubblici. Oltre a questo le forze dell’ordine hanno controllato montagne di documenti che riguardano le ditte appaltatrici e subappaltatrici per verificare il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro. Non solo, sono state anche controllate le posizioni dei singoli addetti per sventare la presenza di posizioni irregolari e prevenire così il ricorso al “lavoro nero”.
E la presenza dei cinquanta “ispettori” non è certo passata inosservata, specie a Fusina dove a finire sotto la lente d’ingrandimento è stato un cantiere della Mantovani, la società ora nell’occhio del ciclone per la vicenda giudiziaria legata al Mose e al giro di “mazzette” che coinvolge i personaggi di spicco della politica veneta.
Dalla prefettura fanno però sapere che gli accessi di ieri mattina, sia a Fusina che in A4, sono attività programmate da tempo che periodicamente il prefetto dispone su diverse realtà del territorio. È successo nei mesi scorsi che altri cantieri venissero coinvolti dai controlli, ma che lo stesso servizio venisse fatto a realtà diverse come società ed aziende quali ad esempio la Fincantieri.
Iniziative decise dal Gruppo interforze, costituito presso la Prefettura di Venezia – come previsto dall’articolo 15 del decreto legislativo 190 del 20 agosto del 2002 – sotto il coordinamento tecnico del Centro operativo di Padova della Direzione investigativa antimafia che ha visto ieri al lavoro cinquanta tra rappresentanti delle forze dell’ordine e ispettori del lavoro.
L’obiettivo delle ispezioni è evitare che ci siano infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici, ma anche che i lavori vengano svolti nel pieno rispetto della normativa.
Gli agenti giunti ieri nei due cantieri, ma anche negli uffici della Mantovani, hanno raccolto materiale che sarà ora oggetto di approfondimenti investigativi. Solo nei prossimi giorni si potrà quindi sapere se sono emerse posizioni irregolari e non rispettose delle norme.

Raffaella Ianuale

 

L’INCHIESTA – Blindati gli uffici della Procura. Ora si accede solo con il pass

VENEZIA – A “parlare” nell’inchiesta Mose adesso sono le carte, migliaia di atti raccolti in una quindicina di faldoni su cui adesso dovranno lavorare gli avvocati della difesa. Pagine da cui spuntano decine di nomi, anche di politici o amministratori locali, che non risultano indagati e che affidano a smentite ogni possibile accostamento del loro nome alle indagini in corso. Il procuratore capo Luigi Delpino – che ieri ha avuto un colloquio con l’aggiunto Carlo Nordio e altri pm – ha dato disposizioni affinché gli uffici siano aperti ai soli addetti ai lavori. La stampa è stata garbatamente messa alla porta. In procura si può accedere solo con il pass del personale. Anche le porte tagliafuoco sono state chiuse. E probabilmente sarà lo stesso Delpino a sentire l’ex governatore Giancarlo Galan.

 

INTERROGATORI – Decine di domande su Marchese: potrebbe rientrare nell’identikit

BOCCA CUCITA – Il “postino” Sutto parla su tutto, ma non sul personaggio misterioso

Negato a Simionato il colloquio con il sindaco

Il vice: «Necessario un passaggio di consegne». Bettin. «Si è lucrato sui terreni contaminati»

La giornata inizia con il colloquio negato dalla Procura tra il sindaco agli arresti domiciliari, Giorgio Orsoni, e il suo vicesindaco diventato facente funzioni, Sandro Simionato. E finisce con un comunicato stampa dello stesso Simionato che annuncia la volontà del Comune di Venezia di costituirsi parte civile nell’eventuale processo per lo scandalo Mose. A Ca’ Farsetti, dopo i primi giorni di choc, si vive così, in un’incertezza sul futuro che non accenna a risolversi. E la volontà di smarcare l’amministrazione da una vicenda che continua a sollevare fango.
Ieri Simionato ha incontrato brevemente il procuratore capo Luigi Delpino. L’obiettivo era quello di ottenere un breve incontro con Orsoni per un passaggio di consegne sulle partite aperte da chiudere. Ma, soprattutto, per sapere le intenzioni del sindaco attualmente sospeso: se decidesse di dimettersi, infatti, il commissariamento sarebbe automatico. Questioni destinate a restare ancora senza risposta. «Il procuratore ha spiegato che non è contrario all’incontro – riferisce Simionato – ma ci ha chiesto di pazientare ancora un po’».
L’incertezza, dunque, continua e le variabili in campo si moltiplicano. Oltre alla spada di Damocle rappresentata dalle scelte di Orsoni, c’è attesa anche per l’assemblea nazionale del Pd, fissata per sabato, in cui si tornerà a parlare del caso Venezia. Intanto la direzione comunale del partito, convocata l’altra sera, ha messo a nudo tutta la tensione interna. Alla fine è prevalsa l’idea di arrivare al massimo all’approvazione del bilancio, entro luglio. Sull’opportunità o meno di questa possibilità, la Giunta promuoverà comunque una sorta di sondaggio tra i rappresentanti di categorie, sindacati, terzo settore, mondo della cultura… Ma molti vorrebbero lasciare subito. E il consigliere Jacopo Molina ha rimesso il suo mandato in mano al segretario comunale, invitando i colleghi a fare altrettanto, proprio in vista dell’assemblea nazionale di sabato.
Intanto continuano le prese di posizioni su uno scandalo che ha sconvolto la città. Duro l’atto d’accusa dell’assessore all’ambiente, Gianfranco Bettin, sulla vicenda delle bonifiche dei terreni contaminati di Porto Marghera: «Apprendiamo dalle carte e dagli sviluppi dell’inchiesta che da parte di politici, ministri e funzionari in particolare dei ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture si sarebbe lucrato su questa tragedia per milioni e milioni di euro (prodotti dalle inchieste e dai processi che avevano spinto le aziende inquinatrici a pagare indennizzi allo Stato, cioè alla comunità). Una parte di questi fondi sarebbe stata distratta dalla bonifica in favore di tangenti pagate a imprese nullafacenti, ma con il ruolo di canalizzare tangenti verso politici e funzionari». Mentre un nutrito gruppo di consiglieri comunali di maggioranza chiede una «commissione d’inchiesta parlamentare sul Consorzio Venezia Nuova», il «superamento della concessione unica», lo scioglimento del Consorzio stesso, da sostituire con un’«Autority indipendente».

 

Orsoni: «Ecco chi ha preso il denaro per conto del Pd»

I primo cittadino di Venezia si smarca dall’accusa di tangenti e rovescia le colpe sul partito

Ma resta la dichiarazione di Mazzacurati che attesta di avergli portato le buste a casa

«I soldi sono andati al Pd. E io vi posso anche indicare chi è quel Compagno X che ha ritirato i quattrini perchè so chi si occupava dei finanziamenti per il partito in quel periodo.» Più o meno è così che il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni si tira fuori dalla palude e scarica le responsabilità del finanziamento illecito sul Partito democratico. Che comunque non era già messo bene perchè è accertato ormai che il Consorzio Venezia Nuova ha inondato di soldi il Pd così come ha finanziato Forza Italia. Per quanto riguarda Orsoni era già chiaro che sarebbe stata questa la linea difensiva del sindaco. Nelle dichiarazioni spontanee davanti al Gip Scaramuzza, Orsoni infatti aveva chiarito che sia Baita sia Mazzacurati avevano detto chiaramente di aver dato a Federico Sutto – dipendente del Consorzio – soldi “per Orsoni” e non “a Orsoni”. Poi è pur vero che Mazzacurati aveva aggiunto di aver pagato anche personalmente Orsoni, portandogli centinaia di migliaia di euro direttamente a casa, ma questo passaggio per adesso teniamolo da parte. La difesa di Giorgio Orsoni, per quanto riguarda i soldi transitati attraverso le mani di Sutto si era imperniata sull’interpretazione di quella preposizione semplice. Quel “per” che non ha nulla a che vedere con “a”. Ebbene i soldi “per Orsoni” sono stati fisicamente incassati dal Compagno X che poi non è impossibile individuare in una persona che nel Pci prima e poi nei Diesse e nel Pd si è sempre occupato di questo e cioè di tirar su quattrini per il partito. Si tratta di una persona che viene indicata anche da altri come collettore di tangenti. Il problema di Orsoni è che questo Compagno X non è detto che confermi di aver ricevuto il denaro. Potrebbe dire di non aver mai visto un cent oppure potrebbe confermare di averli presi. Intanto il sindaco nell’interrogatorio davanti ai pm è stato chiaro: io con quei soldi del Consorzio non c’entro, li ha presi l’incaricato del Pd e potrebbe anche averli usati in parte per la mia campagna elettorale.
Adesso la Procura dovrà fare i riscontri ed interrogare il diretto interessato. Anzi, ne deve interrogare due perchè i soldi “per Orsoni” sono passati da Baita e Mazzacurati a Ferdinando Sutto, che era il postino, al Compagno X. Per ora Sutto, nonostante centinaia di pagine di verbali non ha detto nulla. Si è dimostrato ciarliero come una gazza, ma non ha detto nulla di nulla. Lui non sapeva nulla, riceveva e consegnava. Mister Bancomat, insomma. Consegnava le buste: “Presumo che ci fossero dentro dei soldi” – detta a verbale. Quanto, come, quando? «Non ho idea». Ecco, Sutto nega tutto e anche qualcosina più di tutto e comunque nega di aver dato soldi a Orsoni. Dice di aver avuto a che fare con il conto corrente ufficiale di Orsoni, ma non ha mai fatto “consegne” dirette. Negli interrogatori a Sutto vengono fatte decine e decine di domande su Giampietro Marchese, che potrebbe rispondere all’identikit del Compagno X. Marchese, dice Sutto «era il referente per quanto riguarda tutta l’area Ds e Pd dopo e i rapporti li tiene direttamente Mazzacurati». Sutto ammette di sapere che Mazzacurati dava soldi a Marchese. Alla domanda: «Lei lo pensa?» Sutto risponde: «Io lo penso». «Lo pensa perchè?» «Perchè Marchese faceva politica». È un dialogo alla Ionesco, con il pubblico ministero che gioca come il gatto con il topo. Dopo l’interrogatorio del sindaco Orsoni, i pm Stefano Buccini, Stefano Ancillotto e Paola Tonini torneranno dunque da Sutto e gli diranno: «Embè? Come la mettiamo con i finanziamenti ad Orsoni?» E si vedrà se Sutto continuerà a pattinare sul ghiaccio o se ammetterà che c’è stato passaggio di denaro “per Orsoni” ad un referente del Pd, forse lo stesso Giampietro Marchese. Subito dopo i pm dovranno sentire Marchese. Che cosa dirà il Compagno Marchese ai magistrati? Ecco, questo è il punto di domanda sul quale si gioca la vita pubblica di Giorgio Orsoni. Se gli va dritta gli resta “solo” da difendersi dall’accusa di Mazzacurati: «Ho portato i soldi a Orsoni direttamente a casa sua».

Maurizio Dianese

 

LA MISSIVA – La lettera scritta a mano da Marchese: «Esco dal Pd passo nel Gruppo Misto»

VENEZIA – La lettera è stata scritta a mano e fatta recapitare lunedì a Palazzo Ferro Fini. Con una grafia che ha scosso il presidente del consiglio regionale del Veneto, destinatario della missiva («Mi ha colpito la scrittura», ha raccontato Clodovaldo Ruffato), il consigliere Giampietro Marchese ha comunicato la sua decisione, «con decorrenza immediata», di lasciare il gruppo del Pd per passare al gruppo Misto.
Solo dopo l’arresto avvenuto mercoledì scorso, i vertici regionali del Partito democratico veneto avevano puntualizzato che Marchese non era più iscritto al Pd da due anni. A Palazzo Ferro Fini pochi ne erano a conoscenza. Marchese alle elezioni del 2010 non era stato rieletto in Regione. L’anno dopo, 2011, il gruppo del Pd, all’epoca presieduto dall’attuale senatrice Laura Puppato, l’aveva fatto eleggere come rappresentante dell’opposizione nel consiglio di amministrazione della Cav, la società che gestisce il passante di Mestre. Incarico che è andato a sommarsi a quello avuto dal Comune di Venezia per la presidenza di Ames, la società che gestisce farmacie e mense. Finché, l’anno scorso, complici le dimissioni di Andrea Causin, eletto deputato, Marchese è rientrato al Ferro Fini. Nel gruppo del Pd, anche se – ma lo si è appreso solo ora – non era più iscritto al partito. Adesso è passato al gruppo Misto. (al.va)

 

IL NODO – Ca’ Farsetti a rischio commissariamento

REGIONE VENETO Prima seduta dell’assemblea dopo l’arresto di un assessore e un consigliere

Zaia: «Questa vicenda ci ha già fatto perdere i Mondiali di sci a Cortina»

IN AULA Il presidente Ruffato: «Frastornati»

Tiozzo: «La maggioranza è sempre la stessa»

«Danneggiati dalle mazzette»

LA RELAZIONE – L’intervento del governatore Luca Zaia ieri pomeriggio in consiglio regionale

AMMISSIONI «I rapporti con il referente di Ds (e Pd poi) li teneva il capo del Consorzio»

Tutti gli assessori presenti, tranne Renato Chisso. Tutti i consiglieri al proprio posto, tranne Giampietro Marchese. È la prima seduta del consiglio regionale del Veneto dopo la Grande Retata Veneziana e a Palazzo Ferro Fini non si può ignorare che un assessore di Forza Italia e un consigliere del Pd sono in gattabuia, accusati di corruzione e finanziamento illecito. L’assemblea era stata convocata per votare i referendum su autonomia indipendenza della regione, ma lo scandalo delle mazzette legate al Mose e al Consorzio Venezia Nuova, il nauseante intrigo di malaffare che ha coinvolto anche il precedente governatore, per non dire di funzionari e dirigenti regionali, non poteva essere ignorato. «Siamo frastornati», ammette il presidente del consiglio regionale, Clodovaldo Ruffato, invitando la politica a prendere «consapevolezza» delle proprie falle e dell’indignazione dei cittadini.
In aula, come avvenne nel 2010 per la Grande Acqua che travolse il Veneto, c’è il presidente Luca Zaia che a norma di regolamento chiede di relazionare. Stavolta lo tsunami è giudiziario e i veneti, dice il presidente della Regione, ci hanno già rimesso. Il governatore annuncia che la Regione si costituirà parte civile e svela un retroscena: il giorno dopo gli arresti, a Barcellona si decidevano le sorti dei Mondiali di sci del 2019. «Eravamo certi dell’assegnazione. E invece è finita 9 a 8. La svedese Aare ha battuto la nostra Cortina, ci abbiamo rimesso 35 milioni di euro. Ma quello che non sapete è che ai delegati, prima del voto, sono state distribuite le pagine che il quotidiano La Vanguardia aveva dedicato allo scandalo delle mazzette a Venezia». Bella pubblicità. Zaia puntualizza: i processi si fanno nelle aule di tribunale. E mostra il telegramma che Renato Chisso ha fatto spedire la mattina del 4 giugno per comunicare le dimissioni da assessore, solo che il protocollo l’ha registrato il giorno dopo. Il governatore dice che tutte le grandi opere di questi anni non sono state decise dalla sua giunta, ha avuto una “eredità” da 4,3 miliardi di euro di interventi decisi precedentemente e che, comunque, non saranno fermati. «Ma la sensazione – dice Zaia – è paragonabile a una cupola, come se ci dicessero “arrendetevi, siete circondati”. Sarebbero coinvolti esponenti della Finanza, del Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Tar, servizi segreti, Magistrato alle Acque. Domando: un amministratore che si vuole confrontare con onestà, con chi può farlo?».
In aula, dopo Zaia, tra capigruppo e consiglieri intervengono in dodici. Chi a chiedere di fare «gare vere, unico antidoto alla corruzione» (Diego Bottacin, Verso Nord), chi a invocare il blocco del project financing per il nuovo ospedale di Padova (Antonino Pipitone, Idv). E chi, come Pietrangelo Pettenò (Sinistra) a ricordare che anche il consiglio regionale ha le sue responsabilità: «Dove eravamo quando abbiamo dato il via libera al piano delle opere di disinquinamento della laguna facendo passare in quell’investimento, gestito dal concessionario unico, anche il restauro del palazzo del Patriarcato di Venezia?». Duro nei confronti di Zaia il capogruppo del Pd, Lucio Tiozzo: «Non è sufficiente dire che dal 2010 questa amministrazione si è limitata a eseguire decisioni prese precedentemente, la maggioranza politica è la stessa». E ancora più duro l’azzurro Moreno Teso, che ha chiesto a Zaia di affidare le deleghe che erano di Chisso a una personalità non di nomina partitica da presentare al consiglio per avere la fiducia. Ma Teso è andato oltre: «La Regione ha avuto alla guida della segreteria alla sanità un condannato in primo grado e un inquisito. Questo non deve più accadere, così come non deve più accadere che un pluripregiudicato svolga incarichi per l’istituzione pubblica». Zaia: «Apprendo ora, approfondirò».
E oggi, con questo clima, si dovrebbe votare l’indipendenza del Veneto?

Alda Vanzan

 

L’INCHIESTA – La decisione di Ca’ Farsetti al termine di una giornata sofferta

Il Comune si costituisce parte civile

Il Comune di Venezia si costituirà parte civile nell’eventuale processo per lo scandalo del Mose. Decisione ufficializzata ieri, da Ca’ Farsetti, al termine di una giornata sofferta. In mattinata, ai giornalisti, il sindaco facente funzioni, Sandro Simionato, aveva ribadito la sua preoccupazione per quel «cancro che si è inserito in tutti i gangli della realtà cittadina». Se la Giunta alla fine resterà per chiudere il bilancio, lo farà solo «nell’interesse della città e dei cittadini che non hanno colpe, come del resto non ha colpe il resto dell’amministrazione comunale».
Nel pomeriggio l’annuncio della costituzione di parte civile dell’amministrazione comunale di Venezia proprio «a difesa del buon nome della città». Scrive Simionato nella nota uffciale: «Così come ho avuto modo di dichiarare ieri (lunedì, ndr.) nel corso del Consiglio Comunale, riaffermo in modo chiaro l’assoluta estraneità dell’amministrazione comunale di Venezia nelle vicende sollevate in questi giorni delle indagini della magistratura. É del tutto evidente che la città di Venezia nella sua interezza si considera parte lesa in questa circostanza. Ritengo a questo punto necessario, a tutela del buon nome della città, delle persone oneste che ci lavorano, delle persone oneste che ci vivono, insomma di tutti i cittadini, procedere a tempo debito alla costituzione di parte civile contro quel sistema criminogeno che ha prodotto corruzione, concussione e malaffare, come per altro ribadito dal documento presentato ieri dai gruppi di maggioranza».

I giornalisti non sono proprio desiderati in Procura. Dopo la chiusura delle porte dell’accesso al terzo piano, presto potrebbe essere interdetto ai cronisti anche il secondo piano. Gli effetti dell’inchiesta sul Mose, quindi, si fanno sentire ed ora per chi quotidianamente è chiamato a verificare le informazioni la situazione è destinata a complicarsi. È probabile che la decisione della Procura di Venezia sia stata presa anche dopo l’arrivo dei giornalisti di testate nazionali e delle televisioni che in questi giorni hanno affollato i corridoi.

