Gazzettino – Lo strano caso dell’ingegner Fasiol, la sua nomina non fu autorizzata.
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15
giu
2014
VENEZIA – Il difensore: «Mancava l’ok regionale, così rinunciò al collaudo del Mose»
Lo strano caso dell’ingegner Fasiol, la sua nomina non fu autorizzata
Serviva un uomo negli apparati di vertice della Regione. Non nella struttura politica dell’assessorato, ma in un ruolo tecnico. Per controllare le procedure, indirizzare le pratiche, accelerare i tempi, in particolare dei project financing. Nella costruzione perfetta del sistema Mantovani, che secondo l’accusa aveva due referenti formidabili nel governatore Giancarlo Galan e nell’assessore ai Trasporti Renato Chisso, era necessario un terzo ingranaggio. Lo sostengono i pubblici ministeri che hanno chiesto e ottenuto l’arresto di Giuseppe Fasiol, 53 anni, residente a Rovigo. È il commissario straordinario alla riforma del Settore Trasporti, nonchè dirigente regionale della Direzione Strade, autostrade e concessioni infrastrutture di trasporto. Ma anche componente della commissione di collaudo (la nomina risulterebbe in data 11 gennaio 2012) per la verifica funzionale del sistema Mose, su sollecitazione di Giovanni Mazzacurati e Piergiorgio Baita. Insomma, il numero due delle infrastrutture, dopo Silvano Vernizzi.
Ma è davvero tutto oro quello che luccica nell’inchiesta veneziana? La tesi della Procura viene contestata dal difensore, l’avvocato Marco Vassallo, che ricorrendo al Tribunale del riesame ha esibito un prova ad effetto, che dimostrerebbe l’inesistenza del presupposto che ha portato in carcere Fasiol. All’ingegnere sono contestati quattro incarichi ricevuti dal Magistrato alle Acque (tutti con data 2 aprile 2013), relativi a collaudi alle bocche da porto. Le parcelle sono contenute: 6.386, 3.296 euro, 5.156 e 2.485 euro. Secondo i Pm, Fasiol sarebbe «l’uomo giusto al posto giusto» per la coppia composta da Claudia Minutillo e Piergiorgio Baita, che erano affamati di controllare l’operatività del Mose e far avanzare i project financing.
Fasiol è citato in un contesto di contrasti tra Baita e Silvano Vernizzi, segretario generale alle Infrastrutture della Regione. Un funzionario in carriera, Fasiol, a cui Baita decide di far assegnare il collaudo del Mose. Minutillo ha detto: «Lui apprezzò molto questa cosa. E’ ovvio che un collaudo del genere vale tanti, tanti soldi, perché va in base al valore dell’opera». Serviva però l’autorizzazione dell’assessore. «Chisso era contentissimo e disse che non ci sarebbero stati assolutamente problemi per l’autorizzazione».
Ma qui si profila un possibile colpo di scena. «L’ingegner Fasiol aveva presentato la domanda per ottenere dalla Regione l’autorizzazione a ricoprire l’incarico. Ma l’autorizzazione non è mai arrivata e così lui ha revocato la richiesta» sostiene l’avvocato Vassallo. Conclusione? «La nomina non ebbe seguito, l’ingegner Fasiol non ha fatto alcun collaudo». Eppure nel capo d’imputazione è esplicito il riferimento alla nomina «espressamente sollecitata» da Baita e Mazzacurati con la conseguente accusa di aver ricevuto «a titolo di compenso» le quattro parcelle per circa 19 mila euro. «Confidiamo nel riesame, che discuterà il nostro ricorso per insussitenza totale di indizi il 23 giugno» conclude il difensore.
La Regione stoppa i progetti più onerosi: Protonico a Mestre e Patavium
E porta a termine solo quelli iniziati. Ma l’inchiesta guarda anche indietro
OPERE & SOLDI – L’Angelo costerà all’Asl veneziana un miliardo. Freno ai progetti veronesi
PRIVATI – L’ospedale dell’Angelo di Mestre, la struttura che l’allora governatore Giancarlo Galan costruì in “project financing”
Ospedali, i project nel mirino: ogni anno buttati 100 milioni
Potrebbe essere il secondo filone dell’inchiesta che sta squassando il Veneto: gli ospedali. Che pacchi di carte siano già sotto la lente non è solo una voce, è quasi inevitabile visto che già nella inchiesta sul Mose la voce “project” è riecheggiata più volte. La partita “ospedali” è infatti già nel mirino degli inquirenti, chiacchierata da tempo per quei costi spropositati di alcune strutture sanitarie noti da tempo. Così sotto la luce del sole che lo stesso Zaia non aveva fatto mistero sui motivi della rivoluzione nei vertici della Asl, al momento del rinnovo dei manager. Cambio di rotta voluto proprio per creare una discontinuità e inserire linfa fresca all’interno del comparto. La sanità non si regge infatti solo sulla gestione degli ospedali e della spesa territoriale, ma anche sulla “progettualità”. E di ospedali il Veneto già fatti, in via di assegnazione e “solamente desiderati” ne ha parecchi. Milione più milione meno, sono quasi due miliardi (tra già finanziati e bloccati) i soldi da impegnare.
