Gazzettino – Galan, il gas e affari da 50 milioni
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8
giu
2014
TANGENTI MOSE Le intercettazioni: «Non è che Giancarlo e moglie diventano miliardari e vanno alle Bahamas?»
Galan, il gas e affari da 50 milioni
Sequestrati al commercialista Venuti (arrestato) documenti su transazioni in Indonesia per conto dell’ex governatore
CARTE – Documenti sequestrati dalla Guardia di finanza al commercialista dell’ex governatore Galan rivelano affari con società in Indonesia e nel settore del gas.
DIALOGHI – Spunta un’intercettazione ambientale sul conto dell’ex ministro e della moglie: «Non è che così fanno i miliardi e se ne vanno alle Bahamas?»
LO SFOGO DELL’EX SEGRETARIA – Minutillo: stanno massacrando solo me ma ora io sto dalla parte della giustizia
TRAPPOLA – Una registrazione telefonica e Venuti viene “intercettato”
PRESTANOME – Il professionista padovano è una figura-chiave, curava gli affari del Governatore
VALIGIA La Guardia di finanza ha fatto scattare una prima “trappola” controllando all’aeroporto di Tessera una valigia con incartamenti dai quali sono stati ricostruiti affari di Galan
QUOTE SOSPETTE «Partecipazioni in società pagate da Mantovani valevano 431mila euro»
I segreti dell’impero Galan custoditi dal commercialista
La Finanza a Tessera scopre in una valigia del professionista molti documenti con atti di compravendite societarie per 50 milioni: le operazioni erano riferite al deputato di Fi
LE PROPRIETA’ DI GALAN – Ville a Cinto e Croazia e una tenuta agricola
Il presidente, il fiduciario, le quote societarie schermate e una serie di documenti per operazioni commerciali da decine di milioni di dollari in Indonesia. È una spiraglio su una vicenda di dimensioni enormi quello che ha aperto una trappola che il Gico della Finanza ha messo in atto all’aeroporto Marco Polo di Venezia. Aveva lo scopo di cercare prove sul rapporto indissolubile tra Giancarlo Galan (per cui è stato chiesto ora l’arresto) e il suo commercialista Paolo Venuti (finito in carcere mercoledì scorso), nell’ipotesi che il professionista cinquantasettenne fosse il prestanome di Galan in due società. Ovvero, Adria Infrastrutture e Nord-Est Media, di cui un misterioso acquirente deteneva rispettivamente il 70% e il 7%, quote pagate in buona parte dalla Mantovani. Ora quelle partecipazioni rientrano nei capi d’accusa di corruzione riferiti a Galan (e a Venuti), perchè avrebbero costituito – secondo i Pm – uno dei canali della corruzione dell’ex presidente della Regione Veneto da parte di Piergiorgio Baita. E Venuti è diventato così un personaggio-chiave nell’inchiesta che riguarda il deputato di Forza Italia.
Il gip Scaramuzza scrive che sono stati trovati «riscontri oggettivi del ruolo di Venuti quale prestanome di Galan nella società PVP» che deteneva le quote di Adria Infrastrutture e Nord-Est Media, per un valore complessivo quantificato in 431.200 euro. Una di queste prove è la “trappola” dell’aeroporto. Il 19 luglio 2013 la Finanza sa che dal Marco Polo sta per partire Venuti, assieme a moglie e figli, diretto in Indonesia, con scalo Dubai. Il controllo doganale appare casuale, ma non lo è, perchè le intercettazioni telefoniche e ambientali ne sono la premessa.
Alle 14.10 gli uomini del Gico chiedono a Venuti di aprire la valigia. Annota il gip: «Tale controllo ha condotto al rinvenimento di copiosa documentazione afferente cospicue operazioni commerciali (compravendite societarie dell’ordine di 50 milioni di dollari) nel sud est asiatico e, principalmente, in Indonesia». Cosa c’entrano quelle carte con Galan? «Vi è il verbale di operazioni, da cui risulta che è stata sequestrata al Venuti una serie di documenti riferibili a società Thema Italia Spa con sede presso lo studio Venuti e ai suoi rapporti con società indonesiane».
Quindi, Thema Italia fa affari in Indonesia, tramite Venuti. Ma «da alcune conversazioni telefoniche del 18 luglio 2013 immeditamente precedenti al controllo della Finanza tra Venuti e la moglie Alessandra si evince che i due erano perfettamente consapevoli della riferibilità al Galan delle operazioni economiche gestite dal Venuti nel sudest asiatico la cui documentazione è stata sequestrata a Tessera».
La trappola era stata decisa quando alle 9.57 del 18 luglio i coniugi Venuti si parlarono al telefono, citando Galan, gli affari in Indonesia e l’interesse del deputato a quell’attività: «Chiama Giancarlo digli che è la storia dell’Indonesia del gas spiegagli che è il gas… che è la conclusione della vicenda del gas». Tanto basta ai finanzieri (e al gip) per scrivere che «il Venuti doveva andare in Indonesia per questioni d’affari con le società indonesiane risultate dalla documentazione sequestrata in contatto con la società Thema, per conto del Galan, dovendosi precisare che la società Thema (capitale sociale 3.300.000 euro) anche se non intestata formalmente ai coniugi Venuti, è risultata senz’altro ad essi riferibile».
I finanzieri hanno indagato su queste scatole cinesi. E hanno scoperto che la moglie di Venuti era intestataria di un mandato fiduciario per amministrare obbligazioni nominali per oltre un milione di euro emesse da Thema (il 9 dicembre 2010), tramite la società fiduciaria Sirefid di Milano «risultata dagli accertamenti patrimoniali a carico della famiglia Galan utilizzata dai coniugi Galan». Anzi, dopo la notifica degli accertamenti bancari nell’ottobre 2013 «vi è stato il rimborso delle predette obbligazioni ai Venuti e il trasferimento delle somme su conto corrente croato intestato ad altra fiduciaria italiana (Unine Fiduciaria spa)».
Da questo coacervo di interessi emerge la posizione centrale del commercialista Venuti nella gestione del patrimonio di Galan. Secondo i Pm, che ne hanno ricostruito l’entità, è composto da proprietà immobiliari: la villa di Cinto Euganeo che vale qualche milione di euro, una tenuta agricola a Castel del Rio (Bologna), una villa in Croazia. Ma ci sono anche partecipazioni in diverse società del settore energetico. I nomi di tutte le società? Margherita (di famiglia), San Pieri (21.5%), _______ (10%), Ihlf (50%, settore sanitario), Amigdala (20% della moglie), Franica Doo (società di diritto croato).
