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di Giorgio Meletti, Il fatto quotidiano, 21 marzo.

L’ arma retorica è sempre la stessa, il “partito del no” come male assoluto. Meno di un mese fa Raffaella Paita, candidata Pd alla Regione Liguria, l’ha sfoderata per difendere il Terzo Valico, una ferrovia inutile che da 35 anni fa sognare il partito del cemento. “Quando una forza di sinistra dice no al Terzo Valico fa una cosa di destra”. Errore blu. Nessuno a destra dice no al Terzo valico. A meno che non si sostenga che la Procura di Firenze abbia fatto una cosa di destra arrestando il capo del “partito del sì”, Ercole Incalza.

In attesa del vaglio giudiziario sulla sua presunta corruzione, sotto processo insieme alle persone fisiche ci sono proprio le grandi opere. Non perché in esse si può essere annidato il ma- laffare, ma proprio perché è il malaffare – stando ai primi risultati dell’inchiesta fiorentina – a farle decidere e progettare. E soprattutto a farle piacere ai politici, di destra, centro e sinistra: quando c’è da far colare cemento dissanguando le casse dello Stato vanno sempre d’accordo. I pm di Firenze indicano gli scempi con nomi e cifre. Dei progetti indagati ce ne sono quattro fondamentali.

I LAVORI PER L’EXPO di Milano, un paio di miliardi già spesi, rappresentano plasticamente il primo cancro dei lavori pubblici all’italiana: i tempi infiniti. Ormai è tardi per dare lo stop, ma è tardi anche per l’Expo: inizia a maggio e i padiglioni dell’esposizione non saranno pronti. La disperata accelerazione finale dei cantieri fa impennare i costi, ed è il secondo cancro. Terminare i lavori per l’Expo dopo l’Expo sarà l’apoteosi dell’inutilità, il terzo cancro.

IL TERZO VALICO è affetto da tutti e tre i cancri. Tempi biblici: l’opera fu annunciata come necessaria e urgente nel 1982 dai presidenti di Lombardia e Liguria, Giuseppe Guzzetti e Alberto Teardo. Il primo è oggi padre-padrone delle Fondazioni bancarie. Il secondo, antesignano del craxismo disinvolto, fu arrestato poco dopo il fatidico annuncio.

Infatti il Terzo Valico porta male. Dopo Teardo sono finiti in galera quasi tutti i principali tifosi della grande opera inutile, da Luigi Grillo (democristiano, poi berlusconiano, infine alfaniano, per anni presidente della commissione Lavori pubblici del Senato) a Claudio Scajola. L’opera piace anche a sinistra: prima di Paita l’ha sostenuta per vent’anni il governatore uscente della Liguria, Claudio Burlando. La grande opera non cammina senza accordi trasversali: tutti si danno ragione e rispondono con le supercazzole a chi osi chiedere perché si butti tanto denaro per niente. Adesso tocca a Matteo Renzi metterci la faccia e dire se ha senso spendere 6,2 miliardi per una ferrovia di una sessantina di chilometri che collegherà il porto di Genova con la ridente Tortona. Dicono che servirà a far defluire meglio i container dal porto di Genova, ma non spiegano perché spendono 60 milioni a chilometro per una ferrovia ad alta velocità: vogliono mandare i container a 300 all’ora? Ecco il quarto cancro: progetti vaghi, approssimativi.

IL TUNNEL SOTTO FIRENZE dell’alta velocità ferroviaria ha un costo previsto di 1,5 miliardi ed è simbolo della progettazione alla speraindio. Tanto che l’inchiesta da cui scaturisce l’arresto di Incalza parte dalla Italferr, società di progettazione di Fs. Nel settembre 2013 hanno arrestato la presidente Maria Rita Lorenzetti, politica ammanigliatissima che si vanta nelle intercettazioni di poter mettere tutto a posto grazie ai rapporti con Incalza. E da mettere a posto c’era un progetto che fa acqua da tutte le parti per un’opera voluta a tutti i costi dopo decenni di dubbi sulla sua fattibilità. L’hanno fermata i magistrati un anno e mezzo fa.

LA ORTE-MESTRE è affetta da tutti i quattro cancri già detti più un quinto, il peggiore: il project financing, la finzione del finanziamento privato che serve solo a rinviare alle prossime generazioni la presentazione del conto. Come dimostra il caso Brebemi, se si consente ai privati di farsi prestare i soldi da banche che pretendono e ottengono la garanzia dello Stato, è chiaro che il rischio dell’operazione pesa sul contribuente. Se, come nel caso della Brebemi, l’affare va male, lo Stato viene chiamato a pagare tutto. La Orte-Mestre – figlia del centro-destra veneto e della sinistra emiliana guidata da Pier Luigi Bersani – costerà 10 miliardi, due dei quali pubblici. Sugli otto miliardi privati c’è garanzia dello stato? Il promotore Vito Bonsignore (uomo Ncd con amicizie trasversali) giura di no. Ma i documenti che potrebbero rassicurare i contribuenti sono segretati, perché così vogliono le sacre regole del project financing. Scritte dal loro profeta, Incalza.

 

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