Che Zaia sui “project” abbia più volte alzato la voce non è storia di oggi. Lo ha fatto in Consiglio regionale, chiedendo una riflessione al parlamento regionale, lo aveva riproposto in sedi diverse, denunciando come la finanza di progetto utilizzata in sanità sia fuori mercato e abbia costi esorbitanti. Ed è venuto fuori pure nel giudizio di parificazione della Corte dei Conti.
Morale della favola, i “project” pesanti in Veneto sono stati stoppati, almeno quelli nuovi, visto che i contratti blindatissimi ereditati dalle passate amministrazioni non si toccano. Quelli già iniziati sono stati portati a compimento e quelli a metà del guado lo saranno comunque (a volte le penali pesano più dell’impegno economico complessivo). Ospedali nuovi, nuovi dalla testa ai piedi, da anni il Veneto non ne costruisce. La giunta ha concluso quanto ereditato e si è messa di traverso su nuovi progetti. Uno su tutti il “Protonico” di Mestre, costo complessivo 738 milioni per curare un centinaio di pazienti quando ad un centinaio di chilometri c’è un centro attrezzatissimo. Il Polo, avversato da più parti e sostenuto dalla precedente amministrazione, è stato definitivamente affossato da un’informativa di giunta presentata il 3 ottobre del 2013 dall’assessore Luca Coletto. O ancora di più il faraonico progetto dell’ospedale di Padova, 1 miliardo e 200 milioni per un “project” che doveva rivoluzionare anche la viabilità di una parte della città, maturato ancora con la giunta Galan e che probabilmente mai vedrà la luce visto che, oltre agli stop della Regione, arriveranno pure quelli del nuovo sindaco di Padova Bitonci.
Resta l’Angelo, super costoso ospedale di Mestre, per il quale oltre al “project” si è ereditato pure il “global service”: “un pozzo senza fondo” è stato più volte definito. L’Asl, per una struttura costruita con 241 milioni, complessivamente dovrà sborsare ben oltre un miliardo di euro.
Altro project financing finito nel mirino quello di Santorso (a Schio, appena finito): 150 milioni di spesa e una stupenda facciata in opaline che ha già avuto necessità di manutenzioni pesanti. I conti sono facili: un project alla fine costa il 13 per cento d’interessi, chiedere i soldi decisamente meno. E poi c’è il vincolo indissolubile con il privato. I conti sono stati più volte fatti anche dalla Corte dei Conti: al Veneto i project costano 100 milioni di euro in più all’anno. Più o meno il disavanzo che ogni anno la Regione si trova a dover colmare usando i “tesoretti” accantonati. In tempi non sospetti, quando a Zaia venne chiesto come mai questa giunta in Sanità non progettava nulla, la risposta fu che con 4 miliardi e 400milioni di buco c’era proprio poco da progettare. E poi quello che era in cantiere non era in linea con lo spirito: troppi project e eccesso di opere faraoniche affidate agli “archistar” che pensano alla bellezza e a volte trascurano la funzionalità.
Stop su Padova, frenata sui mega progetti veronesi (l’ospedale della mamma e del bambino), occhi più che attenti sulla “Cittadella” di Treviso anche se in questo caso non si tratta esclusivamente di un progetto di finanza. Ma non basta per levarsi gli sguardi di torno. Le carte sono state raccolte. Tutte.
SCANDALO MOSE – Chisso chiede di essere scarcerato. Gli avvocati di Mognato e Zoggia attaccano Orsoni
Renzi affonda il Magistrato alle acque
Cancellata la storica istituzione travolta dall’inchiesta. Ospedali nel mirino, Zaia blocca nuovi appalti a Padova, Mestre e Verona
STOP – Fine del Magistrato alle acque, già travolto dallo scandalo-Mose. Con un colpo di penna il consiglio dei ministri cancella cinque secoli di storia.
L’INCHIESTA – Anche la sanità nel mirino: soprattutto i project financing. Intanto Mognato e Zoggia(Pd) attaccano il sindaco Orsoni.
