Nuova Venezia – Mose, pronta la “Control room”. Diciotto monitor all’Arsenale.
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28
nov
2013
Sala attivata per la prima volta con le acque alte dello scorso weekend. «Così sarà gestito il sistema»
Il presidente del Consorzio illustra il funzionamento a una delegazione del ministero dell’Economia
Diciotto monitor giganti appesi alla parete. Computer e collegamenti in tempo reale con i satelliti, i rilevatori di marea, le telecamere. Il nuovo «Centro sistemi di previsione e modelli» del Consorzio Venezia Nuova è già operativo.
La sede, le Tese della Novissima, nella parte nord dell’Arsenale. Si entra dalla banchina della darsena, nell’antico edificio restaurato in forma moderna dall’architetto Alberto Cecchetto. Colonne e murature storiche spiccano isolate dalle nuove strutture bianche, del tutto rimovibili. Da qualche mese gli uffici del Consorzio Venezia Nuova si sono trasferiti qui dalla sede storica di campo Santo Stefano, palazzo monumentale restituito alle Generali. E nella nuova sede è stata allestita la «Control room», la centrale operativa che dovrà monitorare e dirigere le operazioni delle dighe mobili.
Nell’ultimo fine settimana, che ha visto una serie ripetuta di acque alte, il sistema è entrato per la prima volta in funzione. «Come se il Mose ci fosse già», spiega l’ingegnere Roberto Chiarlo, uno dei responsabili del sistema. Sui monitor scorrono dati e immagini in tempo reale. La situazione meteo e la forza del vento, la velocità delle correnti, lo scenario dell’Alto Adriatico e della laguna, l’altezza di marea in ogni area della città storica.
«Si vede così esattamente a che quota si devono azionare i meccanismi di chiusura», spiega il presidente Mauro Fabris, «il Mose è un sistema elastico, la laguna si può chiudere quando si vuole, basta anticipare le operazioni. Ma questa è una decisione che spetta alla politica».
In questi giorni Fabris ha ricevuto all’Arsenale diverse delegazioni di funzionari ministeriali, tra cui un gruppo di dirigenti del ministero dell’Economia. A loro è stata illustrata la situazione finanziaria del Mose – finanziamenti già coperti per quasi cinque miliardi di euro – ma anche il funzionamento della sezione operativa.
Prima realizzazione «tecnologica» del sistema Mose all’interno dell’Arsenale. La parte di Nord Est è stata infatti destinata al Consorzio, nonostante dallo scorso anno il Comune sia diventato proprietario dell’intero immobile. Tutta la parte dell’Arsenale nord, dov’erano i cantieri navali, è stata destinata alle funzioni di manutenzione e controllo delle paratoie. Saranno smontate periodicamente e calate nel grande Bacino di carenaggio. Nel bacino medio si svolgeranno invece i lavori di manutenzione dei mezzi di navali di servizio, le barche e i grandi jack up per il trasporto delle paratoie da 50 milioni l’uno.
Nelle Teze della Novissima, infine, la centrale per la gestione del sistema, con la «Control room» appena inaugurata e messa alla prova con le acque alte dell’ultimo week end.
«Siamo soddisfatti», dice Fabris, «tutto funziona». Il Mose intanto va avanti. Dopo le prove sul sollevamento delle prime quattro paratoie adesso dovranno essere calati sui fondali del Lido i cassoni costruiti nel cantiere di Santa Maria del Mare. Saranno varati nei prossimi giorni e trainati in acqua fino al Lido.
Alberto Vitucci
Nuova Venezia – Scogliere in laguna, nuovi dubbi
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27
nov
2013
Potrebbe essere accantonato il contestato progetto per il canale dei Petroli
Scogliera in laguna, il Magistrato alle Acque frena. Potrebbe essere nuovamente rinviato, domattina, il voto sul progetto delle protezioni con massi del canale Malamocco-Marghera, presentato nel luglio scorso dal Consorzio Venezia Nuova insieme all’Autorità portuale.
Le proteste e i pareri tecnici contrari hanno convinto gli uffici proponenti a fare un passo indietro. Dubbi posti anche dalla Soprintendenza, che ha definito «del tutto incongruo l’uso del pietrame in laguna e solo in via del tutto eccezionale può essere ammesso». Chiesti anche chiarimenti sul volume dei traffici previsti.
Un dettagliato parere negativo è stato inviato al ministero per l’Ambiente dal rappresentante in Salvaguardia, il docente Iuav Stefano Boato.
«Si tratta di interventi in contrasto con i Piani e la legislazione vigente», scrive Boato. Che cita anche un analogo parere firmato nel 1981 proprio dal ministero dei Lavori pubblici. Il progetto delle scogliere, firmato dall’ingegnere Daniele Rinaldo per conto del Consorzio Venezia Nuova, prevede uno sbarramento ai lati del canale Malamocco Marghera (canale dei Petroli) lungo 7 chilometri e mezzo. Obiettivo, scrivono Porto e Magistrato alle Acque nella loro relazione introduttiva, la «protezione e la conservazione dei fondali del canale da realizzare nelle relative aree di bordo».
Non basta, perché oltre alle scogliere (pezzi fino a 3 tonnellate, larghezza 25 metri) sono previste nuove barene con 6-700 mila metri cubi di fanghi scavati dai fondali della bocca di Lido per i lavori del Mose. Anche queste dovrebbero «proteggere» l’equilibrio lagunare.
Un progetto che Italia Nostra ha già definito «una follia», e che adesso dovrà tornare in commissione di Salvaguardia per il parere. Ieri intanto al termine di una riunione tecnica al Magistrato alle Acque sono emersi nuovi dubbi. Ed è probabile che il voto domani possa slittare. Una polemica che si inserisce in quella dei progetti alternativi per le grandi navi da crociera. La commissione scientifica dell’Istituto veneto di Scienze, lettere ed Arti ha bocciato la proposta di scavare nuovi canali in laguna.