 

L’IDENTIKIT DEL “TUTORE” «Occorre una persona di caratura che conosca molto bene la città»

I TIMORI DIFFUSI «Troppi progetti da completare rimarrebbero in sospeso»

ATTENDISTI – Confartigianato e Aepe aspettano l’incontro con il vicesindaco

Una Procura blindata, bloccati gli accessi agli uffici dei magistrati

OPINIONI CONTRASTANTI – Contrari Confesercenti e Confcommercio

Ava: «Ok se la macchina comunale cambia»

«Un commissario? Adesso sarebbe deleterio». «Ma no, se poi la macchina comunale sarà diversa ben venga». Dopo il Consiglio comunale dell’altroieri, le categorie commerciali si spaccano sulla prosecuzione del mandato o sulla prospettiva di un commissariamento della città. Decisamente favorevole ad andare avanti «fino alla fine della legislatura» è il direttore di Confesercenti Venezia, Maurizio Franceschi, secondo cui «ci sono numerosi progetti riguardanti la riqualificazione e il riordino della città che devono essere portati a compimento e non lasciati in sospeso, cosa che accadrebbe se il Comune fosse commissariato». Facendo appello alle forze politiche «per il sostegno a una continuità fino al 2015 assicurata dal vicesindaco Sandro Simionato con funzioni di sindaco», Franceschi ricorda che «Venezia e la sua cintura urbana hanno bisogno, soprattutto ora, di un’amministrazione che abbia pieni poteri, per “chiudere il cerchio” su questioni fondamentali e attese da anni».
Dello stesso avviso Massimo Zanon: «Il commissariamento del capoluogo lagunare sarebbe deleterio – taglia corto il presidente di Confcommercio Veneto – Ci sono impegni da portare avanti, cantieri da ultimare, una città metropolitana da costruire, un bilancio da votare. Altre emergenze non servono: ne patirebbero i veneziani».
Di tutt’altra opinione Vittorio Bonacini, schierato per una proroga finalizzata alla votazione del bilancio entro il 31 luglio, ma poi propenso a un «tutti a casa». «Certo, ci aspetta un anno di lacrime e sangue – commenta il presidente dell’Ava – Ma se poi avremo una macchina comunale diversa, ben vengano commissario ed elezioni. Noi siamo imprenditori, non dividiamo l’amministrazione in buoni e cattivi. Tuttavia, ci troviamo di fronte a una crisi sistemica che avrà ripercussioni sull’intera nazione e potrebbe estendersi ad altri settori come sanità e viabilità. La mia speranza? Che questo sia l’inizio di una stagione nuova per la nostra martoriata Venezia».
In stand-by, invece, Ernesto Pancin: «Il vicesindaco ha detto che vuole parlare con le categorie, e sarebbe irrispettoso pronunciarsi prima del colloquio – chiarisce il segretario dell’Aepe – Noi nel mare di dichiarazioni abbiamo preferito mantenere un basso profilo, e non abbiamo cambiato idea. Dopo la convocazione, assumeremo la posizione ritenuta migliore per il bene della città».
Anche Gianni De Checchi preferisce aspettare l’esito del confronto con Simionato: «Faremo la nostra parte e daremo come sempre il nostro contributo – commenta il segretario di Confartigianato Venezia – Distinguendoci dal clamore della politica partitica, legittimo ma che non ci appartiene: rappresentiamo il mondo economico e sappiamo bene che molti progetti devono essere completati. Quindi, se ci sono le condizioni, l’amministrazione prosegua. In caso contrario, auspichiamo che il commissario prefettizio sia una persona di notevole caratura e con una profonda conoscenza della città. In altre parole, che non espleti il suo mandato in modo eccessivamente burocratico, perché qui di stop e danni ne abbiano subiti fin troppi».

 

L’ACCUSA DEL COMITATO «Fatti interventi assurdi in termini costi-benefici»

LE ELEZIONI «Dopo quaranta anni in città serve una svolta»

L’INCHIESTA MARITAN «Non ho mai ricevuto soldi e non ho aiutato le imprese»

APPALTI E POLITICA «Da tanto tempo si parlava dei costi che erano lievitati»

L’INCHIESTA SUL MOSE «È uno dei momenti più delicati della storia recente di Venezia»

«Opere complementari al Passante servivano come “bonus” di lavori»

«Opere inutili e impattanti trovano un perché». Lo scandalo Mose, che incombe su altre infrastrutture venete, ridà fiato ai dubbi mossi da tempo dal Comitato Pro Complanare di Martellago, oppostosi invano, e con ricorsi alla magistratura, a un’opera complementare del Passante, la bretella via Roma-Castellana, e al casello di Martellago-Scorzè, pronto per fine anno. «Una revisione critica del passato recente in tema di grandi opere nel Veneto ripropone interrogativi inevasi che ora paiono chiarirsi alla luce dei fatti scoperchiati dalla Procura. Anche se in molti avevano già gridato allo scandalo, accusando che attori e controllori erano gli stessi, mentre la mancanza di trasparenza nelle procedure ha contribuito a paludare il magna-magna generale» accusa il Comitato e va al sodo. «L’apertura della bretella di Martellago, di 4 km, con viadotto sul Passante, tre rotonde, un sottopasso, la rettifica di un metanodotto e del Rio storto, tenacemente voluta dall’amministrazione comunale e da un parlamentare locale, è stata benedetta in modo stomachevole dalla Cav e da Veneto Strade, rappresentata dall’assessore Chisso e dall’ingegner Fasiol. L’opera non è giustificabile con una mera analisi costi (15 milioni) – benefici. Pare sia servita più a dare un “bonus” di lavoro a imprese questuanti che a risolvere i nodi viari locali, che anzi ne escono ancor più intricati. Non a caso buona parte dei cittadini erano per un’alternativa meno costosa e impattante (una complanare al Passante)» continua il Comitato, entrando nel secondo punto. «Il procedimento di approvazione e l’avvio dei lavori del casello, con le sue propaggini a est e ovest di Martellago, è stato segnato da omissioni e scelte unilaterali e inspiegabili dal lato ambientale, funzionale e della spesa: 70 milioni per un’opera sovradimensionata posta al centro di un ex biotopo di pregio, che ha distrutto 25 ettari di superficie agricola scavalcando e costeggiando un fiume di risorgiva per tre km. A chi giova tutto ciò? Nessun problema della nostra viabilità è risolto. Gli ultimi accadimenti sembrano dare una risposta: quella che non si voleva».

 

Bettin attacca: «Dirottati ad imprese nullafacenti i fondi per le bonifiche»

«Nell’ambito dell’inchiesta sul “sistema Mose”, finalmente scoperchiato dalla magistratura, emerge un aspetto di grande rilievo che riguarda le bonifiche delle aree contaminate di Porto Marghera. È un dramma nel dramma in cui la crisi di un modello industriale ha prodotto gravi problemi occupazionali e sociali, oltre che sanitari, e lascia in eredità un disastro ambientale senza precedenti». È il duro atto d’accusa dell’assessore all’ambiente, Gianfranco Bettin.
«Apprendiamo dalle carte e dagli sviluppi dell’inchiesta – dice Bettin – che da parte di politici, ministri e funzionari in particolare dei ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture si sarebbe lucrato su questa tragedia per milioni e milioni di euro (prodotti dalle inchieste e dai processi che avevano spinto le aziende inquinatrici a pagare indennizzi allo Stato, cioè alla comunità). Una parte di questi fondi sarebbe stata distratta dalla bonifica in favore di tangenti pagate a imprese nullafacenti, ma con il ruolo di canalizzare tangenti verso politici e funzionari».

 

L’appello – INDAGATE ANCHE      SU VENETO CITY

I recenti fatti del Mose rendono a tutti evidente il danno che ai cittadini provoca la collusione tra politica e imprenditoria. Vorrei però far notare come i “soliti noti” abbiano potuto scorazzare imperterriti per anni prima che a loro carico si sia riusciti a produrre qualche prova che permetta ora di bloccarne le malefatte.
Le eventuali condanne poi (sempre che il tutto non finisca in prescrizione prima della fine del processo) saranno come sempre a dir poco ridicole rispetto a quanto invece deve pagare un qualunque cittadino nel caso gli venga addebitato un illecito.
Mi fa sorridere la farsa dei politici intervistati che si sono dimostrati stupiti e increduli perché pur supponendo che siano in buona fede, credo che se fossero stati meno seduti sulle proprie “careghe” e avessero parlato un po’ con la gente comune avrebbero saputo che la “vox populi” da tempo indicava il Mose come una delle maggiori ruberie perpetuate dalla politica ai danni della comunità. E’ la stessa “vox populi” che ritiene “Veneto City” una mera speculazione edilizia.
Sarei felice quindi se ora la Magistratura si prendesse la briga di indagare anche su “Veneto City” dato che nel caso specifico i “soliti noti” hanno acquistato terreni agricoli a prezzi stracciati ben sapendo che sarebbero diventati edificabili (qualcuno li ha forse messi al corrente dei futuri piani regolatori?).
Sempre “i soliti noti” che comprano la terra, progettano e costruiscono, hanno ottenuto dalla Regione l’autorizzazione a edificare l’ecomostro nonostante le proteste di cittadini, commercianti, associazioni autorevoli quali Italia Nostra e perfino il parere contrario del Magistrato alle acque.
I lavori proseguono anche se non si sa ancora chi andrà a occupare quell’enormità di metri cubi di cemento che avrà un impatto devastante sul fragile graticolato romano, ma servirà probabilmente a qualcuno per pagarsi le prossime campagne elettorali.
Penso inoltre che se qualora questi edifici di nuova costruzione non venissero venduti, potranno servire ai “soliti noti” (secondo quanto indicato dalle nuove regole edilizie) quale garanzia per potersi accaparrare gli appalti per l’edificazione di nuovi ecomostri.
In tal caso si finirebbe in un circolo vizioso che garantirebbe solo ai collusi di poter lavorare facendo così morire le piccole aziende e chi con la politica non ha avuto niente da spartire.

Mario Muneratti – Mirano

«Consegnai il denaro a Galan e anche all’assessore Chisso»

Claudia Minutillo confessa di aver ricevuto da Baita le buste con i soldi per i due uomini politici

Mazzacurati conferma, i rapporti con la Regione erano tenuti dal presidente di Mantovani

VENEZIA A incastrare sia l’ex presidente della giunta regionale Giancarlo Galan sia l’assessore Renato Chisso sono in particolare Claudia Minutillo, un tempo segretaria particolare del primo e poi del secondo, e soprattutto Piergiorgio Baita. Ecco ampi stralci dei loro interessanti verbali d’interrogatorio. La prima a parlare è lei. «L’imprenditore» racconta, «che per primo accettò di finanziare i politici veneti fu Baita, che io ebbi l’onere di presentare a William Colombelli su incarico di Galan a Venezia, organizzando un appuntamento all’hotel Santa Chiara. Ricordo che in quell’occasione ricevetti da Baita una busta contenente del denaro da consegnare a Galan, cosa che feci immediatamente dopo… Ricordo che io stessa in alcune occasioni mi recai nelle sede del Consorzio Venezia Nuova portando somme di denaro che consegnavo a Baita. In un’occasione ricordo che Baita divise la somma all’interno di una saletta del primo piano e una parte me la restituì affinchè io la consegnassi a Renato Chisso, cosa che feci lo stesso giorno». Infine, Minutillo conferma che «Chisso e Galan erano perfettamente a conoscenza del meccanismo che faceva perno sulla Bmc Broker di San Marino per la creazione della provvista necessaria a esaudire le richieste illecite provenienti dal mondo politico. Chisso più volte mi sollecitò di affidare “consulenze” alla Bmc al fine di ottenere la corresponsione delle somme di denaro che si aspettava». Ma è Baita che pagava in prima persona e che in quattro interrogatori lo rivela al pubblico ministero Stefano Ancilotto. «Il Consorzio», sostiene l’ingegnere della Mantovani, «ha sempre avuto un atteggiamento ecumenico verso le campagne elettorali, cioè pagava tutti. E soprattutto aveva un atteggiamento che ci ha creato delle difficoltà, come dirò dopo, perché pagava tutti ma non pagava i partiti, cioè pagava le persone, e questo ha creato non pochi malumori a livello di segreterie dei partiti, perché questi non vedevano arrivare una lira nelle campagne elettorali, ma qualche candidato del partito disponeva di più mezzi di altri, quindi con questo finanziamento alcuni candidati riuscivano a imporsi anche all’interno del proprio partito. Quindi, la linea non era di pagare i partiti o di pagare un partito, ma le singole persone che avessero una probabilità di vincere o di andare a fare i deputati, fare il sindaco». «Ho pagato come socio la campagna elettorale delle regionali 2005 consegnando 200 mila euro alla signora Minutillo, che allora lavorava col Presidente Galan, come contributo elettorale alla campagna del Presidente Galan», prosegue, «e ho consegnato i soldi all’hotel Santa Chiara di Piazzale Roma e in quell’occasione la signora Minutillo mi ha presentato Colombelli… Poi ho consegnato personalmente all’assessore Chisso circa 250 mila euro in due occasioni ». Domanda– Dove li ha dati? » Risposta– «Una parte era nella sede di Adria Infrastrutture e un’altra parte all’hotel Laguna a Mestre». Domanda– Esattamente ricorda a che distanza l’una dall’altra consegna? Risposta– «Ravvicinate perché li voleva tutti subito, io non li avevo tutti subito, quindi gli ho dato una prima parte e poi gli ho detto: “Cercherò di fare”. Quindi a distanza metta di un mese l’uno dall’altro». Infine Baita racconta: «La Regione, inteso il governatore Galan e l’assessore Chisso, non hanno mai avuto da noi pagamenti per nessuno dei project financing in termini monetari. Abbiamo riconosciuto alcune utilità e le specifico: la più grossa che abbiamo riconosciuto all’assessore Chisso è la valutazione della quota di partecipazione ad Adria Infrastrutture di una società che si chiama Investimenti Srl, formalmente intestata a Claudia Minutillo, sostanzialmente riconducibile all’assessore Chisso, che ha molto insistito, e uso un eufemismo, perché liquidassimo questa quota non al valore di bilancio ma al valore che la quota avrebbe avuto se i project fossero andati avanti». Piergiorgio Baita, infine, si lamentava «delle richieste di Galan, ma da quello che ha sempre detto quando c’era Galan filava tutto liscio. Le cose sono cambiate poi con il cambio di giunta»: a dirlo, nel marzo 2013, è Claudia Minutillo. «Da quando è andato via Galan ed è arrivato l’attuale governatore Zaia?» è la domanda e lei risponde «Zaia, sì». Il presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati con le sue dichiarazioni al pubblico ministero Paola Tonini conferma quelle di Baita: «Con Galan i rapporti li teneva Baita. Noi non abbiamo mai avuto rapporti con lui… Abbiamo avuto rapporti diciamo di conoscenza, di amicizia, di lavoro, ma non di dazioni». In quelle stesse pagine, Mazzacurati sostiene di aver avuto rapporti con l’allora sindaco Massimo Cacciari. «Ho avuto rapporti con Cacciari, che mentre era sindaco mi ha chiesto di aiutare un’impresa che si chiamava Marinese». «Cacciari» prosegue, «mi ha chiesto una sponsorizzazione di 300mila euro per la squadra di calcio, però, insomma, una roba così». «Poi», conclude il presidente del Consorzio, «abbiamo un’altra persona che si occupava di finanziamenti era un certo Marchese, al quale abbiamo versato per questa campagna elettorale dai 200 ai 300 mila euro».

Giorgio Cecchetti

 

oggi la commissione, PARLA RABINO (SC)

«Sull’ex governatore chiederò ulteriore documentazione»

VENEZIA «Sono intenzionato a chiedere ulteriore documentazione a corredo della richiesta di arresto del collega Giancarlo Galan, pervenuta da Venezia». Lo afferma, al telefono, l’onorevole Mariano Rabino, deputato di Scelta civica, cui Ignazio La Russa, presidente della giunta per le autorizzazioni di Montecitorio, ha affidato l’istruttoria. L’appuntamento è fissato per le ore 13 quando la giunta inizierà l’esame della «domanda di autorizzazione ad eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del deputato Giancarlo Galan ». Rabino si è letto le quasi 800 pagine dell’ordinanza del gip Alberto Scaramuzza. «Nella mia relazione», anticipa l’esponente di Scelta civica, «dirò che mi sembra necessario acquisire la documentazione integrale della richiesta di arresto e le informative di Polizia giudiziaria. Nei prossimi giorni arriverà la memoria dell’indagato deputato Galan, che sarà sentito dalla giunta». Poichè l’organo parlamentare si riunisce di regola il mercoledì, è facile prevedere che all’«affaire Galan», deputato di Forza Italia, saranno dedicate almeno quattro sedute. Di fatto, la questione va definita entro il 4 luglio, ma credo che per mercoledì 2 dovremmo aver deciso». A quel punto il parere sarà trasmesso all’assemblea di Montecitorio che potrebbe pronunciarsi entro metà luglio. Ieri sera a Venezia Galan ha affermato che «prima si parla con i magistrati, poi anche fuori». Sono ventuno i componenti della giunta per le autorizzazioni di Montecitorio, presieduta da Ignazio La Russa, esponente di Fratelli d’Italia. Ne fanno parte i vicepresidenti Antonio Leone (Ncd) e Danilo Leva (Pd). E ancora i segretari Matteo Bragantini, leghista veronese; Marco Di Lello, coordinatore nazionale del Psi; Davide Zoggia, veneziano, già responsabile nazionale Enti locali dei democratici. Saranno inoltre chiamati a decidere la sorte di Galan tre esponenti del Movimento Cinque Stelle (Paola Carinelli, Vincenzo Caso e Giulia Grillo); il forzista Gianfranco Giovanni Chiarelli; i pd Sofia Amoddio, David Ermini, Giampiero Giulietti, Leonardo Impegno, Maino Marchi, Anna Rossomando, Franco Vazio e Valter Verini; Gea Schirò, vicepresidente di Per l’Italia. Claudio Baccarin

 

Per perquisire Meneguzzo furono chiamati i pompieri

La moglie al citofono, saputo che era la Gdf, non volle più aprire la porta blindata

Gli inquirenti chiamarono l’avvocato Malvestio che la convinse a togliere i paletti

VENEZIA – È William Ambrogio Colombelli che decreta la fine dell’impero, scrolla la Mantovani e il Consorzio Venezia Nuova, l’arresto di politici, amministratori pubblici, imprenditori, in una ramificazione di illegalità che dà le vertigini. Se Colombelli non avesse registrato le conversazioni con Piergiorgio Baita, che pure era suo socio in affari, la Guardia di Finanza avrebbe avuto armi spuntate. Ma per quale motivo Colombelli diffidava di Baita, al punto da predisporsi a ricattarlo? L’ex console di San Marino pretendeva che Baita comprasse la sua azienda, la Bmc Broker, che fabbricava le fatture false per il gruppo Mantovani. Baita non voleva saperne: sarebbe stata un’acquisizione anomala, che avrebbe indotto a sospetti. Per giunta Colombelli pretendeva cifre che non potevano essere giustificate nei bilanci. È qui che Baita s’infuria nei verbali di interrogatorio: «Mi hanno fatto commettere reati che mi hanno portato in carcere » dice «obbligandomi a seguire un percorso che lasciava tracce, in mano a un incapace come Colombelli». Quando bastava pagare le tangenti in contanti, con gli utili dell’azienda. Sovrafatturati, possiamo aggiungere oggi. Ma senza lasciare tracce. Naturalmente bisognava fare attenzione al contante, quando ne hai troppo in casa. Il generale Emilio Spaziante, per esempio, aveva sepolto 200.000 euro in giardino, anche se non era il campo dei miracoli di Pinocchio, dove gli zecchini ricrescono. Nella perquisizione in casa sua a Roma, di Spaziante non di Pinocchio, gli hanno trovato un’altra scatola sotto un armadio con 100.000 euro avvolti nel celofan, pieni di muffa. Per gli inquirenti li aveva dimenticati. Ma niente batte in spettacolarità la perquisizione fatta l’anno scorso in centro storico a Vicenza, Contrà Zanella, in casa di Roberto Meneguzzo, fondatore e ad di Palladio Finanziaria. Un pezzo grosso, lui e la sua società, del Veneto che conta, un uomo di relazioni importanti che il 4 giugno è finito in carcere. I precedenti sono in quella perquisizione: è il 12 luglio 2013, la sveglia suona alle 5 ma non è quella sul comodino. Scampanellano alla porta. Al citofono va la moglie: «Chi è?». «Guardia di Finanza, apra». «Un momento» dice lei. E non dà più segni di vita. Stallo. I finanzieri sono chiusi fuori, le porte sono blindate. Che si fa? Vengono chiamati i vigili del fuoco e un fabbro, si ragiona se abbattere il portone d’ingresso. Prima di fare troppi danni, cercano un’entrata attraverso un cortile interno. Viene sfondato il balcone di un bagno,ma inutilmente. Sono le 7 di mattina e una telefonata sveglia l’avvocato Massimo Malvestio. Che da Malta, dove si è trasferito, continua oggi il racconto: «Mi dicono, qui è la Guardia di Finanza, dica a Meneguzzodi uscire. Uscire da dove?, rispondo io. Da casa sua o sfondiamo la porta, abbiamo un ordine di perquisizione. Lei che è il suo avvocato lo convinca. Io sono il sindaco della Palladio nominato da Veneto Banca, non il suo avvocato: ma c’entro anch’io? Se le telefoniamo, mi rispondono, evidentemente no. Ho tirato un sospirone ».E com’è finita? «Che la moglie ha aperto. Meneguzzo era all’estero». Secondo i verbali era invece all’hotel Principe di Savoia a Milano, lo stesso nel quale è stato arrestato venerdì l’ex generale Emilio Spaziante. Coincidenze.