Secondo l’accusa quattro parcelle erano il prezzo della connivenza
SCONTRO NEL PD – Tirati in ballo per i soldi del Consorzio, gli interessati replicano con i loro avvocati
L’INTERROGATORIO – L’ex sindaco: «Sul conto della campagna elettorale affluirono 300mila euro»
«Da noi solo un apporto politico, non ci occupammo dei finanziamenti»
Zoggia-Mognato, attacco a Orsoni
È scontro totale tra l’ex sindaco Giorgio Orsoni e i vertici del Partito democratico. Ieri i parlamentari Michele Mognato e Davide Zoggia, attraverso i rispettivi legali, hanno duramente replicato alle affermazioni di Orsoni in merito alla vicenda dei finanziamenti delle campagna elettorale del 2010. E il fatto che siano scesi in pista i legali fa capire che il clima è a dir poco rovente. «Durante la campagna elettorale del 2010 l’onorevole Michele Mognato – scrivono gli avvocati Alicia Mejia e Alfredo Zabeo – si adoperò nella stesura del programma elettorale e delle schede di sintesi per fornire allo staff i suggerimenti per il candidato. Mognato ribadisce di non aver mai partecipato ad incontro alcuno nè di mai di aver trattato di finanziamenti. E poi dalla primavera del 2008 sino alla scadenza del 2010 Mognato era assessore e vicesindaco, non aveva la carica di segretario».
Anche Davide Zoggia ribatte a Orsoni. «All’epoca della campagna elettorale – aggiungono gli avvocati Gianluca Luongo e Marta De Manincor – Zoggia era il responsabile nazionale enti locali del Pd ed in tale veste ha dato il proprio apporto politico, lo stesso che ha riservato a tanti candidati delle elezioni locali del 2010. A Zoggia furono chieste indicazioni di natura politica ed in modo particolare per la venuta a Venezia di personalità politiche di rilievo nazionale. Mai si occupò di indicare membri dello staff elettorale al professor Orsoni che come noto non è persona che si lasci etero-dirigere nelle proprie scelte. Zoggia non fece parte del Comitato elettorale di Orsoni».
E proprio sulla vicenda del finanziamento emergono altri particolari dell’interrogatorio di Orsoni davanti ai magistrati lagunari. «Accettai la candidatura ponendo delle condizioni relative al fatto che, non avendo nessuna esperienza politica e tantomeno elettorale, non avrei saputo come organizzarmi – spiega l’ex sindaco ai magistrati – Lo dissi da subito, mi toccò ripeterlo e questa è stata una delle ragioni di attrito con i partiti, in particolare con il Pd. Dissi con chiarezza che non sapevo come organizzarmi e soprattutto che non sapevo come reperire le risorse. Mi venne garantito che si sarebbero dati da fare tutti e individuai un mandatario elettorale, indicato anche dal Pd, che avrebbe aperto un conto corrente sul quale far affluire le somme necessarie. Sul conto affluirono, lo scoprii alla fine della campagna elettorale, quasi 300mila euro, cifra che mi sembrava enorme, devo dire, a me che ero abbastanza a digiuno di queste cose».
Sempre sul fronte dell’inchiesta sui finanziamenti del Mose, ieri l’avvocato Antonio Forza, che difende l’ex consigliere regionale Renato Chisso, ha ufficialmente presentato ricorso al Tribunale del riesame. L’avvocato Forza, che ha depositato un corposo memoriale, punta alla revoca della misura cautelare in carcere e alla concessione dei domiciliari. E nei prossimi giorni dovrebbe esserci anche la deposizione dell’ex presidente della giunta regionale, Giancarlo Galan, il quale, attraverso gli avvocati Antonio Franchini e Niccolò Ghedini ha già avuto un contatto con i magistrati lagunari.
Gianpaolo Bonzio
IN TOSCANA – Via libera nei terreni di Mazzacurati a un maxi albergo a cinque stelle
VENEZIA – Lo scandalo del Mose tiene banco anche in Toscana, complice l’approvazione di un maxi albergo di lusso a Bibbona, provincia di Livorno: il “Wine & Oil Resort Bolgheri” a cinque stelle in località Aione – approvato a dieci giorni dalle elezioni – è un progetto della Assia Srl, società intestata a Giovannella Mazzacurati, figlia dell’ex presidente del Consorzio Veneiza Nuova, Giovanni. Rispetto a i piani originari – come riportano le cronache locali – la localizzazione è stata spostata “in una porzione di Bibbona decisamente appetibile e di proprietà della famiglia Mazzacurati”.
Il nome di Giovannella Mazzacurati, con le sorelle Cristina e Elena, era comparso nella carte della Guardia di finanza già un anno fa, all’epoca dell’arresto dell’ex presidente del CVN, a proposito di «benefici economici ottenuti direttamente o indirettamente dal Consorzio» attraverso la società Ing. Mazzacurati Sas.
Zaia: il Mose? Oggi il mio sarebbe un no a prescindere
VENEZIA – «Se oggi mi trovassi nelle condizioni di dover partire da zero con un progetto del genere del Mose, direi di no a prescindere». Lo ha detto ieri il presidente del Veneto, Luca Zaia: «Si dice che il costo sarà di 20 milioni l’anno, ma non so se basteranno. E in ogni caso, per la gestione sarà indispensabile fare una gara pubblica», ma secondo Zaia, «non ci deve essere alcuna rendita di posizione». Sull’opportunità di un commissariamento del Consorzio, Zaia si è limitato a proporre che «settore per settore, quanto resta da fare in quest’ultima parte del cantiere è saggio metterlo in gara».