(a.v.)
l’intervento
Non servono nuovi canali, stop alle navi incompatibili
Nella sua ansia di spacciare il devastante scavo del canale Contorta Sant’Angelo per una grande opera di ripristino morfologico della laguna, il presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Costa, si è lasciato scappare uno scampolo di verità laddove in un suo recente intervento ha sostenuto che si può fronteggiare la perdita di sedimenti che la sta trasformando in un braccio di mare solo “proteggendo la laguna dai canali di navigazione e i canali di navigazione dalla laguna”. Ciò vuol dire una cosa sola: che la laguna e i canali di navigazione sono reciprocamente incompatibili! Di qui, due sole scelte: o quella “hard” dello stesso Costa e di altri Attila come lui, che immaginano la laguna come un campo di patate nel quale si possa fare qualsiasi intervento, scavare canali, spostare barene, creare casse di colmata svendute come elementi naturali, costruire scogliere di pietra; o quella “soft”, sostenuta dal Comitato e da tante altre associazioni rispettose dell’ambiente e delle sue regole, che propongono una portualità sostenibile e l’estromissione delle navi incompatibli dalla laguna.
Insomma, o la laguna è un valore ambientale e culturale da difendere di per sé, anche perché una laguna dissestata non è più in grado di proteggere Venezia, come chiunque non abbia le fette di prosciutto sugli occhi vede, oppure è lecito continuare a devastarla reiterando in maniera ossessiva le stesse logiche e le stesse scelte ottocento – novecentesche che oggi l’hanno ridotta a un catino profondo due metri nel quale scorrazzano i pesci volanti.
Ma la Natura non fa sconti, come dimostrano le alluvioni di Genova e di Sardegna, per non parlare dei tifoni nelle Filippine o dei tornado nel Middle West, e Paolo Costa, anziché progettare la divisione in due della laguna attraverso una scogliera in pietrame lunga 8 chilometri e larga 26 metri per sterilizzare gli effetti del raddoppio del Canale dei Petroli, che il buon senso e la legge speciale vietano, farebbe meglio ad ascoltarne i segnali, iniziando a portar fuori da amministratore previdente quelle navi che presto o tardi il gigantismo, l’innalzamento del livello del mare e il Mose alle bocche di porto estrometteranno comunque.
Si accusano spesso i Comitati come il nostro e le associazioni attente all’ambiente e al territorio di essere il “fronte del no”, mentre Paolo Costa e quelli come lui sarebbero il “fronte del fare”.
Noi che sabato manifesteremo a Venezia per un Veneto diverso siamo invece quelli del “fare bene”, quelli che vogliono salvare crocierismo, Porto, lavoro, non violentando la laguna ma rispettandola per evitare le scie di devastazioni, di lutti, di costi ambientali e sociali che le scelte irrispettose e attente solo agli interessi dei poteri forti invece comportano, come dimostrano le cronache quotidiane, solo a volerle leggere.
Comitato No Grandi Navi Laguna Bene Comune
comune-info.net – Marea anomala a Venezia
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26
nov
2013
Sabato Venezia accoglie il più grande corteo di protesta degli ultimi vent’anni: oltre 150 tra comitati, movimenti, associazioni, organizzazioni politiche e singoli cittadini convergeranno dai quattro angoli della regione, ciascuno portando con sé il proprio bagaglio di lotta, insieme nell’affermare il più corale “basta” alla devastazione dei territori
Chissà se i progettisti del Mose, il sistema di dighe mobili che dovrebbe salvare Venezia dall’acqua alta, hanno previsto un qualche dispositivo per gli eventi davvero eccezionali… Già, perché il prossimo 30 novembre, si preannuncia una marea strana, per dimensioni e per natura. Stavolta arriverà dalla terraferma, invece che dal mare, e sarà fatta di persone, tante persone, la cui voce e i cui passi non potranno non ripercuotersi sugli equilibri lagunari.
Sabato Venezia accoglierà il più grande e partecipato corteo di protesta degli ultimi vent’anni: oltre 150 realtà – tra comitati, movimenti, associazioni, organizzazioni politiche e singoli cittadini – convergeranno dai quattro angoli della regione, ciascuno portando con sé il proprio bagaglio di lotta, ma uniti nell’affermare il più corale “basta” alla devastazione dei territori, dei diritti e della democrazia.
Della situazione veneta poco si parla e poco si sa. Ed è forse proprio grazie a questo silenzio che le potenti lobby politico-affaristiche hanno potuto agire indisturbate, in modo opaco e al di fuori di qualsiasi controllo democratico.
L’attacco ai territori
In Veneto, la seconda regione più cementificata d’Italia dopo la Lombardia, negli anni duemila si sono impermeabilizzati in media 182 milioni di metri quadrati l’anno, per un totale dell’11 per cento della sua superficie. Una terra pregiata ormai al collasso, specie per le ricadute sulla sicurezza idraulica e sulla salute pubblica; massacrata da vent’anni di sprawl, la polverizzazione urbanistica, e oggetto di un dissennato disegno strategico regionale – il cosiddetto “Bilanciere del Veneto” – partorito dall’ex-giunta Galan ed ereditato da Luca Zaia. Un disegno improntato all’iper-infrastrutturazione, al gigantismo insediativo e alla speculazione fondiaria ed edilizia.