Nello studio Venuti hanno sede sia Nord Est Media che PVP coinvolte nel capitolo della corruzione. Tornando al reale beficiario delle quote fiduciariamente in mano a Venuti (che per i Pm è Galan), ci sono alcuni coimputati che accusano. Claudia Minutillo: «La PVP di Padova ha come riferimento per me Paolo Venuti. È un amico di Giancarlo Galan. Si collega a Galan, solo a Galan». Che le quote fossero di Galan, Minutillo l’ha saputo da Venuti e da Baita. E Baita delle quote ha detto: «La PVP è intestata credo a Paolo Venuti. I rapporti sono molto stretti, è stato il governatore Galan che ci ha detto di parlare con Venuti per la questione, non ho dubbi».
Giuseppe Pietrobelli
I CONTI DELL’EX GOVERNATORE – I difensori: aveva già un patrimonio rilevante
Non tutto è oro ciò che luccica. La contabilità degli affari dell’ex presidente Giancarlo Galan, così come è stata illustrata nella richiesta dei pubblici ministeri al gip Scaramuzza, non convince i difensori del deputato di Forza Italia. Ovvero, i penalisti Antonio Franchini, veneziano, e Niccolò Ghedini, padovano. «L’onorevole Galan deteneva già un patrimonio importante, di questo i pubblici ministeri non tengono conto» spiega l’avvocato Franchini. Ovviamente, di cifre non si parla, ma la difesa ricorda come Galan, quando si avviò alla carriera politica, aveva un ottimo posto in Publitalia, la concessionaria di pubblicità del gruppo Berlusconi. E quando si dimise dall’incarico dirigenziale ottenne una congrua liquidazione. «Ma vi furono anche investimenti finanziari, che a quell’epoca resero piuttosto bene. Bisogna tenere conto del punto di partenza, un patrimonio ragguardevole, e anche dell’arco di tempo in cui è stata creata una disponibilità economica personale». La villa in Croazia? «Non è una villa, ma una casetta. Produrremo le prove di tutto».
G. P.
LE INTERCETTAZIONI «Ma così fanno miliardi e vanno alle Bahamas?»
Dialoghi registrati fra Venuti e la moglie in auto dopo una cena con i coniugi Galan
DALL’INDONESIA «Quel gas? Arriverebbe al rigassificatore di Porto Tolle»
VENEZIA- «Ma è possibile che uno faccia i miliardi come dice lei?» chiede Alessandra al marito, Paolo Venuti, commercialista di Giancarlo Galan, riferendosi alle dichiarazioni di Sandra Persegato, la moglie dell’ex governatore. Venuti risponde: «O fai un colpo gobbo… o non è da loro». La donna replica: «Cosa vuol dire, che chiudono tutto e vanno alle Bahamas?».
Dialoghi tra coniugi, dopo una cena al ristorante “La Cucina del Petrarca” ad Arquà Petrarca. Nove commensali, Giancarlo Galan, la moglie Sandra, Paolo Venuti con signora, e altre cinque persone. Potrebbe sembrare una frivolezza, non fosse che i finanzieri sono in ascolto, dopo aver piazzato una cimice nell’auto di Venuti. Perchè a loro quella cena interessa moltissimo. Avviene quando i Venuti sono tornati dall’Indonesia, dopo il sequestro in aeroporto di una valigetta con documenti riguardanti un’operazione da 50 milioni di dollari riferita a Galan e a una società di cui è partecipe.
VIAGGIO O FUNERALE? Il 18 luglio 2013, prima della partenza per l’Indonesia, i coniugi Venuti hanno un dilemma. È appena morta la suocera di Galan e sono incerti se dover privilegiare il funerale al viaggio. «I coniugi giungono alla conclusione di partire lo stesso e Farina Alessandra si raccomanda più volte: “Senti Paolo c’è un po’ l’idea che tu sei là per lavoro per la storia del gas che Giancarlo é cosa a cui lui é molto sensibile… se stessimo andando a Rovigno ancora ancora… ma tu sei lì per lavoro! chiama Giancarlo, digli che é la storia dell’Indonesia del gas spiegagli che é il gas… che é la conclusione della vicenda del gas”. Il marito conferma: “Sì sì, lo so”».
Il 19 luglio c’è il sequestro dei documenti in Dogana. Secondo il gip, «dalle intercettazioni si evince la conferma dell’interesse dei coniugi Galan per il viaggio in Indonesia, nonchè la necessità immediata di riferire al Galan dell’avvenuto controllo in dogana alla partenza e dell’avvenuto sequestro della documentazione». Ecco la cena del 28 luglio. Al rientro il dialogo dei coniugi Venuti. «Viene intercettata interessante conversazione da cui si ha la conferma che nella cena con i coniugi Galan si sia parlato proprio del viaggio in Indonesia e del controllo della Finanza, e che questi fatti riguardavano proprio i coniugi Galan, poiché si parla espressamente degli affari dei Galan». Lei: «Cosa dici tu di questi affari della Sandra che sembra che stia diventando miliardaria?». Lui: «Non é la Sandra ma Giancarlo a cui viene riconosciuto assolutamente un ruolo, perché la Sandra Persegato andrebbe….». Annota il gip: «Nel prosieguo della conversazione Venuti spiega alla moglie che il gas, in Italia, arriva al “rigassificatore di Porto Tolle”». Ecco svelato l’arcano.