Renzo Mazzaro

 

Padova, il vescovo tuona contro la corruzione

Manifesta preoccupazione per gli «episodi di illegalità, corruzione e paventate infiltrazioni mafiose» il vescovo di Padova, monsignor Antonio Mattiazzo, nel messaggio diffuso ieri a pochi giorni dalla festa del patrono della città, Sant’Antonio, che verrà celebrata venerdì prossimo. «La disoccupazione rimane una ferita aperta per molti» aggiunge Mattiazzo che, sul piano sociale, sottolinea altri problemi del capoluogo euganeo, città – sottolinea – «dove nascono pochi bambini e con un progressivo invecchiamento».

 

«Portai soldi al ministro Matteoli»

L’ex presidente di Venezia Nuova: «Li consegnai nella sua casa in Toscana»

«Aiutavamo Orsoni, Brunetta si risentì e lo accontentammo». La replica: «Tutto lecito»

Ghedini nomina Giulia Bongiorno difensore Colombelli: «Mai rapporti con Berlusconi»

VENEZIA – Sempre più in alto. Le rivelazioni di Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, puntano su politici di primissimo piano. «Per le campagne elettorali, mi pare, del 2010 e del 2013», scrive Mazzacurati in un memoriale del 25 luglio 2013, «ho versato dei denari al senatore Altero Matteoli, consegnandoli presso la sua abitazione in Toscana». L’ex ministro Matteoli, difeso dagli avvocati Giuseppe Consolo e Francesco Compagna, ribadisce di «non aver mai percepito denaro né utilità di sorta». Bongiorno difende Ghedini. L’avvocato Giulia Bongiorno, ex parlamentare Pdl e Fli, candidata nel 2013 per Scelta civica, annuncia di aver «ricevuto mandato dal senatore Niccolò Ghedini di agire in sede legale in merito alla pubblicazione di notizie assolutamente false e disancorate dagli atti processuali, di cui alla vicenda Mose, apparse su alcuni quotidiani nazionali, in relazione alla quale l’avvocato Ghedini è del tutto estraneo e non risulta indagato ». Ghedini era stato tirato in ballo da Piergiorgio Baita. Il contributo a Brunetta. L’onorevole Renato Brunetta, capogruppo alla Camera di Forza Italia, precisa che «risulta, dagli atti di indagine e dai verbali degli interrogatori del dottor Baita, che a sostegno della mia campagna per le Comunali veneziane del 2010, è stato deliberato un contributo elettorale, e per di più non dal Consorzio Venezia Nuova, regolarmente contabilizzato e dichiarato secondo la legge, e nient’altro». «Il Consorzio», spiega Baita in un interrogatorio, «sosteneva Orsoni. Brunetta era molto risentito. Credo abbiamo accontentato anche lui, in misura minore. L’abbiamo fatto come Adria Infrastrutture, saranno stati 50 mila euro, una cosa così… e non in contanti». Gianni Letta, mandato a Coppi. L’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, ha dato incarico al professor Franco Coppi «di procedere in via legale a tutela della sua reputazione per quanto insinauto circa richieste o ricezioni di denaro da parte del dottor Letta per sé o per altri», si legge in una nota dell’avvocato Coppi. Colombelli: mai avuto rapporti con Berlusconi. «Non ho mai avuto rapporti economici o rivestito incarichi politici con il presidente Silvio Berlusconi e con l’avvocato Ghedini». Lo afferma William Ambrogio Colombelli, console di San Marino. «L’avvocato Ghedini si è limitato a presentarmi Galan e Claudia Minutillo». Meloni: i politici coinvolti facciano un passo indietro. «In attesa di conoscere gli esiti dell’inchiesta e le singole responsabilità », afferma l’onorevole Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, «chiedo alla politica un sussulto di dignità. Reputo che i rappresentanti delle istituzioni coinvolte nell’inchiesta debbano fare un passo indietro, a cominciare dal sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, che dovrebbe rassegnare le dimissioni». Serracchiani: questione di regole. Debora Serracchiani, vicesegretario nazionale del Partito democratico, afferma che «serve un cambio culturale, che deve partire dalle scuole. La politica non deve nascondersi. Il Partito democratico chiede una cesura. Noi le persone disoneste non le vogliamo nel partito».

 

Un fiume di denaro “retrocesso” per alimentare tangenti

Mantovani accantonava un milione e mezzo di euro l’anno Fatture per il doppio del reale valore della prestazione

VENEZIA Il 5-6% dei ricavi derivanti dai lavori in sasso; il 50-60% degli importi indicati nei contratti per prestazioni di servizio; il 50-60% degli importi indicati nelle istanze di anticipazione di riserve. Il tariffario del sistema Mazzacurati, il Grande Corruttore, funzionava così da almeno dieci anni. Un sistema di fatturazione due a uno, esattamente come avviene per coinvolgere gli sponsor nelle associazioni calcistiche locali. È il 28 maggio 2013 quando in un ufficio della Guardia di Finanza, Piergiorgio Baita fa mettere a verbale venti righe che descrivono la cornice all’inchiesta di questi giorni: riferisce un episodio accaduto nel 2002, al subentro della Mantovani nel Consorzio Venezia Nuova (che acquisì per 78 milioni la quota di Impregilo). «Quando ha saputo che eravamo subentrati a Impregilo, l’ingegnere Mazzacurati – all’epoca direttore e presidente del Consorzio – mi ha chiamato e mi ha detto se, al di là dei documenti del subentro, ero stato edotto di alcune regole che vigevano all’interno del Consorzio Venezia Nuova, cioè impegni chiamiamoli non trasferibili in atti statutari. Gli impegni di cui mi fece parola erano due: uno relativo alla retrocessione di un certo importo; (…) mi disse anche che le tre imprese principali del Consorzio, Impregilo alla quale stavo per subentrare, Grandi Lavori Fincosit e Condotte, insieme esprimono il 90%del fondo consortile. Per cui se io intendevo continuare come Impregilo bastava confermare l’affidamento in subappalto ai subappaltatori di Impregilo; se invece avessi voluto eseguirlo in proprio, avrei dovuto provvedere io alla retrocessione della differenza, ovviamente tenuto conto del fatto fiscale, cioè: ho il 10% di margini in più dedotte le tasse». Anche Pio Savioli, l’uomo delle cooperative rosse, conferma il sistema ai magistrati che lo interrogano il 30 luglio scorso: «Venivo convocato dall’ingegnere, il quale mi diceva. Abbiamo come Consorzio Venezia Nuova delle particolari esigenze. Bisogna che anche voi ci diate una mano. Puoi chiedere alla cooperativa San Martino se ci dà una cifra – in nero, ovviamente – di una certa entità. Provvederemo poi a compensare la cooperativa. Intanto chiedegli questo». Rubinetti aperti come fontane per almeno dieci anni, da quando cioè il governo Berlusconi II decide di finanziare copiosamente il Mose.Mail sistema, per cifre più ridotte, esisteva anche prima e Baita lo ritrova già perfezionato dall’ingegner Mazzacurati. Il sistema Mazzacurati, così, ha drenato dalle casse delle imprese decine di milioni di euro: almeno 22 secondo i calcoli degli investigatori della Guardia di Finanza che lavorano per la Procura di Venezia. Ma sono almeno il doppio secondo la stima che si può fare di un meccanismo che durava almeno da dieci anni. Solo la Mantovani, che da sola detiene poco meno di un terzo delle quote del Consorzio, ha dovuto «accantonare» mediamente un milione e mezzo l’anno (845 mila nel 2006,poco più di due milioni nel 2009), da Mazzi mediamente un milione e mezzo l’anno. La cooperativa San Martino di Chioggia dai 240 mila euro ai 539 mila euro l’anno. La Pietro Cidonio da 272 a 776 mila euro l’anno. Mezzo milione l’anno per Coedmar e Nuova Coedmar. Un fiume di denaro continuativamente attinto dalle casse del Consorzio Venezia Nuova. E girato a Mazzacurati per pagare politici e funzionari. I soldi, attraverso factotum di assoluta riservatezza – Pio Savioli, Federico Sutto e Piergiorgio Baita – sono passati così nelle tasche di politici e funzionari. Fino a che Baita, stremato dopo tre mesi di carcere, ha deciso di raccontare. Edè venuto giù tutto.

Daniele Ferrazza

 

CALCOLO DEFINITIVO DEGLI IMPORTI “RETROCESSI”

MANTOVANI spa
2005 526.899
2006 422.962
2007 680.066
2008 804.071
2009 1.023.123
2010 706.675
2011 525.249
2012 280.404
TOTALE 4.969.451

COVECO/SAN MARTINO
2005 243.512
2006 408.133
2007 539.766
2008 308.430
2009 515.320
2010 329.191
2011 374.984
2012 91.377
TOTALE 2.810.716

PIETRO CIDONIO spa
2005 272.189
2006 704.514
2007 775.390
2008 701.675
2009 744.059
2010 776.357
2011 319.990
2012 555.787
TOTALE 4.849.964

COEDMAR srl e NUOVA COEDMAR srl
2005 497.500
2006 472.500
2007 472.500
2008 495.000
2009 495.000
2010 382.500
2011 483.500
TOTALE 3.298.500

COVECO/RISMONDO ANDREA, FALCONI ANDREA (BOSCA) E SCARTON FRANCESCO
2008 122.500
2009 190.000
2010 262.000
TOTALE 574.500

 

IL CONSORZIO VENEZIA NUOVA – Tutti gli stipendiati del sistema Mazzacurati

Magistrati alle Acque e Corte dei conti. Politica romana e funzionari regionali

VENEZIA Pagavano tutti. Dalla segreteria particolare del Ministro dell’Economia al ministro delle Infrastrutture. Dal Magistrato delle Acque all’assessore regionale. Dal magistrato delle Corte dei Conti al piccolo imprenditore di Chioggia. Con botte da tre, quattrocentomila euro. Cifre che un impiegato o un operaio non vedono neanche dopo trent’anni di lavoro. Un «sistema perfetto» che teneva insieme politica e burocrazia, destra e sinistra, Roma e Venezia. A spese del contribuente, perché la totalità dei fondi usciva – indirettamente – dalle casse del Consorzio Venezia Nuova, autentica greppia. Il Grande Corruttore è Giovanni Mazzacurati, 82 anni, riparato negli Stati Uniti per ragioni di salute, uscito dal Consorzio l’anno scorso con una liquidazione di sette milioni di euro. A Roma aveva aperto gli uffici in piazza San Lorenzo in Lucina, nello stesso palazzo dove riceveva Giulio Andreotti. L’Ingegnere toscano, poche parole e molta diplomazia, entrava nell’ufficio del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta quasi senza anticamera, arrivava al ministro Giulio Tremonti attraverso i buoni uffici del suo consigliere Marco Milanese (500 mila euro), intratteneva rapporti diretti con il ministro Altero Matteoli e Giancarlo Galan. A Venezia pranzava con il Patriarca di Venezia (era Procuratore di San Marco) e cenava con il sindaco. Si teneva buona l’opposizione in Regione (Giampietro Marchese, consigliere Pd). Il sistema Mazzacurati aveva a libro paga praticamente tutti. Il presidente del Magistrato alle acque (dal 2008 al 2011) Patrizio Cuccioletta sarebbe stato beneficiario di uno «stipendio» dal Consorzio pari a 400 mila euro l’anno e di una «stecca» da 500 mila euro accreditata in un conto cifrato svizzero intestato alla moglie. Faceva avere alla figlia un contratto di collaborazione con il Consorzio, poi un’assunzione in una società collegata. Si faceva pagare alberghi, pranzi e cene tra Venezia e Cortina. Il successore al Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva (dal 2001 al 2008) beneficiava di uno «stipendio annuale di circa 400 mila euro», ha ottenuto l’incarico di collaudatore dell’ospedale di Mestre (per 327 mila euro) e si faceva scrivere le lettere dai funzionari del Consorzio. Al generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante era finita una busta con 500 mila euro (da dividere con Milanese) ma soprattutto la pattuizione di un versamento complessivo pari a 2,5 milioni di euro per fermare le verifiche fiscali sul Consorzio. Giancarlo Galan, ex ministro ed ex governatore, sarebbe stato aiutato a coprire i costi della ristrutturazione di villa Rodella a Cinto Eugeneo (per circa 1 milione) e avrebbe percepito uno stipendio annuale di un milione e due versamenti da900 mila euro ciascuno tra il 2007 e il 2006 nel 2008 in cambio del via libera di una commissione regionale del progetto Mose. A Renato Chisso uno stipendio oscillante tra i 200 e i 250 mila euro per accompagnare le procedure del Mose e tacitare la struttura regionale. A Chisso andò anche una liquidazione d’oro della sua quota della società Adria Infrastrutture (pari a 2 milioni). Due funzionari della Regione sarebbero stati fidelizzati: Giovanni Artico attraverso l’assunzione della figlia in una società del gruppo Mantovani. Giuseppe Fasiol attraverso l’ottenimento di alcuni incarichi di collaudi in corso d’opera per poco più di 10 mila euro. Per Vittorio Giuseppone, magistrato in servizio alla Corte dei conti, uno stipendio oscillante tra i 300 mila e i 400 mila euro l’anno a partire dai primi anni 2000 e fino al 2008. E poi i contributi non registrati: ad Amalia Sartori, europarlamentare uscente di Forza Italia; a Giampietro Marchese, consigliere regionale del Partito Democratico, per un totale complessivo di 170 mila euro; a Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia, per un valore di 390 mila euro non registrati. Ma anche a Davide Zoggia, Andrea Martella, Flavio Tosi, ma regolarmente registrati. Dieci anni vissuti al di sopra del bene e del male. Fino alle manette del 4 giugno scorso.

(d.f.)

 

Intercettazioni e microcamere negli atti. Nel film anche i passaggi dei contanti

VENEZIA. Tre anni di appostamenti, intercettazioni telefoniche, riscontri ambientali. Con qualche episodio anche divertente tra gli investigatori. Come l’incontro, avvenuto il 18 maggio 2011 in un ristorante di Sasso Marconi (Bologna), tra Pio Savioli (in foto), Stefano Tomarelli e Sandro Zerbin. Secondo gli investigatori doveva servire per una delle consegne di denaro più delicate e importanti. La Guardia di Finanza decide quindi di utilizzare un furgone e un’autovettura e di alcune strumentazioni di registrazione video forniti da una ditta specializzata. Gli agenti della Finanza attendono all’interno dell’auto e del furgone nel parcheggio del ristorante, quando l’auto di Savioli si ferma giusto accanto ai finanzieri, creando un attimo di panico nel timore di essere scoperti. Poco dopo arriva anche Tomarelli, proveniente da Roma, che parcheggia esattamente accanto al furgone in uso agli altri finanzieri. Altro attimo di panico. Poi, mentre gli indagati pranzano all’interno del ristorante, i finanzieri fanno parcheggiare al posto dei due veicoli civetta due auto dotate di microcamera e microfoni ambientali. E al ritorno degli indagati possono filmare e registrare il passaggio del denaro. Nell’auto di Tomarelli, durante il pranzo, gli investigatori hanno inserito una microcamera che filma le due buste posate nel sedile anteriore. Nel corso del viaggio verso Roma, a causa della tortuosità del tratto appeninico, le buste si spostano e Tomarelli cerca di occultarle mentre sta alla guida. Il filmato si trova agli atti dell’inchiesta, a disposizione delle difese. Madovranno essere gli indagati a spiegare il perché di quelle buste, gonfie di denaro, passate dalle mani di Savioli a quelle di Tomarelli, rappresentante del gruppo Condotte.

(d.f.)

 

La denuncia di Bettin: «Mazzette sulle bonifiche di Porto Marghera»

VENEZIA. Nell’ambito dell’inchiesta sul “sistema Mose” emerge un aspetto che riguarda le bonifiche delle aree contaminate di Porto Marghera. Lo denuncia l’assessore veneziano all’ambiente Gianfranco Bettin. «Apprendiamo dalle carte e dagli sviluppi dell’inchiesta – dice l’amministratore – che da parte di politici, ministri e funzionari in particolare dei ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture si sarebbe lucrato per milioni e milioni di euro». Una parte di questi fondi, secondo l’assessore veneziano, «sarebbe stata distratta dalla bonifica in favore di tangenti pagate a imprese nullafacentimacon il ruolo di canalizzare tangenti verso politici e funzionari di riferimento».

