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Nuova Venezia – Parco unico per Venezia, Padova e Treviso

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

7

lug

2013

 

Tutti d’accordo sulla proposta lanciata mesi fa dal direttore dimissionario Michele Vianello

MARGHERA. Il primo a lanciare la proposta di creare una sinergia tra i maggiori Parchi del Veneto (Venezia, Padova e Treviso) è stato il direttore generale del Parco tecnologico e scientifico Vega di Marghera, Michele Vianello, che da agosto prossimo passerà per sua decisione ad un altro incarico nel settore delle tecnologie multimediali. La sua proposta di «puntare su una aggregazione per dar vita ad un grande incubatore di saperi e innovazioni che possa sostenere le imprese e interagire con i mercati globalizzati», è stata subito accolta a braccia aperte sia a Padova che a Treviso, dove le amministrazioni pubbliche, le università, i centri di ricerca privati e le forze sociali hanno ribadito – per ora solo a parole – di voler lavorare insieme a Venezia «sulla ricerca applicata e sul trasferimento delle nuove tecnologie e dei saperi scientifici nel mondo delle imprese locali del settore manifatturiero e dei servizi». Le composizioni societarie dei tre parchi veneti, le differenze ci sono.

Il Parco scientifico Galileo di Padova ha come socio di maggioranza (41%) la Camera di commercio locale e con quote dell’11% ci sono anche la Provincia e il Comune di Padova, la Regione con Veneto Innovazione spa e la Cassa di Risparmio di Padova.

Il socio di maggioranza della società consortile proprietaria e gestore del Parco Vega di Marghera, invece, è il comune di Venezia (oltre il 37 %), seguito da Syndial (società dell’Eni che ha una quota di poco più del 18 %) e Veneto Innovazione (17%); mentre la Camera d i commercio, la Provincia e Carive hanno una quota minima.

Infine, c’è Treviso Tecnologie, controllato dalla Camera di commercio locale.

Vanno aggiunte, infine, le facoltà universitarie di Padova e Venezia e le decine di centri e laboratori di ricerca che continuano a lavorare ognuno per proprio conto sull’innovazione tecnologica ma potrebbero aggregarsi e fare massa critica insieme ai parchi di Venezia, Padova e Treviso.

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L’appello dell’assessore Bettin alle forze politiche e sociali per rilanciare il Parco scientifico e tecnologico di Marghera

MARGHERA. Il Parco tecnologico e scientifico Vega di Marghera non ha uguali nel resto del Veneto e in tutto il Nordest. Ma se Venezia non se lo tiene ben stretto, rilanciandolo, dopo la recente decisione di distinguere le attività immobiliari in profondo rosso da quelle concentrate su ricerca e innovazione , potrebbe finire sotto il controllo della Camera di Commercio di Treviso o di quella di Padova.

ll Parco Vega nato venti anni fa nelle aree risanate dell’ex Agriomont su iniziativa del Comune, Eni e la Regione – per creare una struttura di riferimento, cablata a 300 megabit, nel campo della ricerca scientifica applicata, della innovazione delle imprese, delle nanotecnologie e delle tecnologie informatiche multimediali – è arrivato al giro di boa dopo la nomina di un nuovo amministratore delegato, l’immobiliarista mestrino Tommaso Santini con la difficile missione di risanare i conti in rosso (oltre 8 milioni di debiti con le banche) valorizzando, in primo luogo il suo patrimonio immobiliare, valutato tra i 25 e i 30 milioni di euro. Gianfranco Bettin – assessore comunale all’Ambiente, alle Politiche Giovanili e alla Cittadinanza Digitale – lancia quindi un appello a tutte le forze politiche veneziane, al mondo universitario, ai sindacati dei lavoratori e alle associazioni imprenditoriali .

«Nei giorni scorsi», dice Bettin, «ho parlato con il sindaco Orsoni e ci siamo trovati pienamente d’accordo sull’obbiettivo di risanare il bilancio della società consortile che gestisce il Vega e rilanciare le attività innovative nel campo delle tecnologie multimediali e della ricerca sviluppate negli ultimi anni. Il Parco Vega può e deve diventare il centro di riferimento della futura Città Metropolitana, mettendo in sinergia i centri e le attività innovative di Venezia, con quelle del Parco Galileo di Padova e di Treviso Tecnologie».

L’impresa non è facile in tempi di crisi economica e finanziaria come quelli attuali, ma ora che il nuovo consiglio d’amministrazione – su mandato dell’assemblea dei soci composta oltre che dal Comune (37% ) comprende anche Eni ((18%) e Regione (17%) – ha deciso di creare due distinte divisioni (quella immobiliare e quella per l’innovazione) il Parco tecnologico e scientifico di Marghera deve affermare la sua «nuova centralità territoriale». Bettin ne è così convinto da lanciare un appello affinchè tutte le forze sociali e istituzionali veneziane facciano

«finalmente gioco di squadra per difendere questo patrimonio di ricerca e innovazione che solo le chiavi del futuro e dello sviluppo sostenibile».

Sgravato dal peso delle attività immobiliari il Parco Vega ha tutti i numeri, secondo l’assessore comunale, per

«vincere la sfida dell’innovazione insieme a Traviso e Padova, a patto che tutti facciano la loro parte».