PRIME VERIFICHE – Marchese, Morbiolo e Orsoni puntano alla scarcerazione
FUNZIONARIO DELLA REGIONE VENETO – Artico in carcere a Ravenna spiega al gip: nessun legame tra mia figlia e gli appalti
Tra accusa e difesa partita a scacchi in vista del Riesame
ALTRO FILONE Mazzacurati e il project financing da 1,7 miliardi di euro
Le mire del “clan” estese al nuovo ospedale a Padova
Secondo gli inquirenti fatture fittizie della Coveco per elargire 200mila euro per conto del Cvn a Giancarlo Ruscitti, già dirigente della Sanità regionale
OBIETTIVO Mazzacurati ambiva al progetto per il nuovo ospedale di Padova e per questo avrebbe pagato l’allora dirigente regionale della Sanità Giancarlo Ruscitti
VENEZIA – Il grande burattinaio dei fondi neri dei lavori per il Mose voleva allargare le sue mire anche sull’affare miliardario del nuovo ospedale di Padova. Per questo avrebbe spinto per cercare di trovare un consenso politico al progetto, attraverso uno specifico incarico, dato dalla Coveco, al dirigente regionale Giancarlo Ruscitti. Dalla laguna, dove non si muoveva foglia negli appalti alle imprese impegnate nelle opere di salvaguardia di Venezia senza il suo placet, Giovanni Mazzacurati, aveva allungato gli occhi sul mega-polo sanitario da anni in discussione. Il particolare emerge dall’ordinanza del gip veneziano Alberto Scaramuzza. «Mazzacurati – scrive il giudice – affida a Ruscitti, già dirigente della sanità della Regione Veneto, un incarico per promuovere il consenso politico alla costruzione del nuovo ospedale di Padova al quale il Consorzio Venezia Nuova è interessato». L’occasione è offerta dalla decisione della giunta veneta del marzo 2010 guidata da Giancarlo Galan di formare una commissione di lavoro per elaborare il progetto del nuovo nosocomio. «L’incarico – scrive il magistrato – della predisposizione del progetto fu affidato al gruppo inglese “Bovis Lend Lease” che poi depositò a Ruscitti, allora segretario alla Sanità e al Sociale della Regione, un dossier con lo schema del nuovo ospedale in base ad un project financing da 1.700 milioni di euro, 200 dei quali erogati dalla Regione Veneto». Per capirne di più Mazzacurati si muove anche con incontri con rappresentanze istituzionali, come una cena documentata con l’allora sindaco Flavio Zanonato a “Le Calandre”. Pio Savioli – arrestato nella prima tranche dell’inchiesta nel luglio scorso – in una intercettazione telefonica definisce la cena «abbastanza importante perché il capo supremo mio – Mazzacurati, individua il giudice – era un po’ come si suol dire scoglionato, ecco, e invece è ritornato arzillo». Un incontro senza rilevanza per le indagini mentre l’attenzione è puntata sul rapporto tra l’allora presidente di Cvn e Ruscitti indagato per concorso in evasione fiscale con lo stesso Mazzacurati e il suo consulente fiscale Francesco Giordano. Dalle intercettazioni si rileva come una delle aziende leader del Consorzio, il Coveco, che di fatto guidava la cordata delle “coop rosse” avrebbe emesso due fatture fittizie per 200mila euro a favore di Ruscitti facendo di fatto da «velo» – scrive il Gip – al Cvn di Mazzacurati.
La necessità di creare un «consenso politico» sarebbe stata decisa dopo un servizio giornalistico in cui, sull’ospedale di Padova – scrive il gip -, dei sindacalisti dicevano «è l’ora di finirla: questi fanno i soldi col Mose, poi vengono qua e si comprano la sanità pubblica»; parole che avrebbero ovviamente messo in allarme Mazzacurati. «A ulteriore conferma che le prestazioni di Ruscitti non erano quelle indicate nel contratto col Coveco ma altre – ravvisa il gip – ossia contattare i politici per conto di Mazzacurati, si inserisce la telefonata del 19 gennaio 2011 tra Mazzacurati e Ruscitti nella quale quest’ultimo riferisce testualmente: «…io ho fatto un po’ di giri con alcuni politici che a loro volta mi invitano a farne altri, ma prima di cominciare a coinvolgere il presidente del Consiglio regionale ed altro, volevo confrontarmi con lei».
Società schermo dei fondi neri
Scoperto sistema di quote e partecipazioni fra gli indagati per mungere meglio gli appalti
GIRI DI MILIONI – Le Fiamme Gialle stanno scardinando le reti di copertura
SOSPESA – L’ex presidente del Magistrato alle Acque Maria Giovanna Piva è stata sospesa dall’Albo degli ingegneri
IL RETROSCENA – L’intreccio tangenti e lo scaricabarile fra i protagonisti
VENEZIA – Quella che si apre sarà una settimana decisiva per capire le sorti dell’inchiesta sulla corruzione legata al Mose e sentire anche le reazioni degli accusati. Il Tribunale del riesame ha iniziato a ricevere i primi ricorsi ed è probabile che già nei prossimi giorni la fila degli interessati sia destinata ad aumentare. E non di poco. Tra i primi ad aver presentato ricorso figura Giampietro Marchese, consigliere regionale del Pd che attualmente si trova in carcere. Secondo l’accusa avrebbe incassato somme ingenti dal Consorzio Venezia Nuova (circa 550mila euro) fra il 2006 e il 2012. A rilevarlo era stato lo stesso presidente del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati. «Era un funzionario della sinistra che aveva questo compito, diciamo quando c’erano i periodi delle elezioni, delle consultazioni elettorali, di reperire i fondi per.. Ecco, questo era». Insomma, Marchese avrebbe incassato tangenti per pagare le campagne elettorali dei consiglieri comunali, provinciali e regionali, dei deputati e dei senatori, in particolare quelli più legati alla sua corrente all’interno del Pd.
La posizione di Marchese sarà discussa dal tribunale, presieduto dal dottor Angelo Risi, nel corso dell’udienza fissata per il 13 giugno.
Nella stessa occasione verrà analizzato anche il ricorso di Franco Morbiolo, 59 anni di Cona, imprenditore titolare della Coveco anche lui finito in carcere. Gli accertamenti sulla Coveco hanno fatto emergere un collegamento diretto con Marchese. Ma la settimana prossima dovrebbe servire anche per far luce sulla posizione del sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, che proprio venerdì è stato interrogato dal gip e che in quella occasione ha affermato di non aver mai ricevuto soldi dal Consorzio Venezia Nuova.
«Entro qualche giorno presenteremo richiesta al Tribunale del riesame – conferma l’avvocato Daniele Grasso che difende il sindaco – Non abbiamo ancora deciso la data esatta perchè il sindaco ha chiesto di approfondire con cura alcuni passaggi». Il legale sta studiando tutte le carte del processo e sta valutando le mosse da fare, ma la partita a scacchi con la Procura, a quanto pare, è solamente agli inizi.Si capirà di più quali prove ha in mano la magistratura quando si arriverà, appunto, davanti al Tribunale del riesame per chiedere la scarcerazione di Orsoni che potrebbe passare dagli arresti domiciliari all’obbligo della firma. In quella sede difesa e accusa si affronteranno sul serio per la prima volta. Ecco perchè, prima del confronto, Orsoni e l’avvocato Grasso vorrebbero avere in mano tutti gli elementi sulla base dei quali il gip Scaramuzza ha emesso il mandato di cattura ed ha disposto gli arresti domiciliari per il sindaco.
Gianpaolo Bonzio
IN SVIZZERA – Mezzo milione trasferito alla moglie di Cuccioletta
Un sistema di quote societarie per poter gestire al meglio le attività. È questo lo scenario sul quale hanno dovuto lavorare i magistrati veneziani che si stanno occupando dell’inchiesta sulla corruzione legata agli appalti del Mose. Se da una parte sono già stati accertati diversi passaggi di denaro, in alcuni casi anche filmati dalla Guardia di finanza, il sistema complessivo ha portato alla luce anche intrecci societari con partecipazioni degli stessi indagati finalizzate a trarre vantaggio dai passaggi di denaro e dai vari appalti.