 

Ripartiamo da zero con il progetto

In questi giorni leggiamo sui giornali delle accuse mosse dalla Magistratura sulla gestione del Consorzio Venezia Nuova: accuse dalle quali sta prendendo forma nei dettagli e nelle responsabilità personali un quadro di corruzione e di abusi che, se provato in giudizio,avrebbe caratterizzato la vita del sistema politico-industriale che ha impostato e sviluppato il sistema Mose, ne ha definito le soluzioni progettuali e la realizzazione, e attraverso il quale dal progetto sarebbero state drenate negli anni grandissime quantità di denaro, che si sarebbero disperse in un universo di interessi illeciti personali tali per cui sarebbe ben difficile recuperarle. L’entità di tali risorse economiche è valutata nell’ordine delle decine di milioni di euro e forse anche molto di più dall’inizio del progetto:ed è da sperare che, se queste accuse verranno confermate, coloro che hanno abusato delle proprie funzioni per trarne guadagni e vantaggi per sé, per parenti, amici e sodali, siano chiamati a risponderne penalmente ed in solido, restituendo alla comunità il maltolto. Gran parte del sistema politico ha reagito a questi eventi prevalentemente con richiami al necessario garantismo, per cui (com’è assolutamente giusto che sia!) solo dopo tre livelli di giudizio sarà possibile chiamare ladro chi è accusato di aver rubato; esso inoltre si affretta a dichiarare che il progetto uscito da questo sistema, anche se viziato da perversi e criminosi processi decisionali, deve comunque essere portato a termine, dal momento che i soldi sono già stati spesi: e questo è molto meno giusto, perché vorrebbe dire che l’aver fatto scelte tecniche volte a massimizzare i costi dell’opera per aumentare le risorse economiche disponibili per appropriazioni indebite sarebbe comunque di per sé sinonimo di merito tecnico ed efficacia sicura. Insomma,occorre chiedersi e capire se il sistema abbia solamente allungato il percorso del Mose o se invece abbia fatto scegliere il sentiero sbagliato, perché se così fosse sarebbe inutile affrettarsi per giungere al traguardo. Dunque, pur rispettando assolutamente le necessarie garanzie per le responsabilità personali, in contrasto con queste ultime affermazioni, vogliamo richiamare l’attenzione sul fatto che il danno che, a nostro avviso,è stato portato alla comunità è ben maggiore dei denari che, secondo le accuse dei Magistrati, sarebbero stati illegalmente elargiti dal CVN per garantirsi la posizione di gestore unico e incontrollato del progetto Mose e dei reati contabili relativi. Infatti, il danno subito dalla comunità italiana e veneziana in particolare è dato anzitutto dal fatto che il progetto Mose non risponde ai requisiti di gradualità, sperimentalità e reversibilità posti per legge all’opera di salvaguardia e che i suoi costi sono molto superiori a quanto era previsto (e che era certamente più che congruo) e sono destinati a protrarsi nel tempo per le gravi criticità funzionali del progetto non ancora risolte, per l’impatto ambientale e per la complessità estrema della sua architettura, che imporrà costi elevatissimi di gestione e manutenzione. Vogliamo ribadire che questi esiti del progetto non sono stati una necessità imposta dalle premesse poste dalla Legge speciale, ma sono la conseguenza di aver perseguito un progetto inutilmente complesso: soluzioni diverse, più economiche e tecnicamente vantaggiose erano state definite e proposte, ma non furono esaminate in modo appropriato e sviluppate perché il Consorzio non lo ha voluto. Per ciò che riguarda le gravi criticità funzionali vogliamo ricordare che nel documento di approvazione del progetto definitivo del Mose da parte del Comitato tecnico del Magistrato alle acque, sull’aspetto fondamentale del comportamento dinamico delle paratoie mobili, ci sono evidenze di come queste problematiche siano state affrontate in modo non congruo e del fatto che problemi di instabilità dinamica, già noti dalla fase di progetto di massima e ancora presenti nel progetto definitivo,non siano stati adeguatamente valutati per garantire la sicurezza prestazionale delle opere e dei dimensionamenti strutturali assunti. A nostro parere, quindi, l’entità del danno subito dai cittadini e da Venezia non è costituito solo dalle tangenti che oggi si sostiene che siano state distribuite in vario modo(e sulle quali lasciamo il giudizio alla Magistratura), ma è commensurabile al costo intero dell’opera, che è levitato a dispetto del tanto sbandierato prezzo chiuso di 4.300 milioni, già di per sé lievitato rispetto alle stime precedenti di 3.440 milioni, oggi arrivato a 5.600 (e forse non è ancora finita). Facciamo presente che con costi notevolmente inferiori a quelli del Mose, sono state realizzate nel mondo opere di difesa oggi operative ed efficaci da più di 15 anni (le paratoie ad arco), che furono scartate per un supposto eccessivo impatto ambientale, nei fatti comunque non maggiore di quello che oggi ha già sconvolto le bocche di porto della laguna. Nel 2006, in occasione della presentazione di progetti alternativi al Mose sollecitata dal Comune di Venezia,presentammo il progetto di massima basato sulla Paratoia a gravità, ovvero di una paratoia a ventola innovativa, soluzione che per le caratteristiche vantaggiose e in quanto (a differenza del Mose)perfettamente rispondente ai requisiti di gradualità, sperimentalità, reversibilità, fu considerata dalla commissione tecnica del Comune più promettente del Mose stesso. Questa soluzione che tra l’altro sarebbe costata circa un quarto del costo del Mose allora stimato di 3.440 milioni di Euro, fu avversata dalle strutture tecniche che qualche tempo prima avevano approvato il passaggio alla fase di progetto esecutivo del Mose. Le argomentazioni addotte a supporto del giudizio negativo da parte di quei tecnici erano infondate e per noi fu facile confutarle punto per punto. Successivamente si è anche scoperto un documento del CVN dove si parla correttamente della instabilità della paratoia singola e dei problemi conseguenti questa condizione, mentre i tecnici del Comitato tecnico di Magistratura hanno attribuito, in modo tecnicamente non corretto, la instabilità alla schiera. La nostra soluzione doveva essere presentata e proposta per una valutazione ufficiale nel Comitatone del 2006dal sindaco di Venezia. In quella occasione l’ingegner Di Tella fu invitato dal sindaco Cacciaria partecipare al Tavolo tecnico istituito presso la presidenza del Consiglio per controbattere la valutazione negativa, ma non gli fu concesso neppure di parlare. La nostra soluzione fu bocciata e non fu ripresa in considerazione neppure dopo che il Comune di Venezia incaricò la società francese Principia – esperta riconosciuta internazionalmente nel campo della simulazione di sistemi dinamici complessi in moto ondoso – un’analisi dinamica della schiera di paratoie Mose per la bocca di Malamoccoe per confrontoanche della schiera di Paratoia a Gravità: e questo anche se lo studio di Principia smentisce senza equivoci le argomentazioni del Comitato tecnico di Magistratura sul comportamentodinamico della paratoia e della schiera e dal confrontoemerge che la Paratoiaa gravità, scartata a beneficio del “sistema Mose”, funziona perfettamente, mentre la paratoia Moserisulta dinamicamente instabile al motoondosoper condizioni di marereale già verificatesi alla bocca nei dueanni di monitoraggio delmotoondoso alla stessa bocca. Anchein questo casonon è stato maipossibile unconfronto tecnico di merito che analizzasse gli effetti evidenziati dallo studio Principia, neppuredopoche il Consorzio VeneziaNuova ha persouna causa civilepromossa contro gli scriventi, in cui li avevaaccusati di “diffamazione” per le loroben motivate critiche tecniche al progetto, causa alla fine della quale il Tribunale di Venezia ha respinto ledomandedel Consorzio, riconoscendo che lenostre critiche nonerano affatto diffamatorie. Questa sentenzaè passata in giudicato, diventando quindi definitiva,maneppure questo ha smosso il Consorzio dalle sue posizioni. Perquanto sopra le barriere del sistema Mose, ancora da finire, anchese gli sconquassi ambientali e gli esborsi economici relativi sonogià stati eseguiti per grandissimaparte, non possono enon devono, a nostro parere, essere completate prima chefondamentali aspetti critici funzionali tante volte denunciati e sui qualinonè maistata dataunarisposta accettabile, siano pubblicamente valutati e verificati, Questocontrollo nonèmai stato eseguito da Istituzionie persone che avevanoil compitoe il dovere di farlo e che ora, per quantosembraemergere dalle indagini,nonsono più credibili.È quindi necessario che idocumenti del progettoMosee i processi decisionali chehannoportato alle scelte sulle sue soluzioni tecnichee ai dimensionamenti siano resi pubblici, peruna valutazione da parte di esperti terzi di chiara famae competenza professionale specifica, inmododa verificare se l’opera sia realmente efficace, ovvero quali rischi essa possa comportare unavolta entrata in esercizio. Il nostro auspicio è che questa bufera sia l’occasione peruna rivalutazione di tutto il progetto e perunavera ripartenza. Ingegneri Vincenzo Di Tella, Paolo Vielmo e Gaetano Sebastiani

 

Tutti i rischi di incompatibilità del legale di Orsoni

L’avvocato Daniele Grasso, legale di fiducia del sindaco di Venezia, ora sospeso, Giorgio Orsoni, rischia di diventare incompatibile in quanto patrocinante il Comune in diversi processi nei quali Ca’ Farsetti si è costituito parte civile. Inoltre sempre il legale con studio a Chioggia, è presidente dell’Ordine degli Avvocati e teoricamente potrebbe essere parte civile nei contro Orsoni, pure lui avvocato. Ieri, con la decisione della giunta comunale, di costituirsi parte civile nel processo che seguirà all’inchiesta, il rischio di incompatibilità è diventato quasi una certezza. Nonva dimenticato che il Comune, comunque, è obbligato a costituirsi parte civile, in un eventuale processo a carico di Giorgio Orsoni.

 

Mose, Comune contro Orsoni

Ca’ Farsetti parte civile. L’avvocato del sindaco: «Atto inconsulto»

«Il Comune parte civile» L’avvocato: «Inconsulto»

Una dichiarazione di Simionato fa esplodere la rabbia dei legali di Orsoni

Mozione del centrosinistra per far sciogliere il Consorzio Venezia Nuova

VENEZIA Lo chiede il centrosinistra nella mozione che punta a far sciogliere il Consorzio Venezia Nuova, lo ribadisce una nota di Sandro Simionato, sindaco facente funzioni di Venezia. «Riaffermo in modo chiaro l’assoluta estraneità dell’amministrazione comunale di Venezia », dice Simionato, ed è «del tutto evidente che la città di Venezia nella sua interezza si considera parte lesa». Simionato quindi annuncia: «Ritengo a questo punto necessario, a tutela del buon nome della città, delle persone oneste che ci lavorano, delle persone oneste che ci vivono, insomma di tutti i cittadini, procedere a tempodebito alla costituzione di parte civile contro quel sistema criminogeno che ha prodotto corruzione, concussione e malaffare». Ma la notizia della costituzione di parte civile contro tutti gli indagati fa andare su tutte le furie il sindaco Giorgio Orsoni e i suoi difensori e così in tarda serata l’avvocato Daniele Grasso detta una breve dichiarazione di fuoco: «Avevamo previsto anche iniziative proditorie ed inconsulte » ed il riferimento è naturalmente alla decisione della giunta di costituirsi parte civile. Le parole di Simionato rafforzano la mozione depositata dal centrosinistra veneziano in consiglio comunale (primo firmatario il Pd ma ci sono anche le firme di In Comune, Rc, Udc, Socialisti, Federalisti Riformisti). E una parte del centrodestra potrebbe sostenere la mozione che verrà votata lunedì prossimo. La mozione chiede l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare sul Consorzio Venezia Nuova per far luce anche su società collegate e fondi spesi dal 1984 ad oggi. Il documento impone lo scioglimento del Consorzio Venezia Nuova e l’affidamento del controllo sui cantieri aperti ad una Authority indipendente; la rapida ripresa dell’esame parlamentare della riforma della legge speciale e il passaggio di poteri e competenze del Magistrato alle acque alComune di Venezia, «unica istituzione- viene ricordato – adessersi opposta alle procedure del Mose e i cui atti politico-amministrativo sono risultati estranei a comportamenti illeciti ». Costituendosi parte civile il Comune, dicono i partiti, deve ottenere il risarcimento delle «ingenti somme economiche sottratte alla salvaguardia e alla rivitalizzazione socio- economica della città». Algoverno Renzi si chiede di superare il regime della concessione unica per le opere di salvaguardia e di affidare ad una commissione indipendente la «immediata verifica tecnico scientifica e contabile» del progetto Mose anche su efficacia, sicurezza e costi. Infine si chiede di abrogare le norme della Legge Obiettivo che consentono di limitare le procedure di valutazione di impatto ambientale (Via) e di superare i pareri dellecomunità locali.

Mitia Chiarin – Giorgio Cecchetti

 

Le categorie economiche preoccupate «La giunta resti in carica fino a luglio»

VENEZIA. La Giunta vada avanti sino all’approvazione del bilancio di previsione 2014 e poi si sciolga. È questo il primo messaggio, positivo, che arriva al Comune dalle categorie economiche, che si propone di incontrare , proprio per sentire il loro parere su questo punto. «Il bilancio è un atto troppo importante per la città per lasciarlo nelle mani di un commissario – commenta il direttore dell’Associazione veneziana albergatori Claudio Scarpa – e fissi già fin d’ora il giorno del Consiglio comunale in cui lo approverà, per poi sciogliersi, perché non ci sono più le condizioni politiche per pensare ad altri provvedimenti». Simile la posizione del segretario della Confartigianato veneziana GianniDe Checchi: «Siamo più che disponibili a discutere con l’Amministrazione e non capiamo, anzi, perché ciò non sia avvenuto prima. Capisco che ci sia chi politicamente tenti di sfruttare la debolezza di questa Giunta,main questo momento la priorità va alla città, e l’approvazione del bilancio è un atto indispensabile. La Giunta pertanto vada avanti sino ad allora e poi lasci spazio al commissario. Mi auguro che questa volta non sia solo un burocrate ministeriale,maqualcuno che conosca le difficoltà e i problemi di Venezia, perché la situazione è difficile». Maurizio Franceschi, Direttore Confesercenti Venezia, dichiara a sua volta: «Ci sono numerosi progetti che riguardano la riqualificazione ed il riordino della nostra città che devono essere portati a compimento e non lasciati in sospeso, come accadrebbe se il Comunedi Venezia fosse commissariato. Venezia e la sua cintura urbana hanno bisogno, soprattutto in questo particolare momento, di un’Amministrazione che abbia pieni poteri. L’invito di Confesercenti Venezia pertanto, rivolto a tutte le forze politiche, è quello di sostenere la continuità amministrativa fino al 2015 con l’assunzione da parte del Vicesindaco Sandro Simionato delle funzioni del Sindaco». L’Aepe, l’associazione pubblici esercenti, invece, attende prima di conoscere le intenzioni della Giunta. Siamo disponibili a incontrare il Comune – spiega il segretario Ernesto Pancin – e decideremo la nostra posizione sul bilancio sulla base di ciò che ci dirà».

(e.t.)

 

NUOVA VENEZIA – Mantovani e A4 a Meolo, ispezioni Dia nei cantieri

LOTTA ALLE INFILTRAZIONI MAFIOSE. L’AZIENDA: «NESSUN RILIEVO»

Ispezione Dia nei cantieri della Mantovani e dell’A4

VENEZIA Uomini della Direzione investigativa antimafia (Dia), nei cantieri della Mantovani a Fusina. Ma la vicenda del Mose non c’entra nulla. Si tratta di “accessi” per verificare se nei cantieri aperti per grandi opere vi sia l’impiego di manodopera in nero ose le aziendeche vi lavorano hanno collegamenti con le organizzazioni criminali di stampomafioso. I controlli sono avvenuti nel cantiere aperto dalla Mantovani per la realizzazione del terminal dell’Autostrada del Mare. Stessi controlli sono stati eseguiti in un cantiere lungo l’A4 a Meolo aperto, invece, per i lavori relativi alla realizzazione della terza corsia. Si tratta di “accessi ispettivi” per la prevenzione dei tentativi di infiltrazione mafiosa nel settore degli appalti pubblici e dunque con finalità di prevenzione. Nei controlli, le forze di polizia eseguono verifiche documentali sulle ditte appaltatrici e subappaltatrici, interessate ai lavori di realizzazione del Terminal Autostrada del Mare, a Fusina, nonché all’installazione delle barriere fonoassorbenti e ad altre opere per l’ampliamento della terza corsia dell’autostrada A4 nel tratto Quarto d’Altino -San Donà di Piave. Gli “accessi ispettivi”, promossi dalla Prefettura di Venezia, sono finalizzati sia a potenziare l’attività di verifica antimafia, sia a tutela della legalità e del rispetto delle disposizioni in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro e di prevenzionedel “lavoro nero”. Queste attività nel Veneziano, da tempo programmate e coerenti con analoghi interventi effettuati nei mesi scorsi su altre opere pubbliche in territorio veneziano, sono state decise dal Gruppo Interforze, costituito presso la Prefettura di Venezia e vedono l’impiego, con il coordinamento tecnico- operativo della Direzione investigativa antimafia-Centro operativo di Padova, diuna cinquantina di uomini della Guardia di Finanza, della polizia e dei carabinieri, oltre ad un gruppo di ispettori del lavoro. Gli esiti degli accessi saranno poi approfonditi nei prossimigiorni. Controlli simili sono stati eseguiti lo scorso anno, sempre nei cantieri lungo l’A4 e alcuni mesi fa pure alla Fincantieri. «Sono controlli ordinari, doverosi e necessari – ha detto Carmine Damiano,presidente della Mantovani Spa -. L’azienda è e rimane a completa disposizione dell’autorità giudiziaria. E siamo felici di collaborare. Da quanto sono a conoscenza nessun rilievo è stato mosso nei nostri confronti», conclude il presidente Damiano. Da quanto si è appreso anche la verifica nell’altro cantiere controllato è risultata negativa.

Carlo Mion

 

L’EX SEGRETARIA – La Minutillo a Chisso: «Alza il culo e vieni qua»

MINUTILLO «Chisso, basta pranzi, vai subito a lavorare»

INTERCETTAZIONI – Il Consorzio voleva “manovrare” anche Berlusconi

L’imprenditore Cinque incassò il 6.5 per cento senza far nulla

SPARTIZIONE – Baita: i politici sponsor delle aziende venete Sacaim, Carron, Gemmo

LE ACCUSE – Un asse per realizzare ospedali e infrastrutture. Spazio per altre imprese.

I pm: un accordo Regione-Mantovani sui project financing

Ci sarebbe stato un accordo tra Giancarlo Galan e Piergiorgio Baita della Mantovani spa, con lo zampino esecutivo dell’assessore Renato Chisso, dietro il proliferare di project financing in Veneto.
Lo sostengono i pubblici ministeri veneziani che hanno appena abbozzato il capitolo delle connivenze a Palazzo Balbi e che estraggono dal cilindro dei verbali degli inquisiti anche tre società venete di costruzioni di primo livello, indicate come riferimento degli amministratori della Regione.
Secondo i magistrati, nel 2005 furono Galan e Chisso a invitare Baita a non partecipare ad appalti regionali tenuto conto delle lamentele delle altre imprese del settore, invidiose per i guadagni che Mantovani già faceva con il Consorzio. Gli dissero che se voleva continuare a lavorare, avrebbe dovuto aprirsi nuove strade, finanziando o facendo finanziare le opere. Il Veneto è tutto un pullulare di project financing, tra ospedali (quello di Schio-Thiene o di Mestre) e strade (Pedemontana Veneta). Secondo i Pm i vertici della Regione avrebbero dato informazioni e fatto in modo che le procedure non trovassero intoppi.
Per questo sarebbero finiti a libro-paga. Al punto che Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan diventata imprenditrice, dava ordini all’assessore Chisso. Una vera sudditanza, stando alle carte dell’accusa. Ad esempio, perentoria, dice a Chisso: «Scusa, vai sempre a mangiar Da Ugo, alza il culo e vieni qua». E a proposito di ritardi nelle Tangenziali Venete: «C… cerca di lavorare, son tutti inc… neri».
I versamenti servivano per oliare questo sistema. E Minutillo inserisce in tale contesto un versamento di 50 mila euro su un conto di Galan, confermato da una rogatoria a San Marino dove erano fiorenti le attività delle “cartiere” della Mantovani.
Soldi solo da quest’ultima società? Secondo i Pm, che stanno indagando, la torta veniva spartita anche da altri. «Galan e Chisso pretendevano che nei lavori gestiti dal Gruppo Mantovani fossero coinvolte società alle quali erano legati probabilmente in virtù di precedenti finanziamenti». È una sintesi che nasce da alcuni verbali. Baita, un anno fa, ha risposto alla domanda del Pm che gli chiedeva se i politici avessero chiesto solo quote di Adria Infrastrutture in relazione ai project: «Esatto, e nel far partecipare una serie di imprese di riferimento con le quali avevano dei debiti». Quali? «Beh, la Carron, per esempio, che aveva fatto la casa a Minutillo… Poi le richieste riguardavano la Sacaim in gran parte. Con la Gemmo…». Da dove provenivano le richieste? «La Sacaim veniva da Galan, Carron da Chisso. Carron, basta andare a Veneto Strade: credo che abbia il monopolio dei lavori. E poi c’è stato tutto il discorso con la Gemmo con la quale abbiamo avuto una fruizione importante sulla sanità».
Ha detto Minutillo, riferendosi ai lavori della «Strada del mare»: «Diego Carron faceva parte della compagine, del Gruppo… a Chisso gli ha fatto fare le corse perchè voleva il regalo di Natale». Qualche beneficio da quel lavoro lo avrebbero avuto, sotto forma di consulenze in parallelo al lavoro dei tecnici della Mantovani, anche l’architetto Dario Lugato («molto vicino a Chisso», secondo Baita) e la Proteco di San Donà di Piave (molto vicina all’ex consigliere Piero Marchese, del Pd).

