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Nuova Venezia – L’accusa: Galan a libro paga del Cvn

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14

lug

2014

L’accusa: Galan a libro paga del Cvn

Il gip dispone l’arresto ipotizzando la «corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio», punita con pene da 4 a 8 anni

All’ex governatore è contestato uno «stipendio annuale di circa 1 milione di euro» in cambio del parere favorevole della Commissione Via ai progetti del Consorzio

A suo carico le dichiarazioni rilasciate dagli indagati Minutillo, Baita e Mazzacurati Non solo dighe mobili: pesa il possesso del7% di Adria Infrastrutture

VENEZIA – Essere stato – da presidente della Regione Veneto – a libro paga dell’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati (grazie ai fondi neri del Cvn) per stendere tappeti rossi davanti al Mose; e in cassa alle imprese per agevolarne i project financing in Regione. Queste, in sostanza, le accuse che i pubblici ministeri Ancilotto, Buccini e Tonini muovono a Giancarlo Galan, con una quadro probatorio che ha convinto il giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza a disporne la custodia cautelare in carcere per «corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio»: condanna prevista dal codice, da4 a 8 anni di reclusione. Per agevolare il Mose- elenca puntiglioso il gip Scaramuzza – l’ex presidente avrebbe ricevuto da Mazzacurati «uno stipendio annuale di circa 1 milione di euro; euro 900 mila nel periodo tra il 2007 e il 2008 per il rilascio nella Commissione di salvaguardia del 20 gennaio 2004 del parere favorevole e vincolante sul progetto definitivo del sistema Mose; 900 mila euro nel periodo 2006 e 2007 per nel novembre2002 e del gennaio 2005 per il parere favorevole della commissione Via della Regione Veneto ai progetti delle scogliere esterne alla bocche di porto a Malamocco e Chioggia». La prima a chiamarlo in causa era stata l’ex segretaria Claudia Minutillo, poi amministratore di Adria Infrastrutture. Arrestata a febbraio 2013, il 19 marzo mette a verbale: «A Giancarlo Galan venivano consegnate anche più volte all’anno ingenti somme di danaro, parliamo di 100 mila euro e anche più. Mi è stato riferito da Baita, che si lamentava delle richieste esose del Galan, ma anche dal Galan stesso quando ne ero la segretaria prima del 2006». A luglio 2013 è la volta di Giovanni Mazzacurati – arrestato a sua volta – dichiarare ai pm che gli chiedono del “quantum”: «La cosa era molto variabile, però diciamo un milione l’anno, più o meno insomma (…) per dare al Governatore oppure a chi voleva il Governatore». Racconta Piergiorgio Baita ai magistrati che lo interrogano tra maggio e ottobre 2010, della doppia tangente da 900 mila euro: soldi di Mantovani, «secondo quello che mi dice Mazzacurati, richiesti dall’assessore Chisso non per sé ma a nome del presidente Galan». E, ancora, «avevamo avuto molte sollecitazioni da Chisso dicendo che Galan lo pressava». Manon solo Mose e non solo si soli soldi è fatta l’accusa. Secondo la Procura, Galan sarebbe stato ricambiato anche in partecipazioni azionarie per «agevolare l’iter procedimentale dei project financing presentati da Adria Infrastrutture, accelerando le procedure, fornendo informazioni riservate e inserendo nelle posizioni chiave ella struttura organizzativa regionale persone legate e di gradimento dei vertici di Adria e del gruppo Mantovani». Il tornaconto? Il 7% delle azioni di Adria infrastrutture – intestate alla Pvp di Paolo Venuti, suo prestanome – «per partecipare agli utili che sarebbero derivati dall’approvazione dei project»; il 70% delle quote di Nordest media sempre per tramite di Pvp; «riceveva in occasione delle campagne elettorali cospicui finanziamenti che gli venivano consegnati da Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo»; «riceveva nel 2005 la somma di 200 mila euro all’hotel Santa Chiara da Baita tramite Minutillo»; si faceva pagare dalla Mantovani i lavori di ristrutturazione della sua villa di Cinto Euganeo, per un totale di 1,1 milioni, grazie a sovrafatturazioni della stessa Mantovani a favore della Tencostudio, per altri incarichi. Per il gip Scaramuzza Galan e Chisso «hanno totalmente asservito le rispettive funzioni di natura politico istituzionale (…) agli interessi delle società private componenti il Cvn a fini di lucro proprio, personale e ingente (…) condotta di rilevante gravità sia per durata sia per entità delle utilità oggetto di corruzione.

Roberta De Rossi

 

DOPO L’ARRESTO – Venuti, fedelissimo dell’ex Doge lascia il collegio sindacale Save

VENEZIA – Save, la società di gestione dell’ aeroporto Marco Polo di Tessera, ha reso noto di aver ricevuto ieri le dimissioni di Paolo Venuti dalla carica di membro del collegio sindacale. Le dimissioni sono state date «per ragioni di opportunità », in relazione «alle indagini in corso che lo riguardano ». Venuti, finito in carcere, era il commercialista di Giancarlo Galan e in questo ruolo, secondo le accuse formulate nell’inchiesta della Procura di Venezia sul Mose, sarebbe stato il prestanome del parlamentare forzista.

 

Hacker contro Consorzio e Mantovani

Pirati informatici nel sito del Cvn: caricato un video sui costi del malaffare

VENEZIA – Gli hacker attaccano i siti del Consorzio Venezia Nuova e della Mantovani. L’assalto è avvenuto ieri pomeriggio da parte dell’organizzazione OpGreen- Rights che, da qualche settimana, ha aperto una campagna contro il Mose e le grandi opere in laguna. E per rendere pubblico tutti gli affari di chi sta dietro a questa nuova tangentopoli. I pirati hanno messo fuori uso la pagina Mediateca del sito del Cvn. Dopo essere entrati hanno caricato un video di una trasmissione de La7 sui danni del Mose in laguna e sul malaffare collegato alla grande opera. Inoltre quando si apriva lo stessa pagina, appariva una breve spiegazione sui danni e sui costi collegati alla tangentopoli marcata Mose. Negli stessi istanti anche il sito della Mantovani veniva messo fuori uso. Un attacco che deve essere iniziato ben prima di quando i pirati hanno deciso di rendere pubblica l’azione. Infatti da alcuni tweet provenienti dal profilo del gruppo, gli hacker sostengono di aver carpito documenti relativi all’attività della società.

(c.m.)

 

Cantone annuncia «Nei prossimi giorni sarò a Venezia»

Il commissario anti corruzione in tv con il giornalista Giorgio Barbieri: «Meglio le opere idrauliche che il Mose»

PADOVA – Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, sarà a Venezia nei prossimi giorni per valutare gli sviluppi dell’inchiesta Mose, che ha portato all’arresto di 35 persone. La notizia è stata diffusa ieri sera, nel corso dello speciale «In Onda» su La 7, cui ha partecipato anche il nostro collega Giorgio Barbieri che ha presentato il libro scritto con l’economista Francesco Giavazzi: «Corruzione a norma di legge» edito dalla Rizzoli. Nella scheda di presentazione si legge che a Venezia, già nel XIV secolo, la figura dell’Avogador aveva una funzione precisa: controllare che non venissero effettuate ruberie ai danni del bene pubblico. Poteva svolgere questo ruolo solamente chi non avesse alcun conflitto di interesse con ciò che doveva controllare. Le vicende giudiziarie che hanno coinvolto il Mose, la “grande opera” ideata per risolvere il problema dell’acqua alta a Venezia, dimostrano invece il fitto intreccio che legava controllori e controllati, con conseguenze nefaste per la città, la regione e il bene comune. Nel loro libro Francesco Giavazzi e Giorgio Barbieri ricostruiscono la palude che per due decenni ha pervaso non solo il Mose, ma anche l’Alta Velocità, l’Expo di Milano, che proprio ieri ha visto finire nei guai anche il governatore lombardo Roberto Maroni. Dal libro emerge un resistente filo rosso che collega la Tangentopoli degli anni Novanta al Mose. Corruzione delle leggi prima ancora che violazione delle leggi. La vicenda del Mose è l’emblema di «un sistema che ha corrotto il Paese a tutti i livelli, durante la prima e la seconda Repubblica, e che ora mette con le spalle al muro la politica ». Barbieri ha spiegato che il peccato originale del Mose sta nella concessione unica del 1984 affidata dal governo al Consorzio Venezia Nuova: un’anomalia avallata da tutti i premier che si sono succeduti negli ultimi trent’anni: da Ciampi, Prodi, D’Alema e Berlusconi, tanto citare i big. Raffaele Cantone, dopo aver annunciato la sua visita a Venezia, ha ribadito che si deve fare tesoro della lezione con cui la Serenissima ha salvato la laguna: niente paratoie né tangenti, ma solo opere idrauliche nelle isole.

(al.sal.)

 

CHI HA RUBATO SI VERGOGNI PER SEMPRE

di BEPI COVRE

Cos’è la vergogna? Un «sentimento profondo di turbamento e disagio per timore di riprovazione e condanna (morale o sociale), di fronte a comportamenti che provocano disprezzo, discredito, giudizio sfavorevole», recita il dizionario. Da oltre un mese giornali, radio, televisioni italiane e non solo ci fanno arrabbiare sulle vicende del Mose; precisamente sull’operato dei dirigenti del Consorzio Venezia Nuova che da oltre trent’anni briga, intrallazza, corrompe, ruba per salvaguardare in teoria Venezia dalle acque alte. Quintali di carta stampata, fiumi di inchiostro, ore di trasmissioni,e siamo solo ai preliminari di uno scandalo che ci rovinerà l’anima almeno per i prossimi dieci anni, considerati i tempi della giustizia italiana. Premetto che non mi piacciono neppure certi arresti e incarcerazioni preventive fatte nottetempo, traumatizzando mogli e bambini nella serenità del sonno nelle loro famiglie. Soprattutto quando si assiste, poi, dopo settimane di carcere preventivo, alla rimessa in libertà da parte del Tribunale del Riesame, come nel caso dell’ingegner Fasiol (persona stimata, capace e onesta che conosco bene) o del funzionario regionale Artico (ex sindaco di Cessalto), scarcerato dallo stesso Tribunale del Riesame. In molti ci chiediamo: chi risarcirà mai questi signori, chi rimedierà i danni, morali, sociali, familiari che hanno subito e pagato a tanto prezzo? Per la serie che non bisogna mai fare di ogni erba un fascio, soprattutto quando si vuol fare giustizia giusta. Resta il fatto che lo scandalo veneziano sta assumendo gravità consistenza coinvolgimento di istituzioni pubbliche e aziende private in una dimensione che non ha uguali in Italia, forse neppure in Europa. Scandalo aggravato da almeno tre fattori. Il primo riguarda Venezia, la città più bella, conosciuta e amata nel mondo per la sua unicità, la sua storia gloriosa. Quando si va all’estero per turismo, ma soprattutto per lavoro, dire che si abita in Veneto, vicino a Venezia, è sempre stato per tutti noi motivo di prestigio e malcelato orgoglio. Un biglietto da visita che non abbisogna di ulteriori precisazioni. Ogni volta la risposta è sempre stata: «Che bella città, che fortuna viverci vicino». Adesso è meglio evitare perché l’atteggiamento cambia completamente: una smorfia di disgusto, soprattutto all’estero. Anche perché veniamo sempre da un Paese che non ha migliori biglietti da visita da presentare, essendo l’incubatoio di mafie, corruzioni sistemiche, ecc. Il secondo fattore ci tocca come veneti (qui ci manca purtroppo l’autorevole pensiero di Giorgio Lago!), popolo che per anni, sudando e lavorando come pochi al mondo, si è promosso ed è stato riconosciuto ovunque per impegno, capacità e onestà. Per verificarlo basta visitare le comunità venete in ogni continente. Provate a sentire ora cosa dicono e cosa pensano dello scandalo Mose. Il terzo fattore è quello politico. Anche in questo ambito ci siamo comportati bene, rispetto alle altre regioni. Il nostro Consiglio regionale è tra i pochissimi non inquisiti per ladrocinio, capace persino di ridursi nel numero e nelle spese di gestione. Bravo a gestire la sanità, tra le più efficienti in Italia. Non voglio neppure dimenticare i sindaci veneti; non ho memoria di arresti e neppure di scioglimenti di Consigli comunali per fatti di mafia o corruzione. Sì, eravamo orgogliosi di essere veneti e questo orgoglio ci dava la forza per tirare avanti, per lottare, per produrre, pagare le tasse, per mantenere uno Stato inefficiente. Ora ci viene rinfacciato tutto, senza pietà e con giustificato motivo. Ci sentiamo sbeffeggiati, derisi e presi in giro. Io non condanno nessuno di lorsignori, anche perché non so chi, come e quanto ha rubato. Dico però che chi l’ha fatto lo sa perfettamente e, prima ancora che arrivi la sentenza della Giustizia, provveda a vergognarsi in proprio, in grande e per sempre. Assuma la vergogna sulle proprie spalle, nei propri comportamenti, nelle proprie azioni future e sparisca dal consesso civile. Veda di eclissarsi, veda di non dare nell’occhio, di non abitare in case extralusso, di guidare auto costose o possedere barche di valore. Non siamo disposti a tollerare e tantomeno ad abbassare gli occhi se ci capita di incontrarli. Abbassino loro lo sguardo, perché per loro, se saranno condannati, «Pietà l’è morta!», per dirla con Nuto Revelli.

Bepi Covre

 

Gazzettino – Le sette accuse contro Galan e la sua difesa

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14

lug

2014

CASO MOSE – Le sette accuse contro Galan e la sua difesa

DOMANI IL VOTO – Alla Camera la decisione sul carcere per corruzione

OGGI L’ISTANZA – Gli avvocati depositano la richiesta di “domiciliari”

Il Mose e le mazzette, il patrimonio e la villa, le società, i conti e le “gole profonde”: in nove punti le contestazioni delle toghe e le repliche dell’ex Governatore veneto

Accusa & difesa: ecco perchè vogliono l’arresto di Galan

Per Giancarlo Galan l’esito finale della guerra si deciderà davanti ai giudici del Tribunale, quando si dovesse arrivare a un processo. Per il momento è impegnato nella battaglia per la libertà personale, visto che domani la Camera voterà sulla richiesta di arresto per corruzione dell’ex governatore del Veneto, capi d’imputazione per quasi 5 milioni di euro. Oggi l’annunciata mossa dei difensori Antonio Franchini e Niccolò Ghedini che presenteranno al gip la richiesta di trasformare l’eventuale custodia cautelare in carcere negli arresti domiciliari in ospedale o in casa. Perché il parlamentare è bisognoso di cure dopo una caduta con frattura alla gamba e conseguente tromboflebite, innestata in un quadro generale di rischi cardiaci.
Lo scontro è drammatico perché Galan rischia di finire per davvero in galera. Ma in base a quali elementi? Con quali prove? Lo hanno trovato con il sorcio in bocca o il profumo dei soldi è soltanto un sospetto in un’inchiesta che ha già trovato su altri fronti solide conferme? Ecco quello che Pm e difesa hanno messo sul piatto. Almeno fino ad ora.

I PAGATORI

ACCUSA. Secondo i Pm veneziani e il gip Scaramuzza che ha ordinato l’arresto di Galan, esistono dichiarazioni insuperabili di Giovanni Mazzacurati (Consorzio Venezia Nuova), Piergiorgio Baita (Impresa Mantovani) e Claudia Minutillo (ex segretaria di Galan in Regione e socia in Adria Infrastrutture). Sono loro a confermare la colossale corruzione. Le versioni si integrano e completano.
DIFESA. Gli accusatori sono inaffidabili perché hanno parlato quando erano detenuti per altre inchieste. Le loro versioni sono fantasiose e contraddittorie: nessuno può dire di aver consegnato soldi nelle mani di Galan, che non ha mai chiesto nulla a Mazzacurati e Baita.

UN MILIONE ALL’ANNO

ACCUSA. Galan ha ricevuto uno “stipendio” annuale di 1 milioni di euro da Mazzacurati e dal Consorzio Venezia Nuova. Dei versamenti hanno parlato Mazzacurati, Baita e Minutillo. Conferme di altri coinputati.
DIFESA. «Mai nulla ho ricevuto da Mazzacurati. Non so come difendermi da un’accusa così fantasiosa e totalmente destituita di fondamento. All’estero ho solo due conti in Croazia. Mazzacurati ha usato la fantasiosa storia del milione di euro all’anno quale “copertura” di proprie ingenti appropriazioni».

1,8 MILIONI PER IL MOSE

ACCUSA. Galan ha ricevuto dal Consorzio Venezia Nuova 900.000 euro nel 2007-08 per il rilascio (nel 2004) di parere favorevole al Mose dalla Commissione di Salvaguardia e altri 900.000 euro nel 2006-007 per il rilascio (nel 2002 e 2005) di parere favorevole della Commissione Via regionale sui progetti delle scogliere a Malamocco e Chioggia. Gli accusatori sono Mazzacurati e Baita, secondo cui la richiesta arrivò dall’assessore Renato Chisso.
DIFESA. «Poco credibili» pagamenti a distanza di anni dai pareri. Galan solo una volta presiedette la Commissione di Salvaguardia e non ha mai partecipato alla Commissione Via regionale.

SOLDI A SANTA CHIARA

ACCUSA. Nel 2005 Galan ricevette 200.000 euro all’hotel Santa Chiara a Venezia da Baita, tramite la Minutillo. I due confermano e anche l’imprenditore William Colombelli conferma l’incontro.
DIFESA. Colombelli non parla di passaggio di denaro da Baita a Minutillo da consegnare al Governatore. «Non ho mai ricevuto denari dall’ing. Baita, tantomeno ne ho a costui richiesti».

CONTO A SAN MARINO

ACCUSA. Nel 2005 ha ricevuto 50.000 euro in un conto corrente della International Bank di San Marino da Minutillo e Baita.
DIFESA. Era un conto “ufficiale e trasparente” aperto in modo simbolico per un accordo della Regione Veneto con la Repubblica. «Non operai mai alcuna movimentazione. Tale conto è stato utilizzato da terzi senza che io ne fossi a conoscenza e con la falsificazione delle mie firme».

VILLA SUI COLLI

ACCUSA. Si è fatto ristrutturare la villa a Cinto Euganeo con lavori al corpo centrale (2007-08) e alla barchessa (2011) pagati da Mantovani con sovraffatturazioni all’architetto per un milione 100 mila euro. L’accusa viene da Baita (e Nicolò Buson).
DIFESA. È una “fantasia”. La spesa è stata di 769.000 euro, lo dimostrano fatture e bonifici di pagamento all’architetto. Falsa la circostanza dei lavori in due tranches.

SOCIETÀ “ADRIA”

ACCUSA. Tramite la società PVP (commercialista Paolo Venuti) Galan si è fatto intestare il 7% delle quote di “Adria Infrastrutture” di Baita e Minutillo (valore 350.000 euro) per partecipare agli utili dei “project financing”.
DIFESA. Ammette l’investimento, ma nega di aver mai avvantaggiato Baita nei project-financing.

SOCIETÀ “NORDEST MEDIA”

ACCUSA. Tramite la società PVP si è fatto intestare il 70% di “Nordest Media” (valore 81.200 euro), per partecipare agli utili da raccolta pubblicitaria.
DIFESA. Ammette l’investimento, ma se ne disinteressò. Mai fatto nulla per la raccolta pubblicitaria.

PATRIMONIO

ACCUSA. Galan dal 2000 al 2011 ha incassato ufficialmente un milione 413 mila euro, ha speso 2 milioni 695 mila euro. La sproporzione è di un milione 281 mila euro.
DIFESA. Dal 2000 al 2013 Galan e consorte hanno avuto entrate per 3 milioni 461 mila euro, superiori di 701 mila euro alle spese. Nessuna entrata illecita.