NEL 2010 UN CONTRIBUTO DI 80MILA EURO
La Regione finanziò un film sul Mose
VENEZIA – Che bisogno c’era di finanziare con 80mila euro presi dalle casse della Regione Veneto un film sul Mose quando il Mose, tra l’altro, non era neanche finito? Correva l’anno 2010, a Palazzo Balbi si era appena insediata la giunta del leghista Luca Zaia e a dicembre (delibera 3219) vennero approvati i contributi previsti dal Fondo regionale per il cinema. Tra questi, ottantamila euro andarono alla SD Cinematografica srl di Roma per il lungometraggio “Mose la sfida di Venezia”. Perché? A distanza di quattro anni, l’assessore che aveva proposto la delibera, Marino Zorzato (Ncd), spiega: «Tutto questo non c’entra niente con il Consorzio Venezia Nuova, sono contributi previsti da una legge regionale, è un bando e il giudizio tecnico spetta a una commissione, poi la delibera va in consiglio regionale».
Il 2010 è anche l’anno in cui il regista Carlo Mazzacurati, figlio di Giovanni, recentemente scomparso, presenta fuori concorso alla Mostra del cinema il film “Sei Venezia”. Il Consorzio lo regalerà poi come strenna di Natale.
IL CONFORMISTA
di Massimo Fini
Lo scandalo Mose e le “cose raccapriccianti” che finanziano i partiti
Oggi è di moda sparare sulla burocrazia. Non c’è uomo politico, non c’è partito che non accusi la burocrazia, per le sue complicatezze, soprattutto in materia fiscale, di essere un peso insopportabile per l’imprenditoria italiana oltre che un angoscioso tormento per la vita del singolo cittadino. Bene, secondo uno studio della Confartigianato negli ultimi sei anni, da metà aprile del 2008 a marzo di quest’anno, il Parlamento ha approvato 629 norme in materia fiscale, di queste solo 72 semplificano le procedure, 389 le complicano. Ed è pressoché certo che se analoghi studi fossero fatti su altri rami della Pubblica Amministrazione il risultato sarebbe più o meno lo stesso. Che c’entrano i burocrati? I burocrati applicano le leggi e le leggi, sotto la guida del governo, le fa il Parlamento cioè proprio quegli uomini politici e quei partiti che puntano il dito contro le complicazioni burocratiche. Il dito dovrebbero puntarlo contro se stessi. Lo stesso avviene con i magistrati, odiati dalla classe dirigente da quando, con Mani Pulite, hanno osato chiamare anche ‘lorsignori’ al rispetto di quella legge cui tutti siamo tenuti. Se in via preventiva mettono in galera dei ‘pezzi grossi’ (che quasi mai è vera galera – questa tocca ai poveracci – ma i più comodi ‘arresti domiciliari’ in lussuose ville) li si accusa di volersi fare pubblicità. Ma a parte il fatto che se si seguisse questo ragionamento nessun uomo politico potrebbe essere mai indagato, la discrezionalità del Pubblico ministero nel decidere o no un arresto (discrezionalità peraltro correggibile dal Gip e dal Tribunale della libertà) gli viene dalle leggi e le leggi le fa il Parlamento, cioè proprio quegli uomini politici che, a seconda dei casi, si scandalizzano per quegli arresti. Se si ritiene che quella discrezionalità sia eccessiva, la si limiti con una nuova legge, altrimenti il magistrato non può che applicare quella vigente. Uomini politici e partiti gridano all’infamia quando delinquenti notori vengono liberati per la decorrenza dei termini della carcerazione preventiva. Ma chi, in questi anni, ha inzeppato il Codice di procedura penale di leggi cosiddette ‘garantiste’ tanto da allungare all’infinito i tempi del processo, se non il Parlamento, cioè quegli uomini politici e quei partiti che poi gridano all’infamia? Se i termini sono decorsi il magistrato non può e non deve far altro che applicare la legge, che non lui ha fatto, ma altri, non può dire, alla Jannacci, «no tu no» perché sei cattivo e malfamato. Il Italia è costume, o piuttosto malcostume, dare sempre la colpa agli altri. Quando è scoppiato lo scandalo Mose il premier Renzi ha affermato «sono cose raccapriccianti che fanno malissimo all’immagine dell’Italia». Ma questa ‘Vispa Teresa’ che è in politica dall’età di 22 anni non sapeva che queste ‘cose raccapriccianti’ sono il metodo usuale per finanziare, oltre ai manigoldi propriamente detti, i partiti e quindi indirettamente anche lui che ne fa parte da vent’anni? È inutile e volgare fare la faccia feroce («li cacceremo a pedate nel sedere») quando i buoi sono scappati. Altre stalle vuote si chiuderanno se i partiti italiani, che sono il vero cancro del sistema, rimarranno quello che sono. Pare che il Pd abbia accumulato 10 milioni di debiti. Ora, per avere dieci milioni di debiti bisogna che per le sue casse siano passati centinaia di milioni. Un cittadino normale, che non sia un ladro, di debito può avere solo qualche migliaio di euri.