Giuseppe Pietrobelli

 

LA LAMENTELA – Politici locali avari di favori

ELEZIONE A SINDACO – Orsoni fu aiutato: Brunetta si risentì

Mazzacurati aveva un impianto anti-intercettazioni

RIVELAZIONI – La Bmc Broker chiamata a occuparsi del partito veneto dopo averlo fatto a Milano

Il ruolo chiave del faccendiere Colombelli. «La sua società accreditata da Ghedini»

Soldi per tutti. Un rimborso anche per chi aveva finanziato (in regola) il leghista Tosi

Baita svela gli affari del Pdl: una ventina di milioni in nero

Schei, schei e ancora schei. Soldi per tutti, a milionate. Ai singoli e ai partiti. E dentro ci sono Giancarlo Galan e Renato Chisso – e si sapeva – ma anche il “Pdl milanese” e qualche giudice del Tar e del Consiglio di stato oltre ai presidenti del Magistrato alle acque e alla Corte dei conti. Insomma il Consorzio Venezia Nuova si comprava tutti. Dai verbali di interrogatorio di Piergiorgio Baita salta fuori di tutto e di più. Il gip Alberto Scaramuzza nell’ordinanza che ha portato in galera 25 persone e ne ha inguaiate altre 10, ha utilizzato il 30 per cento di quello che Baita – e gli altri “pentiti”, a cominciare da Claudia Minutillo – ha messo a verbale, ma c’è un 70 per cento – di cui scriviamo oggi – che fa parte delle indagini che i p.m. di Venezia, Stefano Ancillotto, Paola Tonini e Stefano Buccini, stanno ancora svolgendo. Alcuni passaggi sono assolutamente incredibili. Partiamo da Nicolò Ghedini, l’avvocato di Silvio Berlusconi. È proprio Ghedini che mette in moto il meccanismo che porterà la società Bmc Broker di William Colombelli ad occuparsi anche del “nero” del Pdl veneto dopo essersi occupato, evidentemente con profitto, del “nero” del partito di Berlusconi a Milano. E – dice Baita – da quel momento non ci sarà più nessuna protesta, né da parte del partito né da parte di Galan.
Colombelli, che per anni ha dichiarato un reddito di 12 mila euro, è stato arrestato nella prima tranche dell’inchiesta assieme a Baita e, stando ai conti a spannoni fatti dai magistrati avrebbe creato un “nero” di una ventina di milioni di euro. Detta a verbale Baita che, con la società Bmc «eravamo venuti in contatto per una questione di sostegno elettorale alla campagne del governatore Galan, dicendoci che, oltre a fare le pubbliche relazioni, loro erano in grado di retrocedere somme in nero, mestiere che facevano normalmente per tutto l’entourage politico del Pdl milanese, allora non so se si chiamasse Forza Italia o quello che era. Tanto è vero che a quel tempo si presentarono accreditati dal segretario regionale del partito, che era l’avvocato Ghedini».
Del resto William Colombelli non è uno qualsiasi in Forza Italia, visto che risulta essere la tessera numero 5 – la numero 1 è di Silvio Berlusconi e la seconda porta il nome di Fedele Confalonieri. Siamo nel 2005-2006 ed è da quel momento – racconta Baita – che inizia a funzionare il meccanismo della “retrocessione” ovvero delle fatture (vere) per le consulenze (false) che servono a creare il “nero” di cui hanno bisogno il Consorzio Venezia Nuova di Giovanni Mazzacurati e la Mantovani di Piergiorgio Baita per corrompere mezza Italia.
A cominciare dalla politica locale, quella che conta meno. «Noi dalla politica locale non è che abbiamo avuto questi grandi favori, abbiamo pagato ma… siamo l’unica impresa veneta a non avere vinto un lavoro su Veneto Strade, siamo l’unica impresa veneta a non avere una lira di appalto pubblico. Cioè, è stato un rapporto controverso. Poi naturalmente non è che si possa litigare con chi governa la Regione».
Ma oltre a Galan e Chisso, Baita chi ha pagato ancora?
«Ho dato all’ing. Dal Borgo il rimborso di un versamento che l’ing. Dal Borgo ha fatto a favore del sindaco Tosi… Mi pare che fossero 15 mila euro». Ma si è trattato di un finanziamento regolarmente registrato. E per Venezia? «So che il candidato su cui aveva puntato il Consorzio era Orsoni. So che Brunetta si era molto risentito, credo che abbiano accontentato anche Brunetta in misura minore».
Ma i rivoli locali non hanno nulla a che vedere con la parte “romana”. «Il riferimento politico del Consorzio è sempre stato Gianni Letta, che ha fatto una sorta di direttore del traffico, dava a Mazzacurati le indicazioni da chi andare – spiega Baita – Il rapporto con Gianni Letta l’ha sempre curato con grande gelosia Mazzacurati assieme all’ing. Alessandro Mazzi. Con la guardia che montava Mazzacurati nessuno si avvicinava a Gianni Letta. Era l’assicurazione sulla vita».
Ma soldi? Mai richieste di soldi, a quanto risulta a Baita. «Dal dottor Letta abbiamo avuto altre richieste, ma non di versamenti diretti di soldi. La prima, modesta, di dare un subappalto ad una certa impresa di Roma e la seconda di farci carico dell’esborso, mi pare fosse inizialmente un milione e successivamente 500 mila euro, che era la somma che la Corte dei conti aveva chiesto all’ex ministro Pietro Lunardi. Credo che Lunardi avesse avuto una condanna per aver rimosso il presidente dell’Anas D’Angiolino. Noi abbiamo dato a Lunardi 500 mila euro non chiedendogli il ribasso sulla tariffa di una progettazione che gli abbiamo dato e che riguarda la prosecuzione dell’A27, Pian di Vedoia-Caralte di Cadore».
Infine la corruzione tra i giudici. Non solo della Corte dei conti di Venezia. Il tramite è Corrado Crialese, presidente di Adria Infrastrutture, la ditta di Claudia Minutillo, e avvocato cassazionista. Crialese si fa pagare in “bianco” e pure in nero. Come si giustifica? «Che lui ha i suoi rapporti da pagare. Io non lo so chi sono nelle varie cause, parché ha seguito molte cause in molti Tribunali» – avverte Baita. Secondo i pubblici ministeri veneziani, l’avvocato Crialese ha corrotto giudici del Tar e del Consigli di Stato. In particolare al Tar per una causa del Consorzio contro la Net Engineering, è probabile che Crialese si sia comprato il giudice. Anche per la Pedemontana Veneta Baita paga Crialese perchè paghi il giudice, ma la causa viene persa. Anche per aggiudicarsi il ricorso al Tar contro la Sacyr, ditta spagnola, Crialese chiede soldi per “ungere le ruote della giustizia”. E così tra una consulenza finta e una tangente vera se ne sono andati mille milioni di euro.

Maurizio Dianese

 

MESTRE – «Voltazza aveva dotato Mazzacurati di un sofisticato impianto per evitare le intercettazioni, un disturbatore, un impianto importante che tiene sempre la Francesca là fuori, la sua segretaria…» Anche questo rivela Piergiorgio Baita e cioè che Giovanni Mazzacurati, consapevole dei rischi che correva utilizzando il telefonino e il telefono dell’ufficio, era dotato di un impianto anti-intercettazioni che gli era stato fornito da Mirco Voltazza, l’uomo incaricato da Baita di raccogliere informazioni sulle indagini della Procura.

 

LA RICOSTRUZIONE – Il colonnello della Finanza Renzo Nisi racconta la manovra a tenaglia

LAVORO DI SQUADRA «Eravamo come dei monaci trappisti. Il risultato è frutto dell’impegno corale di investigatori di grande professionalità e della fiducia piena della magistratura»

LA SVOLTA – Dalle intercettazioni di Brentan all’accertamento fiscale sulla Mantovani

Renzo Nisi da alcuni mesi è stato promosso a Roma. È considerato l’uomo-clou dell’inchiesta sul Mose

«Tutto è cominciato dai controlli tributari. Ci sono voluti 5 anni»

Nisi: «Così ho scoperto gli strani affari del Consorzio»

Davide contro Golia. Quando arrivò a Venezia il giorno del suo compleanno di cinque anni fa, mai si sarebbe immaginato di contribuire a dare il colpo mortale al malaffare in laguna. Qui c’era stato una sola volta in gita con la moglie. Romano di nascita, bergamasco d’adozione, la carriera nella Guardia di Finanza l’aveva svolta per lo più in terra lombarda. Ma con le stellette da colonnello, nella regione al tempo comandata dal generale Emilio Spaziante – arrestato pure lui nella grande retata del Mose – per Renzo Nisi, non c’era posto. “Che dice di Venezia?”. Due ore di auto da Bergamo. Poteva andare anche peggio: dal punto di vista logistico, s’intende. Fu l’inizio della fine. Non lo sapeva il neo colonnello. Non lo sapeva lo scafato generale. Tanto meno i veneziani. Rifiuta la definizione di uomo clou dell’inchiesta sul Mose e accetta di parlarne a quasi una settimana dal d-day nel quale lo scandalo tangenti ha travolto il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, l’ex doge Giancarlo Galan, l’assessore regionale Renato Chisso, l’ex numero due appunto delle Fiamme Gialle Spaziante, il giudice della Corte dei conti Vittorio Giuseppone. Nisi, dopo la promozione a Roma, ha assistito alla detronizzazione dei potenti dalla sede del Comando Generale del Corpo dove dallo scorso 6 settembre dirige l’Ufficio ordinamento. «Il capo coordina e paga quando sbaglia o viceversa riceve i complimenti ma personalizzare le vicende è sempre fuorviante. Il risultato ottenuto – tiene a precisare – è frutto dell’impegno corale di una squadra di investigatori di grandissima professionalità e della fiducia piena dell’autorità giudiziaria».
La pietra che ha travolto il Consorzio Venezia Nuova ha cominciato a rotolare nel settembre 2009 quando Nisi, al vertice della Tributaria veneziana prese visione delle “banali” verifiche fiscali ancora aperte. Tra queste pure quella della Cooperativa San Martino di Chioggia, l’impresa da cui per gemmazione diretta si propagò – secondo l’accusa – il sistema delle fatture false dai costi maggiorati, della retrocessione degli “utili” al Cvn e quindi della creazione dei fondi neri all’estero per il pagamento delle mazzette.
«Mi ricordo – dice Nisi – che dovetti farmi accompagnare perché non sapevo nemmeno dove fosse la Procura, che all’epoca aveva ancora degli uffici in piazza San Marco, e fu lì che conobbi la dottoressa Paola Tonini che credette nella mia intuizione. Del Mose avevo sentito parlare, ma del Cvn e del ruolo che rivestiva, devo essere sincero, ero abbastanza all’oscuro».
Quale fu il fattore che impresse la svolta decisiva?
«Più di uno. Alcune intercettazioni di Lino Brentan, ad di Autostrada Venezia-Padova, che arrestammo per corruzione alla fine di gennaio 2012, nelle quali diceva che la Mantovani, fra i soci di maggior peso dentro il Cvn, poteva risolvere qualsiasi cosa. E il nome, fra quelli inseriti nella famosa lista Pessina, di Alessandro Alessandri della Sacaim, storica impresa di costruzioni di Venezia che commise l’errore fatale di mettersi in concorrenza con il colosso padovano guidato da Piergiorgio Baita fino a ritrovarsi strangolata. Entrambi i fascicoli erano coordinati dal pm Stefano Ancilotto a cui facemmo presente come e quanto la padovana Mantovani possedesse una potenza di fuoco in laguna, tale da fare tabula rasa e sconfiggere persino i nemici più blasonati. A far quadrare il cerchio, proprio l’accertamento tributario alla Mantovani, quale attività programmata dei bravi colleghi padovani, con i riscontri che sappiamo e le manette ai polsi di Baita, dell’ex segretaria di Galan, Claudia Minutillo e di altri».
È qui che si salda la manovra a tenaglia, metafora che Nisi utilizzò durante la conferenza stampa sull’arresto del padre padrone del Cvn, Giovanni Mazzacurati e di mezzo consiglio d’amministrazione, alludendo alle tappe di avvicinamento al vero bersaglio centrato lo scorso 4 giugno.
«Quando in cella insieme ai ladri sono finiti anche le guardie» ironizza lasciando trasparire tutta la difficoltà e tutta l’amarezza vissute. Sia nello scrivere le 740 pagine di informativa, metà coperte da omissis, trasmesse in Procura il 7 luglio 2011, sia dopo. Dalle continue fughe di notizie, alle ingerenze dei servizi segreti, ai sospetti creati ad arte. «Ne hanno fatto le spese i miei capelli» scherza alludendo al loro colore più sale che pepe. Il tono ritorna serio nel ripercorrere i mesi di duro lavoro: «Eravamo come dei monaci trappisti. Tra un po’ dubitavo anche di me stesso. Devo ringraziare i miei ragazzi, della sezione tutela entrate del tenente colonnello Roberto Ribaudo e del Gico del colonnello Nicola Sibilia, la Procura di Venezia, dal procuratore capo Luigi Delpino, all’Aggiunto Carlo Nordio, ai sostituti procuratori Tonini, Ancilotto e Stefano Buccini che hanno saputo creare un team affiatato e leale».
Più di qualcuno ha letto il suo trasferimento a Roma come una sorta di rimozione per affossare tutto. «Il mio trasferimento si inserisce nella naturale progressione di carriera che vede gli incarichi di comando ruotare circa ogni tre anni. Quando il generale Giancarlo Pezzuto mi chiamò a maggio 2013 non potevo rappresentargli, per dovere d’ufficio, ciò su cui stavamo investigando. D’altronde Baita fuori dal Veneto era un perfetto sconosciuto. E io, non lo nascondo, ero sfinito. Come più volte rappresentai al generale Pasquale Debidda, comandante interregionale, che mi fece sentire vicino il Corpo anche nei momenti di massimo sconforto che, in un’indagine di questa caratura, non sono certo mancati, rischiando di far naufragare tutti gli sforzi. A Pezzuto chiesi solo una proroga di un paio di mesi e me li concesse sulla base di una indiscussa stima reciproca».
Giusto il tempo di eseguire le ordinanze di custodia cautelare a carico di Mazzacurati e compagni di merende. E di passare il testimone. «Sicuro, come i fatti hanno dimostrato – conclude Nisi – di lasciare l’attività nelle mani di finanzieri in gamba».

 

LE CARTE – L’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, svela l’intreccio di rapporti con i ministri: soldi a Lunardi, Matteoli e a Milanese, collaboratore di Tremonti.

L’INCHIESTA – Ieri è stato interrogato l’ex sindaco di Venezia Orsoni. La prossima settimana probabilmente toccherà a Galan. E Baita parla anche dei conti del Pdl e del “nero”.

TANGENTI Orsoni sentito in Procura per 4 ore. E spuntano i nomi di Ghedini, Gianni Letta e Tosi
Mose, la pista degli ex ministri
I verbali degli interrogatori di Mazzacurati e Baita chiamano in causa Lunardi, Matteoli e Tremonti

MATTEOLI «Mi ha fatto dei favori, l’ho ricompensato con 400-500mila euro»

Il memoriale di Mazzacurati: così venivano pagati i ministri

Consulenza d’oro a Lunardi perché potesse ridare i 2 milioni che la Corte dei Conti gli chiedeva

L’ex generale Spaziante doveva garantire i finanziamenti: nessun pagamento senza risultati

Una consulenza costruita ad hoc per l’ex ministro dei Lavori pubblici, Pietro Lunardi, per “aiutarlo” a pagare l’ingente somma che la Corte dei conti lo aveva condannato a risarcire, pari ad oltre 2 milioni di euro. Non finiscono mai di stupire i favori che il “sistema Mose” era in grado di elargire al potente di turno pur di ottenere i risultati sperati. A raccontare l’episodio è stato l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, in uno dei numerosi interrogatori sostenuti davanti ai sostituto procuratore Paola Tonini, Stefano Ancilotto e Stefano Buccini, spiegando che a chiedere quel favore era stato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei governi Berlusconi, Gianni Letta, nel corso di un incontro nel suo ufficio a Largo del Nazareno.
CONSULENZA D’ORO – Ad incaricarsi di trovare una consulenza a Lunardi fu l’allora presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita: Mazzacurati parla della progettazione della tangenziale di Cortina, poi mai realizzata. Baita fa riferimento invece al progetto per la prosecuzione dell’A27 da Pian di Vedoia fino a Caralte di cadore: «Praticamente abbiamo dato a Lunardi 500mila euro non chiedendogli il ribasso sulla tariffa».
Nelle centinaia di pagine di cui sono composti il memoriale e i verbali con le deposizioni di Mazzacurati c’è davvero di tutto: uno spaccato desolante di come certa politica ed economia funziona solo a base di favori e clientele; di rapporti privilegiati, di denaro per “ungere” i meccanismi, di faccendieri sempre pronti ad offrire i propri servizi, o a millantare possibilità di intervento.
TREMONTI – Mazzacurati racconta di averlo incontrato un paio di volte, al ministero dell’Economia, su consiglio del vicentino Roberto Meneguzzo, della finanziaria Palladio, per sollecitarlo a mantenere costante il ritmo dei finanziamenti al Mose. Con lui l’allora presidente del CVN dice di non aver parlato di soldi, né il ministro gli avrebbe fatto alcuna richiesta. È in un incontro successivo, sempre procurato grazie all’intervento di Meneguzzo, che Mazzacurati riferisce di aver consegnato 500mila euro a Marco Milanese, stretto collaboratore di Tremonti. «Ti ricordo che non basta avere solo buoni contatti e buone conoscenze, a questo punto bisogna pagare», gli aveva spiegato Meneguzzo, precisandogli che Milanese «gestisce queste cose».
PALLADIO – Mazzacurati racconta di essere arrivato nella sede della Palladio con i soldi dentro una «scatoletta» e di averli consegnati a Milanese: «È Meneguzzo che mi suggerisce la cifra», ricorda l’ex presidente CVN, ricevendo da Milanese un semplice «Grazie». I soldi vengono riposti in «dei mobiletti con delle cose verticali, li ha messi lì dentro». Mazzacurati racconta che gli avevano fatto fretta per quel pagamento: «Milanese aveva trovato anche una giustificazione, nel senso che c’erano tanti altri progetti che aspettavano…»
IL GENERALE – Mazzacurati precisa che dopo il versamento della “mazzetta” non accade nulla e così decide di non dar seguito ad ulteriori pagamenti. Lo stesso sarebbe avvenuto con Emilio Spaziante, sempre contattato attraverso Meneguzzo: l’ex generale della Guardia di Finanza, all’epoca in servizio al ministero dell’Economia, avrebbe dovuto fornire aiuto sia per garantire i finanziamenti ministeriali al Mose, sia per limitare al minimo i problemi relativi ad una verifica fiscale. In assenza di risultati, Mazzacurati avrebbe deciso di non pagarlo più.
LA SOFFIATA – Qualche informazione riservata, però, Mazzacurati la riceve: è sempre Meneguzzo a metterlo in allarme, facendogli sapere che il suo cellulare è intercettato. Lo consiglia pertanto di acquistarne un modello difficilmente intercettabile e l’allora presidente del CNV si adegua. «Ma era troppo complicato, l’ho lasciato alla mia segretaria per prendere gli appuntamenti», confida Mazzacurati ai magistrati veneziani.
GIANNI LETTA – Mazzacurati racconta di aver incontrato spesso il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei governi Berlusconi per sollecitare la prosecuzione dei finanziamenti al fine di completare il Mose. Da Letta dice di non aver mai avuto richieste illecite e a lui assicura di non aver mai versato nulla. Dalla sua deposizione emerge che la Technital, una delle aziende fondatrici del CVN, di proprietà del veronese Alessandro Mazzi, era molto legata a Letta: in molti si lamentavano dei costi altissimi delle loro progettazioni, ma anche del fatto che non ha mai contribuito, a differenza di Mantovani, Coveco e altri, a mettere a disposizione i soldi per pagare i politici.
MATTEOLI – «Il ministro Matteoli mi ha fatto dei favori e ho corrisposto finanziando la campagna elettorale… gli ho corrisposto dei soldi… erano corresponsioni di denaro direttamente a compenso in qualche modo di favori ricevuti… 400-500mila euro… dal 2009 al 2012-2013». Mazzacurati lo ha raccontato nel primo interrogatorio del 25 luglio, e ora la posizione di Matteoli è al vaglio del Tribunale dei ministri.
TUTTO A MEMORIA – Non esiste un “libro mastro” delle tangenti pagate dal Consorzio Venezia Nuova: Mazzacurati teneva tutto a mente, registrava tutto nella memoria: «Ho solo degli appunti», ha spiegato di fronte agli increduli magistrati della Procura.
GLI ONESTI – Non tutti sono stati al soldo di Mazzacurati & Baita: per anni il Consorzio ha avuto rapporti frequenti con il dirigente del ministero delle infrastrutture, l’ingegner Incalza, ma a lui non è mai stata elargita alcuna dazione. Così come non è mai stato pagato uno dei presidenti storici del Magistrato alle acque, Felice Setaro. La spiegazione fornita da Mazzacurati ai pm è disarmante, ma al tempo stesso un conforto: «Alcuni i soldi non li vogliono…»

Gianluca Amadori

 

Consiglio di Stato: commissione d’inchiesta

ROMA – Arriva la Commissione di indagine amministrativa. L’ha nominata il presidente del Consiglio di Stato, Giorgio Giovannini, in relazione alla notizia di presunte illiceità avvenute presso il Consiglio di Stato relativamente ad alcuni procedimenti giurisdizionali». Giovannini vuole approfondire notizie relative alla vicenda Mose, in base alle quali, secondo quanto riferito da alcuni degli interrogati, sarebbero state «comprate» delle sentenze. Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Giancarlo Galan, e Piergiorgio Baita, primo socio del Consorzio Venezia Nuova, hanno dichiarato che una sentenza costava tra gli 80 mila e i 120 mila euro e nei loro interrogatori spunterebbe tra gli altri anche il nome del presidente del Tar del Veneto, Bruno Amoroso.