Giuseppe Pietrobelli

 

IL BILANCIO

Sette in carcere dopo il blitz del 4 giugno

Delle 35 persone per le quali la Procura ha ottenuto l’arresto il 4 giugno, 22 erano finite in carcere, 10 ai domiciliari,, mentre due indagati erano coperti dall’immunità parlamentare (oltre al deputato Galan, l’ex europarlamentare Lia Sartori, ora ai domiciliari). L’intervento del Tribunale del riesame ha trasformato la situazione: in carcere sono rimasti l’ex assessore Renato Chisso, il suo segretario Enzo Casarin, l’imprenditore [………………], il commercialista Paolo Venuti, l’ex braccio destro del ministro Tremonti Marco Milanese (competente ora la Procura di Milano), l’ex generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante (anche lui ora a Milano), Gino Chiarini. Tra i 7 scarcerati, c’è chi ha ammesso le proprie responsabilità (come Patrizio Cuccioletta e Stefano Tomarelli) e altri per i quali i giudici hanno ritenuto non sufficienti le prove a carico, come per i dirigenti regionali Giovanni Artico e Giuseppe Fasiol.

 

A PRESENTARE IL PROJECT FU LA SOCIETÀ ADRIA, PARTECIPATA DA GALAN E CHISSO

Rubinato: il Governo sospenda l’appalto della Via del Mare

VENEZIA – Il Governo Renzi sospenda, in via precauzionale, la gara d’appalto per la realizzazione e la gestione della nuova superstrada turistica a pedaggio «Via del Mare », destinata a collegare l’autostrada A4, all’altezza del casello di Meolo, con le spiagge del litorale veneziane. La richiesta è contenuta in un’interrogazione alle Infrastrutture Maurizio Lupi, depositata alla Camera dalla parlamentare trevigiana del Pd Simonetta Rubinato e firmata anche dalla collega di gruppo Sara Moretto. L’iniziativa (che fa eco all’analogo intervento di Bruno Pigozzo, vicecapogruppo democratico in Consiglio regionale) prende spunto dal fatto che a proporre l’opera, in project financing, fu nel 2007 Adria Infrastrutture, la società, gestita da Claudia Minutillo e Piergiorgio Baita, finita nel mirino della Procura di Venezia già nelle prime fasi dell’inchiesta che ha terremotato la politica regionale. Ebbene, secondo gli investigatori, Adria Spa – definita «una società di corrotti e corruttori», dall’ordinanza del giudice di Venezia – sarebbe anche stata partecipata, attraverso dei prestanome, da Giancarlo Galan e da Renato Chisso, entrambi indagati nella Tangentopoli veneta. Circostanza ammessa dall’ex governatore del Veneto nel corso della videointervista del 27 giugno al nostro giornale: «L’acquisto del 7% del pacchetto societaria di Adria fu una stupidaggine, un errore che non ripeterei », le sue parole «anche se quelle quote non valgono nulla, perché l’impresa non ha mai costruito nulla». Ma cos’è la Via del Mare? Inclusa dal Cipe tra le opere di «interesse strategico», consiste nella realizzazione di una bretella di collegamento tra il casello autostradale di Meolo sulla Milano- Trieste e la rotatoria «Frova» a nord-ovest del centro abitato di Jesolo; l’asse stradale ha uno sviluppo di circa 19 km e attraversa il territorio di 5 comuni (Roncade, Meolo, Musile, San Donà di Piave, Jesolo) per un costo stimato in 200,752 milioni di euro. Che la cordata capitanata da Adria Infrastrutture Spa, si è offerta di coprire in cambio della riscossione quarantennale del pedaggio, ottenendo così il diritto di prelazione sull’appalto. «Un pessimo affare per la comunità, un vero esproprio ai danni della Treviso Mare e ad esclusivo beneficio dei privati», rincara Rubinato «il piano finanziario del bando è stato a lungo blindato e ora comprendiamo il perché. Va bloccato in ogni caso, a prescindere dai sospetti di illegalità, che puresono pesanti».

Filippo Tosatto

 

Grandi navi, Mose “ingombrante”

Masiero (Slow Lagoon): «Fondale troppo alto, bisognerà modificare i cassoni»

CHIOGGIA – Mose “ingombrante” per l’arrivo delle grandi navi da crociera. Lo denuncia il presidente di Slow Lagoon Marino Masiero individuando nei politici i responsabili di una mancata attenzione sulla vicenda. Da mesi la città si sta candidando a lavorare in sinergia con Venezia per creare un polo crocieristico lagunare in cui poter utilizzare i due scali indifferentemente per mantenere nella provincia le grandi navi. All’orizzonte spunta però un nuovo elemento di cui nessuno finora ha parlato. «I lavori di posa dei cassoni centrali del Mose a Chioggia», sostiene Masiero, membro anche del direttivo di Gruppo turismo, «andrebbero sospesi e l’opera modificata immediatamente per non penalizzare la città. Pochi sanno che la nostra soglia d’ingresso in porto è a meno 11 metri contro i meno 14 di Venezia. Tenuto conto del “franco di sicurezza di due metri” per far passare le navi passeggeri, la differenza squalifica il nostro porto impedendo di far entrare le grandi navi». Gruppo turismo chiede di abbassare la soglia delle paratie centrali del Mose per un centinaio di metri di larghezza alla bocca di porto. «Di fronte ai sette miliardi di costo complessivo del Mose», precisa Masiero, «gli scavi per aumentare di tre metri la profondità avrebbero inciso, forse, per qualche punto percentuale. Un piccolo aumento di spesa che, a fronte delle opportune revisioni dell’appalto unico, potrebbe ampiamente venire coperto da risparmi che si profilano all’orizzonte. Quei tre metri che mancano ci impediscono, a nostro parere per volontà e non per ragioni tecniche, di essere un porto a tutto tondo come Malamocco e Lido ». Con il Mose impostato in questo modo, Chioggia vedrebbe arrivare navi passeggeri minori, con pescaggio inferiore ai 9 metri, mezzi che le stesse compagnie armatoriali ritengono superati sotto il profilo economico e cantieristico.

(e.b.a.)

 

IL MOSE – Un incarico da 40mila euro affidata dal Coveco

Una torre con vista sul Mose per il fratello di Cuccioletta

Tra gli allegati dell’inchiesta sulle mazzette del Mose spunta un contratto di consulenza per una “torre panoramica” a fini dichiaratamente promozionali. L’idea era quella di fare del gigantesco e complesso sistema di dighe mobili, che dovrà difendere Venezia dall’acqua alta, una vera e propria attrazione per i turisti da vedere dall’alto, in posizione strategica e suggestiva. Clonando quanto successe a Parigi con la creazione della Torre Eiffel. Ad affidare l’incarico è il Coveco, attraverso il presidente Franco Morbiolo, arrestato il 4 giugno, insieme fra gli altri all’allora assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso (tuttora in carcere), all’ormai ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, e a Patrizio Cuccioletta.
Quest’ultimo, dal 2008 al 2011 Magistrato alle Acque, era a libro paga – come da lui stesso confessato – di Giovanni Mazzacurati, il dominus del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico per la costruzione del Mose. Stipendiato con circa 200mila euro l’anno, per non controllare l’avanzamento dei lavori, anzi per approvare tutto, con una buona uscita di 500mila euro, cessato l’incarico. Un carnet fatto non solo di soldi ma anche di favori: cene, viaggi, assunzione della figlia e incarichi al fratello Paolo. Ed è proprio quest’ultimo, architetto, classe 1938, dell’Archingroup con sede a Roma, a venire scelto per «l’individuazione, tra Bocche di Porto oggetto dei lavori, di quella più idonea alla costruzione di una struttura architettonica, vocata all’osservazione delle opere di difesa da parte di eventuali visitatori».
La richiesta dell’intervento arriva – si legge in premessa – dalla stazione appaltante (Magistrato alle Acque) al Consorzio Venezia Nuova di cui il Coveco fa parte in qualità di socio diretto. Compenso pattuito 38mila più Iva comprensivo anche della progettazione del manufatto. La sottoscrizione porta la data del 16 maggio 2012: da sette mesi Cuccioletta junior non è più a capo del Magistrato e Mazzacurati, intercettato dagli uomini della Guardia di Finanza, si dice molto preoccupato perché lo sente depresso. Stesso stato d’animo che emerge dalla conversazione delle rispettive mogli. La parcella con il conto viene presentata due settimane dopo, il 30 maggio 2012: totale da liquidare 40,219,20 euro. Il saldo tramite bonifico bancario da Coveco a Cuccioletta senior. Non c’è traccia dell’elaborato fra gli allegati arrivati in Procura.
Ma i nomi dei due fratelli Cuccioletta erano già assurti all’onore delle cronache tre anni prima che scoppiasse la nuova Tangentopoli lagunare: Patrizio e Paolo comparivano ai numeri 43 e 44 della lista di invitati alla cena della “cricca”, quella dello scandalo del G8 della Maddalena. L’aveva scritta a mano la moglie di Fabio De Santis per festeggiare la nomina del marito a Provveditore delle opere pubbliche di Toscana. Il foglio era stato trovato durante la perquisizione della casa romana dell’ingegnere. Allo stesso tavolo erano stati chiamati anche Berlusconi, Balducci, don Camaldo, cerimoniere del Papa, gli imprenditori Diego Anemone e Francesco de Vito Piscicelli (quello che al telefono rise la sera del terremoto dell’Aquila pregustando gli affari degli appalti). Paolo Cuccioletta si ritrova indagato per corruzione anche a Pescara.

 

INTERROGAZIONE PD «Sospendere la “via del mare”»

ROMA – Il Governo sospenda la gara per la realizzazione e la gestione della nuova superstrada a pedaggio «Via del Mare», che dovrebbe collegare l’autostrada A4, all’altezza del casello di Meolo, con le spiagge. La richiesta è contenuta in un’interrogazione al ministro Lupi, depositata dall’onorevole Simonetta Rubinato del Pd e firmata anche da Sara Moretto. A proporre l’opera, in project financing, fu nel 2007 Adria Infrastrutture finita nell’inchiesta di Venezia e partecipata dal governatore Giancarlo Galan e dall’assessore Renato Chisso.

 

L’INTERVENTO – Mance dal Consorzio. E nessuno si interrogava sulla provenienza dei soldi

Leggo in questi giorni sul Gazzettino un elenco ancora incompleto delle persone fisiche e degli enti che hanno ricevuto finanziamenti erogati dal Consorzio Venezia Nuova durante la costruzione del Mose.
Ciò che accomuna i beneficiati è la loro apparente assoluta estraneità al progetto.
Viene anche pubblicata dal giornale una lunga e dolente precisazione firmata dal giornalista Guido Moltedo il quale deplora di essere stato incluso, per una cifra minima (rispetto alle altre), nel calderone dei nomi pubblicati, spiegando tra l’altro, per quelli che non lo sapessero, come, fino a poco tempo fa, fosse prassi normale che aziende pubbliche utilizzassero questa forma di pubbliche relazioni e vi dedicassero somme anche considerevoli per promuovere le proprie iniziative o comunque per crearne un effetto favorevole nell’opinione pubblica.
Tutto regolare dunque.
Lo Stato, sull’onda di un disastro mai realmente avvenuto, ma solo annunciato dalle prefiche dell’effetto serra, decise dopo il 1966 di costruire un’opera politica tanto imponente quanto poco ingegneristica per salvare Venezia dai futuri danni dell’alta marea.
Da quel momento il Doge delle Regione divise la cittadinanza in due categorie. Chi era contro il Mose voleva la fine di Venezia chi era favorevole la salvezza. Un referendum mentale da cervelli all’ammasso.
Nell’ottica di Galan confesso di essere stato fin dal primo momento per la morte di Venezia.
Mi è sempre sembrato chiaro che l’opera fosse stata volutamente concepita per sbalordire quelli che di marea sanno poco o nulla.
Il male è che alcuni tra gli sbalorditi, sia pur sotto shock dopo le recenti vicende, pensano ancora che questo ferrovecchio possa servire a qualche cosa.
Per sviare i dubbiosi sulla evidente incongruità del costo rapportato agli eventuali danni che l’acqua alta avrebbe potuto produrre alla Città, il Consorzio Nuova Venezia pensò di intervenire con elargizioni mirate e a pioggia in modo di avere un percorso in discesa e senza intoppi durante il corso dell’opera.
Pensando alla Tav, forse ciò che è mancato fino ad oggi per ottenerne l’approvazione popolare, è stata una seria promozione di relazioni pubbliche sotto forma di elargizioni ad alti prelati, parrocchie, organizzazioni, partiti, scrittori, registi e, perché no, ai ciclisti.
Non mi risulta che sia stato fatto. Per una semplice ragione. Non ce n’era alcun bisogno perché è possibile che siano stati i “No Tav” al servizio di lobby diverse.
Dietro tutta questa sporca faccenda del Mose rimane soprattutto una nota amara. Perché queste persone hanno preso scientemente soldi pubblici? Non hanno mai pensato che un’opera pubblica non ha bisogno di appoggi morali per essere ulteriormente approvata?
Io penso che, se gli autori hanno accettato il danaro, lo abbiano fatto convinti che senza quel finanziamento le loro opere non sarebbero mai state né pubblicate né costruite. Hanno incassato una mancia. Da accattoni.

 

I NUOVI LIBRI DI “CORTE DEL FONTEGO” – Mose e grandi navi, ora la città attende risposte

VENEZIA – La collana “Occhi aperti su Venezia” di Corte del Fontego si arricchisce di tre titoli dedicati al sistema Mose e alle grandi navi in laguna. “A bocca chiusa” di Lidia Fersuoch, “Invertire la rotta” di Silvio Testa e “Contare il crocerismo” di Giuseppe Tattara. Presentati alla Scuola dei Calegheri – da Edoardo Salzano e dagli autori – essi propongono in forma sintetica letture critiche della grande opera e degli effetti del crocierismo e del gigantismo navale sulla città lagunare, «dove si registrano le stesse forzature e un pensiero unico che ha caratterizzato per anni la società veneziana fino allo scorso 4 giugno».
«Da questi libretti si evince che in città e non solo il potere reale non è esercitato dai cittadini, ma da un coacervo di poteri forti resi ancora più forti dai margini di manovra loro concessi», ha detto Salzano. E a confermare le sue parole è stata Lidia Fersuoch, secondo cui «il Mose è sbagliato in sè, e frutto di pessime leggi, mancanza di controlli e di un deficit di democrazia. Questo è il primo tentativo di scrivere la sua storia, caratterizzata da denunce e minacce a chi non condivideva l’opera. Che ha avuto costi altissimi, e costi non meno alti richiederà per la manutenzione».
Per Silvio Testa «anche sulle grandi navi si sta riscontrando un rullo compressore che prescinde dal buon senso, dalla logica e da ogni valutazione. Le criticità non hanno mai trovato risposta. E tutto si è ridotto all’opportunità di non far passare più questi mostri davanti a San Marco, in base alla soluzione precostituita dello scavo del canale Contorta Sant’Angelo, che trasformerà la laguna in un tratto di mare. Sui livelli d’inquinamento, poi, il silenzio rimane assordante».
Giuseppe Tattara, invece, il crocierismo lo ha affrontato da un punto di vista sociale ed economico: «Confrontati costi e benefici, non si può negare che il settore dia lavoro. Ma con ricadute sulla città assai modeste, nell’ambito di un’economia circoscritta. E costi per danni ambientali superiori all’indotto».

Vettor Maria Corsetti

 

A proposito di…

SCANDALO DEL MOSE E POLITICI CORROTTI

Caro cronista, con lo scandalo del Mose si sono allegramente corrotti politici di massimo livello; vertici di controllo come lo storico Magistrato alle Acque; un Generale della Finanza; la Corte dei Conti; imprenditori in posizione di privilegio; illustri funzionari pubblici. Tutti caduti nella rete del Consorzio Venezia Nuova che si è prodigato, con generose elargizioni di denaro a destra e a manca, per ottenere la concessione unica dei lavori. Fatti tutti fuori legge e senza appalto dove “Si prefigura, anche, l’ipotesi di reato d’impatto ambientale.” Ora mi domando se il Comitatone – massima sentinella preposta alla sorveglianza delle opere lagunari, scappata, forse, ai tentacoli del Consorzio Venezia Nuova – possa deliberare. Il suo silenzio è durato tre anni: tempo in cui rimane in parcheggio, fra forti polemiche e contestazioni lagunari. Chiamato in causa dal sindaco Orsoni nella seduta del 30 aprile 2014, fa cadere la sua determinante scelta su tre progetti, quelli che porteranno ad altri invasivi scavi ed arginamenti, negando spazio alle quattro alternative presentate in concomitanza, le quali escludono questi pericolosi interventi. Scelta che lascia aperto il problema dell’alternanza. Il Comitatone (composto nella maggior parte da tecnici del settore) non può cadere in questo tranello e dare un colpo di spugna alle alternative, regalando alle grandi navi la morte della Laguna. Viene da chiedersi se esso, nella sua prossima riunione, abbia ancora la facoltà di analisi per deliberare e come il ministro dell’ambiente Massimo Lupi possa convocarlo se non c’è un’analisi ambientale comparativa, come previsto. Tutto ciò accrescerà il già forte malessere dei cittadini in un momento così drammatico per le sorti della città. Si attende la riunione del Comitatone entro luglio e le alternative si sono arenate al Ministero dell’Ambiente. Il Comitatone preposto alla Salvaguardia della Laguna, sceglierà il Contorta che risulta essere il prediletto. Siamo davanti ad un terremoto che ha travolto tutto e – in questa non chiara situazione – sembra essere risoluto a voler continuare a imperversare. Il cittadino si attende un più attento controllo del territorio e non che i controllori vengano controllati dagli esaminandi che svolazzano sull’ambiente, da alcuni decenni, come corvi. Per i soldi che girano, nella tormentata Laguna di oggi, viene da dubitare di tutti.

Yvonne Girardello – Venezia

 

La precisazione

NIENTE CONTRIBUTI DAL CONSORZIO

In relazione all’articolo comparso su “Il Gazzettino” del 4 luglio scorso, intitolato “Così Mazzacurati foraggiava Venezia – 32 milioni dati a enti e associazioni” dove si fa menzione di una generica “mensa per i poveri di Mestre” tra i soggetti beneficiari delle elargizioni del Consorzio Venezia Nuova, tengo a precisare in qualità di presidente della Associazione San Vincenzo Mestrina onlus – che dal 1967 gestisce la mensa di Ca’ Letizia in via Querini a Mestre – che la nostra mensa non è mai stata destinataria di alcun tipo di finanziamento e/o donazione da parte del predetto Consorzio. Tanto per chiarezza anche nei confronti dei tanti benefattori che da sempre sostengono la nostra storica mensa, che vive solo di “Provvidenza” e non riceve alcun finanziamento da istituzioni pubbliche o private.