Il governo ha soppresso. il Magistrato alle Acque
È IL TERZO STOP – Venne abolito già nel 1808 e nel 1866
Il consiglio dei ministri cancella l’organismo dopo le accuse di corruzione ai due ex presidenti Cuccioletta e Piva. Da ottobre le funzioni passano al Provveditorato per le opere pubbliche
A RIALTO – Il Palazzo dei X Savi, sede del Magistrato alle acque, affacciato sul Canal Grande a Rialto
Con un colpo di mano, il Governo di Matteo Renzi ha soppresso il Magistrato alle Acque di Venezia, erede di un organismo attraverso il quale la Serenissima ha mantenuto l’integrità della laguna per oltre mezzo millennio. Il provvedimento del Consiglio dei ministri varato venerdì sera entrerà in vigore dal primo ottobre e prevede che le competenze del Magistrato siano assorbite dal Provveditorato interregionale del Triveneto per le opere pubbliche. Visto così, si tratterebbe di un atto più simbolico che di una razionalizzazione vera e propria, dal momento che il Magistrato alle Acque già fa parte del Provveditorato e il suo presidente è anche il Provveditore del Triveneto. Evidentemente, il Governo ha voluto dare un segnale forte dopo la caduta della giunta Orsoni a causa della vicenda dei presunti finanziamenti illeciti alla campagna elettorale del sindaco. Accuse ben più gravi di queste hanno invece coinvolto direttamente due ex presidenti dell’istituzione: Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta. Ad entrambi, la Procura di Venezia contesta di aver percepito annualmente ingenti somme oltre ad altri benefici.
Il fatto è che il Magistrato non si occupa solamente del Mose, ma di una lunga sequela di attività che hanno a che fare con la vita cittadina: basti pensare alla disciplina e alla vigilanza del traffico acqueo sulla laguna alle concessioni di spazi e specchi acquei per ormeggi e darsene su tutta la gronda lagunare e alle autorizzazioni per gli scarichi reflui, dalle quali dipendono tutte le attività produttive che insistono su Venezia.
E allora, si chiedono in molti, perché cancellare questa istituzione, fondamentale per la laguna solo perché alcune figure apicali del passato sono finite sotto inchiesta per il Mose? E perché cancellare solo il “nome” del Magistrato alle acque, se è vero che non cambierà nulla?
Fonti governative fanno capire che si tratta solo del primo atto.
«Le competenze saranno assorbite e la specificità sarà abolita – fanno sapere dal Ministero delle Infrastrutture – per mettere in moto una riforma più ampia. La figura del Magistrato alle Acque è abolita, ma rimangono a capo del Provveditorato tutte le funzioni».
In città non ci sono state ancora reazioni ufficiali, ma nell’ambiente politico l’iniziativa del Governo è stata un po’ vista come uno schiaffo a Venezia (già duramente provata dall’inchiesta della magistratura e dalla crisi in Comune) e anche al disegno di legge Casson per la riforma della Legge speciale, la quale punta a unificare le competenze sulla laguna togliendole dal livello nazionale. Accorpando il Magistrato al Provveditorato, invece, il legame con il Governo è ancora più stretto.
Casson, però, non la vede in questo modo. Per lui la questione è ancora in divenire e ci sono margini per un intervento.
«Una cosa positiva è la decisione di dare un taglio con il passato – commenta – ma non deve finire qui, nel senso che per le competenze fondamentali che fanno capo al Magistrato alle Acque, la questione è delicata e per apportare delle correzioni c’è tempo fino a ottobre».
Michele Fullin
Una storia lunga cinque secoli a tutela della laguna di Venezia
L’ente fu istituito dalla Serenissima nel 1501: fece i Murazzi a difesa dal mare, deviò fiumi perché non diventasse palude
Colpito dallo scandalo e affondato dalla politica. Con la decisione del premier Matteo Renzi si conclude una storia lunga oltre cinquecento anni. Era il 7 agosto del 1501 quando la Serenissima Repubblica, consapevole di dovere ad ogni costo mantenere i delicati equilibri della laguna e dei fiumi che vi sfociavano per evitare che l’immensa distesa d’acqua diventasse palude, decise di avviare una energica azione preventiva eleggendo tre Savi alle Acque, la magistratura da cui nacque il Magistrato alle Acque.