Il nuovo modello economico – il “terzo Veneto” – ha abbandonato il cavallo da corsa della piccola e media imprenditoria, per puntare sulla mercificazione dei suoli: il territorio è diventato machina per far i schei, per usare l’espressione di Edoardo Salzano. Come molte parti d’Italia, il territorio è preso d’assedio da questa forma di colonizzazione grigia, grazie a cui la filiera del cemento-asfalto erode sempre più risorse e in modo sempre più aggressivo.
L’attacco alle regole
Per favorire questo processo c’è bisogno di strumenti legislativi e tecnici che consentano di agire in questa direzione e scavalcare gli ostacoli che le norme di tutela nazionali ed europee imporrebbero. Questo ruolo di apripista spetta alla politica nazionale e locale ed ecco che, ancora una volta, la Regione Veneto si rivela un’avanguardia nell’elaborare un Piano territoriale regionale di Coordinamento inconsistente dal punto di vista della programmazione, carente nelle misure di salvaguardia paesaggistica e dei suoli e improntato all’accentramento delle competenze nelle mani discrezionali della giunta.
Ma la “politica” veneta è all’avanguardia anche nel forzare l’inserimento di numerosissime opere in Legge Obiettivo (la legge speciale del 2001 che semplifica le procedure per opere definite strategiche); così come nel fare un uso indiscriminato di strumenti come il project financing (il finto sistema di finanziamento privato che si è dimostrato un micidiale generatore di debito pubblico) e l’accordo di programma (dove il privato “tratta” direttamente con le maggioranze politiche); nel servirsi di dichiarazioni di emergenza e di commissari straordinari, per scavalcare le procedure ordinarie; nell’ignorare i criteri minimi di reale partecipazione e di trasparenza.
In questo contesto, proliferano le infrastrutture viabilistiche: dalla Pedemontana Veneta, alla linea Tav Venezia-Trieste, fino all’ultima folle approvazione della Orte-Mestre, che porterà con sé una miriade di opere complementari (e non solo in Veneto). E poi il prolungamento della Valdastico Nord, la Valsugana e li traforo del Grappa, la Nogara-Mare, la Camionabile Padova-Venezia… Tutto questo viene attuato senza un piano di mobilità e intermodalità unitario e coordinato e senza tener conto dei reali dati di traffico in picchiata ovunque. Senza considerare che perfino l’Ue chiede e finanzia la riduzione del trasporto su gomma e senza badare alle esigenze delle comunità che si vedono tagliare i servizi di trasporto pubblico.
Come se non bastasse, il reticolo di strade e autostrade produce spezzettamenti dei territori che attraggono inutili mega-insediamenti: non è un caso se qui troviamo i progetti delle nuove cittadelle artificiali come Veneto City, vicino all’innesto ovest del Passante di Mestre; Tessera City, a est dello stesso Passante, Motor City a Verona… o progetti come il Polo Logistico in comune di Mira in fregio alla Laguna.
Non solo suolo
Se la cementificazione dei suoli è già di per sé un danno gravissimo, per la drastica riduzione delle aree agricole ad uso alimentare e per gli effetti drammatici del dissesto idrogeologico, il modello di sviluppo complessivo adottato in questa Regione si spinge ancora più in là. Si mette a rischio un patrimonio inestimabile come la laguna e la stessa Venezia consentendo a navi gigantesche di spadroneggiare in un ambiente delicatissimo. Si permette il prosciugamento dei fiumi autorizzando una miriade di micro-centrali idroelettriche nel bellunese, senza un piano energetico. Si mina la salute pubblica consentendo impianti altamente inquinanti come i cementifici che bruciano rifiuti o come la centrale Enel di Porto Tolle che si vorrebbe convertita a carbone.
Destinare le risorse a favore di questo sistema di privilegi privati significa toglierle a quelle che sono le vere priorità pubbliche e che si possono riassumere in un due termini: ricomposizione e tutela. Ricomposizione e tutela del tessuto sociale, delle regole democratiche, delle economie locali, del lavoro, dei servizi essenziali, dei diritti sociali e della persona, dei territori e della loro sicurezza idrogeologica…
Un quadro complesso quello veneto, che qui si è soltanto accennato, ma che si inserisce in maniera esemplare e coerente nel più vasto modello di sviluppo e crescita che ha condotto all’attuale crisi ambientale, sociale ed economica e sta consegnando i beni comuni e la sovranità nelle mani dei mercati finanziari e dei capitali privati. Un modello che sta toccando in modo irreversibile i limiti biofisici degli ecosistemi e del pianeta, ma anche i limiti di sopportazione delle popolazioni che ne subiscono le conseguenze.
Ora tocca alle comunità
Se da una parte esiste il Veneto della svendita del territorio e dei beni comuni, delle grandi opere inutili e delle servitù militari, dall’altra c’è però un Veneto che si sta rivelando un ricco laboratorio di esperienze di resistenza, di lotta e di ricostruzione in basso: cittadini attenti, preparati e impegnati da anni nel contrastare questa pericolosa schizofrenia. È il Veneto che conta più di 100 conflitti territoriali (52 solo per le opere cosiddette di pubblica utilità: nimbyforum.it), per non dire di quelli sociali (casa, salute, reddito, scuola, cultura, diritti dei migranti).