 

PORTO MARGHERA L’ex ministro e il disinquinamento

Altero Matteoli e le bonifiche, una “pastetta” da 600 milioni

C’è la pastetta anche sul disinquinamento di Porto Marghera. E stavolta c’è di mezzo il ministro Altero Matteoli di Forza Italia. Racconta a verbale Piergiorgio Baita che nel 2003-2004, quando Matteoli era ministro dell’Ambiente, aveva dato il via libera al cosiddetto “protocollo Marghera”. Sostanzialmente i proprietari delle aree contaminate, Edison, Eni e Enel, versavano al Ministero dell’Ambiente una sorta di indennizzo definitivo che doveva essere utilizzato per il disinquinamento delle aree. Si tratta di oltre 600 milioni di euro che vengono incamerati direttamente dal Ministero dell’Ambiente. Che può decidere come spenderli. «Li può spendere facendo il progetto, le gare, gli appalti, oppure può fare, come in realtà poi ha fatto, un accordo di programma col Ministero delle Infrastrutture e Magistrato alle Acque per inserire questi fondi come lavori aggiuntivi sui lavori del Consorzio Venezia Nuova. Quindi senza bisogno di fare le gare, perché nell’ ambito della convenzione i lavori vengono eseguiti dai soci.» Ma Matteoli non fa tutto questo “gratis”. Pone una condizione, «che i lavori venissero affidati all’impresa SO.CO.STRA.MO del dottor Erasmo Cinque, impresa che in un primo momento non poteva avere i lavori perché, non essendo socia del Consorzio, non poteva essere direttamente assegnataria; pertanto i lavori sono stati assegnati a Fisia Impregilo, al quale poi noi siamo subentrati, con il vincolo di subappaltarli a Erasmo Cinque». Specifica Baita: «Quindi Fisia riceve fuori quota questi lavori e li subappalta a Erasmo Cinque e a Mantovani perché Mantovani ha i requisiti per la bonifica. Erasmo Cinque non ha niente, però lo prendiamo in Associazione temporanea d’impresa. Lo prendiamo in ATI e nell’ambito dell’ATI Erasmo Cinque ci risubappalta la sua parte di lavori in cambio di una percentuale fissa che mi pare fosse il 6,5% o il 7%» Dunque la ditta di Erasmo Cinque si limita a “remenar carte” come si dice a Venezia nel senso che non fa assolutamente nulla a parte farsi pagare profumatamente per quel nulla.
Poi succede che Matteoli passa dal Ministero dell’Ambiente a quello delle Infrastrutture, ma il metodo non cambia. «Deve aver litigato con Erasmo Cinque perchè presenta un altro signore, un certo Gualtiero Masini». E così si elimina la tangente del 6-7 per cento che Erasmo Cinque incassava anche per conto del ministro? «No, si elimina Erasmo Cinque, ma non la tangente – spiega Baita – Quella rimane». La tangente rimane sempre. E siccome nessuno vuol correre il rischio di trovarsi a fare i conti con un controllore vero «c’è stata la nomina del Presidente Cuccioletta – come Magistrato alle acque – che è stato un uomo indicato da Matteoli. E’ stato indicato da Erasmo Cinque e Matteoli.» Probabilmente in questo ordine di importanza.

Maurizio Dianese

 

EXPO Il duro monito del presidente Squinzi: non possono stare con noi

«Via i corrotti da Confindustria»

MILANO – Fuori i corruttori da Confindustria, il sindacato che chiede la fine del massimo ribasso e regole certe per le grandi opere, Milano che comunque ci crede. L’Expo continua a muovere il mondo politico e soprattutto quello economico, con gli industriali che confermano una scelta simbolica: per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale non terranno la loro assemblea annuale a Roma, ma nel quartiere dell’Esposizione universale. «Non ci interessa sapere se gli imprenditori che corrompono lo fanno perché obbligati o per vero e proprio spirito doloso: essi non possono stare tra noi, questo deve essere chiaro». Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, lo vuole ripetere durante l’assemblea della principale ‘territoriale’ della sua organizzazione: Assolombarda, l’associazione degli industriali di Milano e provincia. «Expo deve essere l’acceleratore per la ripartenza, non la sua immagine guasta: oggi siamo avviliti dalla cronaca, riflettiamo troppo poco sul cuore dell’esposizione universale, travolti da cronache sciagurate», aggiunge Squinzi.
Sul tema delle grandi opere e delle regole interviene anche la Cgil. «Non si può costruire un massimo ribasso ma determiniamo parametri di qualità» tra cui «condizioni di lavoro e diritti contrattuali», dice il segretario Susanna Camusso sempre da Milano. La vicenda può servire a «ridefinire la logica degli appalti: ci vogliono regole certe perché quelle che ci sono non lo sono. Da un lato abbiamo costruito un meccanismo sul massimo ribasso e, dall’altro, sulla rivalsa».

 

GLI INTERROGATORI In Procura per l’accusa di finanziamento illecito. La prossima settimana tocca a Galan.

Orsoni, quattro ore di domande e riserbo totale.

Gli ex sindaci non indagati: un favore al filosofo, piccoli contributi all’udc

Spuntano Bergamo e Cacciari

Quattro ore in Procura per il sindaco (sospeso) di Venezia, Giorgio Orsoni, accusato di finanziamento illecito in relazione ad alcune somme che sarebbero state elargite in occasione della campagna elettorale dal Consorzio Venezia Nuova e dal suo presidente, Giovanni Mazzacurati. Orsoni, in compagnia del suo difensore, l’avvocato Daniele Grasso, è stato visto in mattinata entrare al Palazzo di Giustizia, dove si è fermato a lungo. Top secret l’oggetto della “visita” in Procura: il suo difensore si è trincerato dietro un impenetrabile “no comment” e lo stesso hanno fatto i magistrati che si stanno occupando delle indagini. Un riserbo di questo tipo fa pensare a possibili dichiarazioni di estrema delicatezza resa dall’ex sindaco, dichiarazioni che potrebbero portare a nuovi e inattesi sviluppi delle indagini. Ma per ora si tratta soltanto di supposizioni.
Orsoni si trova agli arresti domiciliari per due diversi episodi di finanziamento: il primo relativo a 110mila euro, registrati dal suo mandatario elettorale, ma ritenuti irregolari in quanto a metterli a disposizione era il CNV, mentre formalmente risultavano i nomi di altre società. Il secondo presunto finanziamento di 450mila euro, sarebbe stato versato direttamente da Mazzacurati e dall’allora presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita. Nei giorni scorsi, durante l’interrogatorio di garanzia, Orsoni ha respinto ogni accusa. Nei prossimi giorni si saprà cosa ha dichiarato ai pm. Nel pomeriggio l’Ordine degli avvocati ha aperto un fascicolo e ha fissato l’audizione di Orsoni.
GALAN – Nel frattempo gli avvocati Antonio Franchini e Nicolò Ghedini, difensori dell’ex presidente della regione, Giancarlo Galan, si sono recati dal procuratore capo Luigi Delpino per concordare, per la prossima settimana, la data di un interrogatorio del politico di Forza Italia, indagato per corruzione in relazione a somme milionarie che, secondo l’accusa, avrebbe incassato in cambio di favori al CVN.
MARCHESE – Una prima conferma alle ipotesi della Procura in relazione ai finanziamenti illeciti contestati a Giampietro Marchese, ex responsabile organizzativo del Pd, è arrivata dall’ex presidente dell’autostrada Padova Venezia, Lino Brentan, il quale ha riferito ai magistrati di una somma da lui consegnata a Marchese.
BERGAMO E CACCIARI – Dai verbali di Mazzacurati emergono infine i nomi di altri due ex sindaci di Venezia: entrambi non sono però indagati. Al primo, Ugo Bergamo (Udc), attuale assessore alla Mobilità del Comune, Mazzacurati avrebbe versato piccoli contributi elettorali fino al 2005, di cui non ricorda l’ammontare. Al secondo avrebbe fatto un favore, su sua richiesta, sponsorizzando il Calcio Venezia dell’allora presidente Lorenzo Marinese e concedendo un lavoro all’azienda dello stesso. Bergamo, contattato ieri a margine del Consiglio comunale di ieri, è caduto dalle nuvole, dichiarando di non saperne nulla.

(gla)

 

LE INTERCETTAZIONI – Puntavano a Palazzo Chigi per il placet ai grandi progetti

GLI “ONESTI” Setaro e Incalza non chiesero niente: «Alcuni i soldi non li vogliono»

Cercavano di manovrare anche il premier Berlusconi

La rete del Consorzio per condizionare le nomine al Magistrato alle Acque

Volevano condizionare anche il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, attraverso il suo sottosegretario Gianni Letta. La ragnatela tessuta da Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, puntava in alto. Ai vertici di Palazzo Chigi, perchè da lì arrivava il placet politico ai grandi progetti in Laguna. I pubblici ministeri e i finanzieri di Mestre hanno trovato alcune tracce nelle intercettazioni, poi confermate a verbale da alcuni degli interessati.
Nulla di penalmente rilevante, per quanto riguarda il Cavaliere e Letta, ma indicativo di quanto potente fosse il Consorzio. Il capitolo Palazzo Chigi si inserisce in quello del condizionamento dei magistrati alle Acque di Venezia. In carcere sono finiti Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva, che si sono succeduti nella carica. Secondo l’accusa, erano a libro paga con 400 mila euro all’anno. A disposizione. Di quest’ultima, Mazzacurati ha detto: «La signora Piva ci ha dimostrato subito una pesante ostilità a suo tempo e l’abbiamo corretta con… portandole dei soldi». Quando nel 2011 fu nominato l’ing. Ciriaco D’Alessio ci furono le grandi manovre. Mazzacurati voleva un suo uomo, l’ingegner Giampietro Mayerle, già vice di Cuccioletta. Ci fu, come ha raccontato Piergiorgio Baita, «un braccio di ferro tra Erasmo Cinque (imprenditore romano, ndr) e Mazzacurati su chi dovesse tenere i rapporti col ministro Altero Matteoli». Quest’ultimo è ora indagato davanti al Tribunale dei ministri per il ruolo avuto nell’assegnazione di lavori delle bonifiche di Porto Marghera. Un capitolo ancora in ombra. Perchè tanto interesse? Ha messo a verbale Pio Savioli: «C’è una battuta: basta portare là, al Magistrato alle Acque, anche la carta igienica usata che te la firmano». Ovvero, il Magistrato avallava ogni atto del Consorzio. Secondo i Pm veneziani, Mazzacurati, tagliato fuori dalla nuova nomina, «non intende darsi per vinto e si rivolge a Gianni Letta per ostacolare D’Alessio in favore di Mayerle». Ne parla anche con Mauro Fabris, attuale presidente del Consorzio: «Ho informato il Dottore (Gianni Letta, ndr) che si è preso un attacco di bile che è raro». E con Maria Brotto, del Consorzio: «Bisogna andar da Letta, però ho paura che combino un casino. Sì, mi metto contro il ministro… è un massacro». Il ministro è Matteoli. Il 5 ottobre 2011, Mazzacurati ne parla anche con l’avvocato Alfredo Biagini: «Oggi io vedo il Dottore! Lì ci vuole un atto d’imperio di… di Berlusconi». Biagini: «Guarda che siccome per un anno non sposti niente, ehhh non è il momento di toccare nulla e… rimandiamo di un anno punto». Dopo l’incontro con Letta, Mazzacurati si sfoga con Federico Sutto, del Consorzio: «È andata bene con Letta, lui mi ha fatto una sparata su Erasmo (Cinque, ndr) dicendo che è uno scandalo e che hanno coinvolto anche il pres… si vede che lui l’ha già detto e capisce benissimo che io sia in difficoltà ma ho avuto l’impressione che lui non riesca a…».
Nel 2013, un mese e mezzo prima dell’arresto, si ripetono le pressioni. Perchè scade D’Alessio, come previsto. Mazzacurati sostiene Paolo Emilio Signorini, contro Fabio Riva.
Di Letta, Mazzacurati ha detto: «L’ho conosciuto fra il 1996 e il 1997, mi ha portato da lui il Presidente Galan… il dottor Letta é stato per i nostri progetti un riferimento molto importante, io mi sono rivolto molte volte a lui per un sacco di problemi. spiccava anche all’estero: per esempio, alcune volte il dottor Letta mi ha portato da Berlusconi perché voleva sapere a che punto eravamo… Il dottor Letta in questi anni non ha mai chiesto nulla».

Giuseppe Pietrobelli

 

LA REPLICA – L’assessore cade dalle nuvole: «Non ne so davvero nulla»

L’INCHIESTA – Episodi datati, nessuno dei due è indagato della Procura

IL CONSORZIO – L’ex presidente parla anche dei rapporti con i politici veneziani

Due ex sindaci nei verbali di Mazzacurati

Ugo Bergamo è citato per presunti contributi elettorali fino al 2005, Cacciari per un aiuto al Calcio Venezia e a Marinese

Finanziamenti elettorali ad uno, favori collegati al Calcio Venezia all’altro.
I nomi di altri due sindaci, oltre a quello di Giorgio Orsoni, sono finiti marginalmente nei verbali riempiti da Giovanni Mazzacurati, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, accusato di aver corrotto ed elergito contributi a destra e sinistra per anni, con l’obiettivo di ingraziarsi tutti e poer completare il più rapidamente possibile la “sua creatura”, il Mose.
Il primo è quello di Ugo Bergamo, attuale assessore alla Mobilità del Comune di Venezia. Mazzacurati riferisce di aver versato alcune piccole somme a sostegno delle diverse campagne elettorali fino al 2005. Nel memoriale depositato in Procura quando decise di iniziare a collaborare, il 25 luglio dello scorso anno, scrive di non ricordare gli importi «perché risalenti nel tempo» (mentre precisa quelli versati ad Orsoni, e all’ex segretario del Pd, Giampietro Marchese, in entrambi i casi tra i 400 mila e 500 mila euro). Nell’interrogatorio del successivo 29 luglio non aggiunge particolari se non che «abbiamo avuto piccoli esborsi per Bergamo», puntualizzando di andare a memoria. L’ex sindaco non risulta essere sotto inchiesta e, in ogni caso contributi risalenti al 2005, anche se fossero stati irregolari, sarebbero già prescritti per il tropo tempo trascorso.
Contattato a margine del Consiglio comunale di ieri pomeriggio, l’assessore Bergamo è caduto dalle nuvole: «Mai sentito parlare di questa cosa», ha dichiarato.
L’altro ex sindaco di Venezia, citato marginalmente nel capitolo sui rapporti di Mazzacurati con la politica locale, è Massimo Cacciari. «Ho avuto un rapporto con Cacciari, che mentre era sindaco mi ha chiesto di aiutare un’impresa che si chiamava Marinese (di cui era titolare nel 2005 l’allora presidente del calcio Venezia, ndr), che veniva da quella che è una grossa impresa che si chiamava Guaraldo – ha mesos a verbale l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova – Poi Cacciari mi ha chiesto una sponsorizzazione di 300mila euro per la squadra di calcio, insomma, una roba così…» Quanto all’impresa di Marinese, Mazzacurati ha precisato che la richiesta di interessamento «si è tradotta in un lavoro che gli abbiamo dato». Anche in questo caso si tratta di episodi per i quali Cacciari non risulta indagato, e comunque piuttosto datati. La sponsorizzazione del Consorzio Venezia Nuova al Calcio venezia, peraltro, non fu un mistero: nel dicembre del 2005 lo stesso Mazzacurati, in un’intervista, spiegava che c’era stata «una sponsorizzazione, grazie all’ingegnere Mazzacurati del Consorzio Venezia Nuova».

Gianluca Amadori

 

L’INTERROGATORIO

Lino Brentan si difende

L’ex manager conferma i soldi a Piero Marchese

Lino Brentan ha confermato di aver consegnato somme di denaro a Giampietro Marchese. L’ex amministratore della Società autostrade Padova-Venezia lo ha fatto nel corso dell’interrogatorio sostenuto alla presenza del suo legale, l’avvocato Giovanni Molin; interrogatorio in cui ha respinto l’accusa per cui è finito agli arresti domiciliari, cioè quella di concussione per induzione nei confronti di Piergiorgio Baita e Mauro Scaramuzza, rispettivamente amministratori di Mantovani e Fit spa che, secondo la Procura sarebbero stati costretti a corrispondergli 65mila euro per poter svolgere alcuni lavori autostradali tra il 2007 e il 2009.
Brentan si è difeso con determinazione dall’acusa di concussione per induzione, riservandosi di fornire documentazione per dimostrare che le cose non sono andate come ha raccontato Scaramuzza. Nel corso dell’interrogatorio ha anche parlato dell’uomo che per anni è stato segretario organizzativo del partito (prima Pci, poi Pds, Ds e infine Pd), Giampietro Marchese, riferendo di avergli consegnato una somma di denaro: non è chiaro se si tratti della stessa che la Procura contesta a Marchese a titolo di finanziamento illecito in relazione alla campagna elettorale 2010, o se sia una diversa somma. Per gli inquirenti si tratta, in ogni caso, di una conferma delle ipotesi d’accusa per le quali il gip Alberto Scaramuzza ha imposto gli arresti domiciliari a Marchese. L’ex responsabile organizzativo del Pd, ed ex consigliere regionale, è finito sotto accusa per più di un contributo elettorale. Tra questi figurano i fondi che sarebbero stati versati dal Consorzio Venezia Nuova anche attraverso la Cooperativa San Martino di Chioggia. Nel capo d’imputazione si parla di una somma che oscilla tra 400 e 500mila euro, ma anche di una assunzione fittizia presso lo studio Eit per garantirgli uno “stipendio” di 35mila euro.
Nell’interrogatorio sostenuto davanti ai pm Paola Tonini e Stefano Ancilotto, l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, nel “capitolo” decicato ai politici locali, ha confermato di aver elargito contributi elettorali ad «un certo Marchese, al quale abbiamo versato per questa campagna dasi 200 ai 300 mila euro».