Stefano Bozzi – presidente Associazione San Vincenzo Mestrina onlus”

 

Mazzette per 250 mila euro su ogni cassone del Mose

L’impresa subappaltante pagava il Cvn con false fatture a carico dello Stato

Boscolo Bachetto della Coop San Martino: «Volevi un lavoro? Dovevi fare così»

VENEZIA – Ogni cassone del Mose valeva 250 mila euro in fondi neri-tangente: questo, infatti, il prezzo della “retrocessione” – coperta con false fatturazioni per spese inesistenti messe in conto allo Stato – che l’impresa subappaltatrice doveva all’appaltatore del Consorzio Venezia Nuova, per ottenere i lavori. Lo racconta Stefano Boscolo Bachetto, della Coop San Martino, nel suo interrogatorio di settembre davanti ai pm Ancilotto, Buccini e Tonini: testimonianza finita nell’ordinanza con al quale i giudici del Tribunale del Riesame hanno confermato la custodia cautelare in carcere per Renato Chisso, perché una tranche per 150 mila euro di queste tante retrocessioni- mazzette pagate a rate è passata – secondo la Procura – dalle mani di Boscolo a quelle di Pio Savioli (interfaccia delle cooperative nel Consorzio), dalle sue a quelle di Sutto (segretario particolare di Mazzacurati) e da queste a quelle dell’ex assessore alle Infrastrutture, con una consegna a domicilio a Palazzo Balbi sotto gli occhi dei finanzieri. Nel suo interrogatorio, Boscolo Bachetto spiega come funzionavano le cose: vuoi un lavoro? Lo paghi in “retrocessioni”, un tanto al pezzo. «Poi c’è la questione dei cassoni della Mose 6, che è la cosa più grossa che sono a conoscenza io nei confronti di Tomarelli », dice Boscolo. «E cioè, quindi , che cosa?», chiedono ovviamente i magistrati. «Lì fu costruita una consortile, la Mose 6, per l’esecuzione di lavori di costruzione dei cassoni», racconta l’imprenditore, spiegando che l’80 della società era della Clea di Campolongo e il 20% della San Martino: «Fu costruita questa Mose 6 per l’esecuzione di sei cassoni, fu stabilito l’importo di 8 milioni e 100 mila euro a cassone; però ci fu la pretesa da parte di Tomarelli (consigliere di Condotte d’Acqua, socia del Consorzio Venezia Nuova, per i giudici tra i quattro della “cupola” che decideva sui fondi neri, ndr) di avere una commissione per aggiudicarsi questo subappalto. In pratica, erano 250 mila euro a cassone, di cui 125 li doveva pagare la Clea e 125 la coop San Martino. Siamo nel 2010: noi non avevamo disponibilità del contanti e Sandro Zerbin, presidente della Clea, mi disse che se volevo lui aveva la possibilità di procurare il contante. Ne parlai con mio padre e mi disse “Va bene”, non so se lui abbia aumentato il prezzo del ferro che aveva all’interno dei cassoni del Mose o se abbia aggiunto delle quantità di ferri, però praticamente tramite queste fatturazioni riusciva a recuperare i contanti». Consegnati a chi? «A parte le primissime volte che fu mio padre, poi fu Zerbin di persona a consegnare i soldi a Savioli, il quale li dava a Tomarelli». «Perché avete accettato questa cosa?», chiedono i pm. «Perché sennò il lavoro non si faceva», «i subappaltatori li sceglieva Tomarelli, era lui il presidente della Clodia e lui aveva facoltà di decidere a chi dare i lavori: la Clea era partita da oltre 9 milioni come primissima offerta alla Clodia. Dopodiché si arrivò a 8,100. Anzi a 7,6, poi Tomarelli ha aggiunto questi 500 mila euro che andavano a coprire praticamente il costo dei 250». Fondi neri per tangenti e prebende pagati dallo Stato sottoforma di spese mai eseguite: è il sistema Mose dell’era Mazzacurati & Co.

Roberta De Rossi

 

mozione del m5s in parlamento

«Renzi fermi la Orte-Mestre»

VENEZIA «Non c’è da stupirsi, ma la Mantovani, dopo il Mose, aveva messo gli occhi anche sul progetto della nuova autostrada Orte-Mestre. Un’altra “gallina dalle uova d’oro” da realizzarsi con il delinquenziale sistema del project financing all’italiana e che godrà anche di 1,9 miliardi di incentivi fiscali». È quanto afferma la portavoce veneta delM5SArianna Spessotto che, insieme ad altri deputati grillini, ha depositato una mozione per impegnare il governo ad abbandonare il progetto «a favore di più piccoli e meno impattanti, ma assolutamente necessari interventi di messa in sicurezza delle arterie esistenti».

 

Galan, FI chiede il voto segreto. Pd-M5S compatti: sì all’arresto

Martella, vicepresidente dei democratici alla Camera: «Dopo il via libera della Giunta non ci sono più dubbi».

I grillini e la Lega: «Siamo pronti per il bis dopo il caso Genovese»

PADOVA «Martedì chiederò il voto segreto sulla richiesta di arresto nei confronti di Giancarlo Galan. Forza Italia è stata garantista con Genovese e lo saremo anche con il nostro collega»: Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, continua a lottare come un leone per salvare Galan dall’incubo carcere. Mercoledì scorso si era opposto all’ufficio di presidenza che ha messo in calendario per il 15 luglio il voto dell’Aula, 4 giorni dopo il via libera della Giunta delle autorizzazioni. «Non c’è il tempo per leggere gli atti», ha detto Brunetta, ma la presidente Laura Boldrini è stata irremovibile: martedì prossimo alle 17 si apre il dibattito e tre ore dopo arriverà il verdetto. Cosa accadrà nel segreto dell’urna? Brunetta spera nel colpo a sorpresa: il garantismo farà breccia? Per evitare sorprese il Pd ha convocato il gruppo in mattinata: i commissari della Giunta, Amoddio, Verini ed Ermini spiegheranno le ragioni del sì alla richiesta di arresto. «Il nostro compito è valutare se esista il fumus persecutionis della magistratura e non diventare il tribunale dello scandalo Mose: il lavoro della Giunta è stato molto accurato e quindi diremo di sì alla richiesta di arresto. Giancarlo Galan come qualsiasi altro cittadino si dovrà difendere nel processo e rispondere alle accuse della Procura di Venezia», spiega Andrea Martella, vicepresidente del gruppo Pd alla Camera. Sulla stessa linea il sottosegretario Pier PaoloBaretta : «Voto sì, la magistratura ha il diritto-dovere di indagare anche su Galan» e parole analoghe arrivano dall’altro sottosegretario all’Economia, il veneziano Enrico Zanetti (Sc-Monti): «Seguirò le indicazione del relatore Mariano Rabino, mio collega di partito, che è a favore della richiesta d’arresto». Ma il Pd teme il voto segreto? «Non vedo imboscate», spiega l’onorevole Roger De Menech, segretario regionale, «il garantismo invocato da Fi è quanto mai sospetto. Citano il caso di Vasco Errani a sproposito e dimenticano che il governatore dell’Emilia si è dimesso tre secondi dopo la sentenza di condanna di secondo grado: noi siamo garantisti, ma con lo scandalo Mose abbiamo applicato il rigore assoluto, a partire dal caso Orsoni». Per il sì all’arresto di Galan si dichiarano anche Alessandro Naccarato: «Seguirò le indicazioni del gruppo» e Simonetta Rubinato: «Umanamente è sempre difficile decidere di mandare qualcuno in galera. Ma essendo stato escluso il fumus persecutionis, l’immunità parlamentare viene meno perché altrimenti diventerebbe un privilegio ingiustificato rispetto agli altri cittadini. Quindi il mio voto sarà favorevole». E i grillini? Francesca Businarolo, Silvia Benedetti, Gessica Rostellato , Arianna Spessotto, Marco Da Villa, Federico D’Incà, Emanuele Cozzolino non hanno dubbi: il sì all’arresto di Galan sarà un anime da parte del M5S. «Dopo il via libera in Giunta non ci sono dubbi, la magistratura ha il diritto di indagare su un deputato accusato di reati gravissimi: la legge è uguale, non esistono privilegi e immunità da far valere». Più garantista il commento di Alessandro Zan, ex Sel, ora nel Gruppo Misto: «La Camera martedì non si può trasformare in un’aula di tribunale. Sì alla richiesta d’arresto ma senza i toni giacobini dei grillini» dice il deputato padovano. Chi invece non va per il sottile è Marco Marcolin, della Lega: «Non ho dubbi:abbiamo detto di sì all’arresto di Genovese del Pd e diremo sì anche per Galan. È stato il mio governatore per 15 anni in Veneto: lo stimo, si professa innocente, ma deve accettare il processo in tribunale».

Albino Salmaso

 

I DEPUTATI PD «Magistrato Acque, poteri al Comune»

«La soppressione del Magistrato alle Acque non significa ovviamente una soppressione delle competenze che questo organismo aveva, ma impone una loro nuova attribuzione. Come deputati del Pd abbiamo chiesto, con un emendamento, che tutta una serie di funzioni vengano date in prima battuta al Commissario straordinario del Comune di Venezia. Per poi essere trasferite in via definitiva al sindaco metropolitano di Venezia». Così il vice presidente del gruppo del Pd alla Camera, Andrea Martella, spiega i contenuti di un emendamento presentato come primo firmatario al provvedimento di conversione del decreto-legge (24 giugno 2014, n. 90) «recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari». L’emendamento è stato sottoscritto dagli altri 18 deputati democratici veneti. «L’emendamento propone di modificare l’articolo 18 del provvedimento che ad oggi prevede di trasferire ogni funzione al Provveditorato territoriale per le opere pubbliche, articolazione periferica del Ministero per le Infrastrutture. Noi invece chiediamo di attribuire all’istituzione metropolitana le competenze relative all’estuario veneto, da quelle di polizia e vigilanza lagunare a quelle che si legano alle attività di salvaguardia lagunare e monumentale e di tutela-prevenzione dagli inquinamenti delle acque. Non da ultimo chiediamo di assegnare anche le risorse umane e strumentali legate a queste funzioni e che sono state fino ad oggi nella disponibilità dell’organico del Magistrato alle Acque. Si tratta di trasferimenti di poteri già previsti nella proposta di legge per l’istituzione della Città Metropolitana presentata nel 2010».

 

Campolongo – Boldrin: «S’indaghi sui raccomandati»

CAMPOLONGO «Ora si indaghi sulle assunzioni facili fate dai politici corrotti e si caccino i raccomandati». Dopo lo scoppio della tangentopoli del Veneto sul Mose, una proposta arriva da Oriana Boldrin, presidente dell’associazione Mondo di Carta: «Bisogna indagare sulle assunzioni fatte dai politici attualmente inquisiti di parenti ed amici. Di persone cioè che sarebbero state assunte senza alcun tipo di concorso, solo per essere state raccomandate, e che ora stanno togliendo il posto di lavoro ad altri magari molto più preparati e con i regolari titoli di studio». Di esempi la Boldrin ne vede parecchi anche nella zona della Riviera e a Campolongo: «Alcuni personaggi che ora sono in carcere hanno sempre fatto credere di aver fatto assumere grazie alla loro parola. Di fatto molti amici e parenti sono assunti nei settori e società pubbliche che controllavano. Forse è tutto regolare, ma visti il oro comportamenti un controllo sarebbe d’obbligo. Le motivazioni che hanno portato a quelle assunzioni andrebbero verificate».

(a.ab.)

 

Gazzettino – La mappa dell’impero economico dell’ex doge

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12

lug

2014

MOSE – La mappa dell’impero dell’ex doge: villa, case in Croazia, tenuta agricola e partecipazioni in varie società

Galan, la battaglia del voto segreto

Forza Italia cerca di evitare l’arresto. Brunetta si appella alla libertà di coscienza. Il Pd non cede: il Paese chiede rigore

VERSO IL VOTO – Martedì prossimo la Camera deciderà sull’arresto di Galan. Brunetta si appella alla libertà di coscienza e chiederà il voto segreto. Il Pd non dà segni di ripensamento: Il Paese chiede rigore.

LE PROPRIETÀ – Intanto ecco la mappa dell’”impero” dell’ex governatore: oltre alla villa sui Colli, due case in Croazia, una tenuta agricola, sei vetture in garage e partecipazioni in varie società.

AUTO E BOSCHI – Sei vetture in garage una tenuta agricola e 5 ettari a Rovolon

LE ABITAZIONI – Oltre alla villa sui Colli una casa a Rovigno e un immobile a Lussino

La mappa dell’impero economico dell’ex doge

Una villa e due case, cinque auto e un quad, partecipazioni in una ragnatela di società. Ricco come un Creso oppure oberato dai mutui che deve onorare, un milione 850mila euro solo con Veneto Banca (di cui detiene azioni per 100mila euro)? Padrone di case da favola, o più modestamente un benestante che ha investito i soldi di una vita nella villa con barchessa sui Colle Euganei? Abile gestore di società tra Italia e Croazia, magari all’incrocio con attività (sanità, energia…) su cui la Regione Veneto aveva competenza, o in realtà il titolare di qualche scatola vuota, senza sostanza economica? Si dibatterà a lungo sull’”impero” di Giancarlo Galan, almeno da qui al probabile processo che lo attende (salvo colpi di scena) al termine dell’inchiesta su affari e mazzette in Laguna.
Ma da qualche parte bisogna cominciare, avendo ben presente che i livelli da considerare sono tre. Da una parte la Procura che gli contesta tangenti per 4 milioni 831mila euro: un milione all’anno dal 2008 al 2013 come “stipendio” del Consorzio Venezia Nuova, 831mila euro dalla Mantovani (400mila euro per la ristrutturazione della villa di Cinto Euganeo, 350mila euro per partecipazioni azionarie in Adria Infrastrutture e Nordest Media). Dall’altra parte l’interessato che nega di essere mai stato corrotto con un solo centesimo, e di essere quindi la vittima di una grande macchinazione. In mezzo la guardia di Finanza, che ha monitorato il patrimonio di Galan e consorte, sostenendo che i due hanno speso molto più di quanto hanno incassato.
LA VILLA La dimora di Cinto Euganeo impressiona, per vastità e ricercatezza del giardino. «Ho acquistato tale abitazione nel 2005 per un prezzo inferiore al milione di euro. – ha spiegato l’indagato nella memoria mai consegnata ai Pm, ma finita alla Giunta della Camera – Il denaro arrivava dalle mie azioni detenute in Antonveneta». La ristrutturazione? «Pagai all’incirca 700mila euro, utilizzando, tra l’altro, un mutuo di 200mila euro acceso con la Banca Popolare di Vicenza, che a tutt’oggi paghiamo mensilmente». È per questo che il 30 maggio 2006 fu iscritta un’ipoteca sulla villa. Ma per la Finanza e i Pm i lavori furono pagati dalla Mantovani di Piergiorgio Baita, con un sistema di sovraffaturazioni.
A ROVIGNO Nota è la passione di Galan per la pesca in mare. È anche per questo che frequenta la Croazia. Nel 2001 acquista «il primo piano di una abitazione nella nota località turistica croata di Rovigno, per circa 155mila euro; negli immediati anni successivi svolsi sulla stessa dei lavori di ristrutturazione». Per farlo costituisce la società “Franica Doo”.
A LUSSINO Non è l’unica proprietà all’estero. A Lussino Galan possiede la «porzione indivisa di un immobile di cui sono proprietario unitamente a Paolo Venuti e Luigi Rossi Luciani». Il primo è il suo commercialista, arrestato a giugno, il secondo è l’ex presidente degli industriali del Veneto. «Questa abitazione è stata acquistata nel 2010 per un importo di circa 60mila euro». L’ex governatore puntualizza: «La mia parte di proprietà è la meno pregiata trattandosi della porzione non rivolta al mare».
I BOSCHI L’elenco dei beni immobili si completa con la tenuta agricola “Frassinetta” a Casola Valsenio (Ravenna). Secondo Galan «si tratta di un territorio prevalentemente boschivo acquistato per una quota pari al 70% nel 2008 con un mutuo acceso presso Veneto Banca a copertura dell’intero importo». Secondo la Finanza il valore è di 920mila euro. Per finire, 5 ettari e mezzo di bosco a Rovolon, sui Colli Euganei, comperati sempre nel 2008 e pagati 47mila euro.
AUTOMOBILI Il parco-auto comprende l’ammiraglia, una Audi Q7 di dieci anni fa (330 mila chilometri), una Land Rover “Defender” (regalo della moglie nel 2013, intestata alla società Margherita), un Quad acquistato per 1.250 euro. Ci sono anche tre auto storiche: un Land Rover “Defender” del 1980, un Pinzgauer del 1973 (regalo dell’imprenditore Nicola Pagnan), una Mini Morris del 1976 (regalo di nozze dell’avvocato Niccolò Ghedini).
ADRIA INFRASTRUTTURE Entriamo nel dedalo delle società. Secondo Galan “Adria Infrastrutture”, come Nordest Media, non ha mai operato. Ne detiene il 7% che per la Finanza vale 350mila euro, prezzo di una presunta corruzione. Fu Piergiorgio Baita (oggi uno dei suoi grandi accusatori) a proporgli l’acquisto: «Acconsentii reputandolo un buon investimento per il futuro, per quando si sarebbe conclusa la mia esperienza da Governatore». Ma Galan nega di aver mai discusso di eventuali project financing. «Lo stesso Baita afferma che io non mi sono mai adoperato per avvantaggiare, agevolare o favorire una sua società nell’ambito della finanza di progetto».
NORDEST MEDIA. Galan detiene il 70 per cento del capitale, che per la Finanza equivale a 81.200 euro. Doveva servire per attività giornalistiche. Ma Galan assicura: «Si parlò delle testate e delle probabili chances che avevano sul mercato italiano, ma non mi interessai minimamente alla vicenda». E se dall’inchiesta emerge che avrebbe dovuto convincere amici imprenditori a finanziare la pubblicità, lui giura: «Non ho fatto assolutamente nulla per la raccolta pubblicitaria».
MARGHERITA. Società equamente divisa con la moglie Sandra Persegato. Secondo la Finanza è la holding di famiglia. I petali della “Margherita srl” portano alle partecipazioni in “Frassinetto”, “Energia Green Power” («Capitale non versato, non ha mai operato», dice lui; la Finanza: 10 mila euro), “Amigdala” (4 mila euro su un capitale di 20 mila, tra i soci anche la famiglia Stefanel), “San Pieri srl” (soci le mogli di Galan e dell’imprenditore Stefano Bozzetto; la partecipazione per 850 mila euro è stata finanziata da Veneto Banca; secondo la Finanza la partecipazione del 21.6% vale un milione 323 mila euro).
LA SANITÀ. Galan è all’oscuro di detenere il 50% di IHLF, società costituita per consulenze con i cinesi in ambito sanitario.
INDONESIA. Secondo la Finanza, “Thema Italia spa” faceva affari con il gas in Indonesia, e i coniugi Galan avrebbero avuto un interesse personale (tramite il commercialista Venuti), anche se «le quote sono formalmente intestate a terzi soggetti». Ma Galan replica che il cliente di Venuti non è lui, in questo caso, bensì «il signor Roberto Bonetto» che detiene il 65% della società e che vendette una partecipazione societaria in Indonesia per 45 milioni di dollari.