Le proteste, le pressioni istituzionali e le denunce che da un decennio la società civile sta portando avanti hanno spesso rallentato questa deriva e sicuramente consentito agli organi inquirenti di scavare nei torbidi intrecci di politica e affari che dominano, è il caso di dirlo, questa Regione. Si sta delineando una vera “cupola” del malaffare che ha già fatto scattare manette e indagini di vasta portata: a partire dal Mose fino al Passante di Mestre, dall’impresa Mantovani al Consorzio Venezia Nuova…
Ora le comunità incalzano. Il 16 novembre ha segnato una tappa importante per i movimenti di cittadinanza che in mille forme e su mille fronti stanno lottando per riaffermare i propri diritti umani, sociali e ambientali. Nelle quattro grandi manifestazioni di Napoli, Pisa, Val di Susa e Gradisca si è avuta la percezione della dimensione e della crescita di quello che è stato chiamato Fiumeinpiena. Ma, seppure evidente, è stata ancora una percezione parziale: in tutta Italia ci sono state decine e decine di iniziative più piccole, spesso sfuggite anche ai radar dei media indipendenti. Come ovunque, c’è stato un 16 novembre anche in Veneto: in quella giornata molti territori hanno organizzato iniziative, presidi e mobilitazioni a fare da cassa di risonanza e sostegno a quanto stava avvenendo con Fiumeinpiena. Ma è stato anche l’occasione per il lancio della manifestazione popolare che il 30 novembre si riverserà a Venezia (qui l’evento Facebook con appello e adesioni).
Un impegno di molte settimane e di molte persone che sono riuscite a cucire le tante anime dei movimenti veneti attorno a una piattaforma articolata e comune. A dimostrare che quando la volontà è forte e gli obiettivi chiari e condivisi si riescono a superare le differenze e ad unirsi in un’azione precisa ed efficace: una sola grande voce collettiva chiede con forza l’abbandono di questo modello irresponsabile e una concreta inversione di priorità e di scelte, prese in modo partecipato e trasparente.
L’evento del 30 novembre partirà dalla Stazione FS Santa Lucia alle 14, per proseguire lungo calli, fondamenta e campi, oltre il ponte di Rialto e quello dell’Accademia, verso San Tomà per raggiungere la sede della Giunta regionale. Ad oggi le adesioni all’appello sono oltre centocinquanta ma la marea sta ancora salendo…
Nuova Venezia – Sabato oltre novanta comitati sfileranno per protesta.
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24
nov
2013
LA MOBILITAZIONE
Mobilitazione contro il passaggio delle grandi navi ma non solo sabato prossimo a Venezia, con una grande manifestazione regionale che partirà dalle 14 dalla Stazione di Santa Lucia e si snoderà per tutto il centro storico e alla quale parteciperanno una novantina di comitati, tra cui, naturalmente il No Grandi Navi, ma anche molti altri: dai «Beati i costruttori di pace», al Movimento Consumatori, a Legambiente del Veneto, solo per citarne alcuni.
Molti i temi della protesta. Dal no alle grandi opere come Tav, Mose, centrale di Porto Tolle, scavo di nuovi canali in laguna come il Contorta (nuove scogliere e false barene-discariche).
Si punta appunto all’allontanamento definitivo delle grandi navi dalla Laguna, ma anche alla liberazione del territorio veneto dalle servitù militari, alla gestione pubblica e partecipata, senza profitti in bolletta, di acqua e servizi pubblici, al blocco della privatizzazione della sanità.
I comitati chiedono anche lo stop «a nuove autostrade, strade, raccordi e poli commerciali che desertificano i nostri centri, distruggendone il tessuto sociale e le attività economiche: investire per recuperare aree ed edifici da bonificare e riqualificare (a partire da Porto Marghera) per attivita innovative».
Si punta anche a «investire non in autostrade e Alta Velocita, ma in rinnovo e potenziamento delle ferrovie esistenti con un piano integrato di vera intermodalità.Favorire il trasporto pubblico locale e regionale (SFMR). Favorire la mobilita ciclo-pedonale. Spostare il trasporto merci dalla gomma alla rotaia».
Altro tema della protesta è la modifica degli organismi di valutazione e controllo ambientale per renderli indipendenti dai poteri politici ed economici: eliminare i conflitti d’interesse e di competenze e la concentrazione di tutti i poteri (di Piano, progetto, valutazione).
Nuova Venezia – Grandi navi. “L’occupazione non e’ in pericolo”
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24
nov
2013
GRANDI NAVI»LA RISPOSTA ALL’APPELLO DELLE CATEGORIE
Sindaco e presidente del Porto tranquillizzano i lavoratori.
Da ieri stop ai transiti in Bacino per consentire i lavori del Mose
Nessuna preoccupazione per l’occupazione portuale con l’arrivo del decreto che limita il passaggio delle grandi navi in Bacino di San Marco. È la risposta che – sia pure con toni diversi – inviano alle categorie economiche guidate da Confindustria il presidente dell’Autorità Portuale Paolo Costa e il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, proprio il giorno dopo l’ultimo passaggio delle grandi navi fino al 3 aprile del prossimo anno, per i lavori del Mose che entrano nel vivo alla bocca di porto del Lido e ne rendono impossibile la presenza per motivi di sicurezza, come ha deciso la stessa Autorità Portuale.
Con Costa che annuncia anche l’ormai prossima emissione da parte della Capitaneria di Porto dei due provvedimenti che da una parte indicheranno lo scavo del canale Contorta-Sant’Angelo come la via alternativa (sia pure da testare in sede di Valutazione d’impatto ambientale con altre alternative) al passaggio delle grandi navi in Bacino San Marco. E dall’altra fisseranno le modalità per la riduzione dal primo gennaio del 20 per cento dei passaggi dei giganti del mare. Niente tavolo tecnico di ulteriore confronto con il Governo – dopo il vertice di Palazzo Chigi di qualche settimana fa che ha preso le sue decisioni sul passaggio delle grandi navi – prima del varo dei provvedimenti, come chiedevano con Confindustria, Confcommercio, Coldiretti, Confesercenti , Camera di Commercio e Cgil, Cisl e Uil.