Bettin non nasconde di essere preoccupato davanti al rischio che il Parco Vega guidato fin dalla nascita dal Comune di Venezia, finisca in “altre mani”, magari quelle delle Camere di Commercio di Treviso e Padova.

«Senza l’assunzione di responsabilità precise da parte di tutte le forze politiche e sociali del nostro territorio», avverte Gianfranco Bettin, «rischiamo di perdere questa grande risorsa. Non possiamo permetterlo, per questo dobbiamo fare in modo che anche il Vega cada nel pantano delle indecisioni e dell’inconcludenza, come sta succedendo da anni per una vicenda paradossale come quella Vinyls in amministrazione straordinaria o, più recentemente, per la pericolosa interruzione di un progetto di grande valore ambientale ed economico come quello del vallone Moranzani che sembra non appassionare più di tanto le forze politiche veneziane che fino ad oggi hanno avuto reazioni molto deboli davanti al rischio che tutto il progetto vada a monte per l’altolà dato all’interramento degli elettrodotti di Terna».

Gianni Favarato

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il patromonio immobiliare

Trentamila metri quadri di edifici cablati

Il Parco Vega 1 conta su circa 30 mila metri quadri di edifici (Pegaso, Lybra, Auriga), con ampi parcheggi sotterranei e aerei, infrastrutture tecnologiche (fibre ottiche, banda larga, wi-fi, cloud computing di cui è proprietario, incubatore di imprese, ecc.), nonchè dell’edificio Porta dell’Innovazione (in comodato d’uso dal Comune). Attorno al Vega 1 – che attualmente ospita la sedem gli uffici e i laboratori di ricerca e sviluppo di 120 imprese ed enti privati e pubblici che occupano quasi 2 mila persone. E’ previsto lo sviluppo di revisti nuovi lotti: il Vega 2, 3 e il 4 (per un totale di 25 ettari) che già son ostati acquistati da privati – come Condotte Immobiliare, Tommasin Immobiliare Complessi e Docks Venezia – ma tutt’ora in attesa che si sblocchi la grave crisi che da 4 anni paralizza l’edilizia e tutto il settore immobiliare, locale e nazionale. Non a caso, sono andati a vuoto i recenti tentativi del direttore generale dimissionario , Michele Vianello, che ha fatto pubblicare un apposito bando internazionale per vendere una porzione dell’edificio Lybra. Il bando, nonostante le diverse proroghe, non hanno avuto esito, al pari del bando per la realizzazione di “Pandora”, un nuovo palazzo “smart e intelligente” di nove piani che per Michele Vianello avrebbe dovuto diventare « il prototipo di nuova generazione di edifici umanizzati, capaci di coniugare tecniche costruttive, multimedialità e sostenibilità ambientale». Ora la parola passa al nuovo amministratore delegato, esperto immobiliarista, Tommaso Santini.

 

I COMUNI “IN FUGA” I sindaci Mestriner e Zecchinato però non demordono

Scorzè e Vigonovo restano veneziani

«Le recenti contraddizioni rafforzano la nostra scelta: il progetto della Città metropolitana non ci convince per nulla». Il sindaco di Scorzé Giovanni Battista Mestriner mantiene saldamente la sua posizione, anche dopo la bocciatura da parte della Consulta della riforma delle Province. Mentre il sindaco leghista di Vigonovo, Damiano Zecchinato, è fermamente convinto che la domanda di adesione alla provincia di Padova sia ancora valida.
«Noi continuiamo a chiedere una riforma organica degli enti locali ad ogni livello» è il primo commento di Mestriner. Una riforma che per il sindaco non può certo prevedere l’attuale progetto di Città Metropolitana di Venezia: «Pur di non trovarci dentro faremo le barricate – dichiara -. Quell’allargamento dei confini nasce solo con l’idea di mantenere il carrozzone aumentando il numero di quelli che pagano per sorreggerlo. E poi non esiste che a guidare la Città metropolitana sia di diritto il sindaco di Venezia». Lo scorso settembre la maggioranza del Consiglio comunale di Scorzé si era espressa per il passaggio a Treviso, provocando l’ira del centrosinistra che organizzò un referendum per sottolineare come molti residenti fossero invece favorevoli alla Città metropolitana. «In ogni caso – conclude Mestriner – sarebbe molto meglio puntare sulla grande area metropolitana della Pa-Tre-Ve».
«Addio alle speranze di diventare padovani, chi lo ha detto? – chiede il collega di Vigonovo, Damiano Zecchinato – Mi sembra di capire che la Corte costituzionale ha bocciato l’idea di accorpare le province, non certo il concetto di creare le Città metropolitane. E noi non vogliamo aderire alla Città metropolitana di Venezia: è su tale concetto che si è basata la nostra richiesta di diventare padovani».
L’istanza del Comune di Vigonovo presentata a Roma tramite la Regione Veneto, «richiesta che è tutt’ora valida e non c’entra con la bocciatura dell’accorpamento delle Province – prosegue Zecchinato -. Abbiamo inviato una deliberazione comunale, come del resto ha fatto Scorzè che ha chiesto di aderire a Treviso, con la quale si manifestava il rifiuto di aderire alla Città metropolitana di Venezia. Il Ministero si deve esprimere su questo ragionamento e non su altro. Proprio in base alla creazione delle Città metropolitane era stata data ai comuni la possibilità di fare delle scelte diverse. La nostra scelta l’abbiamo fatta, siamo ancora in attesa di una risposta da Roma».