Un meccanismo abbastanza raffinato sul quale il lavoro della Guardia di finanza è stato davvero straordinario. Su questo specifico aspetto proprio ieri il pubblico ministero Stefano Buccini, che insieme ai colleghi Stefano Ancillotto e Paola Tonini sta seguendo la vicenda, ha rimarcato il lungo e meticoloso lavoro svolto dai militari delle Fiamme Gialle in fase di analisi dei documenti contabili. Tra le carte dell’indagine della Procura non sono comunque mancati gli episodi più curiosi sui quali è anche emersa una certa ingenuità. Nelle verifiche sull’ex presidente del Magistrato alle acque, Patrizio Cuccioletta, i finanzieri hanno individuato un versamento di 500mila euro su un conto svizzero che era stato intestato alla moglie di Cuccioletta. Stando a quanto appurato si sarebbe trattato di una sorta di buona uscita. Ma sulle ricostruzioni di quanto sta emergendo va evidenziato anche lo scontro frontale tra l’ex presidente della Mantovani, Piergiorgio Baita, e l’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova Giuseppe Mazzacurati. Qualche giorno fa lo stesso Baita aveva duramente criticato il sistema di gestione del Consorzio, affermando che tutta la responsabilità sull’intreccio di tangenti e di clientelismo era esclusivamente di Mazzacurati. E ieri Mazzacurati ha fatto sapere di non voler essere indicato come l’artefice unico del meccanismo dei fondi neri. Infine c’è da segnalare che Maria Giovanna Piva, presidente del Magistrato alle Acque tra il 2001 e il 2008, è stata sospesa dall’Albo dell’Ordine degli ingegneri. Lo ha reso noto ieri lo stesso presidente dell’Ordine, l’ingegner Ivan Antonio Ceola, che rileva come sia «un atto dovuto in quanto persona arrestata» per corruzione nell’inchiesta Mose. Va infatti ricordato che Maria Giovanna Piva, secondo l’ordinanza del gip e gli accertamenti della Guardia di finanza, avrebbe ricevuto in più riprese complessivamente quasi 600mila euro in modo illecito.
A FERRARA – Interrogato Cuccioletta, ex Magistrato alle acque
Interrogatorio di garanzia, ieri mattina nel carcere di Ferrara, per Patrizio Cuccioletta, l’ex Magistrato alle Acque di Venezia arrestato per corruzione. Era assistito dall’avvocato Ciro Pellegrino di Roma. Cuccioletta, 70 anni, rimano, è accusato di aver ricevuto dal Consorzio Venezia Nuova uno “stipendio” annuale di 400 mila euro, in cambio della rinuncia a mettere il naso nelle attività riguardanti il Mose, come avrebbe dovuto invece fare sulal base dei doveri del proprio ufficio. Gli è contestato anche di aver incassato 500 mila euro su un conto in Svizzera e di aver fatto assumere la figlia da Thetis.
BAITA «La politica non chiedeva, era Il Consorzio che si offriva di pagare»
MINUTILLO «Ho deciso di stare dalla parte delle giustizia, ma massacrano solo me»
MAZZACURATI «Prendo atto delle dichiarazioni sconcertanti di Baita»
I TRE PROTAGONISTI – 16 mesi alla segretaria, 22 mesi all’ingegnere. “In attesa” il patriarca
E adesso le guerre di Minutillo, Baita e Mazzacurati
Claudia Minutillo dice: «Ho deciso di stare dalla parte della giustizia, i media stanno massacrando solo me». Piergiorgio Baita rilascia interviste in cui afferma che «la politica non chiedeva, il Consorzio si offriva di pagare». Dall’altra parte dell’Atlantico dove si trova, Giovanni Mazzacurati, il patriarca del Mose, non ci sta ad essere indicato come l’unico artefice del sistema di “fondi neri” e tangenti, ma anche lui si rimette ai luoghi della giustizia per una replica. Adesso che le carte dell’accusa cominciano a venire a galla, il polverone coinvolge inevitabilmente le tre persone che hanno contribuito, con le loro dichiarazioni messe a verbale, al blitz con 35 tra arresti, richieste di arresto e domiciliari. Perchè molti degli accusati replicano di essere vittime di accuse false, costruite per ottenere benefici nei conti da saldare con i giudici.
La “zarina” Claudia Minutillo, per molti anni segretaria di Giancarlo Galan, che se ne andò dopo essere entrata in rotta di collisione con la moglie del governatore, ha scelto di restare coperta. Non la si trova nella sua casa di Mestre, nè in quella dei genitori a Jesolo. Forse è riparata in Toscana, cercando di riprendersi la vita, dopo l’arresto dello scorso anno, nel settore delle agenzie di viaggio. Basta con le false fatturazioni, con le società legate a Baita, con i viaggi a San Marino. Per una donna che fu potente all’ombra di Galan, sembra cominciata davvero un’altra vita.
La testimonianza più eloquente è l’sms che ieri mattina ha inviato al suo difensore, l’avvocato padovano Carlo Augenti. Pressata dalle richieste di interviste, informata sugli sviluppi dell’inchiesta dalla lettura dei giornali, piuttosto arrabbiata per quanto sta leggendo sul suo conto, ha scelto la via del silenzio. Per ora, almeno. «Caro avvocato, la tentazione di replicare è grande. Ma ho deciso di stare dalla parte della giustizia e i media stanno massacrando solo me». Il riferimento è probabilmente alle dichiarazioni di coindagati che la accusano di essersi inventata tutto quando ha parlato di soldi consegnati a Galan o all’ex assessore ai Trasporti del Veneto, Renato Chisso.
Il messaggio continua: «Ma credo che la cosa più giusta sia rispondere a queste persone nelle sedi opportune. Più avanti, se ancora avranno un interesse, contatteremo i giornalisti». Claudia Minutillo è stata tirata in ballo, con Baita, per essersela cavata con poco. In effetti, l’ex presidente della Mantovani, accusato di associazione per delinquere finalizzata all’emissione di false fatture, ha patteggiato un anno e dieci mesi di reclusione, dopo aver versato di tasca propria 400 mila euro. La conclusione è stata possibile, dopo un braccio di ferro con la Procura di Venezia, perchè l’impresa di costruzioni aveva saldato le pendenze con il Fisco versando 6 milioni e 700 mila euro tra imposte evase e sanzioni. Un anno e quattro mesi la pena per la Minutillo, che ha beneficiato dei versamenti effettuati da Baita e dalla Mantovani.