«Le decisioni sul passaggio delle grandi navi – commenta Orsoni – sono già state prese ai massimi livelli e ora non ha più senso rimetterle in discussione, bisogna solo attuarle. Per quanto riguarda l’occupazione, nessuno vuole mettere in crisi la filiera del turismo legata anche al traffico crocieristico e dunque l’impatto sarà limitato. Avrebbe potuto esserlo ancora di più, se si fosse presa in considerazione, come suggerivo, l’ipotesi del trasferimento delle grandi navi a Marghera, ma l’Autorità Portuale si è messa di traverso e dobbiamo accontentarci del risultato raggiunto».
«Non sono preoccupato dell’impatto sull’occupazione portuale dei provvedimenti presi per limitare il passaggio delle grandi navi – commenta anche Costa – anche perché presto arriveranno i provvedimenti attuativi della Capitaneria di Porto e tutti potranno rendersi conto della situazione. Il primo riguarderà appunto la prosecuzione del progetto dello scavo del canale Contorta-Sant’Angelo come via alternativa al passaggio delle grandi navi in bacino di San Marco, mettendolo a confronto con altre vie possibili e non con altri siti, come quello di Marghera. Il secondo, preso d’intesa con l’Autorità Portuale e il Magistrato alle Acque, riguarderà appunto i criteri per la riduzione del 20 per cento dei passaggi delle navi da crociera superiori alle 40 mila tonnellate dal primo gennaio 2014 e poi dal primo novembre di quelle superiori alle 96 mila tonnellate. Teniamo presente – e questo vale anche per chi si preoccupa per l’occupazione – che si tratta comunque di provvedimenti transitori per i prossimi due anni, perché dal 2016, con lo scavo del Contorta-Sant’Angelo, la situazione sarà ristabilita. Sono anche fiducioso sui finanziamenti per l’opera, inserita tra quelle della Legge Obiettivo e anche per la possibilità di autofinanziarla con un pedaggio sul passaggio dei passeggeri delle grandi navi».
Enrico Tantucci
Gazzettino – Crociere a Marghera. I lavoratori portuali minacciano il blocco.
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24
nov
2013
I guai non vengono mai soli. E se le compagnie delle navi da crociera sono già in fibrillazione per i reali contenuti dell’ultimo decreto del Governo e per capire che fine farà l’approdo a Venezia, ora ci si mettono pure i portuali di Marghera a creare problemi. Minacciano di bloccare le navi piene di turisti che da qui ad aprile arriveranno a Marghera a causa della chiusura della bocca di porto del Lido per i lavori di posa delle paratoie del Mose.
«Noi non vogliamo creare problemi ma non possiamo accettare che per salvare le navi bianche si tolga lavoro ai portuali che già patiscono la crisi del porto commerciale» spiega Toni Cappiello, segretario della Filt-Cgil.
A differenza degli ambientalisti, i portuali non le chiamano grandi navi ma navi bianche, come fossero balene. Al di là del nome gli scaricatori e tutti gli altri impiegati nei terminal di Marghera non ne fanno una questione estetica o ambientale ma pratica, di lavoro.
«Una nave è una nave, qualsiasi cosa trasporti, e se arriva ad un terminal della terraferma dev’essere scaricata dai portuali e non dai dipendenti di Vtp, la Venezia terminal passeggeri di Marittima» continua Cappiello: «E invece succede proprio questo, con l’eccezione del terminal Vecon che ospita i traghetti e ha imposto che vengano serviti dal proprio personale».
I portuali sono sul piede di guerra e si stavano già organizzando per domani, giorno in cui era previsto l’arrivo della prima nave da crociera a Marghera. Le pessime condizioni meteo, però, hanno fatto slittare di una settimana l’inizio della posa della prima paratoia del Mose, per cui la bocca di porto del Lido rimane aperta. La battaglia, però, è solo rinviata. Da qui a dicembre sono cinque le navi che ormeggeranno alle banchine della terraferma. Principalmente sono due i terminal destinati allo scopo, Tiv (che tra l’altro è posseduta in parte da Msc di Aponte che ha anche navi da crociera) e Vecon, poi ci sono Tri e Multi Service ma in secondo piano.
«Al Tiv approdano già un paio di navi nei giorni del Redentore, quando il canale della Giudecca è chiuso. Preparano una via preferenziale delimitata da colonne di container, stendono una corsia rossa e mettono all’opera stuart e hostess di Vtp – continua il sindacalista -. Il problema è che quando ormeggia una nave da crociera, non c’è più lavoro per il porto perché le navi container o per merci varie non possono attraccare. Per cui le navi da crociera spettano a noi».
Non potete bloccare le navi, rischiate una denuncia. «Chiaro che non le bloccheremo ma se non si troverà un accordo abbiamo mille modi per manifestare e rallentare all’infinito tutte le operazioni».
Nuova Venezia – Il Consorzio: “Con il Mose citta’ all’asciutto”
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20
nov
2013
Le dighe mobili sarebbero state chiuse alle 8 e riaperte alle 13. Aumentata la velocità della marea
«Con il Mose in funzione gran parte della città sarebbe stata sempre all’asciutto». Il Consorzio Venezia Nuova ricorda che la grande opera da 5 miliardi di euro, in fase avanzata di costruzione, avrebbe potuto ieri evitare ai veneziani buona parte dell’acqua alta.
«Le paratoie sarebbero state chiuse dalle 8.20 alle 13», si legge in una nota del pool di imprese che gestisce dal 1984 la concessione unica per la salvaguardia di Venezia, «mantenendo in laguna un livello intorno a 104 centimetri, vista la velocità di ingresso della marea».
«Se fossero conclusi i lavori per il rialzo della pavimentazione a 110 centimetri», continua il Consorzio, «la città sarebbe all’asciutto. Altrimenti per mantenere l’acqua della laguna a una quota di 90 centimetri si dovrebbe anticipare la chiusura di un’ora».