 

POLITICA – Zaccariotto: «Ripartire dai confini provinciali»

«Una gran perdita di tempo, un gran discutere per nulla». Un fiume in piena, la presidente Francesca Zaccariotto, nel commentare la pronuncia della Corte costituzionale che ha bloccato il taglio delle Province e l’istituzione delle Città metropolitane. «Si dovrà ripartire dai confini originari» con Scorzè e Vigonovo che rimangono veneziani.

 

Martella (Pd) «Ma l’iter non deve fermarsi»

LA BOCCIATURA – La Consulta ha respinto il decreto legge che cancella la riforma della Province

AL VOTO – La presidente di Ca’ Corner: «Soldi e tempo sprecati. Ora si torni al voto nel 2014»

«La Corte Costituzionale interviene non sul merito dell’abolizione e degli accorpamenti delle Province, quanto sul metodo che è stato adottato. La necessità di questa riforma rimane attuale ed urgente». A dirlo il Vice presidente del gruppo del Pd alla Camera, Andrea Martella, in merito alla sentenza della Consulta sulla riforma delle Province. «Ora bisogna procedere verso questo obiettivo con un disegno di legge costituzionale – aggiunge Martella – Di fronte a questa sentenza non deve fermarsi anche l’iter della costituzione delle Città Metropolitane».
«Dunque, anche per quanto riguarda Venezia e per i Comuni che hanno espresso la volontà di aderire, si può e si deve andare avanti senza ulteriori stop e rinvii. Si tratta infatti di un cambiamento – conclude Martella – che risponde all’esigenza di governare il territorio con maggiori poteri ed incisività, per valorizzarne le potenzialità economiche e produttive e migliorare i servizi, a beneficio dei cittadini e delle imprese».

 

 

Province, il premier Enrico Letta va avanti: il governo infatti oggi varerà un disegno di legge costituzionale per abolirle. E il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, dà una spallata a un ente ormai «rifugio delle seconde file» della casta. «Siamo un Paese fermo ma la Città metropolitana va avanti».

Dopo il no della Consulta il governo presenta oggi stesso un disegno di legge costituzionale per abolire le Province

FRIULI VENEZIA GIULIA – Ciriani: nessuno adesso tenti di colpi di mano

«Quando arriva l’ora di cambiare, c’è sempre chi frena

Ma non è una sconfitta e sbaglia chi già canta vittoria»

Sarà un disegno costituzionale. Ma l’Upi contesta: risposta rabbiosa. E Muraro chiede che a Vicenza e Belluno si voti nella primavera 2014

CORTE COSTITUZIONALE – Bocciata la riforma delle Province, Letta ci riprova

Reolon: giustizia è fatta Bond: elezioni anche nel prossimo autunno.

Province, Letta va avanti Il governo oggi vara la nuova legge per abolirle

Il governo incassa il colpo della Consulta sull’abolizione delle Province ma ci riprova subito. Messo da parte lo strumento illegittimo del decreto legge voluto da Mario Monti nel Salva-Italia del 2011 contro cui avevano fatto ricorso otto Regioni (tra cui Veneto e Friuli), il premier Enrico Letta ha annunciato al vertice di maggioranza che oggi presenterà in Consiglio dei ministri un disegno di legge costituzionale ad hoc.
Ma c’è l’opposizione dell’Upi, l’Unione delle Province d’Italia, che per bocca del suo presidente, Antonio Saitta, definisce «inaccettabile» un provvedimento di questo tipo tarato solo sul “loro” ente. «Quella del governo – spiega – è solo la risposta rabbiosa contro un giudizio tecnico che per altro non ha salvato le Province ma ha dichiarato incostituzionali norme che lo erano palesemente».
A dar man forte al premier si leva Graziano Delrio, ministro per gli Affari Regionali, già presidente dell’Anci: «La riforma degli enti locali e la cancellazione delle Province si farà comunque». Ma l’Upi – che aveva collaborato lo scorso anno alla stesura del progetto di riordino poi naufragato a dicembre al Senato – si mette di traverso e chiede polemico: «E il dimezzamento dei parlamentari quando si farà? Quando si rivedranno gli sprechi causati dal sovrapporsi delle competenze tra Stato e Regioni che hanno fatto lievitare la spesa pubblica in questi 10 anni?». I timori dell’Upi riguardano anche i contenuti del ddl costituzionale che oggi Letta mostrerà: potrebbe risultare simile a quello presentato dall’Idv nel 2011 e poi respinto. Proprio col Pd se la prendono intanto 15 presidenti democratici di Province: «Non siamo una lobby, siamo rappresentanti eletti nelle istituzioni».
In Veneto, il giorno dopo la sentenza della Consulta, esultano in tanti. «Giustizia è fatta, soprattutto per i territori montani, contro un atto arrogante e centralistico» commenta Sergio Reolon, consigliere regionale del Pd chiedendo elezioni subito per tutte le 23 Province commissariate. Richiesta analoga per il Veneto, anticipata anzi «al prossimo autunno» giunge da Dario Bond, capogruppo Pdl in Regione. «Tornare presto ad elezioni» è anche la proposta di Matteo Toscani, vicepresidente di palazzo Ferro Fini. E Leonardo Muraro, presidente dell’ente di Treviso e dell’Upi veneto, annuncia che proprio questa sarà la linea: «Chiediamo che Vicenza e Belluno, oggi commissariate, vadano al voto alla prima data utile, nella primavera 2014. Il riordino dello Stato resta necessario, a partire dalle sue più alte cariche fino all’eliminazione di tutti quegli enti-doppione non eletti dai cittadini».
Per Francesca Zaccariotto, presidente della Provincia di Venezia, «è stato ristabilito il rispetto delle regole istituzionali. Andiamo a vedere Aato, Ater, e partecipate in genere. E poi andiamo a vedere i costi delle Regioni, dell’amministrazione statale, delle migliaia di piccoli comuni». Il senatore Udc Antonio De Poli: «Il taglio non è in discussione, che esulta non tiene conto di questa realtà. È arrivata l’ora della riforma del titolo V della Costituzione che ridisegni l’architettura istituzionale». Dal Friuli, Alessandro Ciriani, presidente di Pordenone e dell’Upi regionale, chiarisce: «Nessuno tenti colpi di mano. Se si vogliono ottenere risultati concreti, bisogna mettere mano all’intero assetto, partendo dalla Regione».