Baita sta seguendo l’inchiesta con grande attenzione. E parla per interviste, sostenendo che “il nero” era una prassi tra i soci del Consorzio Venezia Nuova, ma che il regista delle mazzette era Mazzacurati. Dopo l’arresto avvenuto nel febbraio 2013, dopo aver cominciato a parlare nel maggio successivo e dopo essere tornato in libertà, se l’è cavata abbastanza in fretta. Il sessantaquattrenne manager risorto dalle ceneri di Mani Pulite del ’92 e ripiombato ora nelle acque alte del Mose, da indagato si è trasformato in grande accusatore. E davanti avrà una stagione nelle aule di giustizia, perchè è indagato in questo filone, reo di confesso di aver corrotto i politici.
In qualche modo ha rotto il silenzio Giovanni Mazzacurati. Arrestato nel luglio 2013 è tornato libero. Ha avuto il lutto della morte del figlio Carlo, regista di fama. Da alcuni mesi è negli Stati Uniti d’America. Ha voluto mettere un oceano di mezzo con il suo passato ingombrante. Ma da laggiù, attraverso il proprio legale, l’avvocato Giovanni Battista Muscari Tomaioli, ha preso le distanze dalle dichiarazioni di Baita. «Ha preso atto – dice il suo difensore – delle sconcertanti dichiarazioni di Piergiorgio Baita. Noi abbiamo un profilo differente e riteniamo che il tutto sia da affidare all’Autorità giudiziaria. L’ingegnere avrebbe molto da dire sul punto, ma non riteniamo che sia opportuno e neppure il momento per farlo».
FATTURE SOSPETTE – In una cooperativa impegnata nei lavori alla bocca di Porto
LA CONFESSIONE – Un’impiegata spiegò il meccanismo agli inquirenti
Chioggia, 6 marzo 2008, scoperti i primi traffici
Un hard disk fedele, un paio di files compromettenti e le annotazioni della figlia del titolare di una cooperativa di Chioggia. Da qui è nato tutto, da un ufficio in via Maestri del Lavoro 70, sede amministrativa dell’Impresa San Martino Società Cooperativa, consorziata nel Co.Ve.Co, impegnata nei lavori alla bocca di porto di Chioggia. Se nel 1991, quando ancora Mani Pulite non era ancora nata a Milano, la Tangentopoli veneta cominciò con una cimice che un carabiniere piazzò in un ufficio di una società del Veneto Orientale, la caduta dei potenti lagunari è generata da una banalissima verifica fiscale a Chioggia. Perchè è lì che si cominciò a scoprire la ragnatela delle false fatturazioni, il rastrellamento di denaro da consegnare ai vertici del Consorzio, che si sarebbe poi occupato della distribuzione ai politici.
La data che resterà negli annali è il 6 marzo 2008. I finanzieri si presentano al presidente Mario Boscolo Bacheto, al vicepresidente Antonio Boscolo Cucco e al consigliere Stefano Boscolo Bacheto. I nomi che accendono il faro sono quelli di Istra Impex, società austriaca, e dall’italiana Corina. Le loro fatture insospettiscono, portano alla scoperta di documentazione extracontabile. Gli austriaci collaborano e i finanzieri capiscono che le operazioni fatturate sono inesistenti. Così si crea il “nero”, che poi si scoprirà attuato su vasta scala. Ma è stata un’impiegata a fornire le dichiarazioni «analitiche, dettagliate, esaurienti e precise», come ricordano gli investigatori di allora, che ha confermato, oltre alle fatturazioni fasulle, l’esistenza di una contabilità parallela in nero. Era lei stessa redigerla, trasferendo su una chiavetta Usb le annotazioni che le venivano consegnate da Stefano Boscolo “Bacheto”. E fu lui a dare l’ordine, dopo l’accesso delle divise verdi, di distruggere i documenti cartacei. Il consigliere della cooperativa non può parlare, perchè da mercoledì è ristretto in carcere.
Tutto cominciò dal file “nicla.boscolo 06″ che conteneva alla colonna delle “uscite” elargizioni che non avevano riscontro nel mastro-cassa della contabilità ufficiale. I primi due nomi, con cifre, dell’inchiesta. Quello di “Tomarelli” con indicati “20.000 euro + 20.000″ e di “Savioli” con le cifre “25.000 euro + 60.000″. I primi 125 mila euro, le prime gocce di una marea inaspettata. Un dato accomunava Stefano Tomarelli e Pio Savioli. Avevano entrambi ricoperto cariche dirigenziali nel Consorzio Venezia Nuova, essendone stati consiglieri dal 2002 in poi. Mercoledì Tomarelli, già presidente del Consorzio Italvenezia e consigliere di Condotte d’Acqua, è stato arrestato. Savioli è solo indagato, perchè a suo tempo ha già vuotato il sacco.
Giuseppe Pietrobelli
Veneto, cantiere di infrastrutture per 17 miliardi
PROGRAMMA – È l’impegno economico di cinque anni per opere finanziate o in attesa di fondi
Il Veneto dei “grandi lavori” è un paniere al colmo. Tra opere finanziate e project in itinere le infrastrutture pesano oltre i 17 miliardi (tra finanziati e no), ai quali vanno aggiunti gli ospedali in cantiere, anche questi quasi tutti in project per un computo di due miliardi. Insomma, tra progetti attivati e finanziati, altri in cantiere, per i prossimi 5 anni al Veneto non mancherà il lavoro. Ma andiamo con ordine. La partita più pesante è senza dubbio quella delle infrastrutture stradali.
NOGARA MARE – Costo 2 miliardi. Il tracciato ha origine a Nogara, in provincia di Verona, con l’innesto sulla strada statale 12 “dell’Abetone e del Brennero”, ed ha termine ad Adria, in Polesine. Il tracciato viene completato con il collegamento che da Nogara prosegue verso ovest fino alla A22. Il concessionario è lo stesso promotore, ovvero il costituendo raggruppamento di imprese tra Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova, Confederazione Autostrade, Società Autostrade Serenissima, Astaldi Concessioni, Astaldi Spa, Impresa di costruzioni Ing. E. Mantovani, Itinera, Technital e S.I.N.A..
PROLUNGAMENTO A27 – Costo 500 milioni. L’opera, la cui realizzazione è prevista con il metodo della finanza di progetto, interessa il territorio dei Comuni bellunesi di Ponte nelle Alpi, Longarone, Castellavazzo, Ospitale di Cadore e Perarolo di Cadore ED è il prolungamento dell’autostrada A27 “d’Alemagna” da Pian di Vedoia, nel Comune di Ponte delle Alpi, fino a Perarolo, con successiva connessione alla Strada Statale n. 51 “di Alemagna”.