Problemi legati alla gestione del complesso sistema Mose, pensato in origine per garantire la sicurezza da 110 centimetri. E il Mose va avanti. Nei prossimi giorni a Santa Maria del Mare sarà varato il primo dei giganteschi cassoni in calcestruzzo destinati a essere affondati alla bocca di porto di Malamocco. Speciali carrelli computerizzati solleveranno il bestione da 20 mila tonnellate e lo faranno «navigare» fin dentro la bocca di Malamocco. Una operazione di varo che prelude alla costruzione sott’acqua delle gallerie di collegamento e in seguito dell’ancoraggio alle cerniere delle paratoie. Saranno in tutto 79 quelle che dovranno a partire dal 2016 chiudere le tre bocche di porto alla marea entrante. Un mese fa il varo delle prime quattro, a Punta Sabbioni, sotto le telecamere di mezzo mondo. Il primo atto del Mose in acqua, e anche una decisione di voltar pagina assunta dalla nuova dirigenza del Consorzio Venezia Nuova, il presidente Mauro Fabris (ex parlamentare della Dc, poi di Udc, Ccd e Cdu, quindi di Pdl e Pd). Il Consorzio è infatti interessato da due inchieste giudiziarie della Procura di Venezia che hanno portato in carcere prima il presidente della Mantovani, maggiore azionista del Consorzio, Piergiorgio Baita, poi il suo presidente e fondatore, Giovanni Mazzacurati. Il primo per evasione fiscale e fondi neri, il secondo per turbativa d’asta. Entrambi sono tornati in libertà, ma l’inchiesta va avanti per cercare di capire che fine abbiano fatto quei soldi.
(a.v.)
Nuova Venezia – Grandi navi spostate a Sant’Elena
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20
nov
2013
LA PROPOSTA
Spunta un nuovo progetto alternativo per la Stazione marittima
Le grandi navi a Sant’Elena. Un nuovo progetto si aggiunge alle ipotesi alternative alla Marittima in discussione in questi giorni. Lo ha presentato Luciano Marascalchi, docente di disegno architettonico di Cannaregio ed esperto di problemi veneziani e di laguna.
L’idea è quella di realizzare nell’area a est di Sant’Elena, dove oggi sono in corso i lavori per la costruzione di una darsena, quattro banchine galleggianti collegate a terra con una Marittima a fianco del convento di Sant’Elena. Una struttura che potrebbe ospitare fino a sette navi al di sopra delle 100 mila tonnellate, collegabile anche con ferry boat al Tronchetto.
«Sarebbe facile raggiungere le navi dalla terraferma», spiega Marascalchi, «ma soprattutto si risolverebbe il problema dell’entrata in laguna e del passaggio davanti a San Marco. Le navi sarebbero anche vicine all’Arsenale, che potrebbe così riprendere in parte le sue antiche funzioni».
Ma soprattutto, insiste il professore, i turisti una volta sbarcati sarebbero già a Venezia, senza bisogno di motoscafi.
Una soluzione simile, ma verso Sant’Erasmo e dunque oltre il forte di Sant’Andrea, è quella proposta da Ferruccio Falconi, ex capo dei piloti del porto.
Mentre cesare de Piccoli ha rilanciato l’ipotesi di ormeggiare le grandi navi di fronte all’isola artificiale del Mose, fuori dalla laguna.
Restano in campo le alternative del canale Contorta (Autorità portuale) del canale dietro la Giudecca (Enrico Zanetti) e di Marghera, sostenuta dal Comune e dal sindaco Orsoni.
(a.v.)
Nuova Venezia – Mose. Consorzio, si indaga sugli intrecci
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16
nov
2013
Caccia: «Non hanno spiegato come sono stati spesi 600 milioni di oneri»
Far luce sugli intrecci societari. Ma anche sui collaudi del Magistrato alle Acque, sui prezzi, sulle responsabilità delle passate gestioni e della società, dei tanti funzionari e politici che hanno dato il via libera al progetto Mose nei suoi vari passaggi. Arrivando presto a un confronto pubblico, come richiedono da tempo i comitati, sul funzionamento del sistema Mose.
La commissione speciale sulla Mantovani ha fornito l’altro giorno molti spunti di approfondimento su una vicenda, quella della salvaguardia, oggi sotto la lente della Finanza e della magistratura
«Non hanno chiarito come sono stati spesi i circa 600 milioni di euro di oneri del concessionario», scrive il consigliere Beppe Caccia in una interrogazione presentata al sindaco Giorgio Orsoni, «cioè il 12 per cento che la legge assegna al Consorzio Venezia Nuova su ogni lavoro. Su quasi sei miliardi di euro fanno, appunto, 600 milioni. Non ci hanno nemmeno spiegato perché tutto è sempre stato fatto senza gare, spendendo molto di più di quanto potevano costare lavori messi in gara».
Ieri il convitato di pietra era Piergiorgio Baita, l’ex presidente della Mantovani finito in carcere nel febbraio scorso per evasione fiscale e ora sul punto di patteggiare per uscire dall’inchiesta. Che adesso va avanti, e punta a stabilire responsabilità precise anche a livelli alti. Possibile che Baita abbia fatto tutto da solo? L’ingegnere tuttofare non era nemmeno noto per mantenere un tenore di vita molto alto. Dunque, a chi dava i soldi accantonati? E per quale motivo?
«Sembra difficile credere», diceva ieri qualche consigliere, «che l’ingegnere abbia fatto davvero tutto da solo».