Giuseppe Pietrobelli

 

RICHIESTA D’ARRESTO Martedì 15 alle ore 17 la Camera deciderà

Brunetta si appella al voto di coscienza per salvare Galan

Ma il Pd risponde picche

L’ex governatore a casa alle prese con problemi di salute

Forza Italia denuncia: hanno voluto liquidarlo in fretta

GLI AZZURRI – Milanato: c’era il fumus persecutionis. Zanettin: no a giudizi sommari

LE SOCIETÀ – Partecipazioni in Adria infrastrutture, Nordest media e nella sanità

CAMERA DEPUTATI – Giovedì primo sì all’arresto di Giancarlo Galan, tra i fondatori di Fi, da parte della Giunta

Per salvare il soldato Galan, Forza Italia si aggrappa al caso Errani (il governatore dell’Emilia dimessosi dopo la condanna in appello a 1 anno per falso ideologico a cui il premier Renzi ha confermato piena fiducia fino alla sentenza definitiva). Per provare a far breccia nella solida maggioranza Pd-Cinque stelle, da sola con i numeri sufficienti a decidere la partita, gioca l’estrema carta dell’appello al «voto libero di coscienza» il capogruppo alla Camera, Renato Brunetta, annunciando la richiesta di voto segreto quando martedì prossimo, 15 luglio, alle ore 17, l’aula deciderà sull’arresto dell’ex ministro e governatore del Veneto, richiesto dalla Procura di Venezia che accusa l’ex Doge di corruzione nella Tangentopoli per le opere del Mose.
Ma con ogni probabilità tutti questi tentativi non basteranno ad evitare il carcere a Galan. Il precedente di Francantonio Genovese non lascia presagire nulla di buono: il deputato del Pd, ex sindaco di Messina, accusato di associazione a delinquere, riciclaggio, peculato, è entrato in carcere a metà maggio, giusto due mesi fa, dopo l’ok della Camera all’arresto con 371 sì e 39 no. Nè alimenta speranze tutta la gestione parlamentare del caso Galan, in particolare la velocità con cui si è arrivati al voto finale: giovedì il primo sì all’arresto (16 sì, 3 no) dalla Giunta per le autorizzazioni è arrivato quando la Conferenza dei capigruppo aveva già messo in calendario per il 15, quindi con tempi strettissimi, il passaggio in aula. La Capigruppo è sovrana e in teoria avrebbe potuto concedere più tempo al pronunciamento dell’aula. È l’aspetto sottolineato dalla senatrice azzurra Elisabetta Casellati: «Il tempo è troppo breve, i deputati non avranno modo di votare con cognizione di causa, di giudicare in diritto e coscienza. Impossibile leggersi 16mila pagine in pochi giorni. È sospetto e ingiusto, specie quando è in gioco la libertà personale».
Per Galan sono giornate difficili. Dopo la frattura al pèrone, l’altro ieri – proprio il giorno della votazione in Giunta – ha avuto due tromboflebiti, è dovuto restare a letto, gambe alzate, forti mal di testa. Chi gli ha parlato riferisce che è arrabbiatissimo, per quanto il verdetto contrario della Giunta fosse scontato. Forse si aspettava anche un maggiore difesa dal suo partito, lui che di Forza Italia è stato uno dei fondatori. Ieri si sono fatti sentire comunque la deputata Lorena Milanato («c’era l’oggettività del fumus persecutionis contro Galan») e i senatori Giovanni Piccoli e Pierantonio Zanettin: «Vogliamo stigmatizzare il ricorso a giudizi sommari. Siamo fiduciosi che il presidente Galan saprà dimostrare l’estrenità ai fatti addebitati».
Dall’ex Doge nessuna dichiarazione. Prima dovrà rimettersi e concordare le mosse con gli avvocati, anche in vista di un prossimo arresto dagli effetti mediatici comunque potenti, cui seguirà certamente l’istanza di assegnazione ai domiciliari. Martedì Galan non dovrebbe essere presente alla Camera. Ma mancano ancora quattro giorni.
Il capogruppo Renato Brunetta alza la bandiera del garantismo: «A maggio abbiamo votato contro l’arresto di Genovese, siamo garantisti in primo luogo con gli avversari e lo siamo sempre, non a corrente alternata o a seconda del riscontro mediatico. Per Renzi non è così: guanti di seta a Errani, comunque difeso da Fi, manette a Galan. Il premier divide il mondo in amici e nemici. Anzi, anche tra gli amici ci sono quelli “più” e quelli “meno”».
Fuori discussione l’intransigenza dei Cinque Stelle (Mattia Fantinati: «La limitazione della libertà persoanle è il minimo», Francesca Businarolo: «La sua difesa non è credibile per nessuno o quasi»), nel Pd non si scorgono segni di ripensamento nè tentennamenti nel segreto dell’urna. «Non c’entra niente il caso Errani – replica Alessandra Moretti, eurodeputata vicentina – Lui non è parlamentare, non gode di immunità, si è immediatamente dimesso. Galan non lo ha fatto anche se gli sarebbe stato utile per una difesa più autorevole. Resta comunque una decisione dolorosa e difficile. È evidente che c’è una pressione mediatica fortissima oggi perchè sono troppi i casi di corruzione che investono la politica e tutte le istituzioni. Dalla politica, però, chiamata a legiferare, ci si aspetta legalità e trasparenza. La nuova generazione dovrà guardare alla questione morale con un’attenzione totalmente diversa dal passato». C’è chi vorrebbe cambiare le regole sull’immunità, che dice? «Che va verificata – risponde Moretti – l’opportunità di trasferire le competenze oggi affidate alla Giunta per le autorizzazioni a una sezione della Corte Costituzionale».

 

GLI AVVOCATI DELL’EX SINDACO

«L’immagine di Orsoni danneggiata da troppe notizie lontane dalla realtà»

Troppe notizie non sempre «rispondenti al reale svolgimento dei fatti e mal uso delle informazioni acquisite negli ambienti giudiziari» starebbero determinando «una grave lesione dell’immagine» dell’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. Ne sono convinti i difensori, Francesco Arata e Daniele Grasso, che precisano che «nessuna contestazione diversa dalla predetta ipotesi di presunti finanziamenti illeciti durante la campagna elettorale del 2010 è stata mai formulata nei confronti di Orsoni». Sottolineando che Orsoni è indagato unicamente in relazione a questi presunti illeciti legati a contributi elettorali, ricordano che non ha «già subito sentenza di condanna, ed anzi si ritiene di poter chiarire la sua assoluta estraneità».

 

IN PARLAMENTO – Indagini sul Consorzio. Duello tra Pd e M5S sulla commissione

I parlamentari veneti del Pd chiedono di avviare un’indagine conoscitiva sul Mose e c’è chi storce il naso. Per qualcuno la richiesta alla Commissione Ambiente da parte dei democratici appare come uno specchio per le allodole, quasi a voler uscire dall’angolo ad ogni costo per risollevare quell’immagine politicamente ammaccata dalle recenti cronache giudiziarie. In primis Emanuele Cozzolino, deputato M5S e primo firmatario di una proposta di commissione d’inchiesta sul Mose presentata dai deputati veneti pentastellati.
«Davvero singolare – scherna Cozzolino – apprendere che i deputati veneti del Pd chiedono di avviare in Commissione Ambiente un’indagine conoscitiva sul Mose e sulle attività del Consorzio Venezia Nuova quando è già stata depositata la proposta per avviare una commissione d’inchiesta sugli stessi fatti, perché è come voler curare una brutta polmonite con l’acqua fresca invece che con una robusta dose di antibiotico».
L’indagine conoscitiva richiesta dai democratici del Veneto ha il compito di riattraversare gli uffici del Cvn e delle imprese ad esso collegate per rispolverare e prelevare tutti gli atti utili ad ottenere un quadro complessivo sulla realizzazione e gestione dell’infrastruttura e un cronoprogramma delle opere ancora da realizzare, per valutare possibili iniziative che si dovessero rendere necessarie alla luce degli sviluppi dell’indagine. Il tutto ha la durata di tre mesi, lo stesso vale per le audizioni di soggetti interessati dall’indagine, da confondersi con quelle svolte della magistratura.
«Non è altro che una serie di audizioni come se ne fanno in occasione di ogni provvedimento legislativo – rincara Cozzolino – la commissione d’inchiesta invece agisce a tutto campo con gli stessi poteri della magistratura. Se nel Pd c’è voglia di fare chiarezza sul Mose e sulle attività del consorzio Venezia Nuova è un’ottima notizia, è per questo che chiediamo al Pd di raggiungere questo obiettivo per la via principale e non per strade secondarie, associandosi al Movimento 5 stelle nella richiesta di avviare al più presto l’esame della proposta di istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta».
A chiarire la differenza il sottosegretario all’Economia del Pd Pier Paolo Baretta, che definisce quella di Cozzolino una polemica strumentale.
«La loro richiesta – afferma Baretta riferendosi ai cinque stelle – è un doppione dell’indagine della magistratura. Ma la legge è già all’opera per trovare i colpevoli e far luce sulle irregolarità, il nostro compito, il compito della politica, è quello di affrontare i problemi amministrativi e gestionali della vicenda, come quello degli appalti assegnati senza gare, o della verifica dei lavori già effettuati con falsificate autorizzazioni, e in base all’esito dell’indagine conoscitiva arrivare a delle proposte di riforma in Parlamento».

Giorgia Pradolin

 

POLITICA – Un emendamento potrebbe mitigare le conseguenze della decisione di Renzi di cancellare l’ente

“Blitz” per riportare la laguna al Comune

Il Pd vuole trasferire le competenze del Magistrato alle acque a Ca’ Farsetti

L’obiettivo è quello di intervenire, con un emendamento, al decreto legge (numero 90, giugno 2014), quello sulla trasparenza nella pubblica amministrazione. E quindi, in qualche modo, riempire di contenuti l’annuncio che nelle scorse settimane il premier Matteo Renzi aveva fatto sulla “soppressione” del Magistrato alle Acque. Così, proprio in queste ore, il parlamentare Pd, Andrea Martella insieme ad un pool di parlamentari democratici, tra i quali Delia Murer, Michele Mognato, Davide Zoggia e altri, ha presentato una “modifica” che punta ad individuare nel commissario prefettizio di Venezia la figura di “traghettatore” per l’assunzione di tutte quelle competenze che in questo momento, immediatamente dopo l’annuncio dell’addio al Magistrato alle Acque, sono state assegnate al Provveditorato interregionale alle opere pubbliche del Triveneto, ma anche alla fine – una volta istituita la Città metropolitana – dovrebbero diventare appannaggio del futuro sindaco metropolitano di Venezia. In qualche modo negli orientamenti di Martella e del gruppo parlamentare del Pd vi è tutta l’intenzione di arrivare definitivamente al trasferimento di tutte le competenze finora gestite da Palazzo X Savi al Comune metrpolitano di Venezia nell’arco del prossimo 2015.
«La soppressione del Magistrato alle Acque – chiarisce Martella – non significa una soppressione di competenze, ma punta a individuare una nuova attribuzione. In questo senso il nostro emendamento punta a trasferire prima al commissario e da questi al futuro sindaco, oneri e onori del Magistrato alle Acque, evitando così una sorta di “dispersione” in ambito interregionale». L’emendamento Martella, se accolto, consentirà di modificare l’articolo 18 del provvedimento sulla pubblica amministrazione in materia. «In questo modo, gli ambiti del Magistrato alle Acque – sottolinea ancora Martella – sull’ecosistema lagunare (salvaguardia, tutela, polizia e vigilanza, difesa della monumentalità, prevenzione e lotta all’inquinamento, traffico marittimo) passeranno alla fin fine al Comune metropolitano che ne avrà così diretta competenza. «Non da ultimo – conclude Martella – chiediamo di assegnare a questa fase anche le risorse umane e strumentali legate a queste funzioni e che sono state fino ad oggi nella disponibiità del Magistrato alle Acque».

 

Nuova Venezia – Mose, primo si’ all’arresto di Galan

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11

lug

2014

Mose, primo sì all’arresto di Galan

Dopo la Giunta martedì decide l’aula. «Non sono sorpreso. È un voto politico»

Galan, arresto più vicino

Inchiesta Mose, voto schiacciante alla Giunta di Montecitorio: 16 a favore e 3 contro

La Russa: non c’è il “fumus persecutionis” Il caso del leghista veronese Bragantini: dice sì alla relazione poi abbandona la seduta

PADOVA Inchiesta Mose, arriva un primo verdetto chiaro: con 16 voti a favore e solo 3 contrari la Giunta delle autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati ha dato il via libera alla richiesta d’arresto nei confronti dell’onorevole Giancarlo Galan, (Fi). «L’esito non era per nulla scontato ed è maturato dopo un’attenta analisi dei documenti processuali da cui emerge che non esiste il fumus persecutionis da parte della magistratura», ha commentato il presidente Ignazio La Russa che si è astenuto, come la prassi vuole. Il deputato milanese, cresciuto in An con Fini, poi nel Pdl e oggi in Fratelli d’Italia, ha giocato un ruolo di arbitro super partes: dopo aver concesso una proroga ai 21 «commissari» per leggere le 16 mila pagine d’accusa e le tre memorie difensive depositate da Galan, ieri alle 13,20 è passato alle dichiarazioni di voto e le hachiuse alle 15,22. A favore della richiesta d’arresto hanno votato Pd, M5S, lista per l’Italia, Sel e Scelta civica mentre i tre no sono di Chiarelli (Fi),Leone (Ncd) e Di Lello (Psi). Matteo Bragantini, unico rappresentante della Lega Nord, deputato veronese, haannunciato il suo sì alla relazione di Mariano Rabino, ma al momento di alzare la manonon c’era e quindi risulta assente. Martedì 15 luglio sarà l’Aula di Montecitorio a decidere il destino del deputato di Forza Italia, dopo tre ore di dibattito eun voto che si annuncia segreto: all’orizzonte non si profila nessun rinvio perché la strada tracciata sembra la stessa seguita con Francantonio Genovese, il deputato Pd arrestato un paio di mesi fa e subito messo agli arresti domiciliari dopo aver reso un ampio interrogatorio ai magistrati sulla gestione dei fondi comunitari. Secco il commento di Mariano Rabino, commissario-relatore, di Scelta civica-lista Monti: «Ho dato il mio parere favorevole alla richiesta d’arresto di Galan, perché i cittadini sono tutti uguali di fronte alla legge, i parlamentari non si possono difendere con lo scudo dell’immunità che è stata ampiamente dimezzata. L’inchiesta della procura di Venezia non ha guardato in faccia nessuno: assessori regionali, politici, manager, dirigenti pubblici, generali della Guardia di finanza sono finiti in cella. Siamo di fronte a 35 richieste di arresto, una delle quali riguarda anche un deputato e non si vede perché egli debba godere di un privilegio. Io sono convinto che vada completamente abolita l’immunità parlamentare e ci vuole pure una rivisitazione della carcerazione preventiva. Ma in fatto di giustizia, la penso come il procuratore Carlo Nordio: la prescrizione si combatte con i processi rapidi e il parlamento non può porre ostacoli, ma deve favorire il cammino della giustizia. Questo è il nostro compito. La richiesta del gip Scaramuzza è arrivata il 4 giugno alla Camera dei deputati e il nostro compito era valutare l’esistenza del fumus persecutionis : dopo aver letto gli atti mi pare che l’inchiesta della magistratura di Venezia sia solida, fondata su pilastri che reggono molto bene. Così la pensano 16 commissari su 21. Auguro all’onorevole Galan di difendersi nel processo con la stessa grinta e tenacia che ha manifestato in queste settimane. Capisco il suo stato d’animo, la rabbia e l’amarezza: ieri abbiamo chiuso il primo tempo della partita, il secondo si gioca martedì alla Camera. Nelle vesti di relatore chiederò all’aula di votare il sì all’arresto» conclude Rabino. A difendere l’ex ministro della Cultura e governatore del Veneto per 15 anni si sono trovati in tre: Gianfranco Chiarelli (Fi), Antonio Leone (Ncd) e Marco Di Lello (Psi) che ha giocato l’ultima carta e ha chiesto alla Giunta di rinviare gli atti alla magistratura di Venezia alla luce della novella legislativa entrata in vigore lo scorso 26 giugno. Si tratta del dl 92-2014 che con la riforma dell’articolo 275 del cpp voluta dal ministro Orlando esclude l’arresto in caso di previsione di condanne fino a 3 anni. Leone e Chiarelli hanno sostenuto che tra sconti e benefici Galan, che ora rischia 5 anni, potrebbe scendere sotto quella fatidica soglia. Immediata la replica di Sofia Amoddio, (Pd): il dl 92 non era stato varato al momento della richiesta d’arresto del deputato di Forza Italia e non è retroattivo. In ogni caso è compito esclusivo del giudice «valutare se applicare la misura della custodia cautelare in carcere » nel caso in cui «all’esito del giudizio la pena detentiva da eseguire non sarà superiore ai tre anni». Nessuna interferenza con la magistratura, ha detto l’onorevole Amoddio, che ha balenato un ’ ipotesi più dura: «La continuazione dei reati e l’entità della somma presuntivamente percepita possono far ritenere che la pena possa essere superiore ai tre anni». Una frase che ha fatto infuriare Leone (Ndc): «Altro che Pd garantista, oggi si scrive un’altra pagina vergognosa del Parlamento, la fotocopia dell’arresto di Genovese».

Albino Salmaso

 

la parabola

L’ex portaborse di Biondi diventato doge di Venezia

VENEZIA Si fa presto a dire dalle stelle alle stalle. Dal parlamento alla galera. L’angoscia del momento ha fatto venire una tromboflebite a Giancarlo Galan, costringendolo a un ricovero in ospedale. La settimana scorsa si è procurato una frattura al perone. Le disgrazie non arrivano mai sole. L’ex presidente fatica a capacitarsi di quello che gli sta succedendo. Bisogna capirlo: come si fa a smontare in due e due quattro dal senso di onnipotenza maturato in vent’anni? «Adesso parlo io», ha fatto sapere alla nazione la settimana scorsa. Un brivido di indifferenza ha percorso la penisola: la sua parola contro quella di Giovanni Mazzacurati, di Piergiorgio Baita, di Claudia Minutillo. Bella autodifesa, con gente che ha già patteggiato e altri che stanno cercando di farlo. E con una montagna di riscontri in mano ai magistrati. È vero che la responsabilità penale è certa solo dopo il terzo grado, se non arriva prima la prescrizione. La vicenda umana merita rispetto, aggiungiamo pure, ma sul giudizio politico non ci si può confondere. Per 15 anni la spesa pubblica in Veneto è stata in mano a un ristretto gruppo di persone, che l’ha gestita a piacimento, in modo insindacabile. Giancarlo Galan si è trovato al vertice del gruppetto di liberali e socialisti emersi da Tangentopoli come classe dirigente del Veneto. Pensare che negli anni ’80 aveva detto addio alla politica, mollando il ministro liberale Alfredo Biondi, di cui era assistente parlamentare, per seguire Marcello Dell’Utri a Publitalia. Braccia strappate alla Fininvest, quando Berlusconi decide di «scendere in campo» con il partito leggero costruito con uomini delle sue aziende. Giancarlo si ritrova eletto alla Camera nel 1994, poi subito candidato a presidente del Veneto nel 1995. Vince di misura contro il centrosinistra che sbaglia candidato (puntava su Ettore Bentsik) e la Lega marciava da sola. La prima legislatura è difficile, ma ci sono già tutti i nomi dei protagonisti: Lia Sartori, con la quale si cementa una collaborazione che farà parlare di matriarcato, Fabio Gava, Renato Chisso, Enrico Marchi che prende la rincorsa per la Save, Irene Gemmo, Gian Michele Gambato, Vittorio Altieri. Naturalmente Piergiorgio Baita e Giovanni Mazzacurati. E pochi altri, da Luigi Rossi Luciani a Bepi Stefanel, persone con le quali non sai mai se l’amicizia viene prima degli affari o viceversa. Quando serve tagliare i rapporti, Giancarlo non ci pensa due volte: vedi la vicenda di Paolo Sinigaglia con la Save e Alpieagles. Galan porta in politica un linguaggio nuovo e accattivante, un modo sprezzante di porsi all’attenzione del pubblico, la rissosità con gli avversari ma sempre con l’occhio a favore di telecamera. È rapido, capisce le situazioni al volo, è simpatico ma anche umorale, lascia volentieri il lavoro agli altri ma negli snodi che gli interessano lo trovi sempre. Gli snodi sono quelli delle grandi opere. E gli interessi volano dopo il 2000. Una montagna di denaro pubblico si abbatte sul Veneto: solo dal 2006 al 2009 si stima che il mercato delle opere pubbliche regionali valga 2,5 miliardi. Senza contare il Mose che ne pompa 4,5 a partire dal 2003. Senza il Passante, che doveva costare 650 milioni di euro e invece arriva a 1.260 milioni. Senza le Ferrovie che sull’Alta Velocità in Veneto spendono 2 miliardi. Si comincia a parlare di un partito degli affari, che controlla gli appalti pubblici e li indirizza verso i soliti noti. Accuse circostanziate, interviste che a leggerle oggi sono inquietanti. Esempio: «I sassi della ex Jugoslavia pagati il doppio del costo? ». Chi lo chiedeva era il padovano Frigo, consigliere regionale della Margherita, 12 agosto 2006. E i sassi sono stati davvero pagati il doppio. Fino a che punto arrivava il consociativismo? Delle critiche Giancarlo Galan non si è mai preoccupato. Gli davano fastidio, questo sì. Ma dimenticava tutto andando a pesca. E poi anche a caccia, ultima passione esercitata nella valle di Drago jesolo dell’amico Stefanel. Con Berlusconi il sodalizio, non è mai venuto meno, neanche dopo il siluramento a beneficio di Luca Zaia. Ma chi non vorrebbe essere silurato, passando da presidente di regione a ministro? Alla rielezione del 2005 il nostro giornale gli chiese: dove si vede tra dieci anni? «Farò l’imprenditore » rispose lui. «Mi è sempre piaciuto. Aprirò un B&B sui Colli Euganei». Aveva già adocchiato Villa Rodella. Oggi Galan non ha più voglia di fare il guascone. Le battute non gli vengono bene, gli arrivano frasi livide, del tipo «vorrei solo mezz’ora di impunità per chiudermi in una stanza con la Minutillo». Frase che fa accapponare la pelle, non tanto per quello che lui potrebbe fare alla Minutillo,ma per il disprezzo che dimostra verso il diritto. Galan si è laureato in giurisprudenza, è stato votato dai veneti in tre legislature regionali e in tre tornate nazionali, siede in Parlamento dal quale non intende dimettersi. Sta ai vertici di una società regolata dalle leggi. E vuole mezz’ora di impunità per vedersela con l’ex segretaria? Ma per piacere.