Per la verità, già nel 1808, durante la dominazione francese (1806-1814) il vicerè d’Italia Eugenio lo aveva soppresso, incurante del fatto che nei secoli quella nobile magistratura aveva fatto realizzare grandi opere di ingegneria idraulica, come la costruzione dei murazzi, la deviazione dei fiumi per salvaguardare l’interramento della laguna e, non ultimi, i tanti manufatti per rendere navigabili i corsi d’acqua dell’entroterra. Le conseguenze di quella prima abolizione non tardarono però a rendersi evidenti, tanto che già sotto il successivo governo austriaco (1816-1848) la struttura fu ripristinata e a più riprese trasformata con altri nomi e schemi organizzativi.
Una seconda abolizione avvenne nel 1866, quando Venezia e il Veneto diventarono italiani, ma dopo ripetuti disastri idraulici quell’antico istituto venne ancora ripristinato (5 maggio 1907) con lo scopo di concentrare nel nuovo Magistrato alle Acque tutti i poteri e le funzioni attinenti al buon regime delle acque.
Siamo oggi al terzo stop. Ciò non significa comunque che la laguna non abbia più bisogno di qualcuno che la tuteli. L’organo strutturato dalla Serenissima, proprio perché la laguna era per Venezia la prima ragione di vita, aveva l’obbligo di riunirsi settimanalmente su convocazione del doge. E disponeva di un suo portafoglio e deteneva il potere di comminare pene.
VENEZIA – E sul fronte politico, dopo le dimissioni del sindaco, si apre una fase di emergenza
Chiude il Magistrato degli scandali
L’ente con competenza sulle acque azzerato dopo l’inchiesta sul Mose che coinvolge tre presidenti
Magistrato alle acque, a ottobre si chiude
Decisione di Renzi: le competenze passeranno al Provveditorato triveneto per le opere pubbliche
COLPO DI SPUGNA – Azzerata l’istituzione che risaliva ai tempi della Serenissima
Dal primo di ottobre il Magistrato alle Acque non esisterà più come ente in quanto tale e le sue competenze saranno assorbite nel Provveditorato interregionale del Triveneto per le opere pubbliche. Lo ha deciso venerdì sera il Consiglio dei ministri presieduto da Matteo Renzi, che decretandone la soppressione, ha evidentemente voluto dare un segnale forte dopo la caduta della giunta Orsoni a causa della vicenda dei presunti finanziamenti illeciti alla campagna elettorale del sindaco. Accuse ben più gravi di queste hanno coinvolto direttamente due ex presidenti dell’istituzione: Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta ed evidentemente il Governo non poteva stare a guardare.
Con un tratto di penna viene dunque cancellata, senza pensarci troppo, un’istituzione creata dalla Serenissima e durata oltre mezzo millennio con lo scopo regolare il bacino idraulico del Nordest e impedire che la laguna, ecosistema per definizione mutevole, si interrasse o diventasse un braccio di mare. Alla fine, però, dal punto di vista operativo, non cambierà quasi nulla, perché l’integrazione con il Provveditorato è già forte e i presidente del Magistrato alle Acque sono anche Provveditori per il Triveneto.
E allora, si chiedono in molti, perché cancellare questa istituzione, fondamentale per la laguna solo perché alcune figure apicali del passato sono finite sotto inchiesta? E perché cancellare solo il “nome” del Magistrato alle acque, se è vero che non cambierà nulla?
Fonti governative fanno capire che si tratta solo del primo atto di una riorganizzazione ben più ampia della macchina dei Lavori pubblici e, soprattutto, di un segnale che Renzi doveva dare al Paese per far capire che l’aria sta cambiando e che gli scandali non sono più tollerati. «Le competenze saranno assorbite e la specificità sarà abolita – fanno sapere dalle Infrastrutture – per mettere in moto una riforma. Un segnale, insomma. Poi si andrà in direzione di una razionalizzazione più importante. La figura del Magistrato alle Acque è abolita, ma rimangono a capo del Provveditorato tutte le funzioni».
Per il senatore Felice Casson, relatore del disegno della Nuova legge speciale per Venezia, la questione è ancora in divenire.
«Una cosa positiva è la decisione di dare un taglio con il passato – commenta – ma non deve finire qui, nel senso che andranno rimosse anche tutte quelle figure della dirigenza che dovessero risultare coinvolte in successivi sviluppi dell’inchiesta sul Mose come persone succubi del Consorzio. Poi, – aggiunge – bisogna però riconoscere che si tratta anche di un organismo molto importante, che ha ha competenze amplissime anche ultraregionali. La questione è insomma delicata – conclude – e per apportare delle correzioni c’è tempo fino a ottobre. L’ideale sarebbe approvare presto la nuova Legge speciale ed evitare interventi tampone come questo».