 

L’INTERVENTO

di Sandro Boato – ex consigliere regionale Verdi Trentino Alto Adige

Il Mose non è Mosè

Per salvare Venezia non basta il nome

Il successo del Pd di Renzi è forse un segno di speranza, ma pure di paura, non soltanto della forza disorientata del Movimento 5 Stelle, ma anche della precarietà e inaffidabilità del mondo politico e imprenditoriale. Questa situazione precipitata dopo il ventennio horribilis (1993/2013) per la sua eredità di populismo egoista, di illegalità diffusa, di rovesciamento di valori come l’onestà pubblica e privata, la giustizia civile e la responsabilità sociale. Lo scandalo del Mose nella laguna di Venezia vede coinvolte nell’inchiesta un centinaio di persone che nella gravità delle incriminazioni sembrano accomunate da una pestilenza attraente: la fame di danaro. È malattia dell’Italia dunque la corruzione dilagante che tanta gente accetta o finge di non vedere?
C’è una larga fascia sociale connessa con operazioni un tempo considerate sporche e che oggi appaiono normali. In realtà saranno pagate dalle generazioni a venire, dai nostri figli e nipoti una parte dei quali già fugge in cerca di quello che gli Orsoni, le Sartori e i Galan stanno sottraendo loro. Nel dibattito esploso sul caso apparentemente nuovo, ma in realtà prevedibile da qualche anno, manca però qualcosa di essenziale che cerco di sintetizzare.
Prima che il Mose fosse imposto dall’alto furono presentate in un convegno a Venezia due alternative che avrebbero dovuto essere prese ufficialmente in esame ma che i mass media ignorarono. Erano proposte per non allargare ulteriormente le tre bocche di porto (come invece fa il Mose paradossalmente), per usare materiali sperimentati in altri porti italiani ed europei caratterizzati da leggerezza, elasticità, rapidità esecutiva, per il contenimento dei costi del modello progettato e della sua manutenzione (pesantissima questa nel Mose). Il suo difetto stava nel costo irrisorio: il 10 per cento del Mose, troppo poco per poter rubare molto.
La recente vertenza sulle grandi navi nel cuore della città e della laguna ha qualche interferenza con il Mose. Da una parte c’è la previsione – con l’innalzamento del livello marino e quindi con frequenti acque alte – di dover lasciare chiusa la laguna per un tempo incompatibile con l’ossigenazione dell’ecosistema, la necessità di ricambio delle acque inquinate e il funzionamento del porto. Dall’altra i mostruosi condomini navali pretendono di poter entrare e uscire liberamente anche quando le bocche di porto saranno chiuse, con enormi conche ad hoc.
Alcuni personaggi ora inquisiti e altri del giro (legati al Consorzio Venezia Nuova, responsabile primo dei lavori e dei conti) stavano ipotizzando un secondo taglio lagunare per le grandi navi, oltre al micidiale Canale dei Petroli che ha sconvolto la laguna centro-meridionale, ecologicamente un tutt’uno con la città storica. Come nel convegno per l’alternativa al Mose, così ora la medesima équipe di professori e tecnici ambientalisti ha già consegnato agli organi di salvaguardia e al ministero competente il progetto di avamporto-terminal passeggeri sul mare a ridosso esternamente dello stesso Mose, per far sostare le grandi crociere a Venezia senza compromettere ancor più la laguna. Verrà ignorato anche questo?
Parliamo d’Europa e si rimane sgomenti dal nostro precipitare in quello che con sufficienza chiamavamo “terzo mondo”. Parliamo d’ambiente (la giornata mondiale si è celebrata lo scorso 5 giugno) e non riusciamo ancora a considerare noi umani come parte e non dominio del cosmo. Nell’attuale rovesciamento dei valori il Mose è sempre più lontano da quel Mosè che significava emblematicamente la salvezza dalle acque. Non basta il nome.

 

TORMENTI IN FORZA ITALIA – Arresti del Mose, Brasiola contro Capon e i chissiani

CHIOGGIA – Il terremoto dovuto allo scandalo Mose porta di nuovo alla luce i problemi di Forza Italia a livello locale dove, al momento, si scontrano due anime: quella che segue Beniamino Boscolo Capon, da anni punto di riferimento del partito a livello locale, e quella che segue l’attuale capogruppo Daniele Tiozzo Brasiola, affiancato dal neo entrato forzista Matteo Penzo. E proprio Brasiola, poche ore dopo l’arresto di Chisso, ha rilasciato un commento che lascia ben poco all’immaginazione. Una frecciata vera e propria diretta a Beniamino Boscolo Capon, molto critico nei mesi scorsi, soprattutto nei riguardi di Matteo Penzo la cui entrata in Forza Italia non è vista di buon occhio da una parte del partito locale. «Mi rammarico per quanto successo e per gli arresti eccellenti che ci sono stati – afferma Daniele Tiozzo Brasiola -. Auspico che al più presto venga fatta luce dalla magistratura. Una vicenda che non crea contraccolpi a livello chioggiotto in quanto, dalle stesse dichiarazioni dell’assessore Chisso, si riteneva rappresentato dal solo consigliere comunale Beniamino Boscolo, non appartenente al gruppo consiliare di Forza Italia. Attendiamo una presa di posizione da parte dei referenti da lui nominati e ci aspettiamo, come già più volte richiesto, un rinnovamento della classe dirigente».
Beniamino Boscolo non raccoglie la provocazione: «Se hanno qualcosa da dirmi mi possono telefonare, non serve che facciano comunicati stampa – afferma -. La mia posizione è la stessa espressa dal coordinatore provincia Igor Visentin. Le vicende giudiziarie faranno giustamente la loro strada; gli uomini e le donne di Forza Italia continueranno come sempre a lavorare con l’obiettivo di offrire alla città e ai suoi territori limitrofi, persone capaci e pronte, a disposizione della collettività».

(m.bio.)

 

Aperto un fascicolo per danno erariale, nel mirino le sovrafatturazioni per i fondi neri

I giudici contabili partiranno dalle somme distratte, sulla base delle cifre della Procura

Si procederà nei confronti del Cvn Il contenzioso verso i politici potrà iniziare solo dopo la condanna

VENEZIA Lo Stato proverà a riprendersi una parte del denaro pubblico rubato nello scandalo Mose. La Corte dei Conti ha aperto un fascicolo per danno erariale, oggetto: le sovrafatturazioni con le quali il Consorzio Venezia Nuova (concessionario unico dello Stato per le opere di salvaguardia) ha realizzato un fondo nero grazie alle false fatture emesse da imprese compiacenti. Servissero a pagare tangenti oa evadere l’Iva, la Corte non se ne cura: quel che interessa ai giudici contabili è che si tratta in ogni caso di false spese messe ovviamente in conto allo Stato, per lavori mai effettuati. Per ora non ci sono indagati, ma il sistema era coordinato dal Consorzio Venezia Nuova, come ha ammesso nei suoi interrogatori l’ex presidente Giovanni Mazzacurati. La Corte potrà partire dai 23 milioni di euro accertati dalla Procura. Erano pignoli al Consorzio, anche nel contabilizzare il «nero». Così i finanzieri, nella perquisizione del luglio 2013, trovano un file «Fatturato Cimpr30r » che – scrive il giudice Scaramuzza nella sua ordinanza – «dimostra in modo in equivoco la totalità dei compensi corrisposti al Cvnper le prestazioni asseritamente rese (ma in realtà fittizie) dal 2005 al 2011 alle singole società »: 23 milioni e 47 mila euro, a Condotte, Coveco (che teneva i contatti con le imprese minori), Coop San Martino,Mantovani, Cidonio. «Retrocessioni» che alimentavano il fondo nero e che – ha testimoniato Piergiorgio Baita – sono cessate nel 2011, in seguito alla prima visita della Finanza. Baita ne ha spiegato anche il meccanismo per primo: «Le ditte fatturavano lavori mai effettuati, il Cvn pagava, le imprese “retrocedevano” il 60% e poi vi era la destinazione delle somme retrocesse al destinatario finale (politici, amministratori, partiti)». «Ho chiesto alla Guardia di finanza un prospetto su questo punto specifico», spiega il procuratore Carmine Scarano (nella foto), «perché la sovrafatturazione già pagata dallo Stato per opere mai eseguite è un danno erariale accertato, qualsiasi sia stata la destinazione di quei fondi. Per un eventuale danno d’immagine provocato da politici e amministratori, rappresentanti delle istituzioni, potremo intervenire solo dopo le condanne definitive. Il finanziamento illecito non è, invece, un campo di nostra competenza: per legge». Fal fondo nero – secondo l’accusa- il Cvn attingeva per pagare le tangenti contestate all’ex presidente e ex ministro Galan (come lo «stipendio» da 1 milione l’anno), i 200-250 mila euro l’anno contestati all’ex assessore regionale Renato Chisso, i 400 mila per l’ex magistrato alle Acque Cuccioletta o gli altrettanti contestati alla collega Maria Giovanna Piva o i 300 mila l’anno attribuiti (sempre secondo la Procura) al magistrato della stessa Corte dei Conti (Servizio centrale di controllo) Vittorio Giuseppone. E via accusando. In questi anni, sul tavolo del procuratore Scarano sono arrivate numerosi esposti del Wwf, Italia nostra, comitati, anonimi aventi per oggetto il Mose: ma – spiega – «Si trattava di segnalazioni per reati ambientali: anche la competenza su questo genere di reati ci è stata tolta per legge molti anni fa, riservandola alla giustizia penale ». Per il momento, dunque, il fascicolo – affidato al procuratore Giancarlo Di Maio – ha sul “banco degli indagati” il Cvn e potrà allargarsi ai politici accusati di corruzione solo dopo la condanna. Il sindaco Orsoni – semmai si acclarasse che ha ricevuto finanziamenti illeciti – resterà comunque fuori. «Tuttavia», conclude il procuratore Scarano, «la corruzione è un problema etico generale in italia, di sensibilità comune, si deve ripartire dalle scuole: perché per quante leggi cambi, se non cambi gli italiani, non si sconfiggerà».

Roberta De Rossi

 

DATI E CIFRE

23 milioni di euro di tangenti pagate al sistema politico e ai funzionari secondo la Procura di Venezia

24 gli arrestati tra cui il sindaco di Venezia, l’ex governatore Galan e l’ex assessore regionale Renato Chisso

40 milioni di euro il patrimonio sequestrato agli indagati

 

Commissione d’indagine del Consiglio di Stato

«Il Presidente del Consiglio di Stato, Giorgio Giovannini, in relazione alla notizia di presunte illiceità avvenute presso il Consiglio di Stato relativamente ad alcuni procedimenti giurisdizionali», in particolare l’inchiesta Mose, «ha nominato una Commissione di indagine amministrativa, al fine di verificare l’esistenza di eventuali elementi di criticità», così recita una nota . La questione che Giovannini vuole approfondire riguarda alcune notizie , in base alle quali, sarebbero state «comprate» delle sentenze. Claudia Minutillo, l’ex segretaria di Giancarlo Galan, e Piergiorgio Baita, primo socio del Cvn, hanno dichiarato che una sentenza costava tra gli 80 mila e i 120 mila euro e nei loro interrogatori spunterebbe tra gli altri anche il nome del presidente del Tar del Veneto, Bruno Amoroso. La Commissione nominata da Giovannini è presieduta da Riccardo Virgilio ed è composta da Giuseppe Severini e da Oberdan Forlenza.

 

Sempre le stesse imprese in tutti i project del Veneto

Dal Passante agli ospedali ci sono Mantovani, Fincosit, Astaldi e Maltauro

Alle cooperative rosse destinato sempre un terzo del valore dell’opera

VENEZIA Una carta stradale del Veneto dai colori rosso, verde, arancio, viola e azzurro. Sta tutto in questa mappa, che Renato Chisso porta sempre con sè, il sistema dei project del Veneto. Dal sistema delle tangenziali venete (Si.Ta.Ve) che comprendeva il traforo delle Torricelle a Verona, l’adeguamento della tangenziale di Vicenza al completamento del Grande Raccordo di Padova alla Nuova Romea Commerciale; dalla Nogara Mare alla Strada regionale 10 Padana inferiore fino alla Nuova Valsugana e all’Intervalliva del Comelico. Poi, naturalmente, gli ospedali: la cui pagina giudiziaria è ancora tutta la scrivere. Non solo Mose, nelle carte della clamorosa inchiesta che sta decapitando il Veneto della politica. Ma anche ospedali, strade, porti e tangenziali. La parolina magica era «project financing », i progetti di finanza che tanta parte hanno avuto – nel bene e nel male – nel Veneto degli ultimi quindici anni. Il pubblico non ha i soldi? Li mette il privato. In realtà, in cambio di generose concessioni pluriennali dal rendimento a doppia cifra. Nelle carte dell’inchiesta veneziana i protagonisti sono l’ex governatore Giancarlo Galan, presidente del Veneto dal 1995 al 2010; l’ex assessore regionale Renato Chisso, a fianco di Galan tra il 2000 e il 2000; il manager Piergiorgio Baita, fino al 2013 presidente ed amministratore delegato della Impresa Mantovani, l’inventore della via veneta al project; l’ex segretaria di Galan Claudia Minutillo e presidente di Adria Infrastrutture, sodale di Chisso in molte occasioni. Al centro del sistema, certamente, la Impresa Mantovani e la sua Adria Infrastrutture: Piergiorgio Baita, l’inventore dei project, e Claudia Minutillo, presidente della controllata. Ma nel patto era prevista sempre la presenza delle cooperative rosse: un terzo dell’affare era loro assicurato. L’ostacolo era rappresentato dai tempi biblici di approvazione dei progetti. Nonostante una legge regionale, la numero 15 del 2002 (approvata in pieno agosto) agevolasse le procedure, gli imprenditori erano preoccupati della lentezza dell’apparato politico e burocratico. Per questo avevano deciso, sin dalla fine degli Anni Novanta, di mettere «a libro paga» politici e funzionari. Secondo la ricostruzione della Procura di Venezia, fino a quando c’era Galan in Regione le procedure erano regolari e, con il mastino Renato Chisso, procedevano senza intoppi. Con l’arrivo di Luca Zaia in Regione i tempi si sono allungati e Chisso non riusciva più a garantire le procedure secondo i tempi. Per questo si è reso necessario «fidelizzare» dei funzionari regionali con competenze precise: Giovanni Artico e Giuseppe Fasiol, arrestati con il blitz del 4 giugno scorso. L’uno sulle opere a mare, l’altro sulle infrastrutture stradali avevano raccolto l’eredità di Silvano Vernizzi, il «padre del Passante». Il più classico dei project è stato il Passante di Mestre, un investimento di 1,265 miliardi di euro in cambio della gestione fino al 2032. Lo realizza un cartello di imprese che va da Impregilo a Fincosit, da Fip industriale a Cooperativa muratori e cementisti, da Mantovani a Consorzio cooperative costruttori, Consorzio Veneto Cooperative, Serenissima costruzioni. Così l’ospedale di Mestre: 258 milioni di euro per una concessione di 29 anni Veneta Sanitaria Finanza di Progetto spa (Astaldi 31%, Mantovani 20%, Aerimpianti 14%, Gemmo 14%, Cofatech 7%, APS 7%, Mattioli5%, Studio Altieri 2%). Ma i project servono anche per il nuovo terminal traghetti di Fusina realizzato dalla Venice Ro-Port Mos (Mantovani, Tetis, Nuova Fusina ingegneria, Adria infrastrutture) per un valore di 230 milioni e 40 anni di concessione. Per la Nogara mare project da 1,9 milardi (cordata di Autostrada Bs Pd, Società delle Autostrade Serenissima Spa, Astaldi Concessioni Srl, Astaldi Spa, Mantovani Spa, Itinera Spa, Technital Spa e S.I.N.A. Spa.). Per la Padana inferiore coinvolti Maltauro, Nuova Co.ed. mar. di Chioggia e Vittadello di Limena, che avranno la gestione per 38 anni. Le autostrade del mare, affidata a Adria Infrastrutture in un project da 210 milioni.

Daniele Ferrazza

 

Galan presto dai pm, legali in Procura. Ma l’accusa è «tangenti per 10 milioni»

VENEZIA. Si dice pronto a rilasciare dichiarazioni spontanee davanti ai giudici Giancarlo Galan, e ha mosso i suoi legali. L’appuntamento forse giovedì. Da parlamentare, è deputato di Forza Italia, la legge non prevede che possa essere interrogato dalla Procura veneziana sull’inchiesta Mose. C’è una richiesta di arresto per corruzione per una decina di milioni «non chiari», ricevuti da Giovanni Mazzacurati e soci che andrà all’esame mercoledì della Commissione parlamentare per le autorizzazioni. Ma oggi i suoi difensori, gli avvocati Niccolò Ghedini e Antonio Franchini, sono stati ricevuti dal Procuratore Luigi Delpino.A lui hanno chiesto la possibilità che la Procura di fatto lo ascolti «in silenzio». L’incontro tra i legali e Delpino è stato blindato, tanto che le porte della Procura sono state chiuse e il passaggio era possibile solo con il pass. Secondo la Procura, tesi accolta dal Gip Alberto Scaramuzza, il Consorzio Venezia Nuova guidato dal «gran burattinaio» (Mazzacurati) a Galan «corrispondeva denaro allo scopo di influire sulle decisioni inerenti il rilascio dei nulla osta da parte delle Competenti commissioni regionali Via e Salvaguardia» nonchè per «accelerare gli iter di approvazione degli atti di competenza regionale necessari all’esecuzioni dell’opera Mose». In una decina d’anni Galan, si legge negli atti, ha ricevuto «uno stipendio annuo di un milione di euro», inoltre 900mila euro «nel periodo tra il 2007 e il 2008» per il via libera in Salvaguardia, e ulteriori 900mila euro «nel periodo tra il 2006e il 2007» per il parere favorevole della commissione Via del 4novembre 2002 e del 28 gennaio 2005. Galan, secondo l’accusa, si avvaleva di un prestanome, il commercialista Paolo Venuti, anch’egli indagato. Il «Doge» si sarebbe fatto anche ristrutturare, tra il 2007 e il 2008, il corpo centrale della sua villa a Cinto Euganeo e, nel 2011, della barchessa dell’abitazione per un milione. I Pm nella loro relazione al Gip per l’applicazione delle misure cautelari hanno fatto i «conti in tasca» a Galan sottolineando che la famiglia dell’ex governatore (lui e la moglie) nel periodo 2000-2011 ha avuto entrate per quasi 1,5 milioni di euro con uscite per oltre 2,5 milioni, «manifestando una sproporzione di euro 1.281.552,64». Oltre a numerose partecipazioni societari e al mistero della scia di gas verso l’Indonesia, beni di Galan e della moglie sono poi custoditi in cassette di sicurezza della Banca Popolare di Vicenza. Per spiegare il ruolo di gestore del patrimonio Galan da parte di Venuti, i pm indicano una intercettazione ambientale eseguita a bordo dell’auto dello stesso Venuti. In un passo dice «resta il fatto che montagne di banconote sono sparite», e in un altro rileva: «Giancarlo è molto spaventato, quindi stavo tirando giù dati delle dichiarazioni vecchie che noi abbiamo fatto…».