Due piani di indagine, dunque. Quello giudiziario, per verificare se ci siano state responsabilità dei presidenti del Magistrato alle Acque, che approvavano i progetti e assegnavano i collaudi. Oppure della struttura del Consorzio e dei suoi numerosi consulenti. Inchiesta – e indagine amministrativa – ad ampio raggio. Mentre i lavori del Mose vanno avanti e sono stati di recente rifinanziati dal Cipe nuove sorprese potrebbero arrivare a breve.
(a.v.)
IN SALVAGUARDIA IL 28 NOVEMBRE
Otto chilometri di massi in laguna centrale
Il progetto del Magistrato alle Acque per il canale dei Petroli contestato dagli ambientalisti
Sette chilometri e mezzo di scogliere per arginare il canale dei Petroli con una barriera larga fino a 26 metri. E con casse di colmata da un milione di metri cubi di fanghi, barene «traslate» con quasi cinque milioni di metri cubi di fanghi. Il progetto, elaborato dallo studio Rinaldo per il Magistrato alle Acque, è già stato presentato in commissione di Salvaguardia e andrà in discussione il 28 novembre.
Gli ambientalisti annunciano battaglia. Dicono che va contro le leggi vigenti ed è fatto per dividere la laguna e far passare le grandi navi ad alta velocità, e per contenere l’enorme quantità di fanghi scavati per il nuovo canale Contorta Sant’Angelo, che l’Autorità portuale vuole realizzare.
Una delle ipotesi di cui si sta discutendo. Che adesso attende però di essere esaminata dalla commissione Via (Valutazione di Impatto ambientale) nazionale. Nella riunione romana del 5 novembre si è avuto uno scontro tra il ministro per l’Ambiente Andrea Orlando (Pd) e il presidente del Porto Paolo Costa. Che chiedeva di poter inserire il Contorta nella Legge Obiettivo. Dunque finanziato dal Cipe e avviato all’iter di approvazione.
Comune e ministero hanno chiesto invece che vengano comparate le varie soluzioni progettuali, senza escludere Marghera e le ipotesi di spostare le grandi navi fuori dalla laguna. «La scelta andrà fatta con trasparenza», dice il senatore del Pd Felice Casson.
Alberto Vitucci
Costa Crociere: «Non lasciamo Venezia»
I vertici della compagnia presentano la futura ammiraglia (132 mila tonnellate). La più grande nave realizzata a Marghera
Costa Diadema, la futura ammiraglia di Costa Crociere in costruzione alla Fincantieri di Porto Marghera ha toccato ieri mattina per la prima volta il mare, anzi la laguna di Venezia. Il varo tecnico si è tenuto sotto la pioggia battente, con tanto di “battesimo” suggellato dalla madrina Franca Grasso– scelta attraverso selezioni che hanno coinvolto 12 mila ospiti a bordo delle navi Costa in crociera nel mar Mediterraneo che con al fianco tre damigelle (anche loro ospiti fedeli delle navi) ha infranto con successo la bottiglia di spumante sulla fiammante prua. Ci vorrà ancora un anno per allestire in banchina i lussuosi interni di questo gigante del mare da 132 mila tonnellate, capace di ospitare 6 mila persone tra crocieristi ed equipaggio. Solo il 30 ottobre dell’anno prossimo, data prevista per la consegna definitiva della nave, Costa Diadema potrà lasciare Venezia e prendere il mare per le prime crociere nel mar Tirreno, con scali a Savona, Marsiglia, Barcellona, Palma di Maiorca, Civitavecchia e La Spezia con visite a Roma e Firenze. Vista la stazza che supera ampiamente i limite massimo di 96 mila tonnellate di stazza lorda (previsto dal recente provvedimento del Governo) per le navi da crociera che dal 1 novembre del 2014, ma forse – come ha chiesto ieri l’amministratore delegato di Costa Crociere spa Michael Thamm – sarà spostato a dicembre a causa dei 30 mila passeggeri che hanno già prenotato una delle 11 crociere programmate da tempo dal gruppo Costa con partenza da Venezia. Solo quando sarà ultimato lo scavo del canale Contorta Sant’Angelo, Costa Diadema e le altre grandi navi da crociera messe al bando dal provvedimento del Governo, potranno tornare in laguna e arrivare in Stazione Marittima senza più passare per il bacino di San Marco. Intervenendo ieri mattina alla cerimonia di varo della nave, il presidente dell’Autorità Portuale di Venezia, Paolo Costa, ha chiesto a tutte le compagnie marittime di «portare pazienza» e ha assicurato: «entro i due anni previsti sarà completato lo scavo del nuovo canale per le grandi navi e del primo tratto del canale Malamocco- Marghera per permettere in doppio senso di navigazione fino alla deviazione sul Contorta Sant’Angelo».
Paolo Costa ha poi aggiunto che in seguito, quando sarà realizzato il porto off-shore, 8 chilometri a largo di Malamocco, si «libereranno spazi nelle banchine commerciali di Porto Marghera» sui quali potranno trovare posto le grandi navi. Dal canto suo, Michael Thamm, amministratore delegato di Costa Crociere, ha detto di essere «tranquillo». «Non appena sarà pubblicato il decreto del Governo sulle Grandi navi a Venezia «prenderemo delle decisioni sulle nostre crociere che toccano Venezia». «Noi sentiamo di far parte di Venezia» ha aggiunto «amiamo questa città e penso che sarà possibile trovare una soluzione condivisa. Abbiamo navi più piccole come Deliziosa e Fascinosa e potrebbero essere usate loro su Venezia». E per rispettare l’ambiente e i cittadini veneziani, Thamm ha aggiunto che Diadema «abbatterà del 40 cento l’utilizzo del combustibile permettendo una minore quantità di emissioni di gas e polveri».