Paolo Francesconi

 

IL SINDACO DI VENEZIA «L’ente Provincia è il rifugio delle seconde file»

Orsoni: «Siamo un Paese fermo ma la città metropolitana avanza»

Orsoni:«Province, rifugio delle seconde file della casta. La PaTreVe? Va avanti»

L’affondo è degno di un centravanti. Un po’ alla Messi. Niente dribbling… e assist diretto: «Rimane l’amaro in bocca dopo questa sentenza. Bisognerà leggerla attentamente, ma non c’è dubbio: siamo un Paese fermo e che manca gli appuntamenti con le riforme da ormai tanto tempo». Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia, coordinatore per l’attuazione del progetto “Città metropolitane” per conto dell’Anci, l’associazione dei Comuni, mette da parte la tradizionale flemma. Come avvocato non pare meravigliarsene troppo, come amministratore non nasconde di avere un diavolo per capello.
Sindaco Orsoni, come diceva Bartali “l’è tutto da rifare”. Per le Province torniamo all’anno zero.
«Bisognerà leggere bene la sentenza per capire che cosa si dice, ma ribadisco quando si cerca di lavorare per riformare questo Paese, c’è sempre qualcuno che tira indietro».
Il “punto debole” pare sia stata la decisione di agire con un decreto legge.
«Sapevamo benissimo che agire con questo strumento legislativo era “borderline”, ma questo provvedimento sulle Province rientrava in un più ampio disegno di riforma con un contenimento drastico della spesa pubblica come stabilito dal decreto “Salva Italia”. Non posso non notare che la Corte Costituzionale in passato, proprio su provvedimenti di contenimento della spesa, aveva avviato una diversa valutazione di previdenza».
Insomma, in altri casi si era dimostrata più sensibile e più accorta.
«Esattamente. In altre vicende aveva tenuto in maggior conto le istanze di “risparmio”. Invece in questo caso la Consulta probabilmente si è attestata su elementi formali e non sostanziali».
Una sorta di sconfitta.
«Non direi. Noto, invece, una sorta di “resistenza culturale” ai cambiamenti da parte di settori importanti delle nostre istituzioni. Come è noto si è sempre parlato, almeno da 40 anni, della soppressione delle Province, ma la questione non si è mai voluta trattare in modo serio. Tutti sono d’accordo nel volerle cancellare, ma poi tutti le difendono».
Ce l’ha con il mondo della politica, par di capire.
«Sono convinto che siamo di fronte ad un’ennesima manifestazione del distacco tra Paese reale e una certa “casta”, che punta a difendere solo lo status quo. E le amministrazioni provinciali non fanno eccezioni».
Sarebbe a dire?
«L’ente Provincia è sempre stato il rifugio di un ceto politico di medio o di secondo livello che ha sempre trovato nella burocrazia i propri privilegi».
Sindaco Orsoni, un gancio degno di un pugile.
«Al di là dell’effettivo risparmio, poteva essere un segnale importante per contrastare un “piccola casta di provincia…”.
In questo quadro non se la passa bene nemmeno il progetto di “città metropolitana”. Tempi duri per il riassetto amministrativo delle grandi città.
«Andiamoci piano. Dobbiamo distinguere il provvedimento sulle Province bocciato l’altro giorno dalla Consulta, e la questione delle “città metropolitane”. La decisione della Corte costituzionale ha detto no al riassetto negli enti locali, ma non al programma “metropolitano”. La Consulta ha detto sì alle Province come enti previsti dalla Costituzione, ma allo stesso tempo non può non tener conto del “percorso costituzionale” già previsto per le città metropolitane. Ora, come Anci, porteremo avanti il progetto anche con un disegno di legge in collaborazione con il ministro degli Affari regionali, Graziano Delrio».
Intanto le Amministrazioni provinciali gongolano…
«Ahahah c’è anche chi pare conosca già le motivazioni della sentenza come la presidente della Provincia di Venezia, Francesca Zaccariotto. Ma in realtà non c’è da cantar vittoria. Prima ci sono le motivazioni della Consulta da vedere e poi quello che vorrà fare il Governo».