GLI SCANDALI – Un ente travolto dalle inchieste Tre presidenti nei verbali del Mose
Il Magistrato alle Acque è stato toccato in modo assai pesante dall’inchiesta sui fondi neri finalizzati alla corruzione per opere legate al sistema Mose. Il Magistrato, infatti, è un organo periferico del Ministero delle Infrastrutture e ha contribuito alla progettazione e alla realizzazione attraverso il concessionario unico, il Consorzio Venezia Nuova.
Due ex presidenti del Magistrato erano stati arrestati mercoledì 3 giugno in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Venezia su richiesta della Procura. Si tratta di Patrizio Cuccioletta, presidente tra il 1999 e il 2001 e tra il 2008 e il 2011, e Maria Giovanna Piva, tra il 2001 e il 2008. Un terzo presidente, Ciriaco D’Alessio (2008-2013) è stato tirato in ballo dall’ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, ma il suo nome non figura nella lista degli indagati finora conosciuti.
Cuccioletta e Piva, secondo l’ordinanza del Gip, avrebbero percepito un vero e proprio stipendio parallelo molto consistente, oltre a benefici vari come contratti o incarichi professionali.
Il Magistrato alle Acque aveva e ha il compito di controllare ogni cosa in merito alla progettazione del Mose ed questo, per la Procura, non sarebbe quasi mai avvenuto. Il Consorzio Venezia Nuova poteva condizionare i Magistrati alle Acque. La più grande infedeltà che emerge dalle carte dell’inchiesta nei confronti della città lagunare è proprio questa: l’Italia ha investito miliardi per salvarla dalle acque alte, ma il Consorzio è riuscito a percorrere scorciatoie procedurali per accorciare tempi ed evitare controlli.
Anzi, i responsabili avrebbero delegato a personale del Consorzio e di Thetis “la predisposizione formale e sostanziale degli atti” omettendo “di effettuare la dovuta vigilanza sulle opere in corso di realizzazione, non segnalando i ritardi e le irregolarità nell’esecuzione dei lavori, nel mettersi costantemente a disposizione del Consorzio, nell’accelerare gli iter di approvazione e nei rilasci dei permessi di interesse del Consorzio”.
E tra i lavoratori in ansia una quarantina sono di Consorzio e Thetis
L’INTRECCIO – Assunti per lavorare nella sede del “controllore”
L’OCCUPAZIONE – Sono in tutto un centinaio i dipendenti dell’ente pubblico in attesa di conoscere il loro destino
C’è anche una quarantina di dipendenti di Consorzio Venezia Nuova e Thetis tra i circa cento lavoratori in ansia per il loro destino al Magistrato alle acque.
Dipendenti delle controllate che lavorano negli uffici del controllore: vale a dire lavoratori di società che si occupano del Mose, distaccati nell’ente che doveva verificare la regolarità dei lavori in laguna.
C’è anche questo nei rapporti finiti sotto la lente del premier per quanto riguarda il Magistrato alle acque.
Si tratta di tecnici laureati, integrati nella struttura e che collaborano stabilmente da anni con il Magistrato e sono pagati dalle società di appartenenza. Il problema è che una parte del sindacato ha cominciato a puntare queste persone considerandole la longa manus del Consorzio all’interno dell’istituzione.
Nessuna di queste persone si occupa però di Mose o di grandi opere, ma quasi tutte sono professionalità indispensabili nel campo del disinquinamento. Se per qualche motivo l’apporto di queste persone venisse a mancare, le autorizzazioni per gli scarichi reflui e i relativi rinnovi non potrebbero andare avanti. E, se si fermassero le autorizzazioni, rischierebbero di saltare quasi tutte le attività produttive di Venezia.
A rischio è insomma, tutta la parte del controllo sulla laguna e sul territorio.
Con la cancellazione del Magistrato alle Acque si pone anche il problema della riscossione degli importi delle concessioni di specchi acquei lagunari, poiché il Provveditorato non è un ente autorizzato a riscuotere.
Nessuno, tra i dipendenti, conosceva le intenzioni del Governo e la notizia di ieri è stata un fulmine a ciel sereno. Tra l’altro, proprio nei giorni scorsi si è svolta un’assemblea in cui il presidente Roberto Daniele avrebbe detto ai dipendenti che non c’era motivo di preoccupazione per gli sviluppi dell’inchiesta sui lavori del Mose.
M.F.
PRONTA LA MOZIONE – Caccia: «Revocare le concessioni dell’Arsenale al Consorzio»
«Fuori il Consorzio Venezia Nuova dall’Arsenale di Venezia». È la richiesta del Forum Futuro Arsenale che Beppe Caccia, consigliere comunale della lista “In Comune”, ha fatto propria su segnalazione di Stefano Boato. E domani Caccia presenterà una mozione in Consiglio comunale sull’argomento.