Renzo Mazzaro

 

Martedì pomeriggio il voto della Camera

ROMA. L’ufficio di presidenza della Camera dei deputati conferma che martedì 15 luglio alle ore 17 ci sarà la discussione sulla richiesta di arresto dell’onorevole Giancarlo Galan, presentata dal gip Scaramuzza del tribunale di Venezia. Gli atti saranno trasmessi dalla Giunta per le autorizzazioni a procedere alla Camera e i 620 deputati ne potranno prendere visione fin da oggi. Certo, leggere 16 mila pagine in 5 giorni è impresa impossibile. Proprio per questo il capogruppo Renato Brunetta aveva chiesto a nome di Forza Italia di far slittare il voto su Galan ad agosto,mal’ufficio di presidenza ha imposto il voto con i tempi contingentati per martedì prossimo. Relatore in aula sarà Mariano Rabino, per Fi parlerà Chiarelli.

 

Nordio: non esultiamo ma è la dimostrazione che l’inchiesta è solida

Il procuratore aggiunto: «Su Galan nessun accanimento»

Mazzacurati: rogatoria negli Usa. Interrogato Cuccioletta

VENEZIA «La decisione della giunta per le autorizzazioni a procedere costituisce un’ulteriore conferma della solidità di un’inchiesta condotta senza pregiudizi e senza accanimenti. Non vi è mai esultanza, davanti alla prospettazione del carcere: soltanto la serena affermazione che la legge è uguale per tutti». Così, il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio – a nome della Procura – ha commentato il “sì” della Giunta della Camera alla richiesta di arresto avanzata dai magistrati per il deputato pdl e ex presidente della Regione Veneto, accusato di essere stato a libro paga del Consorzio Venezia Nuova. Non c’è fumus persecutionis nei confronti di Galan – ha decretato la giunta – perché tutti gli indagati principali dell’inchiesta sono stati arrestati. Dopo le numerose convalide dei provvedimenti cautelari da parte del Tribunale del Riesame, la Procura di Venezia segna ora un altro punto. Rogatoria Usa per Mazzacurati. Sarà interrogato negli Stati Uniti, per rogatoria, Giovanni Mazzacurati, l’anziano ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, accusato di aver inventato e gestito per vent’anni il meccanismo delle sovrafatturazioni, fondi neri, tangenti e prebende per decine di milioni di euro pubblici, attorno al Mose. Il Tribunale dei ministri ne aveva ordinato l’audizione, ieri, nell’ambito del procedimento al termine del quale i tre giudici dovranno decidere se autorizzare la Procura di Venezia a indagare sull’ex ministro dell’Ambiente e Infrastrutture Altero Matteoli per corruzione. Tra gli accusatori – insieme a Piergiorgio Baita – lo stesso Mazzacurati: ieri, il suo avvocato Muscari Tomaioli ha presentato ai giudici un’istanza, per chiedere che l’anziano ex imprenditore sia ascoltato per rogatoria, non potendo tornare dagli Usa per motivi di salute (è da mesi nella villa della moglie a La Jolla, in California: villa che per anni era stata “affittata” per 100 mila euro al Consorzio come sede di rappresentanza oltre oceano). Ieri mattina è stato anche ascoltato l’ex magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta – che ha ammesso di essere stato per anni a libro paga del Consorzio Venezia Nuova (400 mila euro l’anno, gli contesta la Procura) per fare i provvedimenti che il Consorzio voleva e, spesso, stilava – che ai giudici del Tribunale dei ministri ha confermato che a chiedergli di tornare a Venezia come Magistrato era stato lo stesso Matteoli, su sollecito dell’imprenditore Erasmo Cinque. Tra i suoi “incarichi” anche quello di nominare i collaudatori del Mose: «Facevo una turnazione», ha in sostanza detto ieri Cuccioletta, «ma Mazzacurati mi chiese di soprassedere». Stando alle accuse, l’ex ministro ora senatore di Forza Italia, aveva fatto pressioni perché la società dell’imprenditore romano, la «Socostramo», venisse inserita nell’appalto per la bonifica di Porto Marghera, che aveva vinto anche la «Mantovani ». Cinque è sospettato di essere il collettore delle tangenti per Matteoli, che ha con forza respinto ogni addebito.

Roberta De Rossi

 

NESSUNO PRENDE LE DIFESE DELL’EX DOGE

Muro di silenzio dei forzisti veneti

Pipitone (Idv): doveroso il sì parlamentare, l’immunità non è impunità

Da Zaia a Ruffato raffica di no comment sul fronte istituzionale

L’ex portavoce Miracco «Indagine seria, spero ne esca a testa alta»

VENEZIA – Un muro di silenzio. Nel giorno più nero, non si levano voci in difesa di Giancarlo Galan. C’è una corsa a prendere le distanze dal potente caduto in disgrazia, accelerata forse dalla convinzione che le prove a suo carico siano tutt’altro che fantasiose. Muti come pesci i forzisti veneti. Vano anche chiedere commenti al governatore leghista Luca Zaia – più volte bersaglio degli attacchi galaniani ma deciso ad astenersi da ogni replica – così come cadono nel vuoto gli interrogativi rivolti al capogruppo di Forza Italia in Regione, Leonardo Padrin, e al presidente del Consiglio regionale Clodovaldo Ruffato, del Ncd. Evita di parlare anche Franco Miracco, il critico d’arte che fu a lungo il portavoce del presidente berlusconiano («Quello che avevo da dire l’ho già detto»), confermando così quanto affermato in precedenza: «L’indagine della Procura appare seria, mi auguro che, nonostante questo, Galan e Orsoni, che sono stati ai vertici istituzionali della Regione e di Venezia possano difendersi più che bene e che ne escano a testa alta». Così, a spezzare un silenzio diventato assordante è Antonino Pipitone (nella foto), capogruppo regionale dell’Idv: «I deputati della Giunta che hanno approvato la richiesta d’arresto, hanno fatto il loro dovere. Occorre rispettare il lavoro dei magistrati e l’immunità parlamentare serve a proteggere dai reati d’opinione, non a garantire l’impunità. Accanimento? Verdetto politico? Non direi proprio, Galan, al pari degli altri cittadini, avrà modo di far valere le sue ragioni nelle sedi competenti, e d’altronde mi pare che negli ultimi tempi l’indirizzo del Parlamento vada esattamente in questa direzione: verificare l’esistenza di un fumus persecutionis ed in caso negativo consentire alla giustizia di fare il suo corso». Pipitone, poi, solleva un’altra questione riguardante lo scandalo del Mose, quella dei compensi erogati contemporaneamente ai consiglieri arrestati (Renato Chisso di FI e Giampietro Marchese del Pd) che, nonostante la sospensione dalla carica, percepiscono tuttora l’80% dell’indennità lorda mensile, ed ai loro sostituti sui banchi dell’assemblea veneta, Francesco Piccolo e Alessio Alessandrini. «In questo caso la legge Severino ha creato un corto circuito normativo », attacca Pipitone «con il risultato che i contribuenti veneti oggi pagano 62 consiglieri e non 60. Rimaniamo allibiti da questo intreccio di norme statali e regionali che, alla fine, fa pagare ai cittadini una follia legislativa ». Oggi, a Padova, gran consulto dell’Idv sugli intrecci tra politica ed affari nella tangentopoli veneta con il segretario nazionale del partito Ignazio Messina.

Filippo Tosatto

 

«Brentan, nessuna prova della tangente»

Il Tribunale della libertà: però il manager fece pressioni su Baita perché non ricorresse contro Sacaim

VENEZIA I giudici del Tribunale della Libertà alleggeriscono la posizione dell’ex amministratore delegato di Autostrade Venezia-Padova, Lino Brentan, accusato dalla Procura di aver pilotato l’appalto per le opere di mitigazione della Terza corsia (base d’asta,18 milioni) escludendo le offerte più vantaggiose e facendosi pagare una tangente per riammettere gli esclusi come subappaltatori. Per il Riesame, è provato che l’ex amministratore di Autostrade Venezia-Padova abbia fatto pressioni su Piergiorgio Baita (presidente di Mantovani) e Mauro Scaramuzza (Fip Industriale) perché non impugnassero al Tar l’assegnazione dei lavori alla Sacaim, ricambiandoli con l’ottenimento delle opere in subappalto. Non c’è invece prova che abbia incassato la tangente da 65 mila euro che secondo la Procura avrebbe preteso dallo stesso Scaramuzza. Così il Tribunale del Riesame motiva la sua decisione di liberare Brentan dagli arresti domiciliari, obbligandolo solo a risiedere nel comune di Campolongo. Per i giudici, le offerte di Mantovani e Fip (meno 41,17%) erano assolutamente al di sotto della soglia di anomalia: del tutto «legittima e regolare», dunque, la decisione di escluderle. Come pure l’offerta della Ati Consorzio Stabile Consta (-35,83%), anch’essa incongrua, assegnando i lavori a Sacaim (-31%). Per il Riesame è invece certo che Brentan sia intervenuto per evitare ricorsi al Tar. Racconta l’ingegner Angelo Matassi, della commissione tecnica: «Chiesi (a Brentan) se i lavori fatti in subappalto dalle imprese escluse nella medesima gara potevano essere un problema; lui mi ammonì seccamente dicendomi di stare tranquillo e che la cosa andava bene così». Ma ci sono 2,5 milioni e mezzo che non tornano: svaniti. Baita ai pm aveva raccontato: «Brentan (…) mi ha spiegato che poi avremmo comunque fatto il lavoro in subappalto per Sacaim allo stesso prezzo a cui avevamo vinto e potevamo astenerci dal fare ricorso». La differenza? «2 milioni e mezzo», risponde Baita, secondo il quale i soldi sarebbero «rimasti nelle mani di Sacaim perché tecnicamente incassava dalla Padova-Venezia». Brentan «fu chiaro» – racconta Scaramuzza – «disse: “Non rompete le scatole, tanto se fai ricorso al Tar non concluderai niente… e roviniamo un rapporto: guarda se ti conviene”». I giudici ritengono invece non vi sia riscontro all’accusa mossa a Brentan di aver incassato – in una sorta di catena delle mazzette – 65 mila euro da Scaramuzza dei 200 mila che quest’ultimo avrebbe preteso da Nievo e Ido Benetazzo per sub-subappaltare loro le opere. Soldi che Scaramuzza ha detto di tenere nascosti in «una cassetta, antro, buco nel mobile ricavato dal muro del bagno, da cui io carico e pesco a seconda delle necessità».

Roberta De Rossi

 

i giudici del riesame

«Su Artico indizi insufficienti»

La scarcerazione del dirigente regionale: nessuna violazione di legge

TREVISO Sono racchiuse in diciotto pagine le motivazioni che hanno portato i giudici del Riesamea stracciare l’ordinanza di custodia cautelare che aveva portato dietro le sbarre Giovanni Artico (nella foto), ex sindaco di Cessalto e ora funzionario della Regione. Ventitré giorni trascorsi nel carcere di Ravenna dopo lo scoppio del caso Mose, con l’accusa di corruzione. Le stesse intercettazioni che avevano fatto scattare le manette ai polsi di Artico hanno convinto i giudici del Riesame ad annullare tutto: «Quadro indiziario insufficiente », ma anche nessuna violazione della legge. Secondo i giudici, nel comportamento di Artico non sarebbero ravvisabili nemmeno violazioni deontologiche. Il Riesame, esaminando le prove, ha stabilito che «non emerge alcun atteggiamento diretto a vanificare la funzione demandatagli ». Secondo i giudici, Artico sarebbe estraneo al meccanismo corruttivo che viene contestato dai pm della Procura di Venezia. A portarlo in carcere erano proprio state le intercettazioni telefoniche: conversazioni tra l’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo, l’ex numero uno della Mantovani Piergiorgio Baita, l’ex assessore alla mobilità della Regione Veneto Renato Chisso e l’addetta stampa del Consorzio Venezia Nuova Flavia Faccioli. Proprio Chisso avrebbe confidato a Minutillo che Artico era l’uomo da contattare per accelerare i “favori” alla Mantovani. Ad alleggerire la posizione di Giovanni Artico è stato Piergiorgio Baita: in merito all’assunzione della figlia dell’ ex primo cittadino di Cessalto alla Nordest Media (di cui Claudia Minutillo era legale rappresentante) ha affermato come non ci sia stato nessun accordo corruttivo. I giudici nell’ordinanza sottolineano infatti che, anche se la figlia di Artico è stata effettivamente assunta dalla Nordest Media, non sono stati compiuti «atti contrari ai doveri d’ufficio». Lo stesso ex sindaco, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, aveva respinto ogni accusa, escludendo qualsiasi accordo contrario alla legge. Fabiana Pesci

 

FIUME DI SOLDI SU CUI FARE CHIAREZZA

di FRANCESCO JORI

Questione di punti di vista, anche nel senso letterale del termine. Non vi è chi non veda un intento persecutorio nell’indagine condotta contro di me, sostiene Giancarlo Galan. All’opposto, non vi è chi non veda perché gli avrebbe dovuto essere concesso ciò che è stato negato a tanti altri, parlamentari compresi: alla manciata di pagine delle memorie difensive sue e di altri imputati che si proclamano estranei al Nilo di tangenti originato dal Mose, la magistratura ne contrappone160 mila frutto di oltre quattro anni di indagini, riscontri incrociati, intercettazioni, confessioni plurime. E in ogni caso, c’è un punto centrale da sottolineare: con il suo voto a schiacciante maggioranza (16 contro 3), ieri la giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera non ha stabilito che Galan sia colpevole; ha semplicemente dato via libera a una richiesta di arresto. Comunque un semplice parere, visto che la decisione spetta all’aula: cosa che avverrà alle 5 del pomeriggio di martedì. Non saranno le fatidiche “cincos de la tarde”, né ci sarà nessuna arena su cui inscenare un sanguinoso duello. Se pure dovesse varcare le soglie del carcere, l’esperienza dell’ex governatore del Veneto sarebbe molto diversa da quella dei 14 mila detenuti italiani in attesa di primo giudizio. Anche perché ad attenderlo non ci sarebbe una cella magari sovraffollata come quasi tutte, ma verosimilmente l’infermeria: le disgrazie, si sa, non vengono mai sole; tant’è che all’ex governatore del Veneto è accaduto di fratturarsi tibia e perone potando non una poderosa quercia ma una semplice rosa, così da trovarsi con la gamba ingessata. Il che potrebbe anche schiudergli le porte degli arresti domiciliari, nell’ormai ben nota dimora sui Colli Euganei che non ricorda propriamente lo Spielberg. Ma non è questo il punto. Che Galan finisca o no in prigione, potrà appassionare al massimo gli sparuti e opposti manipoli di garantisti e giustizialisti. La questione centrale è stabilire chi abbia beneficiato dell’alluvione di soldi scatenata in Veneto dal Mose ma presumibilmente anche da altre opere pubbliche; e che, proprio come nel caso del Nilo, ha fertilizzato le terre non solo della politica ma pure della pubblica amministrazione, dell’impresa privata e di svariati professionisti, arrivando a lambire perfino i sagrati della Chiesa: esemplari in tal senso le decisioni annunciate l’altro ieri dal patriarca di Venezia. Nel caso specifico, si tratta di capire se e quali siano state le responsabilità di Galan: uno dei tanti indagati, anche se tra i più ingombranti visto il ruolo di dominus esercitato per quindici lunghi anni. In questo senso, la risposta di ieri della giunta e quella di martedì prossimo della Camera sono comunque marginali: a contare sarà la pronuncia finale della magistratura. Sulla quale purtroppo grava già, però, una venefica zona d’ombra: il lavacro della prescrizioneche rischia di mettere al riparo quasi tutti gli imputati, considerando che essa scatta dalla data in cui i reati sono stati commessi, anziché da quella in cui sono stati accertati. Proprio di questo tratta il punto 9 del pacchetto di riforma della giustizia annunciato nei giorni scorsi dal premier Renzi, che giustamente l’ha definita «una questione di civiltà ». Se e quando passerà, varrà comunque a futura memoria; oggi rappresenta per troppi un comodo salvagente. Certo, per il presente c’è sempre la possibilità di rinunciare alla prescrizione, per chi è convinto di essere innocente e vittima di un’ingiustizia. Ma c’è da credere che a quel provvidenziale gavitello si aggrapperanno a frotte. Finendo così per concorrere ad alimentare il massimo di inciviltà: colpa manifesta, nessun colpevole. Anzi, molti impuniti beneficiari.

 

decisione del gip entro il fine settimana

I pm milanesi: nuovo arresto di Meneguzzo La Procura di Milano rinnova la richiesta di arresto per Roberto Meneguzzo, amministratore della Palladio Finanziaria, accusato di essere il mediatore di contatto e tangenti tra il Consorzio Venezia Nuova e Marco Milanese, ex braccio destro dell’allora ministro delle Finanze Tremonti. Tangente da 500 mila euro per riaprire la partita dei fondi al Mose che languivano, che Giovanni Mazzacurati da detto di aver consegnato a Milanese, dentro una scatola di biscotti, nella sede della Palladio: questa parte dell’inchiesta è così passata a Milano. I magistrati veneziani avevano arrestato Meneguzzo il 4 giugno, concedendogli poi il 21 giugno i domiciliari, dopo un tentativo di suicidio. Sulla misura cautelare chiesta dai pm Pellicano e Orsi – che dovranno rinnovarla anche per Milanese – deciderà il gip De Marchi entro il fine settimana.