 

 

IL CASO – Francesca Zaccariotto attacca il precedente governo

«PaTreVe? Basta parole. La Città metropolitana coincide con la Provincia»

Zaccariotto attacca il precedente governo: «I professoroni dovrebbero rispondere dell’analfabetismo costituzionale»

«Una gran perdita di tempo, un gran lavoro, un gran discutere per nulla. Insieme a costi inutili, e la Provincia capro espiatorio di un debito pubblico alle stelle per colpe altrui. Chi pagherà per tutto questo?». Un fiume in piena, la presidente Francesca Zaccariotto, nel commentare ieri la pronuncia della Corte costituzionale che ha bloccato il taglio delle Province e l’istituzione delle Città metropolitane.
«La Consulta non ha fatto che ristabilire le regole istituzionali, ricollocando tutti i progetti, i disegni di riforma e di riordino della pubblica amministrazione locale nella loro giusta sede. E confermando che parti essenziali della Carta sono modificabili solo attraverso una legge costituzionale, non mediante decreti privi della caratteristica d’urgenza», ha detto la presidente della Provincia. Aggiungendo che alla luce di questo risultato, «anche a Venezia si torna al punto di partenza. Con la Provincia in essere dopo il 31 dicembre 2013 e il primo gennaio 2014 (date limite per la cessazione d’attività dell’ente e la sua sostituzione con il nuovo organismo di gestione territoriale), «perché la Corte ha bocciato l’articolo 18 della legge Salva Italia, che indicava le 10 Città metropolitane».
Nel mirino di Francesca Zaccariotto, soprattutto l’ex premier Mario Monti e Filippo Patroni Griffi, già ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione e attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: «Professoroni e bocconiani che hanno toppato, e dovrebbero rispondere in solido per il loro analfabetismo costituzionale – ha tuonato la presidente – Avevano tutto il tempo per avviare l’iter ordinario. Invece hanno preferito una scappatoia motivata dal solo contenimento della spesa pubblica, dimenticando che a questo livello le Province pesano complessivamente 11 miliardi di euro, contro i 141, 182 e 73,3 miliardi dell’Amministrazione centrale, delle Regioni e dei Comuni. Oltre a chiedersi chi pagherà per tutto questo, resta l’amarezza di aver perso 3 anni in un clima d’incertezza».
Poi, l’invito al ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Graziano Delrio, «di non cercare di risolvere le cose in 90 giorni, con un nuovo giochetto». E la precisazione che «a livello nazionale, tutte le Province, compresa Venezia e quelle commissariate, dovranno tornare al voto nel 2014. Mentre sulla Città metropolitana, anziché concionare di PaTreVe per raggiunta omogeneità politica, si dovrà ripartire dai confini originari».

Vettor Maria Corsetti

 

 

Orsoni fiducioso: «Consulta rigorista e ultraconservatrice, ma questa è solo una battuta d’arresto»

Zaccariotto: «Sventato un autentico golpe. Le Province che funzionano devono continuare a vivere»

VENEZIA – Addio, almeno al momento, alle Città metropolitane, a cominciare da quella di Venezia. La sentenza della Corte costituzionale che ha «cassato» il decreto SalvaItalia che conteneva l’abolizione delle province, ha effetti anche sulla costituzione delle Città metropolitane, perché abolisce anche l’articolo 18 del decreto del governo Monti che le istituiva. Bisognerà, perciò, ricominciare da capo, con una legge ordinaria che il ministro per le Autonomie locali, Graziano Del Rio, si è impegnato a fare quanto prima. Ma per Venezia bisognerà fare presto, approvandola entro l’anno, per evitare di andare a nuove elezioni per la Provincia. Ma si mostra decisamente ottimista, pur nel disappunto per lo stop della Consulta, il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, vicepresidente dell’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani. «La Città metropolitana si farà comunque» commenta Orsoni «anche se non più per decreto-legge, ma con legge ordinaria, che il ministro Delrio si è già impegnato a presentare in breve tempo e a fare approvare entro l’anno. Certo, bisogna fare presto per evitare la scadenza elettorale della Provincia di Venezia, ma anche se entro l’anno il Parlamento non licenziasse la legge, potrebbero esserci disposizioni transitorie per evitare il voto. Certo, stupisce che la Corte costituzionale abbia mostrato in questa occasione un volto rigorista e ultraconservatore, che in altre occasioni non aveva presentato, sull’abolizione delle Province – aspetto di leggere con interesse le motivazioni della sentenza – che servono unicamente a mantenere il posto a un personale politico di serie B e alle sue piccole clientele. In ogni caso il governo avrebbe comunque dovuto presentare una legge ordinaria per i dispositivi attuativi delle Città metropolitane e dunque le cose non cambiano di molto. Quanto alle Province, so che il governo nel prossimo Consiglio dei ministri riproporrà la loro abolizione, affidata, questa volta, a una legge costituzionale che però, con l’accordo politico, potrebbe essere approvata in pochi mesi. Per questo resto ottimista sul fatto che la Città metropolitana di Venezia potrà presto vedere la luce, anche allargata ad altri Comuni come quello di Padova». Chi invece per il momento canta vittoria e ha un’opinione del tutto differente della situazione è la presidente della Provincia di Venezia, Francesca Zaccariotto. «Ieri» sottolinea «la Corte costituzionale ha ristabilito il rispetto delle regole istituzionali. La Consulta ha confermato quanto i nostri tecnici dicevano e scrivevano da tempo: la Costituzione si cambia per via istituzionale, con legge costituzionale. Forse se avessero seguito questa via, avrebbero potuto in questi ultimi anni, concludere un percorso di riforma effettivo. La Corte ha dimostrato ieri che fermare la democrazia, annullare le elezioni come è stato fatto lo scorso anno commissariando le Province che andavano al voto, è pari a un golpe. Non si ferma la democrazia con un decreto legge. Le Province costano 11 miliardi di euro, contro i 73 dei Comuni e i 182 delle Regioni. Prima di abolirle, bisogna distinguere quelle che funzionano, come quella di Venezia, da altre, che non funzionano e pensare a una riforma complessiva di tutto il sistema del decentramento». Inizia, adesso, una corsa contro il tempo sui tempi di approvazione della nuova legge istitutiva delle Città metropolitane. Legati, anche, ai tempi di sopravvivenza del governo Letta.