 

Cercarono di rubare le prove ai pm

Colombelli aveva registrato i colloqui, Baita: «Masei scemo?». Finanzieri e magistrati in gommone per evitare le spie

VENEZIA Con i retroscena dell’inchiesta Mose si potrebbe scrivere un romanzo di quelli che spingono a divorare un capoverso dietro l’altro, per vedere cosa succede. Si è già capito che la realtà supera la fantasia, in un mondo capovolto, in cui le guardie fanno anche la parte dei ladri. Non tutte per fortuna, ma quanto basta per costringere gli inquirenti a darsi alla macchia per difendersi dalle incursioni degli indagati. I magistrati del pool veneziano che concordano con i colleghi competenti per territorio la rogatoria per William Ambrogio Colombelli, residente a San Marino e titolare della Bmc Broker (la “cartiera” che fabbricava fatture false per la Mantovani), vanno a discutere i particolari in un motoscafo della Guarda di Finanza in giro per la laguna. Non c’era altro modo per sfuggire alla pressione che li circondava: tutti scatenati per cercare di capire cosa stava combinava la procura di Venezia. Il giro di boa era appena avvenuto. La sera del 14 maggio 2012 i finanzieri ascoltano Piergiorgio Baita parlare con Colombelli. È l’intercettazione chiave: Colombelli sta dicendo a Baita di aver registrato tutte le loro conversazioni. Dalla parte dell’interlocutore si sente un silenzio di venti secondi, poi Baita fa: «Ma sei scemo? Non diciamo niente al telefono e tu registri tutto?». Viene decisa immediatamente la perquisizione. Colombelli ha registrato tutto sul cellulare, ma ha utilizzato Whats-App e(su consiglio della figlia, pensa un po’) e per entrare nel programma ci vuole un perito molto attrezzato. Non solo, dev’essere di totale fiducia, perché la posta in palio è decisiva. I finanzieri vanno a cercarlo fuori regione, tra un ex militare del genio guastatori. Ma gli inquisiti, consci dell’importanza delle registrazioni, passano al contrattacco. Qualcuno (uomini dei servizi?) tenta l’irruzione notturna per far sparire le prove. Ma una microspia mette in allarme i finanzieri, di volataunodi loro chiede aiuto a un amico commissariato di polizia. Arriva sul posto una volante, poi i carabinieri e guardie giurate. L’irruzione fallisce. Ai telefoni intercettati dalla Guardia di Finanza, le voci dicono: «Qui dev’esserci stata una rapina, ci sono carabinieri e polizia dappertutto. Dobbiamo rinviare ». C’è il tempo per i nostri – dite se non sembra un film – per duplicare il materiale e metterlo in posti più sicuri. Colombelli era un appassionato d’armi, quando lo arrestano in casa gli trovano una santabarbara. I carabinieri di Olginate gliele ritirano tutte: era armato fino ai denti. E non era uno sprovveduto: mettergli una cimice nell’auto era sempre un problema, perché anche quando la parcheggiava non la perdeva mai di vista e ogni due per tre faceva fare una bonifica. Per comunicare con sicurezza arrivava da Lecco in auto, sempre di grossa cilindrata, il tempo di prendere un caffè con l’interlocutore e ripartire. Un uomo dalla vita dispendiosa, capace di bruciare anche centomila euro in una sera: donne, alberghi, lusso eccessivo, tutto sopra le righe. Sarebbe stato addirittura lui a far incontrare per la prima volta Ghedini con Berlusconi. L’inchiesta ha avuto anche veri colpi di fortuna. La consegna della mazzetta filmata in una pizzeria di Marghera da parte dell’imprenditore veneziano Nicola Falconi a Pio Savioli, è da fotofinish ma nasce dal caso. La procura aveva uomini appostati per un altro servizio, quando si presenta uno degli indagati con la valigetta. Avvisata, questa dà l’ordine: «Filmate tutto»

Renzo Mazzaro

 

in ballo una mazzetta da 500 mila euro. «milanese? l’ho conosciuto solo dopo»

Mazzacurati: «Incontrai Tremonti al ministero»

VENEZIA – L’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti incontrò personalmente, al ministero in via XX Settembre a Roma, il presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati, considerato dalla procura di Venezia il dominus delle tangenti in Laguna: un incontro al quale non partecipò Marco Milanese, che Mazzacurati vide solo «dopo che il colloquio con Tremonti era andato bene dal punto di vista formale». A parlare dell’incontro è lo stesso presidente del Cvn, in diversi interrogatori che i magistrati riportano nella richiesta d’arresto e dimostra, secondo l’accusa, quando dentro al potere fosse riuscito ad arrivare il sistema messo in piedi per corrompere politici e funzionari pubblici. L’ex ministro non è indagato, mentre nei confronti di Milanese i magistrati hanno revocato la richiesta d’arresto una ventina di giorni prima che scattasse il blitz in Laguna. Una mossa che non esclude ulteriori sviluppi. Nel memoriale del 25 luglio dell’anno scorso, Mazzacurati spiega che la sua preoccupazione era quella di capire con Roma le tempistiche dei finanziamenti per il Mose e che di questo parlò più volte a Roberto Meneguzzo, Ad di Palladio Finanziaria. Quest’ultimo assicurò di poterlo mettere in contatto con «i vertici del ministero dell’Economia »: e infatti, racconta Mazzacurati, «da qui insorgeva un contatto con il ministro Tremonti che forniva ampie assicurazioni in ordine alla circostanza che il sistema Mose costituiva un’opera infrastrutturale strategica e di importanza prioritaria per il governo». Meneguzzo, sempre stando alle parole di Mazzacurati, lo mise poi in contatto con Milanese il quale «rappresentava che avrebbe assicurato che i finanziamenti di volta in volta richiesti sarebbero stati concessi con positivo parere del ministero dell’Economia solo se gli fosse stata assicurata la disponibilità di una somma di 500mila euro».

 

Destra & sinistra: il colore dei soldi

Le prove del sistema spartitorio e trasversale che alimentava Forza Italia e Pd

I politici nel libro paga e quelli «amici» Corruzione e fondi neri ma anche finanziamenti elettorali leciti e registrati

Valdegamberi accusa: i vertici romani dei partiti coinvolti sapevano tutto si scusino e si dimettano

VENEZIA Anticipando, a modo loro, la politica di larghe intese, i predatori del Mose hanno dispensato fiumi di denaro a destra e a sinistra. Attingendo a piene dal tesoro sporco (25 milioni di euro in fondi neri, secondo il generale Bruno Buratti della Guardia di Finanza) racimolato attraverso le triangolazioni con società estere in Svizzera e a San Marino. Nell’ordinanza del giudice Alberto Scaramuzza e negli atti istruttori, figurano esponenti politici di diverso colore: alcuni sono imputati di corruzione per aver intascato tangenti; altri devono rispondere di finanziamenti illeciti; altri ancora sono citati in veste di beneficiari di contributi elettorali del Consorzio Venezia Nuova regolarmente denunciati al fisco, e perciò non figurano tra gli indagati. Tutti negano di aver commesso atti illeciti. Le accuse più gravi riguardano l’ex ministro e governatore Giancarlo Galan di Forza Italia e i suoi amici di partito Lia Sartori (eurodeputata uscente) e Renato Chisso, già assessore veneto a Infrastrutture e mobilità; di provenienza forzista è anche Marco Mario Milanese, già parlamentare e consigliere di Giulio Tremonti. Sul versante di sinistra troviamo invece il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, il consigliere regionale del Pd Giampietro Marchese (migrato nel gruppo misto di palazzo Ferro-Fini) e il manager democrat Lino Brentan ex presidente dell’A4. Vi sono poi figure estranee all’inchiesta penale, che compaiono negli atti perché l’inesauribile bancomat della Mantovani e delle imprese amiche ha contribuito a finanziare le loro campagne tra il 2009 e il 2013: sono i parlamentari veneziani del Pd Davide Zoggia, Delia Murer e Andrea Martella, nonché il capogruppo all’assemblea regionale Lucio Tiozzo, lesti a precisare di averle puntualmente registrate nel rendiconto delle spese elettorali. Circostanza che non li ha esentati dalle critiche del M5S, convinto che ricevere denaro da un soggetto potente e chiacchierato costituisca un gesto censurabile sul piano dell’etica politica. A volte, poi, l’ecumenismo della cupola veneziana sfiorava il paradosso, con Pio Savioli, dirigente «rosso» del Consorzio, che sollecita, con successo, alla cooperativa San Martino di Chioggia una «donazione» di 150 mila euro destinata ai “rivali” del Pdl. Un passo indietro. Nel luglio di un anno fa, all’indomani degli arresti di Piergiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati, il neopresidente del Consorzio Venezia Nuova, Mauro Fabris, accolse l’invito del governatore Luca Zaia («Renda noti i destinatari dei contributi a garanzia della trasparenza ») diffondendo un elenco (relativo all’arco temporale 2000-2008) con le seguenti elargizioni: 3098 euro al Comitato elettorale Democratici di sinistra; 10 mila al Comitato elettorale Forza Italia; 20 mila euro al Comitato elettorale Altero Matteoli, all’epoca esponente di Alleanza nazionale e poi al timone di un ministro importante per il Mose, quello dei Lavori pubblici; 20 mila euro un altro esponente toscano di An, Vincenzo Minici; infine, 5 mila euro al Comitato elettorale Radicali Italiani. Totale? 58 mila e 98 euro, regolarmente contabilizzati a bilancio. Pochi spiccioli, francamente ridicoli a fronte del vortice milionario di mazzette erogato dalla cupola. Ad agevolare tanta disponibilità di risorse – sostengono gli investigatori – è stato il regime di concessionario unico ministeriale accordato al CVN, esentato perciò dall’obbligo di bandire le gare d’appalto. Circostanza abbinata all’evidente carenza di controlli amministrativi. Decisioni governative, negligenze istituzionali: è il nuovo fronte di un’inchiesta senza precedenti, il cui esito è al momento imprevedibile. A profetizzarlo, in qualche modo, ci prova Stefano Valdegamberi, consigliere di Futuro Popolare in Regione: «Tutti i partiti nazionali sapevano della corruzione in atto, in quanto tutti ricevevano soldi per pagare le campagne elettorali. Vedere certi leader romani che si atteggiano ad anime candide fa davvero specie visto che hanno approvato una legge specifica per il Mose che sembra fatta apposta per creare fondi neri. I vertici dei partiti coinvolti da questo scandalo si dimettano chiedendo scusa agli italiani, perché finora li hanno presi in giro».

Filippo Tosatto

 

Nei verbali di Baita spuntano Lunardi e Gianni Letta

VENEZIA Di Gianni Letta, che in Procura precisano non è indagato, ma che nei prossimi giorni chiameranno a rispondere ad alcune domande come persona informata sui fatti, parla a lungo Piegiorgio Baita. Ecco alcuni stralci degli interrogatori . «Sì, il riferimento politico del Consorzio è sempre stato Gianni Letta, che ha fatto una sorta di direttore del traffico, dava a Mazzacurati le indicazioni da chi andare. Il rapporto con Gianni Letta l’ha sempre curato con grande gelosia Mazzacurati assieme all’ing. Mazzi. DOMANDA– Sono mai state versate somme di denaro direttamente a Gianni Letta? RISPOSTA– Dunque, io non ho conoscenza di versamenti di somme di denaro, ma in ambito consortile è sempre circolata la voce tra soci che l’incarico di progettista unico a Technital, società del Gruppo Mazzi, ha un importo che non solo non è inferiore alla tariffa professionale, ma in gran parte chiede ulteriori esborsi da parte dei soci, quindi un incarico assolutamente fuori mercato, servisse a questo scopo. DOMANDA– Sì, un conto è che lei l’abbia pensato, un conto è che glielo abbiano detto. Lei non ha mai messo alle strette Mazzacurati dicendo: “Ma perché ci dobbiamo continuare a rivolgerci a Technital a queste tariffe che sono fuori mercato”? RISPOSTA– Ho detto spesso. E proprio la reticenza di Mazzacurati mi hanno consigliato di non insistere. Tenga presente il rapporto che ho con Mazzacurati. ..Poi devo dire che dal dottor Letta abbiamo avuto altre richieste, ma non di versamenti diretti di soldi. DOMANDA– Richieste di che tipo? RISPOSTA– Abbiamo avuto due richieste che ricordo, perché è stato chiesto a me di farvi fronte: la prima modesta, di dare un subappalto a una certa impresa di Roma, piccola, un certo Cerasi, Cerami, che gli abbiamo dato a Treporti in perdita per noi. E, il secondo, la richiesta di farci carico dell’esborso.. mi pare fosse 500 mila euro, che era la somma che la Corte dei Conti aveva chiesto all’ex Ministro Lunardi per una questione riguardante l’Anas. Credo che il Ministro Lunardi avesse avuto una condanna dalla Corte dei Conti. Praticamente noi abbiamo dato a Lunardi 500 mila euro.

Giorgio Cecchetti

 

Fondi neri anche per salvare il Marcianum

Mazzacurati agli imprenditori chiedeva quote per «entrare in paradiso»: imbarazzo al Patriarcato

‘‘Per ora nessuna contestazione penale,mala Procura presto potrebbe passare all’azione

VENEZIA L’attuale patriarca Francesco Moraglia, lo scorso dicembre, si era affrettato a nominare il nuovo presidente dello Studium Generale Marcianum: le dimissioni di Giovanni Mazzacurati, a lungo alla presidenza dell’istituto, erano d’obbligo dopo l’arresto e al suo posto è arrivato dalla Fiat il top manager Gabriele Galateri. A volere fortemente l’ingegnere Mazzacurati su qu ella poltrona era stato l’attuale arcivescovo di Milano Angelo Scola, all’epoca primate della diocesi di Venezia. Grazie all’inchiesta della Procura adesso è chiaro il ruolo svolto dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova: è grazie alla sua insistenza con le numerose imprese associate al colosso imprenditoriale che dirigeva che il Marcianum è sopravvissuto. Negli anni, infatti, nelle casse dello Studium sono entrati alcuni milioni di euro previa telefonate di Mazzacurati, in parte intercettate: l’anziano ingegnere chiamava questo e quell’industriale e spiegava loro che era necessario versare una quota «per entrare in paradiso». Certo è che se questi ultimi si sono conquistati il paradiso nel futuro, per il presente, almeno stando agli accertamenti della Guardia di Finanza, si sono complicati la vita. Quei versamenti, come del resto i soldi per le mazzette a politici e tecnici pubblici, arrivavano dai fondi neri che le varie imprese costituivano tramite false fatturazioni o sovrafatturazioni. Insomma, anche la beneficenza veniva elargita compiendo un reato. Per ora, nessuna contestazione è stata mossa ma non è escluso che nelle prossime settimane la Procura assuma qualche iniziativa. Comprensibile l’imbarazzo in Patriarcato, che proprio ieri, replicando ad un articolo pubblicato dal «Fatto Quotidiano », ha diramato la nota che segue: «In riferimento all’ intervista rilasciata dal Presidente del Consorzio Venezia Nuova Mauro Fabris si precisa che nelle due occasioni d’incontro avute sinora dal Patriarca di Venezia con il Presidente del Consorzio, il 5 novembre e il 14 dicembre scorsi, monsignor Francesco Moraglia ha ascoltato sempre con attenzione la situazione che gli veniva rappresentata, non ha mai espresso alcun tipo di “arrabbiatura” circa eventuali tagli di contributi da destinare alla Fondazione Generale Marcianum o altre realtà ecclesiali, né ha mai incaricato nessuno di manifestare al Presidente o ad altri alcun suo disappunto in merito ». In serata, il Patriarca ha invitato la città e la Chiesa ad un«esame di coscienza».

 

la proposta «Date la villa dell’ex governatore ai senzatetto»

Affondo choc di Boldrin al premio Pavesi. Rossi: «Bisogna cambiare in nome dei giovani»

CAMPOLONGO «È ora di cambiare, le giovani generazioni siano educate al rispetto delle regole, al rifiuto della raccomandazione anticamera della cultura della tangente. Mai come in questo momento c’è bisogno della cultura della legalità per battere il malaffare e la corruzione che colpiscono il nostro territorio». È intervenuto in questo modo Vittorio Rossi presidente della Corte D’Appello di Venezia presenziando l’altra sera a Campolongo Maggiore alle premiazioni del Premio letterario nazionale «Cristina Pavesi» dedicato alla studentessa trevigiana, vittima innocente della Mala del Brenta. E sempre da Campolongo arriva da Oriana Boldrin ideatrice ed organizzatrice del premio, e docente a Padova, una proposta choc: «Confischiamo tutti i beni ai corrotti» dice la Boldrin «come si fa con i beni dei mafiosi che qui a Campolongo sono gestiti dal Comune ( il riferimento è alla villa dell’ex boss Felice Maniero affidata all’associazione Affari Puliti ndr). Se Galan fosse condannato la sua villa deve diventare ricovero per i senzatetto, come esempio alle generazioni future. Questi corrotti , hanno rubato soprattutto dalle tasche degli operai e dei pensionati, dei giovani disoccupati. Che provassero a vivere con 1000 euro al mese». La Boldrin chiede interventi urgenti: «Si facciano leggi in tempi rapidissimi, che evitino a questi personaggi se condannati, di occuparsi della cosa pubblica. Non vorremmo che questi personaggi ce li ritroviamo di nuovo tra 20 anni ad essere riarrestati per gli stessi reati come purtroppo è successo con il caso Expo a Milano».

Alessandro Abbadir

 

Orsoni dal pm gioca la sua carta

Interrogato da Ancilotto. I suoi avvocati chiedono la scarcerazione

Il sindaco Giorgio Orsoni interrogato ieri dal pm Ancilotto. Ha parlato per tre ore, durante le quali ha giocato la sua carta per uscire dall’inchiesta Mose. Gli avvocati chiederanno ora la sua scarcerazione.

Orsoni in Procura per tornare libero

Ieri mattina il sindaco sentito per tre ore dal pm Ancilotto. Cuccioletta ammette di aver ricevuto dei soldi come «regalo»

L’ex presidente del Magistrato alle Acque non ha respinto le accuse di corruzione, ma davanti al giudice ha spiegato che per lui il denaro avuto da Mazzacurati era un regalo Per l’alto dirigente pubblico un «dono» anche i 500 mila euro che il presidente del Consorzio Venezia Nuova gli aveva fatto arrivare in un conto di una banca svizzera intestato alla moglie

VENEZIA Il primo a presentarsi negli uffici della Procura nell’ambito dell’inchiesta sul Mose è stato il sindaco di Venezia. Ieri mattina, Giorgio Orsoni è arrivato alla Cittadella della Giustizia di Piazzale Roma alle 9 ed è stato sentito per tre ore, presumibilmente dal pubblico ministero Stefano Ancilotto: ha giocato la sua carta, quella per uscire da questa inchiesta che lo ha accomunato, lui che deve rispondere di finanziamento illecito alla sua campagna elettorale del 2010, a chi addirittura percepiva un vero e proprio stipendio annuo per favorire i progetti del Consorzio Venezia Nuova, per omettere i controlli e si trova coinvolto per corruzione o concussione. Ha giocato l’asso al quale hanno fatto riferimento i difensori del sindaco, gli avvocati Daniele Grasso e Mariagrazia Romeo, al termine dell’interrogatorio di garanzia davanti al giudice che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare. Nessuna indiscrezione sul contenuto dell’interrogatorio, ma non è escluso che nelle prossime ore gli avvocati del sindaco chiedano la sua scarcerazione (è agli arresti domiciliari) proprio sulla base dell’interrogatorio di ieri. Orsoni deve rispondere di aver utilizzato per la sua campagna elettorale 110 mila euro, che il suo mandatario elettorale (il commercialista Valentino Bonechi) ha regolarmente registrato, ma che provenivano da fondi che le imprese del Consorzio Venezia Nuova avevano messo assieme grazie ad operazioni di false fatturazioni. Inoltre, avrebbe ricevuto più di 400 mila euro dalle mani di Giovanni Mazzacurati, che ha raccontato di averli consegnati in quattro occasioni diverse. Anche a loro, come agli altri difensori, se la risposta del magistrato sarà negativa, non resterà che affidarsi al Tribunale del riesame, puntando tra l’altro sul fatto che il reato contestato è molto meno grave di quelli di cui sono accusati gli altri indagati. Anche Patrizio Cuccioletta, l’ex presidente del Magistrato alle acque, ha risposto alle domande del giudice di Roma, che lo ha interrogato grazie alla delega del collega di Venezia alla presenza del suo difensore, l’avvocato romano Ciro Pellegrino. È l’unico che non ha respinto sdegnosamente le accuse di essere un corrotto, ha ammesso di aver ricevuto favori da questo o da quel manager, ma incredibilmente ha spiegato che si trattava o, almeno così lui li ha presi, di regali. Anche i 500 mila euro che Mazzacurati gli aveva fatto arrivare in un conto corrente di una banca svizzera, conto intestato alla moglie. E, stando alle accuse, a fornire i dati del conto ai vertici del Consorzio Venezia nuova ci aveva pensato Maria Teresa Brotto, vice direttore tecnico, e Federico Sutto responsabile della segreteria e a loro volta arrestati per aver pagato tangenti ad amministratori e tecnici pubblici. Cuccioletta, tra l’altro, deve rispondere anche di aver intascato un vero e proprio stipendio annualeda 400 mila euro.

Giorgio Cecchetti

 

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