 

Expo, commissariato l’appalto Maltauro

«E ora piena operatività del cantiere»

Il presidente dell’autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone, ha inviato ieri al prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, il provvedimento di richiesta di commissariamento della società Maltauro, relativamente alla gara di appalto delle cosiddette architetture di servizio di Expo 2015. Il provvedimento è stato pubblicato sul sito dell’autorità nazionale anticorruzione. La società Expo spa, in una nota, aggiungeva ieri pomeriggio che si era da poco concluso un incontro di lavoro «molto proficuo» tra il commissario unico di Expo, Giuseppe Sala, e il presidente dell’autorità nazionale anticorruzione, Raffaele Cantone. Nell’incontro «sono state definite le linee guida per l’azione nei prossimi mesi – si legge nella nota diffusa a seguito del vertice in modo tale da garantire da subito la piena operatività sul cantiere e in tutte le attività connesse all’esposizione universale».

 

L’INTERROGATORIO – Cuccioletta: «La mia nomina? La suggerì Mazzacurati a Matteoli»

«La mia nomina? La consigliò Mazzacurati». Lo dice l’ex presidente del Magistrato alle acque sentito dai giudici nell’ambito del procedimento contro l’ex ministro Altero Matteoli.

Altero Matteoli accusato di aver incassato soldi per la bonifica di Marghera

L’INTERROGATORIO Cuccioletta (Magistrato alle acque) sentito nel procedimento contro l’ex ministro dell’ambiente

«La nomina? Mazzacurati mi indicò a Matteoli»

Ancora un’udienza del Tribunale dei ministri per far luce sull’inchiesta che riguarda Altero Matteoli, l’ex ministro dell’Ambiente e dei Trasporti del governo Berlusconi, nell’ambito degli accertamenti sul Mose. Secondo la Procura lagunare Matteoli, che ha sempre respinto ogni addebito, avrebbe percepito somme di denaro illecite per la bonifica di alcune zone dell’area industriale di Porto Marghera.
Ieri mattina il Tribunale dei ministri aveva convocato l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati. A presentarsi è stato, invece, solo il suo legale, l’avvocato Giovan Battista Muscari Tomaioli il quale ha depositato un’istanza che certifica l’impedimento del suo assistito alla luce di alcuni problemi di salute. A questo punto Mazzacurati, che attualmente si trova in California, potrebbe essere sentito in rogatoria sia attraverso gli inquirenti americani sia attraverso gli investigatori italiani. Era stato proprio Mazzacurati ad affermare di aver corrisposto somme di denaro all’ex ministro Matteoli in seguito ad alcuni favori ricevuti. Nel corso di un interrogatorio l’ex amministratore della Mantovani, Piergiorgio Baita, aveva detto che c’era un accordo affinché certi interventi fossero subappaltati a determinate aziende. Tra queste la Socostramo che fa capo a Erasmo Cinque, costruttore romano che è stato consigliere del ministro Matteoli.
E il Tribunale dei ministri – composto dal presidente Monica Sarti e da Priscilla Valgimigli e Alessandro Girardi – ha sentito anche l’ex presidente del Magistrato alle acque, Patrizio Cuccioletta. Quest’ultimo avrebbe sostanzialmente confermato quando aveva già dichiarato a suo tempo ai magistrati lagunari quando disse che i collaudatori del Mose erano quasi sempre scelti da Mazzacurati. Formalmente la nomina era dello stesso Cuccioletta, ma spesso avveniva su indicazione e su pressione di Mazzacurati. In alcuni casi era anche capitato che, a seguito della turnazione dei vari soggetti, qualche collaudatore fosse escluso: spesso veniva reinserito se risultava in qualche modo vicino a Mazzacurati. Cuccioletta, che è stato presidente fino al 2011, avrebbe anche riferito che la proposta di approdare in laguna per far parte del Magistrato alle acque gli era stata avanzata dall’ex ministro Matteoli, probabilmente su indicazione diretta dello stesso Mazzacurati. Le udienze del Tribunale dei ministri dovrebbero concludersi il prossimo settembre.

 

L’INCHIESTA L’ex governatore: «Una scelta politica. Provo sconcerto e amarezza: sono innocente»

«Galan può essere arrestato»

Il sì della Giunta per le autorizzazioni con 16 voti a 3: non c’è persecuzione. Martedì la decisione dell’aula

LA PRONUNCIA – Sedici voti contro tre. Così la Giunta per le autorizzazioni liquida la pratica-Galan. Sarà comunque l’aula di Montecitorio, martedì, a decidere sull’arresto dell’ex governatore veneto.

LA REAZIONE «Amarezza e sconcerto». Sul caso-Mose, Galan continua a proclamarsi innocente. A suo avviso è stato un voto condizionato dagli «orientamenti politici».

IL DEPUTATO «Fiducioso che i colleghi d’aula si pronuncino secondo coscienza»

L’AVVOCATO «Abbiamo già smontato alcuni fatti: dalle firme false alla villa restaurata»

«Sono innocente, provo amarezza: è un voto politico»

Non sono bastati l’”adesso parlo io”, l’autodifesa di un’ora e mezzo davanti ai colleghi della Camera, le tre memorie dei suoi difensori. Se sperava di dimostrare che contro di lui è stata orchestrata una persecuzione, sono state assemblate versioni compiacenti e interessate di callidi corruttori pronti a dir tutto per uscire di galera, accuse fasulle diventate l’architrave di un inchiesta-flop, Giancarlo Galan ieri ha dovuto ricredersi. Si va al voto in aula con un parere favorevole all’arresto. Martedì sarà per lui il giorno più lungo di una vita finora ricca e potente.
È ormai sera quando l’ex governatore del Veneto rompe il silenzio. Si affida a un comunicato, centellinato con i suoi difensori, gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini. «Purtroppo l’esito del voto di oggi (ieri per chi legge, ndr) della Giunta per le Autorizzazioni a procedere era stato ampiamente annunciato da numerose (incaute e poco istituzionali) dichiarazioni». Evidente il riferimento all’intervista di ieri del relatore Mariano Rabino. Galan adombra ordini di scuderia che avrebbero orientato il voto. «Ho voluto credere fino in fondo che valutare in merito alla libertà di una persona, che valutare l’applicazione della massima misura cautelare, prescindesse da orientamenti politici. Così non è stato, non posso che prenderne atto, con amarezza e sconcerto». Eppure lascia aperto uno spiraglio, non fosse altro che per riflesso di sopravvivenza. «Resto fiducioso che i colleghi d’aula abbiano letto la documentazione che ho prodotto e votino secondo coscienza, personale».
Potrà l’assemblea di Montecitorio, dove la maggioranza di Pd e M5S è schiacciante, rovesciare in modo clamoroso, magari con la copertura del voto segreto, l’indicazione della Giunta? Appare improbabile. Galan lo sa, ma non rinuncia a dichiararsi vittima. «Io sono innocente, un politico innocente, non smetterò di ripeterlo semplicemente perché è la verità».
L’onda d’urto degli elogi parlamentari alla solidità dell’inchiesta comunque va rintuzzata. Ci pensa l’avvocato Franchini: «Un discorso è l’indagine nel suo complesso, la situazione è ben diversa in relazione alla posizione dell’onorevole Galan. Non ci sono riscontri obiettivi di alcun genere, solo dichiarazioni generiche che neppure si incrociano tra loro». Un esempio? «La Minutillo dice di non aver mai consegnato una lira, perchè lo faceva Baita. Baita dice che lo faceva la Minutillo. Mazzacurati ha detto di non aver mai dato nulla a Galan, perchè lo faceva Sutto attraverso l’assessore Chisso». Il difensore aggiunge: «Abbiamo già smontato alcuni fatti specifici con documenti e prove: il versamento di 50 mila euro a San Marino con una firma falsa e la ristrutturazione della villa di Giancarlo Galan, che Baita dice di aver pagato. Abbiamo portato le fatture che dimostrano come i pagamenti siano stati fatti nel 2006 e 2007 dal presidente Galan, ben prima del 2011, data indicata da Baita».

Giuseppe Pietrobelli

 

NORDIO «La decisione conferma la solidità dell’inchiesta»

LA RUSSA «Il risultato non era scontato. C’è stata grande attenzione»

IL RELATORE «Ho sentito il peso della decisione, ma non c’è persecuzione»

Galan, primo sì all’arresto

Con 16 voti a favore contro 3 la Giunta per le autorizzazioni dà il via libera. Martedì il caso in aula

VENEZIA – A questo punto il tentativo di evitare il carcere si fa dannatamente stretto per Giancarlo Galan, l’uomo politico che fu più potente (e più a lungo) in Veneto. Non è tanto il voto largamente favorevole espresso ieri pomeriggio dalla Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati, a fare da apripista alla decisione che sarà presa martedì dall’aula. Era atteso, previsto, quasi scontato nel ramo del Parlamento dove il Pd (con i Cinque Stelle) ha una maggioranza schiacciante. A colpire sono le motivazioni illustrate dal relatore Mariano Rabino di Scelta Civica, e fatte proprie da altri deputati. Non si sono limitati a dire che non esiste fumus persecutionis, ovvero il sospetto di un’indagine costruita per colpire un parlamentare e limitarne l’esercizio di rappresentanza del popolo sovrano. Da Montecitorio è venuta una presa di posizione netta sulla validità della maxi istruttoria costruita dalla Procura di Venezia, che si è avvalsa del lavoro investigativo della Guardia di Finanza.
Lo hanno capito al volo i magistrati di piazzale Roma. In serata il procuratore aggiunto Carlo Nordio ha diffuso un comunicato. Conciso, ma eloquente. «La decisione assunta dalla Giunta della Camera dei Deputati costituisce un’ulteriore conferma della solidità di un’inchiesta condotta senza pregiudizi e senza accanimenti». E siccome si profila la carcerazione del politico di Forza Italia che ha governato il Veneto per tre mandati, quasi quindici anni, segue un’aggiunta non rituale. «Non vi è mai esultanza davanti alla prospettazione del carcere. Soltanto la serena affermazione che la Legge è uguale per tutti».
Che la partita fosse chiusa, almeno davanti alla Giunta, Galan lo ha capito quando di buon mattino ha letto un’intervista di Mariano Rabino, il relatore del suo caso. Aveva anticipato che il suo parere sarebbe stato favorevole all’arresto per episodi di supposta corruzione. Perchè non esiste persecuzione. «Umanamente mi dispiace e sento il peso e la gravità del ruolo. Di Galan mi piace il modo appassionato e fuori dagli schemi di fare politica, ma la mia valutazione è politica, non etica o giudiziaria: in questo caso ritengo non ci sia “fumus persecutionis”».
Rabino, parlando alla Giunta, si è spinto più in là. «Siamo chiamati solo a esprimere un giudizio su un eventuale intento persecutorio. Questa è l’unica cosa che dobbiamo valutare, non se un deputato è colpevole o innocente. Ma sono convinto che l’inchiesta è credibile e non ha guardato in faccia nessuno. Se Galan non fosse deputato, sarebbe già trattenuto in carcere». Ha elogiato Finanza e magistratura. «La prospettazione dei fatti offerta dagli organi inquirenti nasce da iniziative investigative tutt’altro che sporadiche e isolate. Il procedimento giudiziario è strutturato in forma estremamente complessa e articolata. Si può escludere che l’inchiesta sia affetta da una manifesta infondatezza o da un distorto uso dei mezzi giudiziari così evidente da configurarsi come persecutoria». Il relatore ha anche ricordato come lo stesso Gianfranco Chiarelli, deputato di Forza Italia, pur sostenendo il voto contrario all’arresto di Galan, abbia «definito l’indagine “solida, fatta bene, appoggiata a pilastri che reggono”».
Dopo gli interventi si è passati al voto. Innanzitutto la Giunta ha respinto con 14 voti contro 4 una richiesta presentata dal socialista Marco Di Lello che puntava a rispedire al Tribunale veneziano la richiesta in base alle norme contro le manette facili. Poco dopo il voto sul parere riguardante l’arresto. I voti a favore sono stati 16: oltre al relatore di Scelta Civica, i deputati di Pd e M5S . Solo tre i contrari: Forza Italia, Psi e Nuovo Centro Destra. Il presidente della giunta, Ignazio La Russa, non ha votato. Ma prima di andarsene ha commentato: «Il risultato non era scontato, c’è stata una grande attenzione da parte dei commissari nell’analizzare il caso». E di sicuro lo hanno fatto in tempi velocissimi, visto che l’ordinanza del gip fu eseguita nei confronti degli altri indagati poco più d un mese fa.

G. P.

 

I Pm: rinnovate i domiciliari per Meneguzzo

MILANO – I pm di Milano Roberto Pellicano e Luigi Orsi hanno chiesto la rinnovazione della misura cautelare per Roberto Meneguzzo, l’amministratore delegato di Palladio finanziaria finito in carcere il 4 giugno scorso nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Venezia sul Mose e la cui posizione, assieme a quella dell’ex parlamentare Marco Milanese e dell’ex generale della Gdf Emilio Spaziante, è stata trasmessa per competenza territoriale ai magistrati milanesi. Sulla richiesta di custodia cautelare per il finanziere vicentino accusato di corruzione, che lo scorso 21 giugno, dopo aver tentato il suicidio in carcere, ha ottenuto i domiciliari, dovrà decidere il gip di Milano Carlo Ottone De Marchi e dovrebbe farlo entro la fine della settimana.

 

RIESAME – Per Brentan accuse confermate solo in parte

VENEZIA – Secondo il Tribunale del riesame, che ha concesso l’obbligo di dimora a Lino Brentan, solo una parte delle accuse nei suo confronti è confermata. Per l’ex amministratore della società autostrade di Venezia e Padova, il Tribunale del riesame ritiene che effettivamente c’è stata una sorta di induzione rivolta a Piergiorgio Baita e Mauro Scaramuzza a rinunciare a presentare il ricorso al Tar alla luce dell’esclusione di Mantovani e Fip dall’appalto per le opere di mitigazione della terza corsia della tangenziale di Mestre. In questo caso l’appalto venne aggiudicato alla Sacaim, ma secondo la Procura ci fu una sorta di accordo per consentire alle ditte escluse di trovare una collocazione nel subappalto. «I termini di natura concussiva per induzione – scrive il Tribunale – emergono con nettezza». Non ci sarebbero invece indizi di colpevolezza, infine, su un ipotetico versamento, da Scaramuzza a Brentan, di 65mila euro.

 

La mossa del Pd: il Parlamento indaghi sul Mose

L’OBBIETTIVO «Valutare eventuali criticità normative sull’opera e la gestione»

Iniziativa del Pd: i deputati veneti chiedono che la Commissione Ambiente avvii un’indagine conoscitiva sulle dighe veneziane

LE RICHIESTE – Nel mirino: stato d’avanzamento dei lavori ed esigenze finanziarie

«Mose, indaghi il Parlamento»

Avrebbero potuto chiedere una commissione di inchiesta, come per l’antimafia o il ciclo dei rifiuti. Ma, al di là dei tempi lunghi – serve una legge, campa cavallo – avrebbero rischiato di intralciare il lavoro della magistratura. Cosa che ai deputati veneti del Pd non passa minimamente per la testa. Anzi. Però vogliono capire cos’è successo a Venezia, dove l’inchiesta ha spazzato via l’amministrazione di centrosinistra. Vogliono sapere come è stato possibile che il Mose abbia generato una corruzione e un malaffare nauseanti. E, posto che le dighe mobili vanno completate, come ha detto il premier Matteo Renzi l’altro giorno quand’è calato in laguna, c’è da fare chiarezza sul concessionario unico, sulle gare, sulla gestione futura dell’opera. Insomma, il Pd veneto non intende fare da spettatore.

È così che i diciannove deputati veneti del Partito democratico, capitanati dal vicepresidente del gruppo a Montecitorio Andrea Martella e dal segretario regionale del partito Roger De Menech, hanno deciso di chiedere alla commissione Ambiente presieduta da Ermete Realacci di deliberare una indagine conoscitiva sul Mose. Che, appunto, non è una commissione di inchiesta, ma è uno strumento più veloce e forse anche più efficace dal punto di vista politico. Perché se la magistratura deve fare il suo lavoro, è altrettanto giusto – dicono i democrats veneti – che anche le istituzioni si interroghino sul sistema del Mose e sul sistema “politico-affaristico” che ha coinvolto le imprese interessate nella realizzazione delle dighe mobili.
Il documento rivolto a Realacci è chiarissimo: «Chiediamo di porre all’ordine del giorno dell’Ufficio di presidenza della Commissione la richiesta di deliberare un’indagine conoscitiva in merito alla realizzazione dell’infrastruttura strategica denominata Mose, con particolare riferimento alle attività poste in essere dal Consorzio Venezia nuova, e delle imprese ad esso collegate, allo stato di avanzamento dei lavori, al quadro finanziario delle risorse finora impiegate, di quelle già stanziate e di quelle occorrenti per la conclusione definitiva delle opere».
Il motivo viene così spiegato: «Ottenere non solo un quadro complessivo relativo alla realizzazione e alla gestione dell’infrastruttura, e un cronoprogramma delle opere ancora da realizzare, ma anche per valutare possibili iniziative normative che si dovessero rendere necessarie alla luce degli sviluppi dell’indagine stessa».
Senza contare che oggi il Mose deve essere completato, ma domani qualcuno dovrà farlo funzionare. E qui il documento non lascia dubbi: «La richiesta di svolgere un’indagine conoscitiva muove anche dalla necessità di comprendere quali siano le prospettive che il Mose declinerà per il futuro della città di Venezia». Di più: bisognerà «valutare eventuali lacune o criticità normative relative agli aspetti di funzionamento e gestione dell’infrastruttura idraulica». Se la commissione Ambiente presieduta da Realacci accoglierà la proposta dei democrats veneti, a settembre l’indagine conoscitiva potrebbe già entrare nel vivo. A partire dalle «audizioni dei soggetti interessati e delle autorità di governo competenti».

Alda Vanzan (ha collaborato Giorgia Pradolin)

 

L’ACCUSA SCANDALO MOSE – In 18 pagine le motivazioni del Riesame: non ci fu alcun tentativo di corruzione

«L’arresto di Artico? Un errore»

I giudici: «Lo scagionano le stesse intercettazioni della Procura»

Più che incastrare Giovanni Artico, le intercettazioni che hanno fatto scattare le manette nei confronti dell’ex sindaco di Cessalto sembrano inchiodare alle loro responsabilità, secondo l’accusa, l’ex segretaria di Giancarlo Galan Claudia Minutillo, l’ex numero uno della Mantovani Piergiorgio Baita, l’ex assessore alla mobilità della Regione Veneto Renato Chisso e l’addetta stampa del Consorzio Venezia Nuova Flavia Faccioli. Almeno questo è quanto emerge dalle motivazioni del tribunale del Riesame di Venezia che ha deciso di annullare l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa a carico dell’ex primo cittadino di Cessalto e ora funzionario della Regione Veneto.
I giudici del Riesame, esaminando le fonti di prova, hanno stabilito che «non emerge alcun atteggiamento diretto in termini concreti a vanificare la funzione demandatagli». In altre parole Giovanni Artico, difeso dall’avvocato Rizzardo Del Giudice, non avrebbe mai violato non solo la legge, ma addirittura quella che potrebbe essere definita “deontologia professionale”. Le 18 pagine redatte dal tribunale del Riesame di fatto riabilitano sia la persona che l’operato di Artico, definendo «insufficiente il quadro indiziario» che lo ha portato a passare 23 giorni rinchiuso nel carcere di Ravenna per l’ipotesi di reato di corruzione nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti del Mose. In sintesi, secondo il Riesame, Artico non c’entra nulla con il meccanismo corruttivo contestato dai pm veneziani. Come detto all’inizio, le presunte prove portate dai pubblici ministeri per chiedere l’arresto di Artico, si basano sostanzialmente sulle intercettazioni telefoniche di Claudia Minutillo, Piergiorgio Baita e Renato Chisso. Proprio quest’ultimo avrebbe detto alla Minutillo che sarebbe stato Artico l’uomo da contattare per accelerare i “favori” alla Mantovani. A “scagionare” Artico è stato Piergiorgio Baita il quale, in merito all’assunzione della figlia dell’ex primo cittadino di Cessalto alla Nordest Media (legalmente rappresentata dalla Minutillo) che afferma come non ci sia stato nessun accordo corruttivo. I giudici affermano infatti che, anche se la figlia di Artico è stata effettivamente assunta dalla Nordest Media, non sono stati compiuti «atti contrari ai doveri d’ufficio».