SR10 – Costo 292 milioni. Nel tratto da completare si estenderà nella Provincia di Padova e in quella di Verona. Sotto il profilo della programmazione, la realizzazione in nuova sede della nuova “Padana Inferiore” è condivisa a livello nazionale (l’opera è ricompresa nell’intesa generale quadro fra governo e Regione e come integrazione dell programma delle Infrastrutture Strategiche nazionali) e dalle amministrazioni provinciali e comunali interessate. Il costo è di 292 milioni; la Regione interviene con una quota di capitale pubblico regionale pari a complessivi 35,5 milioni.
NUOVA ROMEA – Il progetto è già stato approvato dal Cipe. L’importo del progetto in approvazione ammonta a 7 miliardi e 259 milioni.Collegherà Mestre a Ravenna fornendo una dorsale strategica al collegamento tra il Veneto e il Sud Italia e tra questo è l’Europa centrale e dell’Est, sarà pronta secondo le previsioni entro il 2021. É un’opera stradale di 400 chilometri che attraversa 5 regioni.
VALDASTICO NORD – Costo dell’opera 2 miliardi. Va a completamento del tratto già inaugurato della Valdastico Sud e servirà al potenziamento del collegamento tra il Corridoio Europeo n. 5 (Lisbona-Kiev) ed il Corridoio n. 1 (Berlino-Palermo). Concessionario Autostrada Brescia Verona Vicenza Padova Spa (A4 Holding Spa). Con l’avanzata fase realizzativa dei lavori lungo tutta la Valdastico sud, la previsione di apertura al traffico dell’intero itinerario attraverso le Province di Vicenza, Padova e Rovigo è confermata per fine 2014.
VALSUGANA – Costo 1 miliardo. L’associazione di imprese che ha proposto il progetto preliminare è costituita da Pizzarotti & C., Ing. Mantovani, Cis Compagnia Investimenti Sviluppo, Cordioli. Il progetto prevede la realizzazione di una superstrada a pedaggio, da Sud verso Nord, a partire da Castelfranco Veneto (Tv), dove si innesta su una rotatoria su cui convergono le Strade Regionali 51 e 245, per poi innestarsi sulla Statale 47 “Valsugana”. Il percorso sarà di 37 km.
MEOLO-JESOLO – Superstrada a pedaggio del valore di 210 milioni. Nasce da una proposta di finanza di progetto presentata nel 2007 dalle Società “Adria Infrastrutture S.p.A.”, “Strade del Mare S.p.A.” e Consorzio “Via del Mare”, proposta che si inserisce nel Piano Regionale dei Trasporti. Con il finanziamento da parte del governo di 1,8 miliardi per la realizzazione della tratta Tav Venezia-Trieste l’ipotesi di tracciato balneare pare accantonata, dopo 11 milioni spesi (tra europei, statiti e veneti) per il progetto.
PEDEMONTANA – É una delle opere più imponenti, in project financing. Costo 2 miliardi 258 milioni, per 95 chilometri di tracciato, da Montecchio Maggiore a Spresiano passando per il distretto industriale di Thiene-Schio, per Bassano del Grappa e a nord di Treviso. Il soggetto aggiudicatario è “ATI “Consorzio Stabile S.I.S. Scpa – Itinere Infraestructuras S.A.”. La posa della prima pietra è avvenuta il 10 novembre 2011 a Romano d’Ezzelino. La fine dei lavori è prevista per il 2017.
A questo quadro si devono aggiungere il “Sistema delle tangenziali venete”, ancora in via di definizione per una spesa di circa 2,5 miliardi. E anche il “Sistema ferroviario avanzato”, il primo stralcio è finanziato per 300 milioni, i successivi sono ancora senza copertura.
BETTIN «Finalmente, ma attenzione perché tutto non resti come prima»
VENEZIA – «Chi per lunghi anni – e non svegliandosi ora, come tanti che hanno taciuto e addirittura certi complici che oggi straparlano e gridano allo scandalo – chi ha sempre denunciato il sistema di potere cresciuto intorno al Mose, la rete di interessi, legami, connivenze, condizionamenti, chi per questa opposizione limpida e radicale ha pagato in intimidazioni, querele, attacchi anche personali, non può che dire “finalmente!” di fronte all’indagine della magistratura». Lo afferma Gianfranco Bettin (foto), assessore veneziano all’Ambiente. «Dopo anni di impunità, tuttavia, i danni, il guasto che rimane è enorme». Oltre a ciò, come la magistratura ha mostrato, intorno al Mose si è sviluppato quel tipo particolare di sistema di potere economico, finanziario e politico, che ha tuttora al suo servizio una corte di funzionari, tecnici e accademici, una potente presenza mediatica e una rete di relazioni fittissima, costosamente coltivata e che oggi è all’opera per far si che, passata la buriana, mutando qualche nome e forma superficiale, nella sostanza tutto resti come prima», aggiunge Bettin.
L’INCHIESTA Il procuratore trevigiano Nordio, uno dei coordinatori delle indagini, guarda oltre
LE DUE TANGENTOPOLI «Enorme la differenza fra le cifre e le mazzette sono soldi dei cittadini»
Non è ancora finita «Altri filoni aperti»
«Le ordinanze di custodia cautelare riflettono solo una parte delle indagini. Quelle che devono essere caratterizzate da questi provvedimenti severi. Poi ci sono altri filoni dei quali si vedranno gli sviluppi». Il trevigiano Carlo Nordio, procuratore aggiunto di Venezia, è tra gli autori dell’inchiesta che ha travolto il Veneto. Nel delineare gli scenari dei prossimi mesi non può e non si spinge oltre. Quel che appare chiaro è che le indagini che hanno portato in carcere 35 persone sono tutt’altro che terminate. Sono diversi gli spunti investigativi, le piste ancora non battute, che compaiono nelle 711 pagine di ordinanza d’arresto: «Altri filoni – si limita a ripetere – dei quali si vedranno gli sviluppi».
Lei aveva parlato di una tangentopoli addirittura peggiore rispetto a quella di vent’anni fa
«Le differenze consistono nell’enormità delle cifre contestate che oscillano tra i 20 e i 50 milioni di euro. Poi ci sono il danno erariale, le evasioni e le frodi fiscali. All’epoca si parlava di un miliardo e quindi, anche concedendo l’attenuante dell’inflazione, siamo distanti. Oggi poi il sistema politico è più sfilacciato di quello tripartitico di allora. E ad essere coinvolti sono anche, ahimè, altri organi di alto rango amministrativo e costituzionale preposti al controllo».
Nell’evoluzione del sistema delle mazzette chi paga il prezzo più alto?
«La falsa fatturazione è sempre esistita. A quell’epoca le tangenti venivano pagate con i profitti dell’impresa mentre oggi vengono pagate con l’elusione fiscale e quindi con i soldi pagati direttamente dal cittadino».
Un’indagine articolata che si basa solo sulle intercettazioni e sulle testimonianze o c’è dell’altro?