Enrico Tantucci

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Rossi e Manildo, sindaci di padova e treviso

«Le Province sono inutili la Patreve non si ferma»

PADOVA «Le Province vanno abolite, sono enti inutili di serie B, senza alcuna offesa per i presidenti, gli assessori e i consiglieri eletti. Se questo Paese si deve mettere al passo con l’Europa deve puntare sulle Città metropolitane e sulle unione dei Comuni. E il Veneto non può perdere la scommessa della PaTreVe per competere con Milano, Parigi, Monaco e Londra». Ivo Rossi, sindaco supplente di Padova non cambia idea. Si è appena sentito al telefono con Giorgio Orsoni, il sindaco di Venezia che ieri ha incontrato i ministri Quagliarello e Delrio per discutere con il direttivo dell’Anci, come mettere mano alla riforma degli enti locali. Le Province sono risorte grazie alla sentenza della Corte costituzionale che ha cassato i decreti legge del governo Monti. Si sapeva che sarebbe finita così. «Non voglio aprire polemiche ma la sentenza della Consulta dimostra quanto difficile sia avviare il processo di riforme in Italia: le procedure vanno rispettate, ma un Paese che sta soffrendo il peso di una crisi economica pesantissima deve poter rialzare la testa ammodernando la macchina statale. Tutti concordano che le Province sono esautorate di qualsiasi potere effettivo e quindi vanno abolite per tagliare i costi della politica. Capisco che la Zaccariotto, la Degani e Muraro (presidenti di Venezia, Padova e Treviso) esultino di fronte alla sentenza della Consulta che salva le Province ma la loro gioia durerà poco perché oggi il governo le abolirà nel rispetto della procedura costituzionale». Il punto d’approdo quale sarà? La Città metropolitana, che Venezia riuscirà a conservare per legge mentre Padova e Treviso sono in lista d’attesa. «Noi abbiamo già avviato la procedura prevista dall’articolo 133 della Costituzione per cambiare provincia ed entrare nella Città metropolitana di Venezia. La richiesta è stata votata dal consiglio comunale di Padova», conclude Rossi. E anche Giovanni Manildo, neo sindaco di Treviso, definisce la Provincia «un ente da abolire. Il processo di riforma non si può fermare, abbiamo assolutamente bisogno di ridurre la spesa pubblica e realizzare risparmi nei costi fissi: le Province non hanno reali competenze nella gestione dei servizi, i poteri sono stati trasferiti ai Comuni e quindi il processo non si può fermare. La Città metropolitana è il traguardo del processo di revisioni e istituzionale: Treviso vuole collaborare con Padova e Venezia», conclude Manildo. (al.sal.)

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Gazzettino – Marghera. Vega, piano di salvataggio

Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments

22

giu

2013

MESTRE – Orsoni cerca l’intesa con Treviso e Padova per creare il Parco scientifico e tecnologico della città metropolitana

Vega, operazione di salvataggio

Saranno create due società: una per l’immobiliare e un’altra per la ricerca. Ci sono 8milioni di “buco”

Il sindaco prova a sbrogliare la matassa del Vega. Ieri Giorgio Orsoni ha spiegato alla sua Giunta quel che intende fare per ripianare il buco – che è vicino agli 8 milioni di euro – e per evitare che il Comune, che è il socio di maggioranza di Vega, debba mettere mano di nuovo al portafogli fra qualche mese. La prima operazione è quella di spaccare in due il Vega, creando due società indipendenti. Una società si occuperà di innovazione e l’altra di immobili. Il sindaco inoltre lancia l’idea del Parco scientifico e tecnologico della città metropolitana, mettendo insiemeMarghera, Treviso e Padova.

Il sindaco punta a farlo diventare il parco scentifico della città metropolitana

DUE SOCIETÀ DISTINTE – Patto con Treviso e Padova. Saranno create due società indipendenti: una si occuperà di innovazione e l’altra di immobili. Sinergia con le realtà di Padova e Treviso.