 

IL TRIBUNALE DEL RIESAME

«Su conti esteri le mazzette di Chisso, così fanno tutti»

VENEZIA «Irrilevanti». Così il Tribunale del Riesame bolla le analisi patrimoniali presentate dall’avvocato Forza per dimostrare che l’ex assessore Renato Chisso non poteva aver incassato mazzette milionarie dal Consorzio Venezia Nuova, non avendo beni, vivendo nella vecchia casa del padre, guidando sempre la stessa vecchia auto, mentre ad esempio la sua accusatrice Claudia Minutillo si era comprata una villa da 17 stanze. Per il Riesame «l’assessore Chisso si era messo a completa disposizione degli interessi dei privati» e i soldi ricevuti in cambio secondo l’accusa possono essere tranquillamente in qualche banca oltreconfine: «L’indagato ha operato in un contesto in cui portare i soldi all’estero sembra costituire la regola, non l’eccezione, come confermano i casi di Baita, Buson, Cuccioletta e Voltazza, via via accertati ed è certo assai improbabile che un assessore regionale tenga i soldi frutto di corruzione in un conto corrente, a nome proprio o a quello dei suoi familiari, presso una banca nel territorio della Repubblica ». Contro Chisso – sottolinea il Riesame – non solo le accuse di Mazzacurati di aver “stipendiato” l’assessore con 200-250 mila euro l’anno sin dagli Novanta, ma alcuni pagamenti diretti dei quali si sono autoaccusati altri protagonisti dell’inchiesta e per questo «credibili». Come i 250 mila euro consegnato da Baita al laguna Palace e i 150 mila portati dal segretario di mazzacurati, Sutto, a Palazzo Balbi nel febbraio 2013, sotto gli occhi dei finanzieri. O quando Minutillo ha raccontato agli investigatori che Chisso riceveva regolarmente fondi neri «ma che si era anche lamentato che Mazzacurati gli corrispondeva somme di danaro solo alle feste comandate». Chisso che – ricorda l’imprenditore Mirco Voltazza – temeva che il suo segretario Enzo Casarin «incaricato delle riscossioni “per suo conto”, facesse il furbo e che in qualche occasione avesse tenuto per sé parte dei soldi concordati ». Un’ordinanza che suona anche come una“pietra tombale” nei confronti di un futuro, eventuale ricorso di Giancarlo Galan contro l’ordinanza che lo vorrebbe in carcere. Scrivono i giudici: «All’epoca Galan era il governatore del Veneto e Chisso era comunque a lui subordinato», «il destinatario finale dei 900 mila euro relativi alla delibera Mose era sicuramente Galan (…) nessuna confusione, solo una procedura macchinosa, visti gli intermediari implicati». (r.d.r.)

 

La Corte dei Conti al Cvn «Basta lavori senza gara»

Il Consorzio insiste nel sostenere che il sistema del concessionario unico è legittimo

In realtà la bocciatura arrivò già nel 2009: «Violato il principio della concorrenza»

La lettera al governo in cui si chiede di completare il Mose confutata da una relazione dei magistrati

«Difficile trovare un gestore “altro” dallo stesso concessionario»

MESTRE Nella lettera inviata al premier Matteo Renzi per chiedere di non sospendere i lavori delMose e di non abbandonare il progetto delle dighe mobili, il Consorzio Venezia Nuova sottolinea come l’affidamento dell’intervento al Consorzio stesso sia legittimo anche senza gara d’appalto. In realtà la Corte dei Conti, in una relazione del 2009 sostiene il contrario. Scrive il Cvn: «Il rapporto concessorio tra il Consorzio e il ministero delle Infrastrutture- Magistrato alle Acque di Venezia è legittimo ». È la replica a quanti (sempre più numerosi) ne chiedono l’abbandono in favore di un sistema concorrenziale di gare d’appalto. «Lo dicono le leggi, l’Unione Europea, la Corte dei Conti, il Consiglio di Stato, l’Avvocatura dello Stato e il Tar del Veneto». Ma non è così. Quantomeno la Corte dei Conti non avalla questa tesi. Anzi. Nel paragrafo 3, della relazione “La legislazione per la tutela e la salvaguardia della laguna e della città di Venezia e le sue criticità”, a pagina 14, sulla legge 798/1994 (legge speciale per Venezia e sue modifiche che consentirono l’affidamento dei lavori al consorzio unico), si legge: «Tale disposizione risultò, sin dalla sua emanazione, in contrasto, oltre che con i principi generali che il Trattato comunitario detta in materia di concorrenza, anche conla direttiva Cee in materia di procedure e aggiudicazione di appalti di lavori pubblici del 1971, allora vigente. Peraltro, il legislatore sancì la possibilità e non l’obbligo del ricorso a tale forma di affidamento ». La Corte dei Conti è poi esplicita nelle conclusioni della relazione. Si legge a pagina 48: «L’obbligo derivante dalle direttive comunitarie del rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, che si realizza attraverso l’affidamento dei contratti con gare pubbliche, non risulta ancora osservato per una delle opere più significative in corso di realizzazione dallo Stato italiano (il Mose, ndr), pur in presenza: di disposizioni legislative nazionali sopravvenute volte al superamento dell’affidamento a trattativa privata della concessione de qua; di un lungo contenzioso con la Commissione europea, risoltosi nel 2002 con un compromesso, che ha aperto al mercato, seppure parzialmente, le attività di realizzazione della salvaguardia della laguna e che ha scongiurato il deferimento alla Corte di giustizia da parte della Commissione stessa; dell’esortazione della Corte dei Conti all’affidamento degli interventi secondo le procedure concorsuali – il che deve andare a valere su tutti gli interventi ancora da progettare (siamonel 2009 ndr), con particolare riferimento a quelli collegati alla realizzazione del Mose -; della clausola della convenzione generale, che prevede la possibilità del recesso unilaterale dell’amministrazione; dell’obbligo, comunque, di disapplicare disposizioni legislative nazionali in contrasto con la normativa comunitaria da parte delle amministrazioni». La Corte dei Conti, inoltre, osserva come questo “monopolio” non sia destinato a terminare con la conclusione dei lavori. Si legge ancora nelle conclusioni: «Né la conclusione dei lavori, prevista per il 2012 (nel 2009 la data era ancora questa, i lavori in realtà termineranno nel 2016 ndr), sembra destinata a sciogliere l’anomalia delle attribuzioni di funzioni in capo al concessionario senza procedure di evidenza pubblica, dal momento che, recentemente, sono state affidate allo stesso la gestione e la manutenzione dell’opera. È facile prevedere, stante la situazione di monopolio protrattasi per oltre un ventennio, che sarà difficile, in avvenire, trovare un gestore “altro” dallo stesso concessionario ». Insomma la Corte dei Conti, non è di certo convinta che l’affidamento al consorzio unico sia legittimo.

Carlo Mion

 

L’INTERVENTO

Sistema Mose, meglio fare tutte le verifiche

Ingegneri Vincenzo Di Tella, Gaetano Sebastiani, Paolo Vielmo

Anzitutto ringraziamo la “Nuova Venezia” per aver citato la vicenda giudiziaria (maggio 2007),un vero e proprio attacco definito dai nostri avvocati “intimidatorio” che, come si sa, si è concluso con la nostra piena assoluzione. Ci accusava di“campagna diffamatoria, livelli molto gravi di accanimento mediatico, ostinata crociata contro il sistema Mose, il Consorzio e i suoi tecnici, nonché contro tutti gli organi pubblici che hanno studiato e approvato il progetto”. Ci accusava di“una grave e ingiusta diffamazione a suo danno, di una violazione dei suoi diritti alla personalità, all’integrità professionale, alla reputazione economica e all’integrità patrimoniale”. L’atto di accusa si concludeva chiedendo al Tribunale la nostra condannaa risarcire tutti i danni prodotti. Chiedeva inoltre la pubblicazione, a cura dell’Attore e a spese dei Convenuti, cioè nostre, dell’emananda sentenza – per due volte – a caratteri doppi del normale, e con i nomi delle parti in grassetto, sui quotidiani locali, nazionali e su alcuni periodici. Il documento dell’accusa si concludeva tentando di quantificare il danno subito. “…Il risarcimento del danno da riconoscere… al Consorzio, dovrebbe secondo noi essere liquidato in un importo molto rilevante,che tenga adeguatamente conto: dell’importanza e della visibilità anche internazionale del sistema Mose e delle aziende consorziate; delle cifre in gioco nel progetto;come ordine di grandezza del risarcimento ci limitiamo a ricordare come sia frequente nei casi accertati di diffamazione la richiesta delle centinaia di migliaia o anche milioni di euro, a fronte di una sola pubblicazione diffamatoria:mentre qui ci troviamo di fronte a una capillare e insistita campagna diffamatoria che si è sviluppata con più di 60 lettere ai giornali, articoli e interventi pubblicati sulla stampa e in Internet. Il“danno” quindi non viene quantificato,mane viene indicato l’ordine di grandezza in milioni di euro. Ricordiamole conclusioni della sentenza del Tribunale di Venezia (novembre 2011): “Se questo è il contenuto fondamentale delle numerose lettere ai giornali, non sembra che sia stata raggiunta la soglia minima della diffamazione: più semplicemente si registra la presenza dell’opinione dissenziente. Ciò che più conta, tuttavia, ai fini di causa, è la totale assenza di affermazioni gratuite: questo è un punto essenziale, perché se vi è critica giustificata dall’ argomentazione, non vi è spazio per l’offesa alla reputazione altrui”. “Per questi motivi, il Tribunale di Venezia così provvede: 1) rigetta la domanda proposta dall’attore perché infondata; 2)condanna il Consorzio a rifondere le spese di lite…”. Leggiamo sulla“Nuova Venezia” diuna nota del CVN diretta al capo del governo, nella quale si tenta ancora di scindere le responsabilità sui possibili fatti corruttivi relativi alla gestione delle risorse economiche assegnate al progetto, che sono al vaglio della Magistratura che farà il suo corso, dalla validità tecnica del progetto stesso, che viene ancora presentato come“sano” e “orgoglio della tecnologia e dell’ imprenditoria italiana”. Noi pensiamo che così non sia. Nella nota del CVN si fa riferimento a… “Cinquant’anni di confronti aspri, dibattiti pubblici, sperimentazioni, progetti e controprogetti”, ma questa dialettica non c’è mai stata al di fuori della struttura stessa delCVN,del Magistrato Alle Acque, dei Comitati tecnici di Magistratura e gruppi di Esperti incaricati dallo stesso MAV di “risolvere” tutte le critiche al progetto Mose e “valutare” le alternative a questo proposte. A noi risulta invece che quando al Comune di Venezia ci fu la presentazione dei progetti alternativi il CVN e il MAV,invitati dal sindaco,non erano presenti e quando su invito del sindaco fui presente al tavolo tecnico del Ministero in cui si doveva discutere dell’alternativa basata sulla Paratoia a Gravità, in previsione del Comitatone del 2006, non ci fu data neppure la possibilità di parlare e di confutare le obiezioni risibili, senza fondamento tecnico specifico e in alcuni casi contraddittorie fatte al nostro progetto che, vorrei ricordare dall’analisi di Principia risulta perfettamente funzionante mentre per il Mose non è stato possibile condurre le simulazioni dinamiche richieste dal Comune di Venezia dovuta alla presenza di fenomeni di instabilità dinamica. La presenza di tale fenomeno fisico, in certe condizioni gravose di moto ondoso,può portare alla perdita di efficacia della barriera e al limite al collasso strutturale di una o più paratoie. Anche tralasciando le 12 criticità strutturali presenti nel Mosee individuate dalla commissione comunale di Venezia nel 2006 a cui non è mai stata data risposta, riteniamo che sia oggi estremamente rischioso proseguire nel progetto Mose, senza aver chiarito questo fondamentale problema della dinamica delle paratoie, e ci permettiamo di suggerire al presidente del Consiglio di promuovere una verifica da parte di esperti tecnici qualificati sui suoi aspetti giudicati critici e noti già da molti anni. Auspichiamo che le decisioni sul progetto Mose non siano condizionate dalla grandissima quantità delle risorse già spese e chiediamo di verificare che esso abbia avuto tutte le verifiche necessarie, a comprovarne la funzionalità e la sicurezza, prima di proseguire conle opere e che questa verifica sia finalmente resa pubblica e posta nella disponibilità di tutti i cittadini che ne avessero interesse, come d’uso in tutti i paesi democratici.

 

L’arresto di Galan in Aula già martedì

Voto alla Camera previsto il 15 luglio, oggi si esprime la Commissione dove prevale la maggioranza Pd-M5S: «Non c’è fumus persecutionis»

La conferenza dei capigruppo: a Montecitorio dibattito di tre ore, poi la parola passerà ai deputati

PADOVA Inchiesta Mose e caso Galan: si procede a passi spediti verso il voto in aula alla Camera, previsto per martedì 15 luglio. Ieri Pd e M5S hanno annunciato il loro sì alla richiesta d’arresto presentato dalla Procura di Venezia nei confronti del deputato di Forza Italia. Oggi ci sarà il voto a scrutinio palese con chiamata nominale della Giunta delle autorizzazioni a procedere, presieduta dall’onorevole Ignazio La Russa, e tra 5 giorni si pronuncerà l’assemblea di Montecitorio. I dieci consiglieri democratici e i tre grillini, hanno ribadito di non aver ravvisato il fumus persecutionis nelle 16 mila pagine inviate dai magistrati ai 21 «commissari» che per un mese hanno letto e riletto il capo di imputazione e le tre memorie difensive presentate da Giancarlo Galan. Si può quindi dare il via libera, come nel caso dell’onorevole Fracantonio Genovese. Decisamente contrari alla richiesta d’arresto invece Forza Italia e Ncd, come spiega Antonio Leone: «Il fumus è oggettivo. Galan ha chiesto di essere ascoltato dalla Procura di Venezia, ma gli hanno chiuso la porta in faccia. Le garanzie processuali non sono state rispettate, abbiamo ricevuto una nuova memoria difensiva in cui il deputato padovano fa riferimento all’architetto Zanaica che può documentare con precisione gli anni in cui la villa di Cinto Euganeo è stata restaurata: la memoria avvalora la tesi della prescrizione del reato o comunque di una pena inferiore ai due anni, in sintonia con i patteggiamenti della Minutillo e di Baita che sono stati addirittura inferiori. Perché far provare l’onta del carcere all’onorevole Giancarlo Galan? Io sono contrario, ma temo la maggioranza schiacciante di Pd e M5S»,spiega Leone. Ieri, dopo gli interventi di Sofia Amodio (Pd), Giulia Grillo (M5S) ha preso la parola Giovanni Chiarelli, Fi, relatore di minoranza, che dopo aver ribadito il suo no all’arresto, ha chiesto un ulteriore rinvio legato ai tempi di conversione del decreto legge 92-2014 e all’applicazione dell’articolo 275, co 2-bis del codice di procedure penale. Si tratta della norma, assai osteggiata dalla magistratura, che consente di non applicare la custodia cautelare o gli arresti domiciliari «qualora il giudice procedente ritenga che la pena detentiva da irrogare possa essere contenuta in un massimo di tre anni». La richiesta di Chiarelli rischia di cadere nel vuoto perché l’applicazione del decreto legge 92-2014 «non è materia della Camera, ma di esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria: la Giunta delle autorizzazioni deve pronunciarsi solo sul fumus persecutionis», ha spiegato in aula e poi scritto nel suo parere l’onorevole Mariano Rabino (Sc), relatore del caso. «Galan sostiene di aver ricevuto la notifica dell’avviso di garanzia un anno dopo l’avvio delle indagini e di non essere mai stato ascoltato dai magistrati veneziani: oggi il voto in Giunta chiuderà il primo tempo della partita», conclude Rabino. Il secondo tempo, quello vero, viene annunciato alle 16,43 con un flash dell’Ansa che mette fine a tutte le discussioni: «L’ aula della Camera voterà il 15 luglio alle ore 17 sulla richiesta di arresto nei confronti di Giancarlo Galan (Fi): lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. La votazione sarà preceduta da un dibattito di tre ore». L’ex ministro ha appreso la notizia nella sua villa di Cinto: qualche giorno fa mentre potava una rosa è caduto, si è rotto il perone e ha una gamba ingessata. Da lì non si può muovere. L’improvvisa accelerazione sui tempi viene confermata dal presidente Ignazio La Russa: «Abbiamo già ottenuto una proroga di 30 giorni per esprimere un parere sulla richiesta di arresto nei confronti di Galan, non possiamo chiederne due. Oggi saranno concessi 5 minuti a testa a chiunque voglia esprimere il suo parere nelle dichiarazioni di voto, perché credo che la scelta dovrebbe essere individuale e non legata al gruppo di appartenenza ».

Albino Salmaso

 

 

Gazzettino – Consiglieri arrestati, ma retribuiti

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10

lug

2014

MOSE – La Giunta per le autorizzazioni vota la richiesta di arresto. L’ex governatore: non ho potuto difendermi

Galan, è il giorno del giudizio

Intanto si scopre che a Chisso e Marchese, i due consiglieri regionali arrestati e sospesi, è garantito l’80% dello stipendio

IL VOTO – Per Giancarlo Galan oggi è il giorno del giudizio: la giunta per le autorizzazioni si esprime sulla richiesta di arresto. L’ex governatore intanto accusa: «Non ho potuto difendermi».

IL RIFIUTO «Chiedo ai Pm di essere sentito: è un mio diritto, ma non lo fanno»

DIFESA ALL’ATTACCO «Nell’ottobre dello scorso anno non gli fu notificata la proroga delle indagini»

GIORNO DECISIVO – La Giunta della Camera oggi vota sulla richiesta di arresto dell’ex governatore

MONTECITORIO – I numeri sono sfavorevoli: in 13 già per le manette

ROMA – Sulla carta i pareri favorevoli all’arresto di Galan sono prevalenti nella Giunta delle autorizzazioni. Al di là della proposta del relatore Mariano Rabino (Scelta Civica) l’orientamento è per l’insussistenza di ogni ipotesi di “fumus persecutionis” nei confronti dell’ex Governatore veneto. A favore ci sono già 13 voti, sui 21 componenti della Giunta, ovvero i deputati del Pd e del Movimento Cinque Stelle che fanno blocco sulla stessa linea. Ieri Forza Italia ha giocato la carta delle nuove disposizioni contenute nel decreto sulla custodia cautelare, secondo cui non ci può essere carcere preventivo per gli imputati che rischiano una condanna fino a tre anni.

 

VILLA RODELLA – La casa dell’ex doge sui Colli Euganei iscritta come bene sequestrato

LO STIPENDIO – Per legge i consiglieri arrestati, come Chisso e Marchese, mantengono l’80% dell’indennità (oltre 5mila euro al mese) che viene dimezzata, invece, ai dirigenti.