Gianni Favarato
«Una spiaggia galleggiante»
«Comfort, gastronomia e intrattenimento saranno gli elementi distintivi di Costa Diadema» ha spiegato ieri il gruppo crocieristico «Le aree interne sono state studiate per essere più accoglienti e spaziose. Diadema offrirà grandi ambienti su più livelli, affacciati sul mare e collegati da percorsi dinamici per ricreare l’atmosfera di una vivace località balneare. Tra le tante novità presenti a bordo, gli invitanti spazi gastronomici e di degustazione, come la Vinoteca, la Birreria, il Teppanyaki giapponese, la pizzeria di Piazza Pizza e la Gelateria. Originalità e innovazione anche per il divertimento, con il Country Rock Club, dove poter ascoltare l’autentica musica rock, una Spa per benessere e relax a bordo e la Star Laser, una sala polifunzionale con giochi laser interattivi, come il Laser Maze, un labirinto laser dove sarà possibile divertirsi con gli amici. I patiti dello shopping avranno a disposizione la Piazza del Portobello Market, cuore di un’area di 1.100 mq di negozi. Per godersi il sole, il mare e gli splendidi panorami della navigazione, ci sarà una passeggiata esterna con cabanas e oltre 500 metri di “lungomare”.
Nuova Venezia – “Le inchieste non toccano il Mose”
Posted by Opzione Zero in Rassegna stampa | 0 Comments
15
nov
2013
Il direttore del Consorzio Venezia Nuova Hermes Redi si difende in commissione a Ca’ Farsetti
VENEZIA – Il Consorzio Venezia Nuova va avanti – sino a Mose concluso e oltre, con i primi anni di manutenzione – e i possibili reati commessi da esponenti di società coinvolte in esso, come il presidente di Mantovani Pier Giorgio Baita, riguardano i singoli dirigenti e non le stesse società, che non possono certo essere sospese dall’attività per questo, «anche perché vi rendete conto di che cosa è in gioco».
È stata questa l’orgogliosa difesa del direttore del Consorzio Venezia Nuova Hermes Redi – sottoposto ieri a Ca’ Farsetti a una sorta di “processo”, se pur garbato – alla sua associazione d’imprese, dai consiglieri comunali della commissione d’indagine sulle attività della Mantovani (che ha il 34 per cento del Consorzio e ne è il socio di maggioranza, seguito dalla Mazzi con il 30 per cento) e sui suoi rapporti con il Comune.
Tra i temi più “caldi” quelli su prezzi e costi del Mose, oltre che sulla trasparenza degli appalti affidati tra i soci senza gara, proprio perché il Consorzio è concessionario unico dello Stato per le opere di salvaguardia e non ha, dunque, concorrenza esterna, che potrebbe determinare ribassi d’asta.
Ma l’ingegner Redi ha ricordato come il Consorzio sia nato con questa formula o con questa associazione d’imprese – inizialmente concorrenti – proprio per realizzare un’opera di enorme complessità come il Mose che nessuno da solo era in grado di affrontare.
«Non è vero che i prezzi del Mose sono stati aumentati – ha sottolineato – perché sono quelli fissati nel 2005, cresciuti solo per l’adeguamento dei costi di acciaio e calcestruzzo e per le richieste di interventi aggiuntivi e compensativi fatte dall’Unione Europea».
Ma, su osservazione del consigliere della Lista in Comune Beppe Caccia, ha dovuto riconoscere che è stato riconosciuto al Consorzio un adeguamento del 12 per cento sulle spese generali che su un costo totale dell’opera di 5 miliardi e 400 milioni di euro, fanno circa 600 milioni.
Per il futuro, Redi ha chiarito che il Consorzio Venezia Nuova verrà sciolto una volta completato il Mose e assicurato fino al 2016 un primo periodo di manutenzione.
Ma dopo? Jacopo Molina del Pd ha fatto notare che Thetis – società controllata dal Consorzio e di cui è amministratore delegato lo stesso Redi – si starebbe attrezzando per ereditare, in cordata con altre imprese, la futura gestione della manutenzione, quando andrà a gara, ma Redi non ha confermato questi possibili scenari, pur senza escluderli.
Ma il direttore del Consorzio – come sottolinea lo stesso Caccia – ha comunque dato la disponibilità a un pubblico confronto tecnico sul rischio “risonanza” per le paratoie delle dighe mobili, denunciato in questi ultimi anni da autorevoli voci e sempre negato dai costruttori del Mose. La Commissione sentirà prossimamente anche i presidenti del Magistrato alle Acque che si sono susseguiti in questi anni, anche per sapere di più sui collaudi e sui ruoli professionali di chi li ha svolti. Un argomento su cui sta indagando anche la magistratura.
Enrico Tantucci
il cantiere
Conclusione nel 2016
Il completamento e la messa in funzione delle barriere del Mose resta previsto per il 2016, con un grado di avanzamento dei lavori stimato oggi a circa l’80 per cento del totale. I prossimi interventi prevedono, da novembre, il “varo” delle strutture di alloggiamento per la barriera di Lido sud. Le strutture sono state realizzate sul terrapieno provvisorio allestito alla bocca di porto di Malamocco e saranno messe in mare con una grande piattaforma (la più grande del mondo di questo tipo) che funziona come un gigantesco ascensore.
Quindi, alla fine del 2013, si partirà anche con la barriera di Chioggia, con le prime operazioni funzionali al “varo” e all’installazione delle strutture di alloggiamento.
Quindi, dal 2014 è prevista l’ultimazione delle paratoie del Lido e l’avvio di quelle previste a Malamocco. Nel primo caso saranno ultimate entrambe le barriere di difesa alla bocca di porto del Lido. Nel secondo, saranno varate e posizionate nel fondale le “basi” della barriera di Malamocco.
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