«Ha parlato il gip con un’ordinanza di circa 800 pagine dalla quale si evince chiaramente che le intercettazioni sono state solo un mezzo per la ricerca della prova. Le testimonianze, per altro numerose, sono state semplicemente oggetto di riscontro ma il nocciolo poggia su ricostruzioni e documentazioni contabili. Prove oggettive che vanno aldilà di una ricostruzione data da chi ha reso una testimonianza. Anche se mi pare che siano dichiarazioni molto gravi precise e concordanti».
Che lezione se ne può trarre a distanza di vent’anni?
«Non è possibile che questo sia un Paese in cui per aprire un bar sia necessario aprire quaranta porte. È inevitabile che prima o poi qualcuna si chiuda e non si apra fino a quando non hai oliato la serratura.»
Andrea Zambenedetti
Ora trasparenza sugli appalti della sanità
Le inchieste sull’Expo di Milano, sul Mose di Venezia, rappresentano forse la punta di un iceberg di un sistema perverso di realizzare le opere pubbliche o a rilevanza pubblica in Veneto e più in generale nel Nord. Dalla pedemontana Veneta, al passante di Mestre, alle bonifiche dell’area di Marghera o al giro di affari che ruota attorno al campo della sanità, sia nell’edilizia ospedaliera che negli acquisti di servizi e forniture, nulla potenzialmente è immune dall’avidità e dalla delinquenza anche organizzata.
Non può più essere solo la voce di chi rappresenta i lavoratori sfruttati da questi meccanismi clientelistici e malavitosi, come nei casi eclatanti della logistica e del facchinaggio, a denunciare questa aberrante situazione. Ci sia, prima di sprofondare ancora più in basso, uno scatto di reni. Tutti gli attori istituzionali, a tutti i livelli, si assumano la responsabilità di migliorare le normative sugli appalti, di ripristinare il reato di falso in bilancio, di varare una seria legge anticorruzione che preveda controlli e inasprisca le pene. Il malaffare e la corruzione sono problemi complessi con i quali facciamo i conti da lungo tempo e deve essere chiaro a tutti che anche nuove buone regole non saranno sufficienti se non abbiamo la volontà e la caparbietà di affrontare la questione sotto il profilo culturale, di tirare una linea col passato ed edificare le nostra economia, la politica, il governo del territorio con mattoni di cristallo. Per fare questo serve un impegno di tutti i soggetti istituzionali, economici e sociali, sindacato compreso.
La corruzione ha un impatto importante sulla spesa pubblica, un fenomeno che altera la percezione dell’utilità della spesa pubblica stessa, dissuade gli investimenti nel nostro Paese, demolisce la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni, indebolendo ulteriormente democrazia e coesione sociale, mette a rischio il lavoro già fortemente compromesso, esclude il mondo sano delle imprese e della cooperazione. La cultura della legalità, la responsabilità che sta in capo a ogni singolo cittadino, deve maturare nell’insieme della società. Diversamente non sarà possibile trasformare un sistema che si regge su una tolleranza diffusa o su un generico sentimento di indignazione che dura lo spazio di un momento.
L’ex Direttore alla Sanità veneta risulta tra gli indagati e proprio perché il 75% del bilancio regionale è composto da spese per la sanità, e che gli appetiti attorno a tale giro di affari non mancano, riteniamo importante che la Regione operi una messa in piena trasparenza dei progetti che si sono fatti in questi anni nel campo dell’edilizia sanitaria pubblica e nella lunga filiera del settore sanitario anche sul nostro territorio. Non vogliamo diffondere la cultura del sospetto. Anzi: vogliamo proprio evitarla dando trasparenza all’agire pubblico di soggetti istituzionali e privati.
Giacomo Vendrame – Segretario generale Cgil Treviso
EX MAGISTRATO ALLE ACQUE – Maria Giovannna Piva sospesa dall’Ordine degli ingegneri
Maria Giovanna Piva (nella foto a lato), presidente del Magistrato alle Acque, emanazione del ministero delle Infrastrutture, tra il 2001 e il 2008, è stata sospesa dall’Albo dell’Ordine degli ingegneri. Lo ha reso noto lo stesso presidente dell’Ordine, l’ingegner Ivan Antonio Ceola, che rileva come sia “un atto dovuto in quanto persona arrestata” per corruzione nell’inchiesta Mose. Maria Giovanna Piva, secondo l’Ordinanza del Gip e gli accertamenti della Guardia di finanza, avrebbe ricevuto in più riprese complessivamente quasi 600mila euro in modo illecito. Oltre a lei, l’inchiesta ha coinvolto anche un altro Magistrato alle acque, Patrizio Cuccioletta.
Cipriani: «Venezia colpita al cuore»
El Felze: «Falconi lasci l’Ente gondola»
Venezia colpita al cuore «da amministratori piccolo borghesi». A parlare con tanta amarezza dell’inchiesta sugli appalti del Mose è un veneziano doc, Arrigo Cipriani, patron dell’Harry’s Bar. «Che sensazioni mi suscita questa nuova inchiesta? – riflette Cipriani – La mia città è stata colpita al cuore ma dico anche che ora ci si sbalordisce di ciò che si sapeva da tanto tempo. E si sapeva perchè questa è un’opera folle. E non sarà nemmeno l’ultima inchiesta perchè la verità è che siamo governati da amministratori piccolo borghesi. Gente che non spende i soldi per il bene della mia città». Cipriani riflette su quanto sta emergendo con l’inchiesta: «ora il sindaco Giorgio Orsoni prende le distanze dal saccheggio. Eppure chiunque ricorda le immagini del sindaco che andava a visitare i cantieri con l’elmetto. Perchè non prendere le distanze prima? Per carità – aggiunge il patron dello storico locale tra i simboli di Venezia – la magistratura ha fatto un lavoro straordinario ma il problema è che la città va liberata dai vecchi individui che continuano ad avere le mani in pasta». Cipriani cerca di guardare avanti. «Ad un certo punto questa inchiesta che ha portato a galla sprechi e saccheggi è quasi una liberazione. Mi rendo conto che può sembrare un paradosso ma da 82enne dico che i giovani non sono così, non sono corrotti. Però quanta amarezza: è corruzione anche vedere e non intervenire», conclude Cipriani.