VENETO Ai due dirigenti sospesi era stato invece dimezzato lo stipendio come previsto dal contratto

Consiglieri arrestati, ma retribuiti

A Chisso e Marchese l’80% dell’indennità: oltre 5mila euro al mese. Paga piena per i due sostituti

Due pesi, due misure? I fatti sono i seguenti: in Veneto i dipendenti regionali, anche se sono altolocati e ricoprono il ruolo di dirigenti, quando vanno in galera vengono immediatamente sospesi dall’incarico ed è una sospensione che costa loro cara: lo stipendio viene dimezzato. Anche i politici che finiscono in gattabuia ci rimettono dal punto di vista economico, ma meno: continuano a prendere l’80 per cento dell’indennità di carica. I veneti, in compenso, pagano per tutti. Perché oltre alle indennità (ridotte, ma pur sempre sostanziose) dei consiglieri sospesi, devono pagare anche quelle (piene) dei consiglieri supplenti. Per farla breve: le buste paga dei politici a Palazzo Ferro Fini adesso non sono più 60, ma 62. E non si sa neanche per quanto tempo.
A Palazzo allargano le braccia: effetti della legge Severino, dicono. Trattasi della nuova normativa che ha esteso i casi di sospensione per gli amministratori locali coinvolti in procedimenti penali. Una volta la sospensione scattava per vicende di mafia. Adesso, con il decreto legislativo 235 del 2012, è estesa a più casi e per applicarla non si aspetta il giudizio e nemmeno la condanna: appena si finisce in carcere o agli arresti domiciliari o anche se c’è il più semplice obbligo di firma, si viene sospesi. In Regione Veneto è successo per quattro persone, due dipendenti e due consiglieri. Ma con effetti diversi dal punto di vista retributivo. e pure sostitutivo.
Immediatamente dopo l’arresto, i dirigenti Giovanni Artico e Giuseppe Fasiol sono stati sospesi dal governatore Luca Zaia. Che non li ha sostituiti: i rispettivi incarichi sono stati attribuiti ad altri colleghi. Successivamente Artico e Fasiol sono tornati liberi e sono rientrati al lavoro, ma durante il periodo della sospensione hanno avuto lo stipendio ridotto come stabilito dal contratto di lavoro (articolo 9: “al dirigente sospeso dal servizio sono corrisposti un’indennità alimentare pari al 50% dello stipendio tabellare, la retribuzione individuale di anzianità o il maturato economico annuo, ove spettante, e gli eventuali assegni familiari”.
Cosa succede invece per i consiglieri regionali? La legge Severino dice che nel periodo di sospensione i soggetti sospesi non sono computati al fine della verifica del numero legale, né per la determinazione di qualsivoglia quorum o maggioranza qualificata. Ma specifica: “Fatte salve le diverse specifiche discipline regionali”. E la specifica disciplina della Regione Veneto dice due cose: la prima è che i consiglieri sospesi devono prendere l’80% dell’indennità di carica e la seconda è che devono essere sostituiti dai supplenti. Più semplicemente: Renato Chisso (tuttora in carcere) e Giampietro Marchese (ora ai domiciliari) sono stati sospesi dalla carica di consigliere regionale lo scorso 4 luglio (un mese dopo gli arresti) con decreto del premier Matteo Renzi, notificato al consiglio regionale per il tramite della Prefettura martedì scorso. Per il periodo della sospensione, in base a alla legge regionale 5/1997, Chisso e Marchese percepiranno “un assegno pari all’indennità di carica lorda ridotta di un quinto”. Non avranno l’indennità di funzione e nemmeno il rimborso spese, ma solo i quattro quinti dello stipendio base lordo di 6.600 euro e cioè 5.280 euro al mese. I loro “supplenti”, Francesco Piccolo e Alessio Alessandrini, subentrati ieri, avranno invece lo stipendio pieno. Ma c’era bisogno dei supplenti? Forse no, ma la norma (la legge statale 108/68 da cui dicende la legge regionale 5/2012) dice di sì. E così a Palazzo Ferro Fini si pagano 62 stipendi con 60 consiglieri effettivi.
Ps: anche a Montecitorio i deputati arrestati continuano a prendere l’indennità. Ieri i grillini hanno protestato, ma la legge è chiara.

Alda Vanzan

 

Veneto Banca, un faro sui conti degli indagati

TREVISO – (mzan) Da giorni in Veneto Banca è in corso un’accurata ricerca negli archivi. Mission: individuare ogni operazione intrattenuta con società o persone coinvolte nello scandalo Mose. «Con il presidente del collegio sindacale – spiega il presidente della Popolare montebellunese, Francesco Favotto – ho chiesto al servizio “audit” una ricognizione analitica di tutti i rapporti attivati da soggetti citati negli atti giudiziari e negli articoli giornalistici». Una forma di tutela preventiva. L’istituto trevigiano è socio di Palladio, la holding del finanziere Roberto Meneguzzo, arrestato. E il nome di Veneto Banca era stato indicato anche per alcuni prestiti all’ex governatore Galan.

 

IL RIESAME – I giudici spiegano perché hanno rimesso in libertà l’ingegner Fasiol (Regione Veneto): quella di Baita e Minutillo era più un’aspettativa che un’intesa vera e propria

«Pensavano di corrompere il funzionario con una nomina prestigiosa»

MESTRE – Non si sentivano solo onnipotenti, come dice Claudia Minutillo. Vivevano anche in un mondo in cui l’onestà semplicemente non era prevista. Un mondo in cui uomini e donne si dividevano tra coloro che erano già corrotti e quelli che lo sarebbero stati. Questo si capisce leggendo l’ordinanza del Tribunale del riesame che ha scarcerato il funzionario regionale Giuseppe Fasiol. Un provvedimento che spiega meglio di qualsiasi altro come funzionava il mondo “alla Baita”. Sono Piergiorgio Baita e Claudia Minutillo infatti che incastrano l’ing. Fasiol. La Minutillo spiega alla Procura che Silvano Vernizzi, il funzionario regionale alle Infrastrutture più alto in grado, era mal visto da Baita, che lo considerava un nemico. Dunque, la Mantovani sceglie di investire su Giuseppe Fasiol come interlocutore privilegiato offrendogli l’incarico di collaudatore del Mose e facendogli capire che «sarebbe stato lui la persona di riferimento ed il futuro segretario regionale alle Infrastrutture», una volta tolto di mezzo Vernizzi. Fin qui le accuse. Che il Tribunale del riesame smonta, facendo passare Fasiol dal carcere alla libertà – anche se resta indagato. Perchè, scrive il Riesame «analizzando il tenore degli interrogatori resi da Minutillo e Baita si osserva che le espressioni usate da entrambi denotano non tanto un intervenuto e operante accordo corruttivo intercorso tra il Gruppo Mantovani ed il funzionario Fasiol quanto piuttosto il radicato convincimento soggettivo dei predetti Baita e Minutillo (definibile più come una aspettativa che altro) secondo cui il Gruppo Mantovani conferendo una utilità del calibro della nomina in commissione collaudo Mose al Fasiol stesso, lo avrebbe per forza di cose “fidelizzato”, per usare la terminologia della Minutillo. Ossia, in altri termini se lo sarebbe definitivamente e stabilmente ingraziato pro futuro». Insomma i due – Baita e Minutillo – hanno fatto un investimento su Fasiol, ma il patto scellerato non è mai stato siglato – dice il Riesame. Almeno non da Fasiol, anche se gli altri due erano convinti che se lo sarebbero comprato come avevano comprato tutti, fino a quel momento. Un delirio di onnipotenza, questo c’è scritto nelle righe dell’Ordinanza che scarcera Fasiol. E questa scarcerazione è però anche la prova provata che i giudici veneziani – checchè se ne dica – non sono affatto appiattiti sulle decisioni della Procura.
La Procura aveva chiesto e ottenuto dal Gip l’arresto di Fasiol. Il Riesame lo ha rimandato a casa: “Gli indizi di colpevolezza ci sono, ma non sono gravi”. Significa che i fatti si prestano ad interpretazioni diverse e per ora il riesame ha ha detto che non sono campati in aria tutti i dubbi avanzati dall’avv. Marco Vassallo che difende Fasiol. Il caso Fasiol però va letto anche all’incontrario e cioè che l’impianto accusatorio della Procura regge più che mai, anche quando subisce qualche colpetto sulle posizioni minori, quello delle “scartine”. E dunque quando il Riesame dice che uno deve stare in galera, vuol dire che gli indizi sono una caterva. Dunque, in una maxi inchiesta come quella ci sta anche il caso Fasiol, che permette di constatare che esiste un evidente bilanciamento tra Procura e Tribunale del riesame. Non solo, risulta evidente proprio dal caso Fasiol che Baita e Minutillo vivevano in un mondo in cui si dava per scontato che con i soldi si potesse comprare tutti. O quasi perchè, come ricorda Giovanni Mazzacurati parlando dell’ing. Setaro, per 9 anni Magistrato alle acque, soldi non ne ha presi. Come mai? «Alcuni non li vogliono proprio».

M. D.

 

SCANDALO MOSE Al polo educativo voluto da Scola è arrivato negli anni oltre un milione e mezzo

Il patriarca “chiude” col Consorzio

Moraglia mette la parola fine al finanziamento del Marcianum da parte del Cvn: «Serve un esame di coscienza»

IL RETROSCENA – E il Patriarca disse: basta soldi dal Consorzio

Il Patriarca: basta soldi dal Consorzio Venezia Nuova. Francesco Moraglia ha scritto una lettera al presidente Fabris con la quale segna la fine dei rapporti tra Cvn e Marcianum.

VENEZIA Una lettera segna la fine dei rapporti tra Cvn e Marcianum. Resta invece Mantovani

Il Patriarca: «Servono un serio esame di coscienza e segnali di novità nei rapporti con le istituzioni civili»

SPONSOR E’ stato il principale finanziatore della Fondazione: oltre un milione e mezzo

Moraglia dice addio al Consorzio

La lettera con il sigillo patriarcale è arrivata giusto giusto l’altro giorno. Ed è una missiva che in qualche modo racconta la fine di un’epoca. La firma è autorevole: monsignor Francesco Moraglia. E altrettanto importante è il destinatario: Mauro Fabris, presidente del Consorzio Venezia Nuova.
In mezzo c’è un “addio” consensuale in attesa – ognuno per proprio conto – di ritrovarsi lungo la strada, ma secondo altre formule. Così, il Patriarca di Venezia, nella sua veste di Gran Cancelliere, ha deciso di interrompere il rapporto di collaborazione, ma soprattutto di finanziamento con il Consorzio Venezia Nuova in merito alla Fondazione Marcianum, il “think tank” creato nel 2006 e poi sviluppato a partire dal 2008 dall’allora Patriarca, cardinale Angelo Scola. Una decisione pesante anche perchè il Cvn è stato per anni, sotto la presidenza di Giovanni Mazzacurati, il principale socio “sostenitore” della Fondazione con cospicui stanziamenti che, secondo calcoli approssimativi, può aggirarsi verosimilmente attorno al milione e mezzo di euro in più anni.
Infatti, secondo una sommaria ricostruzione, se nel 2008, l’ammontare della cifra corrisposta al Marcianum da parte del Consorzio ammontava per quell’anno a 250 mila euro, nel periodo successivo dal 2009 al 2013, i soldi offerti sono stati all’incirca 300 mila ogni anno. Insomma, un bel gruzzoletto per poter sviluppare, organizzare e svolgere attività di ricerca, di studio e di organizzazione del pensiero.
«Occorre un serio esame di coscienza» scrive Moraglia al Cvn sottolineando peraltro la necessità di come il «contesto attuale richieda segnali di novità nell’intendere e vivere i rapporti tra le istituzioni civili e quelle ecclesiali».
Una volontà chiara di distinguere i due “mondi” che per molti anni sono andati a braccetto indicando la necessità di ripensare il rapporto tra Marcianum e Cvn. «Un’impostazione che non posso che condividere – sottolinea il presidente Fabris – anche perchè con il Patriarca abbiamo fin dal primo momento ritenuto che fossimo entrambi eredi di una situazione che ci siamo trovati a gestire». E mentre si risolve il rapporto tra Marcianum e Cvn, non c’è dubbio che altre questioni rimangono sul tappeto come quello del rapporto con gli altri soci cosiddetti “sostenitori” del Marcianum tra i quali figura la “Mantovani” che ebbe in Piergiorgio Baita, il suo padre-padrone, finito nell’occhio del ciclone nell’inchiesta Mose. Un altro “pezzo ingombrante” nell’assetto generale della Fondazione Marcianum e che certamente è all’attenzione del Patriarca.
C’è poi il rapporto con la Regione Veneto, per ora non in discussione, che nel corso degli anni ha sostenuto con energia la Fondazione Marcianum. E qui si deve ritornare alla giunta Galan quando nel 2003 giungono i primi 200 mila euro con una successiva oscillazione di cifre negli anni successivi (100 mila nel 2004; 180 mila nel 2005; 190 mila nel 2006; 250 mila nel 2007, nel 2008 e nel 2009 per un totale nel tempo di oltre un milione). Ma non è finita qui. I finanziamenti sono proseguiti anche negli anni successivi, sotto l’amministrazione Zaia con un impegno di spesa annuale dal 2010 al 2013, di 250 mila euro per una somma complessiva attorno al milione di euro.

Paolo Navarro Dina

 

Responsabilità penali ma anche politiche

di Gianluca Amadori

A leggere le cronache di questi giorni (e relativi commenti) sembra esistere soltanto la responsabilità penale. Un fatto diventa censurabile unicamente se viene aperta un’inchiesta da parte della Procura. E, parallelamente, se l’inchiesta penale viene archiviata, qualsiasi comportamente acquisisce una “patente” di correttezza. Ma non è così. Non può essere così. Non tutto (fortunatamente) ha rilievo penale. Ci sono, però, comportamenti che ugualmente sono (e dovrebbero) essere censurabili (e censurati), almeno sul piano politico e, perché no, etico. Due esempi, recentissimi, arrivano dall’inchiesta sul cosiddetto “sistema Mose” e riguardano due esponenti politici di primo piano coinvolti, anche se con profili e accuse ben diverse.

Per un momento dimentichiamo le accuse penali – tanto più che entrambi vanno considerati innocenti fino a sentenza definitiva – e proviamo a concentrarci sul piano strettamente politico.
Che valutazione dare di un presidente della Regione che aveva acquisito a titolo personale quote della società che si proponeva come partner principale della stessa amministrazione regionale per realizzare opere in project financing? Giancarlo Galan forse riuscirà a dimostrare di non essere un corrotto, ma come può giustificare ai cittadini quell’interesse privato sicuramente incompatibile con la carica pubblica? Nella sua appassionata difesa ha spiegato di non aver mai fatto affari tramite quella società: giustificazione che la dice lunga sul modo di intendere (e di mescolare) pubblico e privato. Dovrebbe bastare questa circostanza – ammessa dallo stesso Galan nella memoria presentata al Parlamento – per formulare una pesante riserva sul suo comportamento politico.
E cosa dire del sindaco dimissionario di Venezia? Di Giorgio Orsoni, stimato e capace professionista, sorprendono le motivazioni di quel finanziamento elettorale da lui sollecitato (pur credendolo regolare) al presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati. Lo stesso sindaco ha ammesso davanti ai pubblici ministeri di aver percepito l’inopportunità di ottenere contributi da un soggetto coinvolto in opere così importanti in città: ciò nonostante, cedendo alle pressioni del Pd, si decise di rivolgersi all’amico Mazzacurati.
Se non lo avesse fatto, ha spiegato, avrebbe dovuto provvedere di tasca propria alle spese elettorali. Sul fronte penale il sindaco riuscirà forse a dimostrare la sua estraneità alle accuse. Nel frattempo, sul piano politico non ne esce bene. Tanto più se si considera che il Cvn, in quanto soggetto che gestisce denaro pubblico, per legge non può finanziare esponenti politici.
Del livello politico, però, pare non interessarsi nessuno. Tutti preferiscono aspettare l’inchiesta penale di turno per esprimere valutazioni sul (presunto) amministratore infedele, e al tempo stesso per contestare ai magistrati indebite ingerenze. È uno dei motivi per cui la politica sta perdendo credibilità e autorevolezza: perché dimostra di non essere in grado di rivendicare (e mettere in atto) quei necessari valori di trasparenza, pulizia, correttezza nella gestione della cosa pubblica.

 

LA REPLICA – Ecco perché gli avvocati Longo e Rubini rinunciarono alla difesa di Baita

Egregio Direttore,
con riferimento all’articolo a firma di Maurizio Dianese pubblicato il 6 luglio u.s. dal titolo: “Baita: volevano che mi operassi per rinviare l’interrogatorio”, nel prendere atto delle dichiarazioni rese dall’ing. Baita nel corso dell’interrogatorio del 17 giugno 2013 al Pubblico Ministero, ritengo doveroso, nell’interesse degli avvocati Piero Longo e Paola Rubini, puntualizzare quanto segue:
– l’unico incarico conferito ed espletato dai consulenti della difesa consisteva nella verifica della compatibilità con il regime carcerario delle condizioni di salute dell’ing. Baita affetto da cardiopatia ipertensiva con possibile evoluzione ipocinetica e probabile ischemia coronarica e non certo quanto affermato dall’ing. Baita stesso;
– tale situazione clinica era stata segnalata ai difensori dal cardiologo di fiducia dell’ing. Baita il quale era stato visitato poco prima di essere arrestato il 28 febbraio 2013 e per tale ragione era già stato programmato un check up, non potuto effettuare a causa del sopravvenuto arresto, atto a slatentizzare una probabile ischemia coronarica, come peraltro risulta dalla documentazione agli atti del fascicolo processuale;
– la consulenza tecnica redatta su richiesta della difesa escludeva, come comunicato all’interessato dagli avvocati Longo e Rubini, l’incompatibilità con il regime carcerario e consigliava unicamente dei controlli clinici atti ad escludere una coesistente patologia ostruttiva a livello coronarico o carotideo, come già aveva segnalato il cardiologo di fiducia dell’ing. Baita;
– ciò stante, in occasione del colloquio in carcere del 23 aprile 2013, gli avvocati Longo e Rubini prospettarono all’ing. Baita l’opportunità di sottoporsi ad interrogatorio avanti il Pubblico Ministero e l’ing. Baita fu d’accordo;
– l’interrogatorio fu quindi immediatamente concordato con il Pubblico Ministero Dr. Ancilotto per il successivo 10 maggio;
– effettivamente in tale data l’ing. Baita venne sentito alla presenza dei suoi difensori i quali all’esito, comunicarono al proprio assistito l’indisponibilità del Pubblico Ministero, insoddisfatto dei contenuti, a dare parere favorevole ad un affievolimento della misura carceraria allora in atto;
– di comune accordo con l’ing. Baita, quindi, si decise di chiedere un ulteriore interrogatorio al Pubblico Ministero, concordato con il De. Ancilotto per il successivo 24 maggio 2013;
– due giorni prima di tale incombente, come detto deciso in accordo con i difensori, l’ing. Baita comunicò all’avv. Rubini la sua intenzione di mutare strategia difensiva e di voler collaborare con l’Autorità Giudiziaria, chiamando in correità taluni soggetti che, come a lui ben noto, erano da anni tutelati dall’avv. Longo con la collaborazione dell’avv. Rubini, il che ebbe come conseguenza ineludibile, a termini di codice deontologico, la rinuncia al mandato defensionale degli stessi.
Questo e non altro il succedersi e la consistenza dei fatti: tutto il resto, in primis le dichiarazioni del Baita, che, solo in ragione del pregresso rapporto professionale e del suo comprensibile stato di prostrazione psicologica per la detenzione allora in atto, non meritano azioni giudiziarie, ma non ultime le illazioni sottintese ai titoli (in prima pagina ed a pagina 2) nonchè al contenuto dell’articolo di Maurizio Dianese, sono pura e interessata fantasia.
Distinti saluti.

Avv. Gianni Morrone

 

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