FUTURO – Il Vega rappresenta la possibilità di ripensare Marghera come luogo industrializzato

Il sindaco prova a sbrogliare la matassa del Vega spaccandolo in due e facendolo diventare il Parco scientifico e tecnologico della città metropolitana. Ieri Giorgio Orsoni ha spiegato alla sua Giunta quel che intende fare. Per ripianare il buco – che è vicino agli 8 milioni di euro – e per evitare che, una volta chiusa la falla, fra sei mesi il Comune, che è il socio di maggioranza di Vega con il 37 per cento debba mettere mano di nuovo al portafogli. Orsoni conta di fare questa doppia operazione per salvare il Parco scientifico e tecnologico di Marghera ovvero l’unica possibilità concreta di mantenere una qualche attività industriale in Terraferma. La prima operazione è quella di spaccare in due il Vega, creando due società indipendenti. Una società si occuperà di innovazione e l’altra di immobili. Prima di far questo, però, bisogna azzerare il debito nei confronti delle banche che, ad oggi, hanno chiuso tutti i rubinetti. Per far questo Orsoni conta di mettere mano al patrimonio del Vega, che è di 15 milioni di euro. Vuol dire dimezzare in un colpo solo il patrimonio del Vega e lasciarlo “scoperto” nel caso di nuovi guai. Ma altra soluzione non c’è, a meno che il Comune non metta mano al portafogli e, in questo momento non se ne parla proprio. Dunque, azzeramento del debito, scorporo e creazione di due società. Una, quella immobiliare, verrà diretta da un esperto del settore – così assicura Orsoni – l’altra, invece, dedicata alla ricerca e all’innovazione continuerà ad essere diretta da Michele Vianello. Peraltro il sindaco approfitta del cambio della guardia a Treviso – dove il Comune è passato dalla Lega al centrosinistra – per lanciare l’idea del Parco scientifico e tecnologico della città metropolitana, mettendo insieme Marghera, Treviso e Padova. Peraltro queste ultime due sono giù in sinergia tra di loro. Ancora non è chiaro se si farà un unico polo dell’innovazione, a Marghera, con la presenza in Consiglio di amministrazione degli altri due Comuni, oppure se il Parco scientifico e tecnologico di Padova e quello di Treviso resteranno per conto loro ed entreranno solo in sinergia con Marghera. La soluzione indicata da Giorgio Orsoni era stata messa a punto dal sindaco assieme all’ex assessore Antonio Paruzzolo il quale, peraltro, si è dimesso proprio perchè non è riuscito ad evitare che ai vertici delle società controllate dal Comune, compreso il Vega, fossero nominati rinominati i soliti noti e cioè quelli che hanno portato al disastro, secondo Paruzzolo, le aziende. Il 28 giugno c’è l’assemblea dei soci e tutto lascia pensare che la soluzione proposta da Orsoni sarà approvata da tutti i soci dal momento che, oltre al Comune, che detiene il 37,3 per cento, nella compagine societaria ci sono Syndial con il 18,4 e Veneto Innovazione della Regione con il 17 per cento. Orsoni ha informato i suoi assessori che la Regione è d’accordo con questa ristrutturazione di Vega e Comune e Regione insieme fanno la maggioranza abbondante. Quindi alla fine sembra che la quadra sia stata trovata, anche se con il sacrificio di oltre 8 milioni di euro di patrimonio pubblico.

Maurizio Dainese

 

SOCIETA’ IN ROSSO – Buco da 9 milioni. Ecco come è nato

Vega? Partiamo dal 1993, data di nascita del Vega – acronimo di “Venice Gateway”, “cancello-porta di Venezia”. Nelle intenzioni dei promotori del Parco scientifico tecnologico – 34 soci tra cui gli enti locali, Università, Istituti bancari – l’idea di costruire un futuro per la Marghera industriale. I fondi per far nascere il Vega arrivano dall’Europa: 30 milioni di euro. Nel 2000 arriva “Nova Marghera” – l’impresa Pio Guaraldo dei Marinese – società che costruisce la seconda parte del Vega. Le due strutture, la prima nata dalla ristrutturazione del vecchio Cral, vengono unite in un unico complesso. Nel 2004, completata la costruzione del Parco scientifico e tecnologico, il Vega ha un buco di 25 milioni di euro. Che viene ripianato vendendo a Condotte i terreni per il Vega 2, terreno di proprietà dell’Eni – che è socio di Vega – e prospiciente al Canale Brentella. Solo che Vega si impegna nero su bianco a pagare i costi dell’eventuale bonifica del terreno venduto, che non vengono quantificati e, ora si sa, sono di 3 milioni di euro. Ecco il primo “buco”, ereditato dalla gestione attuale. L’altro “rosso” certo – 2 milioni di euro – salta fuori da Nanotech, una iniziativa molto importante per la ricerca sulle nanotecnologie. Vega dice di avanzare dalla regione un paio di milioni di euro. E siamo a 5 milioni. Poi ci sono contenziosi con i fornitori di energia – i Marinese – per un altro milione di euro. E siamo a 6. Il resto (da 2 a 3 milioni) è “colpa” degli attuali dirigenti del Vega.

 

Sono partiti alle 9 del mattino da piazza dei Signori per dire no al traforo della Valsugana. Arrivati a Castagnole a loro si sono aggiunti altri ciclisti, e così a Montebelluna, Asolo fino a San Zenone. Quando sono arrivati a Romano d’Ezzelino i ciclisti del comitato che si batte per salvaguardare il massiccio del Grappa erano una trentina ed hanno trovato ad attenderli tutti gli altri partecipanti alla pacifica manifestazione di protesta fatta di giochi, cibo, aria aperta e animali. «È stata dura per il grande caldo» racconta Michele Zoccarato, «ma ci siamo diverti. È stata una biciclettata e una manifestazione colorata e divertente per una causa giusta che coinvolge molte persone».