Ma anche nelle tante associazioni della città c’è sgomento. Una su tutte: El Felze, che si occupa di tutela delle imbarcazioni tipiche. «Come cittadini e come artigiani – dice un comunicato del sodalizio – ci sentiamo ulteriormente vessati e profondamente offesi dai fatti emersi dall’inchiesta sulla gestione del Consorzio Venezia Nuova e sulle implicazioni della politica e della grande imprenditoria veneta. Ancor più brucianti appaiono a noi che quotidianamente, pur nelle difficoltà dell’attuale economia italiana, tentiamo di affermare il nostro lavoro cercando di rispettare la pletora di norme, regole e scadenze fiscali. L’onta ha risvolti che superano ogni confine: sembra non esserci limite al malaffare ed esso rischia di oscurare internazionalmente la fama dell’artigianato veneziano, già messo fortemente a rischio dal mercato immobiliare impazzito e da una inetta politica della gestione del patrimonio culturale».
«Come associazione El Felze – ribadiscono – ci siamo sempre impegnati in progetti che ponevano la città al centro dell’attenzione e i suoi abitanti quali propulsori attivi e non inconsapevoli spettatori. Non possiamo quindi non prendere posizione chiedendo un cambio radicale nella gestione della città e della sua laguna. Apprendiamo, con grande disappunto, che sembra essere pesantemente coinvolto anche il presidente dell’istituzione per la Conservazione della Gondola e la Tutela del Gondoliere. Col presupposto della sua innocenza fino all’ultimo grado di giudizio e in attesa dei risultati della Giustizia chiediamo che responsabilmente e nel rispetto della città e di chi per e su la gondola lavora, si dimetta da tale incarico».
Mose. MA ESISTEVANO PURE LE ALTERNATIVE
Il Mose serve solo a chi lo fa: lo abbiamo sostenuto in tanti, più di dieci anni fa, con tanto di manifesti con famelico pescecane. Che il Consorzio Venezia Nuova fosse una gioiosa macchina mangiasoldi noi del Lido, in particolare, lo abbiamo capito nel 2000 col progetto di ripascimento artificiale dei murazzi, area litoranea soggetta da anni a un processo di insabbiamento naturale. Altri in seguito, più competenti in quanto in possesso di strumentazione tecnica e soprattutto indipendenti, hanno saputo argomentare sulla dannosità dell’opera, irreversibile e quindi contraria alla legge per la tutela di Venezia. Sulla sua eccessiva macchinosità, e quindi a rischio di insuccesso; opera per di più affidata a un concessionario unico, e perciò soggetta ovviamente a lievitazione di costi e fonte di per sé di corruzione. Costosa all’inverosimile, quando esistevano alternative più economiche e non di poco, nonché rispettose della legge e dell’ambiente. Ma ancora più costosa a causa degli altissimi oneri di manutenzione, tanto da poterla definire una macchina mangiasoldi a moto perpetuo. Ma pochi ci diedero ascolto, soprattutto nei palazzi del potere. Chissà come mai… Ma serve sempre poco rimarcare come “l’avevamo detto”. Cerchiamo di guardare avanti, di capire come uscire dalla morsa della piovra che, oggi, si è solo allentata. Siamo sotto dittatura, la peggior dittatura, quella del danaro. I rappresentanti politici di questa pseudo democrazia sono stati messi lì (quantomeno con campagne elettorali profumatamente pagate) per tutelare interessi particolari. La corruzione si riflette in questa democrazia consunta. Eppure nella nostra città ci sono forze che possono andare contro il “sistema” coordinato di interessi che ammorba la vita pubblica e anche quella privata. L’indignazione non basta, anche se è un buon punto di partenza. A Venezia ci sono competenze, saperi e intelligenze in grado di valutare e giudicare la bontà di opere pubbliche e appalti. Anche se pare impossibile, ci sono ancora forze vive fatte di movimenti, di gente nuova e meno nuova capaci di esprimere interesse per il bene comune e, proprio per questo, in grado di confrontarsi con i poteri forti che da decenni ammorbano la città. Bisogna resettare tutto, però, e in fretta. La Giunta si deve dimettere per ripartire da zero, dalle macerie. Quindi bisogna ricostruire e non sarà cosa facile. L’unica chance che vedo è ripartire dai movimenti; i partiti devono, ahimè, saltare un turno. Se così non sarà, temo sia giunto il momento di andarsene da questa realtà ormai irredimibile.
Sergio Torcinovich – Venezia
CHIOGGIA. Il Mose va avanti. Ecco il primo cassone alla Bocca di porto
Il Mose va avanti. Ieri mattina alla Bocca di Porto di Chioggia è stato posato il primo cassone che, sul fondale, ospiterà una delle paratoie mobili per arginare l’acqua alta.
AL PORTO Entro settembre saranno affondati otto cassoni ai quali saranno agganciate le paratoie
Il “mini” Mose galleggia a Chioggia
VENEZIA – Non si ferma la ‘scaletta’ dei lavori per la realizzazione del Sistema Mose. Il Consorzio ‘Venezia Nuova’ ha iniziato, ieri mattina, i lavori per affondare il primo cassone in cemento armato della barriera della bocca di porto di Chioggia, soprannominato “mini Mose”. Si tratta del «cassone di spalla» collocato sulla sponda nord del canale di bocca. «È iniziata – rileva una nota del Consorzio – una ulteriore, importante fase dei lavori del Sistema Mose, dopo l’ultimazione della posa di tutti i cassoni alla bocca di porto di Lido. A Chioggia, gli 8 cassoni, 2 ‘di spalla’, da porre ai lati della barriera, e 6 di alloggiamento, ciascuno dei quali ha una larghezza di 60 metri, una lunghezza di 46 metri e un’altezza di 11,50 metri, terminerà tra la fine di agosto e inizi di settembre. Una volta alloggiati sul fondo del mare, i cassoni conterranno le 18 paratoie necessarie per la bocca di Chioggia, larga 360 metri».
A Chioggia è stato realizzato un porto rifugio, sul lato dell’oasi naturalistica di Cà Roman, che è costituito da due bacini: il principale lato mare è circa 8 ettari, mentre quello lato laguna è circa 4 ettari. I due bacini sono collegati tra loro da una doppia conca di navigazione che permetterà il passaggio dei pescherecci quando le paratoie saranno sollevate. Il bacino lato mare era stato svuotato dall’acqua e impermeabilizzato; è stato utilizzato come area di cantiere per la fabbricazione dei cassoni. «Per procedere all’installazione degli alloggiamenti per le paratoie nello scavo predisposto nel canale di bocca – spiegano i tecnici – è stato necessario riallagare la tura in modo da metterli in galleggiamento e poterli trainare fino al punto stabilito. I cassoni ora devono essere affondati fino a scomparire completamente dentro l’apposito scavo». La movimentazione avverrà nel periodo compreso tra giugno e settembre, in giorni stabiliti dalle Autorità preposte e comunicati dalla Capitaneria di Porto di Chioggia. La movimentazione, ai fini della sicurezza, rende necessaria la chiusura totale della bocca di porto alla navigazione in entrata e in uscita per 48 ore consecutive.