«Chiederò la discussione immediata di questa mozione – afferma Beppe Caccia – per impegnare l’Amministrazione comunale alla revoca delle concessioni al Consorzio Venezia Nuova nell’ambito dell’Arsenale. È fondamentale che, nelle sue ultime ore di vita, il Consiglio compia tutti gli atti di sua competenza utili a ridurre o, almeno, limitare il ruolo del Consorzio nella vita cittadina. Chiederò anche ad altri consiglieri di sottoscriverla». E Stefano Boato ricorda tutte le lettere “inviate inutilmente negli ultimi mesi al sindaco e agli assessori Maggioni e Ferrazzi proprio per ottenere la revoca delle concessioni al Consorzio con l’apertura al pubblico degli spazi aperti vincolati come pubblici dagli strumenti urbanistici vigenti concessi a Consorzio Venezia Nuova e Biennale”. E Boato aggiunge: «L’assessore Maggioni stava invece procedendo non alla revoca delle concessioni illegittime, ma alla modifica dei piani vigenti per legittimarle».
E giovedì scorso, giorno in cui il sindaco Giorgio Orsoni è tornato in libertà, Barbara Pastor e Roberto Falcone del “Forum Futuro Arsenale” hanno scritto una lettera al primo cittadino (ora dimissionario), al vicesindaco Sandro Simionato e all’assessore al Patrimonio Maggioni per bloccare i progetti sull’Arsenale: «Siamo allarmati dall’ipotesi che l’Arsenale sia inserito nel “decalogo delle urgenze” da affrontare – scrive il Forum -. È da più di un anno che stiamo interagendo con l’Amministrazione per la revisione delle concessioni e la trasparenza di bilancio sul capitolo di spesa “Arsenale”. Riteniamo pertanto che non sia assolutamente il momento di avventate “fughe in avanti” e riteniamo che nessuna delibera di giunta sull’Arsenale debba essere approvata». Per capire come andrà a finire, non resta che aspettare la discussione della mozione di Beppe Caccia nel Consiglio comunale convocato per domani, alle 14.30 nel municipio di Mestre.
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«È vero, ho lanciato un bicchiere contro il muro. Il sindaco ci ha detto che voleva dimettersi, ma intanto ci aveva già ritirato le deleghe»
LO SFOGO «Bloccati provvedimenti importanti per la città»
Il mio ultimo intervento politico a Ca’ Farsetti è stato un bicchiere di vetro scagliato contro il muro – come è stato scritto. Un gesto violento e irrazionale, ma politicamente connotato, pur se politicamente scorretto. Il sindaco ci aveva appena comunicato che si sarebbe dimesso ma che intanto ci aveva già revocato le deleghe. Restava in campo solo lui – lui e i partiti, in realtà – a gestire i venti giorni prima del commissario. Gli avevamo chiesto di dimetterci subito ma insieme, lasciandoci così il brevissimo tempo necessario a chiudere questioni urgenti ormai pronte per la soluzione, attese da molti in città. Nel mio caso, ad esempio, alcuni atti relativi a Porto Marghera e all’avvio del Parco della Laguna Nord, ma anche, ne cito un paio, la garanzia che si aprirà la comunità per giovani negli appartamenti che abbiamo tolto agli spacciatori di droga a Ca’Emiliani, l’esecuzione dell’ordinanza anti degrado in via Carducci predisposta dal settore Ambiente, la prosecuzione delle attività dell’Osservatorio Ecomafie, e qualche altro. Tutti i miei colleghi avevano pronti provvedimenti analoghi, ora a forte rischio.
L’altra questione è che il sindaco ci ha così tolto la parola, per dire in consiglio comunale le nostre ragioni. E quando si soffoca la parola a volte esplodono i gesti, per quanto scorretti, come appunto il mio ultimo “intervento politico” a Ca’ Farsetti. Il penultimo era stato la richiesta di dimissioni del sindaco, ovvia, perché il patteggiamento lo rendeva necessario e, per noi, anche la conseguenza – annunciata il giorno stesso dell’arresto – di quanto era già inoppugnabilmente emerso di lecito (i contributi dichiarati, ricevuti dal Consorzio Venezia Nuova per la campagna elettorale). La magistratura, con i suoi mezzi e poteri, lo ha scoperto dopo quattro anni, ma se il fatto fosse stato pubblico all’epoca, nel 2010 (o prima, o dopo), non saremmo mai stati in una coalizione e a sostegno di candidati che avessero ricevuto tali contributi anche se “leciti”. Sono certissimo che Giorgio Orsoni non abbia richiesto i contributi “in nero” ma a noi basta e avanza ciò che di “regolare” è emerso (e che si estende alle ramificatissime relazioni su base economica intrattenute da moltissimi con il Consorzio Venezia Nuova in città e altrove). Il Comune è la sola istituzione che esce totalmente pulita da questo scandalo, nessun atto amministrativo compiuto ne risulta inquinato, come la magistratura stessa conferma, e siamo certi di aver avuto in questa pulizia un ruolo forte. Anche per questo nessuno, nemmeno il sindaco, ci toglierà la parola.