 

Vianello: «Un polo unico per Venezia, Padova e Treviso Da soli siamo troppo piccoli per competere in Europa»

Michele Vianello, direttore di Vega, il parco scientifico tecnologico di Venezia, lancia la “sfida metropolitana”: «Fondere i parchi scientifici di Venezia, Padova e Treviso per costituire un’unica società che dia vita a un grande “incubatore” di saperi e di innovazione che possa dialogare con il resto del mondo».

L’idea è suggestiva e se ci fosse la volontà politica potrebbe diventare anche facilmente realizzabile.

Del resto la Città Metropolitana non è un’invenzione legislativa, esiste già nei fatti. E non è altro che quella Grande Città che viviamo quotidianamente, che va bel al di là dei confini municipali comprendendo le province di Venezia, Padova e Treviso, come da ultimo certificato anche dal rapporto Ocse del 2010. Una Grande Città di oltre 2,5 milioni di abitanti dai confini liquidi, formata da flussi di merci e persone, ma soprattutto da reti di funzioni e conoscenze che vanno però organizzate per fare massa critica, altrimenti diventa tutto inutile. Anzitutto andrebbero eliminati i doppioni. Si fa un gran parlare di fusione di società di servizi: dai trasporti, allo smaltimento dei rifiuti, passando per l’energia.

Si potrebbe partire dai parchi scientifici tecnologici?

«Certamente. La Città Metropolitana non è più concepita come somma di territori bensì come somma di saperi. Come il luogo dove si fa sinergia e innovazione. Dentro alla Città Metropolitana convivono aree in declino come Porto Marghera, ma anche luoghi d’avanguardia come H-Farm; ci sono le piccole imprese in crisi, ma anche il Vega».

La crisi però non sembra risparmiare nemmeno il Vega.

«Ci troviamo davanti a un bivio. I parchi scientifici hanno accumulato molte competenze, ma sono tutti troppo piccoli, non abbiamo massa critica. Se vogliamo continuare a crescere e diventare una grande opportunità di sviluppo c’è un’unica soluzione: mettersi assieme in una sola società in modo da poter realizzare un grande incubatore in grado di diventare competitivo su progetti europei».

Ma come potrebbe prendere forma la proposta?

«Se c’è la volta politica è un’operazione che si può fare nel giro di sei mesi. Serve la volontà d’investire su un incubatore. La strada da seguire potrebbe essere quella della costituzione di un fondo composto da Camere di commercio, Fondazioni bancarie e Regione. Un fondo per finanziare il momento di d’incubazione delle idee. Vale a dire la fase di trasformazione dal progetto in impresa. L’incubatore favorisce lo sviluppo dell’idea e fa una prima selezione delle startup».

Dopodiché?

«A quel punto, le imprese selezionate andrebbero dirottate su soggetti come H-Farm o M31, incubatori che investono capitali privati, con i quali bisognerebbe stringere un rapporto di collaborazione».

Insomma, serve un salto di qualità ai parchi scientifici?

«È chiaro che per Vega è giunto il momento di ridiscutere la sua identità. Negli anni Novanta, quando è nato il Parco, Vega ha avuto un ruolo decisivo per la riqualificazione di un’area industriale dismessa. Un’operazione conclusa. Ma i Parchi scientifici non sono società immobiliari. Stiamo pagando ancora le conseguenze di quindici anni di attività immobiliare. La realtà è che oggi il Vega è il più importante incubatore del Veneto dove ci sono una ventina di sturtup, che vivono senza contributi pubblici. Abbiamo fatto crescere grandi competenze, da soli però siamo troppo piccoli per continuare a sviluppare innovazione».

Lo stesso problema c’è a Padova e Treviso?

«Treviso Tecnologie e il Galileo a Padova sono incubatori con grandi competenze. Treviso può contare sul sostegno della Camera di commercio e il Galileo su quello dell’università. Ma anche loro da soli sono piccoli per crescere. Allora possiamo unirci, e costruire un’unica società: un grande parco scientifico della Città Metropolitana».

Con sede a Marghera?

«Nell’epoca della rete, non è un problema di sede. Per me si può fare ovunque, purché si faccia. Insieme potremmo contare su un nucleo di una trentina di professionisti in campo dell’innovazione ai quali, i settori strategici come il turismo, i trasporti oppure le piccole imprese, potrebbero rivolgersi per innovare la produzione. In questo modo potremmo davvero diventare competitivi in Europa. Credo che non ci siano alternative all’orizzonte. Del resto anche in campo nazionale i parchi scientifici stanno seguendo sempre più logiche di sinergia e collaborazione».

Sono già stati compiuti passi concreti in questa direzione?

«Proprio la settimana scorsa i 6/7 parchi scientifici più grandi d’Italia, tra cui Venezia, hanno costituito una società unica di servizi per aggredire il mercato assieme».

Ma in una logica di accorpamenti che puntano a fare massa critica nel Nordest, perché non coinvolgere anche i parchi di Trieste, Udine e Pordenone?

«Iniziamo dalla Città Metropolitana, ma senza chiudere la porta a nessuno. È chiaro che più allarghiamo il campo, più l’operazione diventa complicata, ma non c’è dubbio che la strada dell’integrazione è quella che dobbiamo battere».

Nicola Pellicani

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